sabato 30 gennaio 2010

Nomine, don Stefano Segalini assistente Coldiretti

Con Atto proprio di S. E. Mons. Vescovo, in data 25 gennaio 2010, il M. R.
Segalini don Stefano, attuale vicario parrocchiale presso la parrocchia di
San Giuseppe Operaio in Piacenza, è stato nominato, per il quinquennio
2010-2015, Consulente Ecclesiastico Provinciale presso la Coldiretti di
Piacenza.

Piacenza 27 gennaio 2010, dalla Curia Vescovile,

giovedì 28 gennaio 2010

Lanfranchi, il saluto alla diocesi di Cesena-Sarsina

Alla diletta Diocesi di Cesena-Sarsina


La decisione del Papa Benedetto XVI di nominarmi Arcivescovo Abate di Modena-Nonantola ha suscitato in me immediati e contrastanti sentimenti, come è facile immaginare.
Anzitutto intendo manifestare profonda gratitudine al Santo Padre per la fiducia espressa alla mia persona per il delicato compito affidatomi, che suscita in me trepidazione, ma anche abbandono sereno all’azione dello Spirito Santo .
Ai Modenesi apro fin da adesso il mio cuore in un’accoglienza grande e manifesto il mio desiderio di spendermi con tutte le energie che il Signore vorrà donarmi per camminare con loro come fratello e padre alla luce del Vangelo di Gesù Cristo, la Bella Notizia di Dio per l’uomo, nella gioia di sentirci Chiesa.
Ai Cesenati tutti in questo tempo, in cui rimarrò ancora vescovo di Cesena-Sarsina prima del mio ingresso a Modena, non mancherò di manifestare il mio legame profondo con loro maturato in questi anni e il significato che ha avuto per me il servizio episcopale in questa Diocesi e in questa Città.
Ora vorrei solo manifestare anzitutto il mio grazie sincero a tutti.
Come ho avuto modo di dire più volte mi sono sentito accolto e accettato fin dall’inizio con grande cordialità e questo mi ha permesso di muovermi e di pormi con spontaneità e libertà interiore in ogni ambiente e con ogni persona. Ho cercato di essere “vescovo tra la gente e con la gente”, traducendo il motto di Sant’Agostino “Con voi sono cristiano, per voi sono vescovo”. Non mi sarei potuto sentire vescovo senza condividere la fede e il comune destino. Così ho cercato di farmi carico delle preoccupazioni, delle sofferenze, dei problemi delle persone che incontravo, ma anche di gioire per le cose belle, e sono molte!, che vedevo realizzate. Così come ho sentito la condivisione di tanti miei ideali e il sostegno dell’affetto e della preghiera in momenti di sofferenza e di difficoltà. Ora sento molto la fatica del distacco, ma so che l’obbedienza non spegne le relazioni costruite, ma dà la possibilità di allargare la parentela spirituale aggiungendo nuovi fratelli.
Chiedo scusa se i miei limiti mi hanno impedito di essere attento a tutti come avrei voluto.
Questi sentimenti immediati mi sentivo di comunicare subito, rimandando tutto il resto ad altra occasione. Intanto vorrei vivere questo tempo in cui resto alla guida della Diocesi con quell’impegno e quella naturalezza necessari come se dovessi rimanervi ancora a lungo.
A tutti chiedo di accompagnarmi con la preghiera.

Antonio Lanfranchi, vescovo

mercoledì 27 gennaio 2010

Lanfranchi a Modena, le congratulazioni di Ambrosio

Sono molto lieto di comunicare ai sacerdoti e ai fedeli laici che il Santo Padre ha nominato Sua Eccellenza Mons. Antonio Lanfranchi arcivescovo di Modena-Nonantola.
Ci complimentiamo vivamente con questo figlio della nostra Chiesa che, sia pur con diversi impegni a Roma, ha sempre mantenuto forti legami con la diocesi di Piacenza-Bobbio che ha servito come educatore e docente nel Seminario, come assistente dell’Azione Cattolica e poi come Vicario generale.
Il 3 dicembre 2003 il Papa lo ha eletto vescovo di Cesena - Sarsina. Ed ora, in quanto arcivescovo di Modena - Nonantola, mons. Lanfranchi ricupera un più stretto legame con la nostra Chiesa: la nostra diocesi infatti fa parte, insieme a quelle di Fidenza, di Parma, di Carpi, di Reggio Emilia - Guastalla, della metropolia di Modena - Nonantola.
Ci rallegriamo molto per questa maggior vicinanza alla nostra diocesi. Ma soprattutto gli assicuriamo, insieme all’affetto e all’amicizia, la nostra preghiera perché possa svolgere, con la luce e la forza dello Spirito, il suo ministero di pastore della Chiesa di Modena - Nonantola.

+ Gianni Ambrosio
vescovo di Piacenza-Bobbio

Il Tom è il nuovo arcivescovo di Modena

Il piacentino monsignor Antonio Lanfranchi, originario di Grondone (Ferriere), attualmente vescovo di Cesena-Sarsina è stato nominato oggi dal Papa arcivescovo-abate della diocesi di Modena-Nonantola.

domenica 24 gennaio 2010

Ambrosio ai giornalisti: un rapporto vero tra parole e fatti

Desidero innanzi tutto ringraziarvi per il vostro impegno nel campo della comunicazione sociale e per la vostra presenza in questa celebrazione. Rivolgo questo mio vivo ringraziamento a voi giornalisti per la serietà con cui svolgete il vostro lavoro ed anche per l’amicizia con cui seguite la vita della Chiesa di Piacenza-Bobbio. Un lavoro bello ma delicato e sempre più sottoposto a spinte contrapposte, quella dello scoop o dell’audience a ogni costo e quella del rispetto della verità e delle persone di cui parlate nei vostri servizi.
Questa celebrazione non è solo un’occasione che ci consente, secondo una bella consuetudine, di riflettere su alcuni temi legati al vostro impegno, ma è anche - direi soprattutto - un momento prezioso in cui, uscendo dal ruolo di comunicatori per gli altri, diventiamo comunicatori a noi stessa di una “bella notizia”: una notizia che non abbiamo cercato, ma è arrivata a noi, alla nostra coscienza, come dono prezioso e coinvolgente.
Invocando l’intercessione del santo patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales, di cui ricorre la memoria liturgica, vorrei che il brano del Vangelo di Matteo risuonasse dentro il vostro cuore e vi offrisse spunti preziosi di riflessione sul ‘comunicare’, sulla gioia, sulla bellezza, sull’importanza del comunicare. Di solito siete voi a porre le domande nelle vostre interviste, questa volta è la pagina del Vangelo che pone a voi delle domande. Lasciatevi intervistare, sapendo che è interpellata la vostra coscienza. Io mi limito a suggerire un breve commento.

Nel brano ascoltato, Gesù invita i suoi discepoli ad essere sale della terra e luce del mondo. Anzi, dice loro: voi siete il sale, voi siete la luce. Non dice loro: voi dovete essere. Sarebbe un’impresa impossibile. È invece possibile incontrare Gesù, accogliere la sua parola, lasciarsi toccare dai suoi gesti. Allora è possibile, con Lui, essere il sale della terra e la luce del mondo. È un dono che è rivolto a tutti, è una sfida che interpella tutti, è un compito che coinvolge tutti. Tutti noi, nessuno escluso. Forse siamo distratti, siamo smemorati, siamo presi dai tanti impegni. Ma il dono, la sfida, il compito sono lì, per noi. Se accolti, cambiano la vita, nel senso che la rendono illuminata, significativa, costruttiva.

Anche il vostro mestiere cambia. Assume il senso di una missione il vostro lavoro di giornalisti: perché racconta la fatica e la bellezza di una comunità di persone che cercano di collaborare pur nelle tante ostilità, che desiderano aiutarsi pur nelle molte incomprensioni, che cercano di leggere i segni di speranza pur nelle pesanti oscurità che segnano la nostra storia.
Essere sale e luce non vuol dire ignorare i tanti lati oscuri del nostro cammino umano. Piuttosto vuol dire far emergere i motivi per cui vale la pena di vivere, vuol dire portare alla luce ciò che promuove la dignità della persona, scorgendo nei fatti i segni che aprono alla speranza, al dialogo, alla fiducia reciproca.

"Voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo" (Mt 5,13-14): Le due immagini del sale e della luce utilizzate da Gesù sono ricche di senso e di domande.

"Voi siete il sale della terra...". Una delle funzioni del sale è quella di dare gusto e sapore al cibo. Per lungo tempo il sale è stato anche il mezzo abitualmente usato per conservare gli alimenti. Lasciatevi interpellare da questa immagine del sale. Quali sono gli alimenti da conservare, quali sono gli aspetti della vita cui dare gusto e sapore perché siano gustati, apprezzati e stimati?

"Voi siete la luce del mondo...". Il simbolo della luce evoca il desiderio di verità, di conoscenza, di speranza: è un desiderio impresso nell'intimo del cuore di ogni persona e di ogni popolo.
Forse le immagini del sale e della luce vi invitano a non accontentarvi di ciò che sta al di sotto dei vostri ideali, a non lasciarvi scoraggiare da coloro che, delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e più autentici del loro cuore, a non rassegnarvi alle mode passeggere, ai progetti riduttivi, alla mediocrità, al pessimismo. Proprio nei momenti di difficoltà, vi è maggior bisogno di luce e di sale.
Forse le immagini possono invitarvi ad approfondire la conoscenza del grande patrimonio di cultura e di spiritualità che vi è stata trasmessa, dei testimoni e dei maestri che vi hanno preceduto, anche nel campo del giornalismo.
Forse le immagini possono stimolarvi ad affermare la vostra responsabilità personale. Perché per il giornalista è facile trincerarsi dietro al fatto che «oggi il lettore o il pubblico vuole così..., oggi la società è così». Il comunicatore deve essere sempre consapevole delle proprie responsabilità: non può rassegnarsi e poi giustificarsi. Il sale che non dà sapore merita di essere gettato via. La luce che è posta sotto il moggio, come dice il Vangelo, non riesce ad illuminare, è inutile. Vi sono circolo viziosi, ma possono esserci circoli virtuosi per cui l’imitazione evolve in senso positivo. Esiste anche un contagio positivo, non soltanto un contagio negativo. Se si riesce ad instaurare un rapporto vero tra parole e fatti, fuggendo dagli stereotipi, si può vincere la deriva della volgarità, dello stile gridato, della cattiveria, della diffamazione.

Concludo. Dentro la storia, c’è quel di più che occorre saper scoprire per poterlo comunicare. Con la luce che ci proviene dal Vangelo, i fatti della vita diventano di per sé espressivi, perché accolti nella loro profondità umana. Allora si raccontano senza forzarli, all’insegna del rispetto di ogni persona e sapendo che abbiamo tutti bisogno di luce e anche di un po’ di sale.
Permettetemi di leggere una frase scritta da Haiti da un amico sacerdote, don Mauro di Milano. Ha scritto questa lettera qualche giorno prima del terremoto ed è rivolta alle persone che lo hanno aiutato. Non so se questo amico è vivo e anche lui è tra i tanti morti di quella immane tragedia. Don Mauro scrive: “Con ciò che voi dite, con quello che voi date non risolvete le tante domande e attese presenti, ma fate qualcosa di più prezioso: accendete nella realtà di tante persone una luce di speranza, segni di una vita migliore se si rompono le barriere della solitudine e dell’egoismo”.
San Francesco di Sales, vostro patrono, aiuti voi, cari giornalisti, e tutti noi ad accendere una luce di speranza e a porre segni di una vita migliore.

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio


Quello sopra riportato è il testo dell'omelia tenuta dal vescovo di Piacenza-Bobbio sabato 23 gennaio 2010, solennità di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

sabato 23 gennaio 2010

Nomine, don Affri cappellano del carcere

Con Atto proprio di S. E. Mons. Vescovo in data 8 gennaio 2010 il M. R. don Adamo Affri è stato designato cappellano della Casa Circondariale di Piacenza.

Con Atto proprio di S. E. Mons. Vescovo, in data 8 gennaio 2010, il M. R. don Primo Ruggeri, mantenendo i precedenti incarichi, è stato nominato amministratore parrocchiale delle parrocchie:
* S. Pietro Apostolo in Rovinaglia, Comune di Borgo Val di Taro, Provincia di Parma;
* S. Maria Assunta in Valdena, Comune di Borgo Val di Taro, Provincia di Parma.


Con Atto proprio di S. E. Mons. Vescovo, in data 8 gennaio 2010, il M. R. don Giuseppe Basini, mantenendo i precendenti incarichi, è stato nominato Assistente ecclesiastico della “Compagnia delle Figlie di Sant’Angela Merici”.


Con Atto proprio di S. E. Mons. Vescovo, in data 12 gennaio 2010, il M. R. don Stefano Garilli, mantenendo i precedenti incarichi, è stato nominato amministratore parrocchiale della parrocchia di San Michele Arcangelo in Corneliano, Comune di San Giorgio Piacentino, Provincia di Piacenza.

martedì 19 gennaio 2010

Don Stabellini: rispettiamo il Creato, giardino di Dio

"La festa di Sant'Antonio Abate, riesce a rinsaldare e a far recuperare alle persone la relazione con la natura e il Creato. L'uomo che si ritrova ad essere il custode del meraviglioso giardino di Dio, da una parte deve riscoprirne la bellezza, dall'altra deve prendere coscienza delle proprie responsabilità di fronte ad esso. Rispettare gli altri esseri viventi che condividono con noi questo giardino, significa rispettare l'opera del Signore". Sono le paole di don Mauro Stabellini, cappellano di San Dalmazio, a proposito della festa di Sant'Antonio, patrono degli animali, che si è tenuta domenica. Le riportiamo perché pensiamo rappresentino la riflessione più saggia, tra i muggiti, i miagolii, i grugniti di domenica scorsa.

domenica 17 gennaio 2010

La tragedia del Pendolino 13 anni dopo

Martedì 12 gennaio alla stazione di Piacenza si è tenuta la tredicesima commemorazione della tragedia del Pendolino. E' passato qualche giorno ma pensiamo sia utile riproporre su Sacricorridoi la bella omelia con cui don Giuseppe Basini, parroco di Sant'Antonino, ha voluto ricordare quel giorno. Eccola qui di seguito:

Domenica 12 gennaio 1997. Sono trascorsi tredici anni da quella terribile giornata che ha aperto una ferita profonda, difficilmente rimarginabile, nel cuore di tutti i familiari delle vittime e di molte altre persone che hanno partecipato con intensità e verità al loro dolore. Personalmente, porto ancora nel cuore lo sconcerto sperimentato in quella triste e fredda giornata. Certamente sono stato tra i primi ad essere informato dell’accaduto perché in quel periodo svolgevo l’incarico di segretario particolare del vescovo di Piacenza monsignor Luciano Monari. Quel giorno, pur non conoscendo personalmente nessuna delle persone coinvolte nell’incidente, da subito mi è venuto spontaneo invocare l’aiuto di Dio per i familiari che, improvvisamente, erano stati chiamati a portare il gravoso peso dell’assenza di una persona cara e familiare. Umanamente la morte è una sentenza senza appello; è possibile scalfirla unicamente facendo memoria della persona amata. Vorrei quindi che in questo momento tutti noi potessimo rivolgere un pensiero grato e carico di affetto a Pasquale Sorbo, Lidio De Santis, Francesco Ardito, Gaetano Morgese, Cinzia Assetta, Lorella Santone, Carmela Landi e Agatina Carbonaro. E’ doveroso e motivo di fecondità spirituale, civile e religiosa, fare memoria delle loro persone e, per chi ha avuto la grazia di conoscerli e di amarli, della loro testimonianza. Perché senza memoria non c’è futuro e possibilità di costruire un mondo migliore, più umano e più giusto.
Come disse il vescovo Luciano durante la celebrazione eucaristica un anno dopo l’incidente, “occasioni dolorose come questa, non possono che richiedere parole di speranza. Ne abbiamo bisogno, perché senza il sostegno della speranza non si riesce a vivere, non si possono affrontare le sfide difficili del tempo. Ma le parole di speranza, pur belle, rischiano di rimanere soltanto parole; possono esprimere una sincera solidarietà umana, la vicinanza del cuore e dei sentimenti, ma sembrano destinate a infrangersi contro il muro impenetrabile della morte. Ecco perché è importante che le parole umane, necessarie ma deboli, si appoggino sulla parola di Dio, potente nella sua misericordia”. Abbiamo bisogno della Parola di Dio che ci può aiutare a interpretare nella direzione giusta il lutto che tredici anni fa ha colpito otto famiglie e l’intera città di Piacenza.
Punto di partenza è il riconoscimento della nativa fragilità della condizione umana. L’uomo è grande nella sua intelligenza creativa, nella sua forza morale, nella sua capacità di amore e di sacrificio. Ma tutta questa ricchezza, è contenuta in un involucro debole e fragile. Basta un microscopico virus a bloccare la nostra esistenza; basta poco per porre fine all’avventura umana di una persona. E allora? Diremo che l’esistenza umana è uno scherzo dal momento che basta così poco per vincerla? O ci abbandoneremo alla disperazione o al fatalismo, dal momento che non riusiamo a proteggerla sempre dai rischi?
Questo significherebbe cedere alla potenza della morte. Ma il vangelo ci chiede piuttosto di affermare la nostra fede nella vita nonostante tutto e contro tutto. Dice Gesù: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati voi che ora piangete, perché riderete”. Queste parole, non vogliono essere una facile e illusoria consolazione. Come diceva il poeta francese Paul Claudel: “Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza”. Le spiegazioni filosofiche della realtà del dolore sono spesso sterili. Cristo non è venuto a giustificare lo scandalo del male inquadrandolo in un sistema di pensiero convincente. Egli è venuto a condividere il nostro limite, assumendolo in sé. L’amore di Dio non ci protegge da ogni sofferenza, ma ci sostiene in ogni sofferenza. L’esperienza del dolore può essere disperante e angosciante, anche perché è come essere in una prigione che ci stringe e ci soffoca. L’ingresso del Figlio di Dio in quel carcere segna una svolta: egli non elimina la nostra condizione di creature fragili e limitate, ma apre la porta e ci prende per mano, per condurci oltre quel carcere, cioè oltre la sofferenza e la morte. La fede ha il compito di svelarci ciò che attende il nostro soffrire e morire: non è il gorgo oscuro del nulla e del non senso, ma la liberazione definitiva verso quella pienezza cantata dall’Apocalisse: nella città di Dio “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4).
Tutti noi abbiamo perduto persone care alle quali la nostra vita era attaccata con un filo di affetto solido e consolante; e tutti noi – seppure in modi diversi – abbiamo dovuto misurare la nostra debolezza di fronte alla morte. Io prego perché il ricordo delle persone care, del loro volto, del loro sorriso, delle loro parole, non diventi motivo di tristezza infinita ma produca un amore ancora più grande e più maturo per la vita. È il modo giusto, credo, per onorare i nostri cari e dare valore al loro stesso sacrificio. Non vorrei che in noi venisse meno la capacità di reagire e di sperare. Per questo prego il Dio della vita per me e per voi.

sabato 16 gennaio 2010

Haiti, l'appello di Africa Mission

Pubblichiamo con piacere anche l'appello che Africa Mission ha rivolto ai piacentini per la tragedia che ha colpito Haiti. Il movimento fondato da don Vittorione e dal vescovo Enrico Manfredini ha indetto una sottoscrizione versando una somma iniziale di diecimila euro.

Carissimi amici,
la tragedia di Haiti ci lascia sgomenti e senza parole.

Le notizie che giungono portano un carico di dolore così grande che ci risulta insostenibile.

Come Movimento di cristiani impegnati in favore dei più poveri dell’Africa, “Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo”, vuole essere vicino al popolo Haitiano, perché, pur nella sofferenza, non si senta abbandonato.

Vogliamo aiutare questi fratelli ad affrontare una sfida che supera ogni umana comprensione con la nostra preghiera e con la nostra concreta solidarietà.

Nella nostra missione di essere sempre vicini agli ultimi, abbiamo deciso di unirci all’intervento della Caritas Italiana, impegnandoci di mettere a disposizione 10.000,00 euro.
Quanti vogliono contribuire attraverso il Movimento, possono versare la propria donazione sui conti di:
Africa Mission:
conto corrente postale: 11145299
bonifico – codice Iban: IT18 M051 5612 600C C000 0033 777 (Banca di Piacenza)
Cooperazione e Sviluppo Ong:
conto corrente postale: 14048292
bonifico – codice Iban: IT44 Z050 4812 6000 0000 0002 268 (Banca Popolare Commercio e Industria)
Causale: “per il popolo di Haiti”
(per maggiori informazioni chiamate la segreteria di Piacenza 0523.499424).

"Non si faccia mancare - ha detto il Papa - a questi fratelli e sorelle che vivono un momento di necessità e di dolore, la nostra concreta solidarietà' e il fattivo sostegno della Comunità' internazionale''.

“Anche tu ... insieme” alla chiesa universale per arrivare a tutti coloro che sono nel bisogno.


don Maurizio Noberini - Presidente di Africa Mission

Carlo Antonello - Presidente di Cooperazione e Sviluppo

Sant'Antonio, una domenica a quattro zampe (2)

Un amico di Facebook ci segnala che si svolgerà domenica diciassette gennaio la festa di Sant’Antonio Abate anche a Groppallo, piccolo paese dell’Alta Valnure. Un evento che si ripete da innumerevoli anni e ormai a “mettere la firma sull’albo” della sagra è proprio il parroco Don Gianrico Fornasari. La tradizione è rimasta puramente intatta con la benedizione degli amici a quattro zampe ma non solo, anche cavalli e tante altre speci. Tutti gli animali, accompagnati dai loro padroni sfileranno in corteo per le vie del paese per raggiungere la Chiesa di Santa Maria Assunta alle ore undici.

Sant'Antonio, una domenica a quattro zampe

Domenica 17 si celebra la festa di Sant'Antonio abate, protettore degli animali. Riti religiosi legati sia agli amici a quattro o due zampe da salotto sia a quelli impegnati nei campi o nelle stalle si tengono in diverse località della diocesi di Piacenza-Bobbio. Qui di seguito riportiamo il programma di Bobbio e Vaccarezza che ci è stato gentilmente segnalato.


Sant' Antonio Abate, da sempre è venerato dalla gente della nostra campagna come protettore degli animali, spesso unica ricchezza per tanti nostri contadini.
Pur nel cambiamento avvenuto in questi anni causa lo spopolamento della campagna tuttavia si mantiene vivo il ricordo delle origini della cultura contadina e degli elementi che la costituiscono, tra questi si colloca appunto la festa di Sant´Antonio.


Programma:

-A Bobbio:

Messa delle ore 10 nella cripta della Basilica di San Colombano, con la tradizionale benedizione del sale.

-A Vaccarezza (frazione di Bobbio - circa 5 km. sulla strada provinciale 461 del Penice):

Grande festa al Santo alle ore 11 nella locale Chiesa parrocchiale di Sant´Eustachio da parte di Don Mario Poggi.

Dopo la celebrazione eucaristica, il parroco sul piazzale della chiesa impartirà la tradizionale benedizione del sale, degli animali e dei mezzi agricoli.

venerdì 15 gennaio 2010

Haiti, appello della Caritas diocesana

Un devastante terremoto ha colpito Port au Prince, la capitale di Haiti, provocando migliaia di vittime e danni enormi. Haiti è il paese più povero dell'America Latina ed è periodicamente provato da calamità naturali e crisi sociali. Dei circa nove milioni di abitanti - su una superficie che è poco più di quella della Sicilia oltre la metà vive con meno di 1 dollaro al giorno.

La Caritas di Haiti, nata nel 1975, oltre ai consolidati impegni in settori fondamentali come l'alimentazione, la salute, l'educazione e l'abitazione, lo sviluppo integrale, si è sempre attivata in ogni emergenza e anche in questa occasione ha avviato aiuti d'urgenza, in coerenza con quella che il suo presidente, Mons. Pierre André Dumas, vescovo di Anse-À-Veau et Miragoâne, ha definito "una pastorale samaritana, di prossimità, attenta alle piccole comunità, con una rinnovata opzione per i più poveri".

Caritas Italiana che da anni affianca la Chiesa locale - in particolare per le emergenze e per interventi di promozione della donna e di economia solidale - ed ha prontamente manifestato vicinanza e solidarietà, mettendo a disposizione centomila euro per i bisogni immediati.

La Caritas Diocesana di Piacenza-Bobbio sostiene Caritas Italiana, lanciando un'appello alla cittadinanza per contribuire alla realizzazione del piano d'emergenza.


Per sostenere gli interventi si possono utilizzare le seguenti modalità:

  • versamento presso i nostri uffici in Via Giordani, 21 a Piacenza dalle ore 9 alle 12 e dalle ore 15 alle 18
  • C/C bancario tramite Banca di Piacenza intestato a Fondazione Caritas Diocesana (causale EMERGENZA HAITI) Iban: IT61 A 05156 12600 CC0000032157
  • Versamento con CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001 (orario dufficio).

lunedì 11 gennaio 2010

Ambrosio: nessuno è escluso dalla Missione Popolare

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa

Rito inizio Missione Popolare Diocesana

Cattedrale di Piacenza – 10 gennaio 2010
Omelia del vescovo mons. Gianni Ambrosio

Festa del Battesimo del Signore, inizio della Missione Popolare Diocesana.
(Isaia 42, 1-4.6-7; Atti 10, 34-38; Luca 3, 15-16.21-22)


Carissimi fratelli e carissime sorelle,

è bello e profondo il nesso tra la festa del battesimo di Gesù che stiamo celebrando e l’inizio della missione popolare nella nostra Chiesa. Non si tratta solo di una felice coincidenza, ma di un provvidenziale legame.

1. Nella celebrazione del battesimo di Gesù, viene svelato a tutti gli uomini il mistero della misericordia di Dio che, in Cristo Gesù, scende fino a raggiungere l’uomo nel più profondo del suo cuore. Sulle rive del Giordano Gesù manifesta la sua sorprendente solidarietà con tutti gli uomini. Egli è lì, in fila, con tutti coloro che sono accorsi per ricevere il battesimo di Giovanni, il profeta inviato da Dio. Giovanni annuncia la conversione in vista del Regno che sta per venire e chiama tutti a un deciso cambiamento di vita nel segno dell’immersione nelle acque del Giordano. Il battesimo di Giovanni è un “battesimo di conversione per la remissione dei peccati” (Lc 3,3): “anche i pubblicani” si recano da Giovanni per farsi battezzare (Lc 3,12). Gesù si mescola con quella folla che confessa i propri peccati e riceve il segno del battesimo di penitenza. Egli è, dice il Vangelo, con “tutto il popolo”, ne fa parte, ne condivide il desiderio di liberazione dal male, di perdono, di vita nuova.
L’evangelista Luca sembra voler solo accennare al battesimo di Gesù per subito portare l’attenzione su ciò che accade dopo il battesimo, la teofania. Ma è opportuno sostare: nel battesimo al Giordano, Gesù rivela lo stile e il contenuto della missione. Colui che è il Verbo eterno per il quale “tutto è stato fatto”, si trova a condividere il gesto di “tutto il popolo”, del popolo che si riconosce peccatore. Colui che è “la vita e la luce”, condivide il bisogno umano di luce e di vita, di grazia e di misericordia che si esprime nel gesto di invocazione e di purificazione. Il mistero dell’incarnazione è mistero di abbassamento, di condivisione, di solidarietà. Gesù, nel battesimo condiviso con tutto il popolo, assume su di sé tutta l’umanità peccatrice. Egli è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, prendendolo sulle proprie spalle nella logica dell’amore, della solidarietà, della sostituzione.

2. Carissimi fratelli, l’immersione battesimale è il primo atto pubblico di Gesù, il primo gesto della sua missione. Questa è la prima immagine pubblica che Gesù offre di sé: egli è in mezzo al popolo nelle acque del Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni. Un atto, un gesto, un’immagine che anticipano il dono totale della sua vita fino alla morte in croce.
Possiamo dire che nelle acque del Giordano, davvero “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini", come afferma l’apostolo Paolo (seconda lettura). Così “il cielo si aprì” appena Gesù ha ricevuto il battesimo e sosta in preghiera: é il frutto immediato del primo gesto della missione di Gesù, un gesto di amore per noi. E l’amore apre il cielo, perché il cielo è abitato dall’amore. Come ricorda l’evangelista Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
Si apre il cielo su Gesù e “scese su di lui lo Spirito santo…e venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Cristo riceve lo Spirito Santo per comunicarlo a noi: “ha dato se stesso per noi”, dona anche lo Spirito Santo. E con il dono dello Spirito, diventa possibile la vita nuova dei figli, salvati, giustificati per grazia, eredi della vita eterna. Il cielo si aprì su Gesù e si apre su tutti noi: siamo resi figli nel battesimo in Cristo Gesù, “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (seconda lettura).
La voce scende sul Verbo fatto uomo immerso nelle acque del Giordano. È la voce del Padre per il suo Figlio. Ma la voce del Padre risuona ormai per tutti i figli. Vi è ormai, a partire da quelle acque del Giordano, un’unica storia: è la storia degli uomini che si mescola con la storia del Figlio del Padre.
La voce del Padre sul suo Figlio, l’amato, raggiunge tutti coloro che il Figlio ha amato e ha voluto unire a sé, nel gesto condiviso del battesimo. Uniti a Cristo, abitati e santificati dal suo Spirito, siamo diventati in Lui figli del Padre. Per sempre, in attesa della pienezza della vita, quella vita che chiamiamo eterna. Immersi in Cristo nel suo santo battesimo, sentiamo rivolta a ciascuno di noi la voce del Padre: “tu sei il figlio mio”.

3. Carissimi sacerdoti, carissime fratelli e sorelle, la celebrazione del battesimo di Gesù offre un preciso orientamento alla nostra missione popolare. La gioiosa celebrazione del battesimo di Gesù è il punto di riferimento per tutti noi cristiani, immersi nella sua morte e resurrezione con il battesimo che abbiamo ricevuto. Da lì prende inizio la nostra nuova vita.
Per questo la nostra celebrazione è iniziata al fonte battesimale. La grande vasca battesimale della nostra Cattedrale, come sappiamo, risale al IV secolo: è molto significativo nella nostra Chiesa il più antico ‘segno’ liturgico della vita nuova in Cristo sia proprio la vasca del battesimo. Da lì accogliamo l’invito semplice e concreto che sgorga dal nostro cuore riconoscente e si fonda sul comando stesso di Gesù: raccontiamo l’amore misericordioso di Dio che si rivela in Cristo Gesù, testimoniamo la gioia di non essere soli ma uniti, uniti al Padre in Cristo Gesù e uniti ai fratelli e alle sorelle, viviamo la vita nuova che ci è donata, la vita liberata dal peso del peccato e resa vita filiale dallo Spirito Santo sceso su di noi.

4. Desidero sottolineare tre aspetti presenti nel brano evangelico che segnano la nostra missione.

Il primo aspetto è il popolo. Nei pochi versetti del brano evangelico, Luca parla del popolo per due volte, la prima volta dicendo che “il popolo era in attesa”, la seconda che “tutto il popolo veniva battezzato”.
Anche la nostra missione mette il popolo in primo piano, perché è missione popolare, perché è missione del popolo, con il popolo e per il popolo.
Luca afferma che “il popolo era in attesa”. Sorprende questa affermazione, perché Luca sa bene che quel popolo inquieto non accoglierà prontamente l’annuncio di Gesù. E tuttavia Luca dice: “il popolo era in attesa”. Sa riconoscere nel cuore inquieto e fragile degli uomini e delle donne del suo tempo una segreta invocazione, il desiderio di un cambiamento. Luca riconosce poi in Gesù colui che si immerge in questa attesa del popolo, la fa sua e la orienta, per non lasciarla nella sua indeterminatezza.
È questo il modo con cui anche noi siamo invitati ad avvicinarci gli uni gli altri nel tempo della missione: attenti a riconoscere e ad accompagnare l’attesa dell’altro, che nasconde sempre un desiderio di cielo, che è sempre un’invocazione rivolta a Dio, che lascia trasparire la speranza dell’incontro con Lui. Riconoscere e affermare con convinzione interiore che il popolo è in attesa è il compito fondamentale dei discepoli di Gesù nella storia. Perché, proprio in quanto discepoli, sappiamo di non conoscere fino in fondo il cuore dell’uomo e sappiamo pure che il regno che Gesù annuncia ha caratteri di novità che richiedono un modo sempre nuovo di pensare Dio e la sua presenza salvifica nel mondo.

Con questa sapienza che viene dall’alto, possiamo comprendere che i fatti del mondo non solo l’ultima parola e allora possiamo riconoscere che il popolo è in attesa di consolazione: “consolate il mio popolo, parlate al cuore di Gerusalemme, alza la voce tu che annunci liete notizie a Gerusalemme”. L’invito del profeta Isaia, ascoltato nella prima lettura, è sempre di viva attualità. Anche l’uomo del nostro tempo è inquieto e bisognoso, ferito dalle molte infedeltà, incerto per le molte fragilità, deluso per aver messo mano all’aratro e aver poi rivolto indietro lo sguardo (cf Lc 9,62): con quest’uomo possiamo cercare insieme la verità e condividere insieme la speranza, a quest’uomo possiamo comunicare la consolante notizia del Vangelo.
Il popolo è in attesa di Dio: “Ecco, il Signore Dio viene, come un pastore egli fa pascolare il gregge” (prima lettura). Il quaerere Deum, il cercare Dio, fa parte dell’humanum, anche se variano i modi di questa ricerca, anche se in particolari epoche della storia la ricerca avviene a tentoni, anche se il senso religioso sembra affievolito. Ma se sappiamo che la ricerca di Dio non è esaurita, sappiamo soprattutto non è venuta meno la ricerca di Dio per noi, per ciascuno di noi: è innanzi tutto l’uomo ad essere cercato da Dio che, per amore, “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32).

Il secondo aspetto è la frase di Luca: “il cielo si aprì”.
La missione di Cristo può essere riassunta in questo “aprirsi del cielo”: in Cristo Gesù il cielo si apre, come si aprono le braccia di un padre e di una madre che accolgono i figli. È un’espressione familiare che indica il comunicarsi di Dio all’uomo, l’apertura, la speranza. Con Gesù battezzato nel Giordano, il cielo è aperto e il cielo è per l’uomo, la comunicazione si è stabilita tra cielo e terra, tra il nostro quotidiano e il nostro destino ultimo.
Nell’avventura della missione popolare siamo invitati a ricordare che il cielo è aperto per tutti, senza differenza, senza distinzioni. Siamo “un popolo chiamato a guardare in alto”, secondo la stupenda espressione che troviamo nel profeta Osea 11,7, siamo un popolo in cammino verso l’alto, in pellegrinaggio verso quel cielo aperto ove siamo attesi.

Il terzo aspetto riguarda la preghiera di Gesù: “Gesù stava in preghiera”, dice Luca, l’evangelista che sottolinea sempre il valore fondamentale della preghiera. Sulle rive del Giordano, Gesù vive nella preghiera la comunione con il Padre. Ma appare anche come un figlio che attende la voce del Padre, quasi indugiando in preghiera che esprime il desiderio che il Padre stesso aggiunga ciò che il battesimo con acqua non può dare, invocando ciò a cui quel segno rinvia: lo Spirito Santo. Perché solo lo Spirito di Dio può liberare dal male e donare la vita nuova.

E’ davvero singolare che Gesù inizi la sua missione di inviato del Padre con un atto di preghiera e di ascolto della voce del Padre. Un atto che non consiste nel fare o nell’insegnare, ma nell’ascoltare e nell’invocare: è l’atto tipico del Figlio, di colui che sa di non poter fare nulla da sé, ma solo in comunione.
Anche la nostra Chiesa inizia la sua attività missionaria ‘fermandosi’, cioè ponendosi in ascolto della voce del Padre in preghiera. Iniziamo la missione invocando e accogliendo, come Gesù sulle rive del Giordano. Iniziamo la missione come ‘Chiesa del Signore’, come comunità di figli e di fratelli. Non mettiamo avanti noi stessi e i nostri progetti, ma lasciamo l’iniziativa a Dio e al soffio dello suo Spirito.
Per lasciarci educare da Dio e diventare suo popolo, per diventare discepoli di Gesù e mandati da lui in missione, siamo invitati alla grande scuola della Parola da accogliere nella preghiera. Anche noi, come Gesù, dobbiamo indugiare nella preghiera e arrivare ad rapporto di familiarità con la Parola di Dio. Per questo ho appena consegnato ai rappresentanti dei sacerdoti e dei laici di tutte le Unità Pastorali della diocesi l’Evangeliario della Missione. Lo scopo del primo anno della missione, come ho detto nell’atto della consegna, è questo: “il Vangelo sia accolto con animo libero e grato, sia annunciato a tutti e giunga al cuore dei cercatori di Dio”. Solo nella ‘familiarità orante’ con il Vangelo comprendiamo che l’uomo è fatto per Dio e che lo Spirito Santo abita nel più profondo del nostro cuore e ci rende capaci di servire nell’amore i fratelli.

5. Concludo dicendo a tutti che l’avventura della missione comincia da qui, dalla preghiera. Nessuno è escluso dalla missione, perché nessuno può dire di non aver tempo di pregare: sarebbe come dire di non aver il tempo di respirare.
Ma allora, nella preghiera, sarà facile renderci conto che siamo tutti in attesa, perché tutti vogliamo vivere, e non solo sopravvivere, sarà facile scoprire che tutti desideriamo guardare verso l’alto, perché abbiamo bisogno di speranza e di cielo aperto su di noi. Nella preghiera sarà soprattutto facile riconoscere che Gesù Cristo è il sì di Dio per noi: il suo amore trasforma la nostra esistenza.

So bene, lo dico soprattutto ai carissimi sacerdoti, che non mancano le difficoltà. Per questo desidero ringraziarvi molto, perché insieme abbiamo cercato di superare il piano delle obiezioni, pur legittime e comprensibili. E cercheremo di proseguire, confidando nel soffio dello Spirito ed anche nella buona volontà. Così come ringrazio i laici, e in particolare i giovani, che generosamente hanno accettato l’invito di prendere il largo. Ringrazio le religiose e i religiosi, gli ammalati e gli anziani, ringrazio tutti coloro che da tempo sono sul fronte della missione perché da tempo sostano in preghiera, anche con la particolare intenzione per la nostra missione popolare. Ringrazio infine i nostri missionari che sono in Brasile: sono uniti a noi nella preghiera e noi siamo in comunione con loro e li ringraziamo perché, con l’entusiasmo, ci hanno aiutato a preparare la missione come proposta di evangelizzazione da parte di una Chiesa che ascolta e annuncia, che prega e si converte, che educa e si lascia educare, che dialoga e propone.

In questa nostra Cattedrale, carissimi fedeli, si venera la Vergine Maria con il bel titolo di Madonna del popolo. La invochiamo con fiducia filiale, così come invochiamo la lunga schiera dei Santi di questa nostra Chiesa di Piacenza-Bobbio: ci accompagnino nel nostro cammino di popolo credente, lieto di vivere e di testimoniare la fede in Gesù Cristo e di donarla ai fratelli come vita, luce, gioia, speranza. Amen

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

domenica 10 gennaio 2010

La Missione Popolare che non ti aspetti

Duemila persone nel Duomo di Piacenza non si vedevano dall'ordinazione del vescovo Gianni Ambrosio quasi due anni fa. Cento e passa sacerdoti in un colpo solo anche quelli erano ormai una rarità. Eppure ieri pomeriggio la Missione Popolare della diocesi di Piacenza-Bobbio è iniziata con grandi numeri, numeri su cui pochi avrebbero scommesso. Invece la gente - i cattolici piacentini - ha dimostrato ancora una volta quanto forte sia oggi il bisogno di riflettere, il volersi interrogare sui fondamenti della propria esistenza. Di fronte alla complessità della società odierna, al disorientamento degli idoli falsi, alla strumentalizzazione dei simboli veri, all'ipocrisia, alla demagogia, eccetera eccetera, c'è probabilmente la ricerca di un approdo sicuro in un mare in tempesta. Un approdo che può trovarsi nei valori del Vangelo ed in una rinnovata sacralità. Ecco perchè la Missione Popolare, ora che è partita, deve rappresentare il primo impegno per la Chiesa piacentina, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Il popolo vede nei suoi pastori un punto di riferimento in questo scenario di una rinnovata evangelizzazione che, prima di tutto, passa per il salotto di casa.
E' un'occasione nuova e forse unica, in questi tempi, per riscoprire perché vale la pena vivere. La Chiesa non se la lasci scappare.

sabato 9 gennaio 2010

Black and white 2010

Buon anno a tutti. Dopo una lunga assenza Sacricorridoi torna operativo. Come primo post del 2010 ci piace pubblicare l'omelia integrale del vescovo di Brescia, Luciano Monari, tenuta durante la solennità dell'Epifania. Pensiamo sia una risposta a tutto quello che sta accadendo in questi giorni: dalla rivolta degli immigrati in Calabria, ai vari White Christmas.

Unica è l’origine di tutti gli uomini in Adamo; unica la vocazione di tutti gli uomini in Cristo. La varietà dei popoli, la diversità delle culture, la molteplicità delle lingue esprimono l’infinita ricchezza del mistero di Dio a cui immagine l’uomo è stato creato. Ma nessun popolo per quanto numeroso, nessuna cultura per quanto raffinata, nessuna tradizione per quanto ricca può esprimere davvero la bellezza di Dio senza l’apporto degli altri popoli, delle altre culture, delle altre tradizioni. Questo è il mistero che Paolo ha visto risplendere davanti ai suoi occhi quando ha contemplato la gloria di Cristo e il disegno di Dio che Egli, Cristo, è venuto a compiere nel mondo. Questo mistero, abbiamo ascoltato nella seconda lettura, “non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le gentili (i pagani) sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo.” In Cristo Dio offre la salvezza all’umanità intera e questa salvezza consiste esattamente nella vittoria sulle divisioni per diventare una cosa sola, un unico corpo, un’unica Chiesa insieme con tutti gli altri. In Cristo ci è data una memoria comune – quella della salvezza che Dio ha operato per noi; ci è data una speranza comune, quella di partecipare alla vita stessa di Dio; ci è data una forma di vita comune, quella dell’amore fraterno. Come ricorda san Giovanni: Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi. Quindi anche noi dobbiamo donare la vita per i fratelli.
In questo modo si compiono le promesse dei profeti, come quella di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Mentre il mondo intero è immerso nelle tenebre, Isaia vede Gerusalemme, alta sul colle di Sion, illuminata dalla gloria di Dio; lo splendore della città di Dio si riflette sul mondo intero e muove tutti i popoli a mettersi in cammino, come pellegrini, verso la città santa: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio… Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.” È l’immagine di una vitalità immensa; c’è di tutti: uomini che vengono da lontano, dalle zone lontane dell’Arabia e dello Yemen; cammelli e dromedari che permettono di attraversare i deserti aridi; oro e incenso, segni di ricchezza. Sembra che la vita prorompa vittoriosa, irresistibile. In realtà la città che il profeta ha davanti agli occhi, la Gerusalemme degli anni immediatamente successivi al ritorno dall’esilio, è una piccola città, economicamente povera, politicamente serva, priva di libertà e di autonomia. Ma è pur sempre la città di Dio; e basta quello perché gli occhi del profeta vedano una bellezza nascosta e proclamino un destino di gloria. Tutti i popoli, tutte le razze si riuniscono in quella città e trovano nel Signore motivo di esultanza e forza di comunione. Se a Babele Dio aveva confuso le lingue dei popoli e i popoli erano stati dispersi su tutta la faccia della terra, adesso la gloria di Dio li convoca e fa di loro i figli di una città nuova e santa.
Non so se esista un’immagine più bella e affascinante della Chiesa, di questa madre che riceve figli da ogni angolo del mondo e a tutti imprime una forma nuova, divina. Il giorno di Pentecoste erano presenti a Gerusalemme genti “di ogni nazione che è sotto il cielo.” E tutti si sentono in patria perché odono parlare la loro lingua nativa. Non è proprio questo il miracolo della Chiesa? In realtà a operare la riunificazione degli uomini è la croce di Gesù, innalzata fuori delle mura di Gerusalemme: su quella croce sono inchiodati i peccati, le cattiverie, le divisioni del mondo intero; e da quella croce sgorga un fiume di acqua limpida che lava le brutture del mondo, una sorgente di vita che rinnova e santifica il mondo. Cristo ha abbattuto il muro di separazione che teneva i pagani lontani dalla salvezza, esclusi dall’eredità di Israele, nemici gli uni degli altri. Cristo ha subito il tradimento, l’ingiustizia, la violenza da parte di tutti: dei Romani come dei Giudei, dei sacerdoti come dei discepoli. Nessuno è innocente di fronte a lui, ma tutti ricevono ugualmente da lui perdono e grazia. Chi sta davanti alla croce con la consapevolezza del suo peccato comprende che i suoi risentimenti verso gli altri vengono sciolti, che le sue paure vengono superate da una corrente di grazia che unisce e rinsalda.
Ecco perché acquista grande significato questa eucaristia che celebriamo. La chiamiamo Messa dei popoli e lo è davvero a vedere la molteplicità delle provenienze di noi che siamo qui insieme. Veniamo da tutti i continenti e parliamo molte lingue diverse; eppure ci troviamo qui e uniamo le nostre voci nella comune lode di Dio, ci scambiamo sinceramente un segno di comunione e di pace, ci sentiamo liberi da paure o da timidezze. Davvero l’universalità, la cattolicità della Chiesa si manifesta nel modo più chiaro. Ma vale la pena ricordare che ogni eucaristia è necessariamente cattolica, cioè universale. Fosse anche celebrata da poche persone in una parrocchia isolata di montagna, rimarrebbe pur sempre una esperienza di cattolicità, di universalità perché Cristo è di tutti e tutti sono chiamati a riconoscersi in lui. Un’eucaristia che chiudesse pregiudizialmente l’ingresso a un battezzato, chiunque egli sia, cesserebbe di essere eucaristia vera perché rinnegherebbe la cattolicità della Chiesa che è una sua nota essenziale. È bello allora che ci troviamo qui oggi. La Chiesa bresciana vuole dire in questo modo che vi riconosce come suoi figli dal momento che essa, la Chiesa bresciana, non è altra dalla chiesa romana, da quella brasiliana o congolese o filippina. Gesù è venuto per riunire quelli che sono vicini e quelli che sono lontani. E san Giovanni Cristostomo spiegava: “degli uni e degli altri Cristo fa un corpo solo. Così chi risiede a Roma considera gli Indiani come sue proprie membra. C’è un’unione che si possa paragonare a questa? Cristo è la testa di tutti.” A me sembrano espressioni bellissime, che possono darci speranza in un tempo come questo segnato da tensione e da aggressività. La Chiesa sta in mezzo al mondo come segno di quella comunione alla quale tutti gli uomini sono chiamati. Voi venite dal mondo intero; siete stati portati a Brescia dalle necessità concrete delle vostre famiglie. Bene, a Brescia siete a casa vostra, qui trovate la stessa chiesa che vi ha generato alla fede, trovate lo stesso Cristo che vi è stato annunciato, lo stesso Spirito che vi ha santificato.
Insieme siamo il corpo di Cristo e cioè la presenza di Cristo oggi, nel nostro mondo. Viene da tremare a pensare alla responsabilità che questo comporta. Col nostro modo di vivere, di parlare, dobbiamo manifestare la presenza di Cristo oggi, in questo luogo; il nostro cuore dovrebbe mostrare la tenerezza del cuore di Gesù; le nostre parole dovrebbero avere la grazia delle parole di Gesù. Quanto siamo distanti! Quanto abbiamo da crescere! Noi crediamo che la Chiesa è il corpo di Cristo; lo dice san Paolo con parole così chiare che non ci è lecito dubitare. Nello stesso tempo misuriamo con sofferenza la distanza tra la verità di Gesù e il nostro modo concreto di vivere e di pensare. Ma non ci perdiamo d’animo; quello che il Signore ci chiede, egli per primo ce lo dona con la sua grazia. Sappiamo perciò che la comunione è possibile anche tra culture diverse, anche parlando in lingue diverse. Perlomeno è possibile camminare e avvicinarci gli uni agli altri, attirati come siamo dalla medesima croce di Gesù. Quanto più ci avviciniamo a lui tanto più siamo prossimi gli uni agli altri e riusciamo a riconoscere il volto del nostro Signore nel volto diverso degli altri.
La tradizione del presepe mostra i re magi come segno dell’universalità dei credenti: vengono da lontano, mossi da una stella; di loro uno è bianco, uno nero, uno color cioccolata; uno porta oro, segno di regalità, uno incenso, segno di onore divino, uno mirra, segno di sofferenza e di passione. Ci sono proprio tutti ed è necessario che ci siano tutti; ne mancasse uno, mancherebbe qualcosa alla rivelazione del mistero di Gesù. Così, ammirando i magi, comprendiamo meglio il senso dell’epifania e benediciamo il Signore perché ci ha raccolti insieme: veniamo da un unico padre, Adamo; e cresciamo verso un unico corpo, Cristo. Dio vi benedica! Vi faccia sentire la tenerezza del suo amore; vi renda consapevoli della vostra dignità: siete figli di Dio! Vi aiuti a portare il peso non sempre leggero della vita; il tempo che viviamo, con la crisi economica e le paure che la crisi porta con sé è motivo di preoccupazioni. La Chiesa bresciana farà quello che le è possibile. Ma al di là di questo vorremmo che sentiste, qui a Brescia il calore della Chiesa in cui siete nati e dalla quale avete ricevuto il vangelo. Quando frequentate le parrocchie, non sentitevi come estranei accolti provvisoriamente ma come persone che vivono nel loro ambiente, in quello spazio che Dio ha creato per loro.


monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia