domenica 30 gennaio 2011

Famiglia, la Chiesa non abbandoni chi ha fallito

Salvo clamorosi dietrofront, come riportato su Libertà, don Giuseppe Illica sarà allora il nuovo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio. Per permettere ai lettori di conoscerlo di più inseriamo alcuni suoi scritti apparsi sul giornale dell'unità pastorale facente capo a Castelsangiovanni, Vita Nostra. In questo sotto parla della famiglia e dà un'interpretazione secondo noi allargata del concetto di famiglia che necessariamente deve fare i conti con i tempi che cambiano.

La massiccia partecipazione al “Family day” ha certamente detto qualcosa all’Italia pigra e assonnata, che corre il rischio di lasciarsi vivere e di farsi dettare le regole e i valori dalla consuetudine e dall’adeguamento alle voci che si pretendono maggioranza.
Ma sarebbe troppo facile cantare vittoria e pensare che la famiglia abbia “vinto”. Non possiamo negare il grande cambiamento culturale, che non solo è in atto ma che è soprattutto continuo, in relazione ai modelli di famiglia e ancor più su tutti i fronti del vivere umano. Quando parliamo di famiglia, non possiamo certamente più pensare a quella nella quale sono nato ancora io (che ho poco più di cinquant’anni e non sono quindi antidiluviano), che viveva in campagna, che andava al ritmo del sole e delle campane, che viveva sempre insieme e lavorava lo stesso campo e la stessa stalla di buoi tutto il santo anno, che recitava il rosario tutte le sere e non perdeva una messa la domenica. La civiltà industriale, gli appartamenti, le donne che lavorano fuori casa ed hanno un reddito autonomo, lo scarso numero di figli, internet, la scuola fino all’università (della mia classe di scuola, diciassette o diciotto, solo in due abbiamo fatto le scuole superiori), le separazioni e i divorzi, la facilità a viaggiare, le vacanze di massa…hanno provocato una vera rivoluzione culturale. Nessuno di noi vive più come cinquant’anni fa. Nessuna famiglia è più la stessa di allora: nemmeno quelle che si professano cristiane.
Se i cristiani amano e difendono la famiglia, non si riferiscono ad un modello del passato, non fanno un’operazione di retroguardia, non fanno i nostalgici. Il passato non torna e comunque potrà solo ispirare dei valori ma non servirà da modello sociale. I cristiani non hanno la soluzione del modello di famiglia per oggi. Hanno invece il vangelo, che dà loro il coraggio e la creatività di vivere il comandamento dell’amore dentro la famiglia cambiata e in continuo cambiamento. I giovani che si sposano in chiesa sanno molto bene che stanno scommettendo il loro futuro e che il
sacramento non è un’assicurazione contro i temporali.
Cosa vuol dire oggi pregare in famiglia, consapevoli che il rosario non è più certamente il modello praticabile? Cosa vuol dire amare i piccoli, gli anziani, i poveri, nell’epoca delle baby-sitter, delle badanti e dei ricoveri? Cosa vuol dire partecipare alla vita della comunità, per un famiglia dove ci si ritrova solo alle otto di sera? …Sono solo alcune domande possibili per una famiglia che vuol continuare ad essere cristiana. E sono alcune delle sfide che il vangelo ci dà il coraggio di affrontare con fiducia e con creatività. Lo Spirito non ha ancora smesso di soffiare.
Ma anche una domanda nuova, importante e intrigante, tanti cristiani si fanno e fanno alla Chiesa: “Come si fa a continuare ad essere cristiani quando si è fallito nella stabilità della vita di coppia?”…. Anche qui dovremo ascoltare molto la voce dello Spirito, che certamente non vuole che la Chiesa abbandoni chi ha fallito. All’inizio della sua storia la Chiesa ha scoperto, davanti alla crisi di coloro che avevano abbandonato la fede per paura delle persecuzioni, la genialità della riconciliazione che permetteva loro di rientrare a pieno titolo nella comunità. Quale genialità non saprà darci oggi lo stesso Spirito?…
Don Giuseppe

Vita Nostra, 22 giugno 2007

venerdì 28 gennaio 2011

Il libro di don Conte: aria pura in tempi pesanti

Pubblico l'omelia tenuta da monsignor Eliseo Segalini domenica 23 gennaio 2010 in San Giuseppe Operaio in occasione della presentazione del nuovo libro di don Giancarlo Conte: Piccoli santi della chiesa piacentina. E' un inedito non rivisto dall'autore. Mi piace evidenziare una frase, una sola. Don Eliseo definisce il libro "una boccata d'ossigeno in tempi pesanti".

Quando sente che Giovanni è stato arrestato, Gesù cambia casa e va Nazaret a Cafarnao, una città sul lago. Per stare vicino alla gente, non per stare nel deserto, non per stare tra i suoi. Cafarnao era una città come le nostre. Il Signore sceglie quel posto per fare il suo discorso di fondo: "Convertitevi perchè il regno dei cieli e vicino". Non "convertitevi, quindi potrete prendere il regno dei cieli". Lo porta lui il regno di Dio, la grazia del Signore che ci rende possibile la conversione. Non "convertitevi prima" ma "convertitevi siccome c’è un regno di Dio che io vi porto: il regno dei cieli - 33 volte volte Matteo parla del regno nel suo Vangelo, mica una -". Gesù non era venuto a portare solo la Parola ma era venuto a portare il regno di Dio, la possibilità di una vita nuova.
Queste qui sono cose molto belle, ma chi ci crede? Chi si fida?
Il Vangelo ci dice che c’era tanta gente che lavorava. Gesù, passando, ne vede due e dice loro “Venite con me, io vi farò pescatori di uomini”, poi altri due. Quelli subito lasciano tutto e se ne vanno con Gesù. Gli credono, si affidano a lui.
Eh, ma i tempi sono cambiati. Adesso ci sono tanti lavori, per la testa abbiamo tante cose, come facciamo a fidarci di Dio? Chi ci crede più?
Il Papa il prossimo primo maggio - festa della Madonna della Misericordia, festa del lavoro - beatificherà Giovanni Paolo II. Ma è un prete e voi preti per forza dovete crederci!
Vedete che ho in mano un libro. Se non ci credete, credete a questo libro. "Piccoli santi della chiesa piacentina", mica i grandi profeti. Questi sono proprio qui, sono gente che ci ha creduto, che si è fidata del Signore. La vita parla più dei libri e qui, in questo libro, c’è dentro la vita. Trentuno vite di persone che magari voi avete anche conosciuto. Piccoli santi, piccole miniature di santità grande, persone moderne (il più vecchio è Giuseppino Scotti, di Podenzano, clase 1925). Tutta gente che ha vissuto nei nostri paesi e di cui abbiamo veramente la possibilità di ricordare i loro volti. Sono santi che non sapevano di esserlo, che hanno vissuto la nostra vita, che ci dicono che è possibile viverla, è un cristianesimo bello - dice don Giancarlo Conte - qualche volta un po’ eroico, però di gente che ha speso bene la propria vita. E’ bello perchè noi siamo in Missione e le parole valgono fino ad un certo punto, è la vita delle persone che parla. Un cristianesimo bello, sano, sereno. Qui ci sono dentro non solo vescovi e sacerdoti, ma anche dei bambini.
Il regno di Dio è in mezzo a noi e non dobbiamo aver paura. Oggi sembra che si debba vivere come se Dio non ci fosse. Noi poveri diavoli che siamo a messa abbiamo una forza che forse altri non hanno. Io da questo libro ho respirato. Viviamo in tempi pesanti, non fatemi parlare... ma tutti lo sapete, tanta furbizia c’è in giro, tanto attaccamento al denaro, alla carriera. Queste persone diverse ci danno una boccata di ossigeno. Con Dio o senza Dio tutto cambia. Sarà difficile credere oggi, ma è una fortuna non un obbligo, come diceva don Milani. "La Madonna mi ha detto di dirvelo, non di convincervi" diceva Bernardette. Noi diciamo le cose come stanno, noi stiamo vivendo al di sopra del rigo, si potrebbe dire. Questo libro è la continuazione del Vangelo di oggi: ci sono delle persone che si fidano di seguire Gesù, noi siamo quei beoti che si fidano e che affidiamo la nostra esistenza all’osservanza della legge del Signore. Diceva San Francesco d’Assisi: se tu riesci a convincerti che Dio ti vuol bene, questo ti cambia la vita. Abbiamo bisogno nelle nostre famiglie di far entrare questi modelli di vita che ci aiutano ad andare avanti e fidarci ancora del Signore Gesù. Si pensa che ci siano solo delle miserie a questo mondo, invece ci sono delle cose stupende. Delle persone che stanno vivendo sopra il rigo perchè hanno incontrato il regno di Dio. Qui ci sono 31 modelli.

giovedì 27 gennaio 2011

Vicario generale, don Illica sempre più vicino

I condizionali e le formule dubitative sono d'obbligo visto che non ci sono ancora atti scritti. Tuttavia, salvo clamorosi dietrofront, il prossimo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio sarà don Giuseppe Illica, parroco di Castelsangiovanni. L'annuncio dovrebbe essere dato la prossima settimana. Ne parlo nell'articolo uscito su Libertà che riporto qui sotto.

Monsignor Giuseppe Illica, parroco di Castelsangiovanni, si appresterebbe a diventare il nuovo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio. Ogni formula dubitativa e condizionale sono d'obbligo in quanto dai vertici della diocesi ancora non arrivano conferme. Il vescovo Gianni Ambrosio è fuori sede e nessuna decisione è stata ufficialmente presa.
Monsignor Ambrosio è in effetti fuori diocesi, essendo impegnato ad Ancona nei lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Il prossimo fine settimana sarà poi in Terrasanta in un pellegrinaggio-lampo con i vescovi europei. Monsignor Ambrosio, com'è noto, rappresenta la Cei al parlamentino dei presuli dei paesi membri dell'Unione Europea (Comece). Tuttavia, che l'iter di nomina sia ormai concluso, è nell'aria già da qualche giorno. Nel clero e fra i laici impegnati nella Chiesa si respira una forte attesa per un evento che sarebbe imminente. Tanto che l'annuncio, a rigor di logica, potrebbe essere dato proprio il prossimo 3 febbraio in apertura dei lavori del Consiglio presbiterale. Un'occasione solenne che vede riunito il "senato del vescovo". Il successivo momento comunitario, la messa crismale della Settimana Santa, sarebbe infatti troppo in là nel tempo.
La nomina di don Illica a vicario generale sarebbe stata voluta direttamente dal vescovo Ambrosio e si sarebbe concretizzata in un questi ultimi giorni dopo un cammino di contatti e sondaggi iniziato appena prima dello scorso Natale. Il nome del parroco di Castelsangiovanni avrebbe prevalso sulle candidature di monsignor Luigi Chiesa, parroco di Santa Teresa e vicario episcopale per la città, e di monsignor Gianni Vincini, parroco di Fiorenzuola e vicario per la Valdarda. Nato a Besenzone 57 anni fa, don Illica (guai a chiamarlo monsignore!), sarebbe stato indicato al vescovo dal clero più giovane. Pare poi che lo stesso Ambrosio sia rimasto favorevolmente impressionato dalla celebrazione della veglia diocesana dei giovani, tenutasi proprio a Castelsangiovanni nell'Avvento del 2008. In occasione dell'annuncio ufficiale verrà ringraziato il vicario uscente, monsignor Lino Ferrari, che dovrebbe tornare a fare il parroco. Dove, non si sa. Di certo con l'arrivo in curia di don Giuseppe Illica si libera il posto di Castelsangiovanni e monsignor Ferrari sarebbe il candidato ideale per guidare la prestigiosa parrocchia che diede i natali al cardinale Agostino Casaroli. L'ipotesi di uno scambio è al momento la più accreditata. Diversamente si renderebbe necessaria una complessa serie di spostamenti nel clero.
Federico Frighi


26/01/2011 Libertà

mercoledì 26 gennaio 2011

I santi senza aureola

Chi sono i santi? Eroi, matti, persone speciali di un tempo che fu? Per comprendere quelli con l'aureola don Giancarlo Conte ne ha indicati 31 senza. Persone normalissime che hanno raggiunto la santità senza saperlo, senza martirio nè miracoli. Li descrive bene nel suo ultimo libro: I piccoli santi della chiesa piacentina. Di seguito l'articolo della presentazione scritto per Libertà.


«Abbiamo bisogno, nelle nostre famiglie, di far entrare questi modelli di vita che ci aiutano ad andare avanti e fidarci ancora del Signore Gesù. Si pensa che ci siano solo delle miserie a questo mondo, invece ci sono delle cose stupende. Delle persone che stanno vivendo sopra il rigo perchè hanno incontrato il regno di Dio. Qui, in questo libro, ci sono 31 modelli». Conclude così, monsignor Eliseo Segalini, l'appassionata omelia con cui commenta il Vangelo dei "pescatori di uomini" e, sua naturale prosecuzione, le 290 pagine del volume di don Giancarlo Conte dedicato ai "Piccoli santi della Chiesa Piacentina" (con la parola "piccoli" tra virgolette). La chiesa di San Giuseppe Operaio è abbastanza piena, alla messa delle 11 e 30. Don Conte ha scelto di non unirla con quella delle 10 dove i protagonisti sono i bambini. Dunque due messe, ieri mattina, due presentazioni del libro del parroco. Entrambe affidate al vicario episcopale monsignor Segalini, sempre presente nei momenti clou del ministero sacerdotale di don Conte.
Gesù cambia casa e da Nazaret a Cafarnao, una città sul lago, come Piacenza sul Po. «Per stare vicino alla gente, non per stare nel deserto, non per stare tra i suoi - osserva don Eliseo -. Cafarnao era una città come le nostre. Il Signore sceglie quel posto per fare il suo discorso di fondo: convertitevi perchè il regno dei cieli e vicino. Non convertitevi, quindi potrete prendere il regno dei cieli. Lo porta lui il regno di Dio, la grazia del Signore che ci rende possibile la conversione». «Cose molto belle, ma chi ci crede? Chi si fida? » si domanda. Poi prosegue: «Il Vangelo ci dice che c'era tanta gente che lavorava; Gesù, passando, ne vede due e dice loro "Venite con me, io vi farò pescatori di uomini", poi altri due. Quelli subito lasciano tutto e se ne vanno con Gesù. Gli credono, si affidano a lui». «Ma i tempi sono cambiati. Come facciamo a fidarci di Dio? Chi ci crede più? » si chiede di nuovo. Ancora: «Il Papa il prossimo primo maggio - festa della Madonna della Misericordia, festa del lavoro - beatificherà Giovanni Paolo II». «Ma è un prete e voi preti per forza dovete crederci. No? » obietta per la terza volta.
Poi prende in mano il libro giallo di don Conte: «Se non ci credete, credete a questo libro - invita monsignor Segalini -: piccoli santi della chiesa piacentina, mica i grandi profeti. Questi sono proprio qui, sono gente che ci ha creduto, che si è fidata del Signore. Trentuno vite di persone che magari voi avete anche conosciuto. Sono santi che non sapevano di esserlo, che hanno vissuto la nostra vita, che ci dicono che è possibile viverla».
«Oggi sembra che si debba vivere come se Dio non ci fosse - prosegue -. Viviamo in tempi pesanti, non fatemi parlare... ma tutti sapete. Tanta furbizia c'è in giro, attaccamento al denaro, alla carriera. Queste persone diverse ci danno una boccata di ossigeno. Sarà difficile credere oggi, ma è una fortuna non un obbligo, come diceva don Milani. "La Madonna mi ha detto di dirvelo, non di convincervi" diceva la stessa Bernardette. Ci sono delle persone che si fidano di seguire Gesù, noi siamo quei beoti che affidiamo la nostra esistenza all'osservanza della legge del Signore. Diceva San Francesco d'Assisi: se tu riesci a convincerti che Dio ti vuol bene, questo ti cambia la vita».
Federico Frighi


24/01/2011 Libertà

lunedì 24 gennaio 2011

The winner is ... Camminiamo Insieme

Una bella iniziativa quella di premiare i bollettini parrocchiali della diocesi di Piacenza-Bobbio! The winner is ... Camminiamo Insieme, storica voce di San Giuseppe Operaio.

(fri) Il vincitore dell'Oscar 2011 dei bollettini parrocchiali è... Camminiamo Insieme della parrocchia di San Giuseppe Operaio. Questa la motivazione della giuria composta dal vicario generale, monsignor Lino Ferrari, da don Davide Maloberti, da Fausto Fiorentini e due lettori: «Con puntualità, numero dopo numero, Camminiamo Insieme ha seguito il cammino della Missione Popolare in tutti i suoi aspetti, spaziando dagli avvenimenti diocesani a quelli di unità pastorale rivolti alle diverse età, senza trascurare riflessioni e contributi di approfondimento sul tema al centro dell'anno pastorale». A ritirare il premio ieri mattina durante la festa di San Francesco di Sales il parroco, don Giancarlo Conte che ha anche annunciato un prossimo prestigioso traguardo per il bollettino di San Giuseppe Operaio: «Quello del prossimo mese sarà il numero 400. E' frutto di sacrifici, fatica, ma noi siamo convinti che sia importante entrare in tutte le case dei parrocchiani e continueremo ad andare avanti».
Nella categoria bollettini ha avuto una menzione speciale Montagna Nostra, notiziario delle valli dell'Aveto e del Nure. La motivazione: «In una fase in cui, anche grazie alla Missione Popolare diocesana, si evidenzia sempre più il tema della collaborazione e comunione tra unità pastorali, Montagna Nostra rappresenta un prezioso strumento di collegamento tra le realtà del territorio. Attraverso il suo servizio di informazione-formazione su eventi diocesani come parrocchiali, contribuisce a tener vivi i legami con la comunità anche in coloro che risiedono nelle zone montane solo nei mesi estivi». Al primo posto della categoria autori Maria Luisa Rapaccioli con l'articolo "Il nostro sì alla chiamata di Gesù" pubblicato proprio su Camminiamo Insieme. La motivazione: «L'articolo sviluppa il tema oggetto del concorso con uno stile scorrevole e familiare. L'evento della Missione Ragazzi è raccontato attraverso una lettura partecipata, esperienzale, che mette in luce la capacità dei bambini e dei ragazzi di coinvolgere nell'avventura della Missione anche il mondo adulto, vincendone i dubbi e le resistenze».
Seconda classificata categoria autori Annalisa Puppo con l'articolo "Oremus; ritiro spirituale al santuario di Caravaggio" pubblicato su La Collegiata, giornalino della parrocchia Santa Maria Assunta a Borgonovo. La motivazione: «L'articolo sa rendere uno spaccato di vita interparrocchiale maturato nel cammino della Missione Popolare, soffermandosi tanto sui contenuti spirituali della giornata quanto su quelle "note di colore" utili ad illustrare i legami che un ritiro può contribuire a creare tra le persone, di età e realtà differenti».


23/01/2011 Libertà

La stampa dia voce a chi non ce l'ha

(fri) L'Ordine dei giornalisti stringe le maglie e blocca le porte, ad esempio, a coloro che scrivono redazionali pubblicitari, ma dà anche una stretta sulla legge 150 del 2000, sui responsabili degli uffici stampa degli enti pubblici che devono essere iscritti all'Ordine, cosa che spesso oggi non accade. Sono alcune delle linee programmatiche per il 2011 che si è dato l'Ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna e che vengono spiegate dalla vice presidente, la piacentina Carla Chiappini. Un'intervento appassionato, il suo, che ha aperto la festa di San Francesco di Sales, nella curia di Piacenza. Un intervento che, dopo aver posto l'attenzione, tra l'altro, sulla necessità di una maggior tutela dei minori - «la gente oggi è molto sensibile a tale argomento» -, ha messo in evidenza il ruolo di educatore del giornalista. «Penso che il giornalista possa essere definito come un operatore culturale - afferma Carla Chiappini -. Dunque dobbiamo pensare ad una una formazione permanente, come gli avvocati, e restituire dignità ad una professione che se la merita». A questo proposito sono stati annunciati momenti formativi per la stampa e per i lettori in collaborazione con Ordine, Associazione stampa Emilia Romagna e il settimanale diocesano Il Nuovo Giornale.
"Dare voce a chi non ha voce" l'interessante documento di Fausto Fiorentini donato quest'anno ai giornalisti assieme al libretto sulla vita di Giuseppe Berti. Nel suo intervento il direttore dell'Ufficio stampa della diocesi di Piacenza-Bobbio si sofferma sulla necessità, per il mondo dei media, di dare voce agli ultimi: i malati, gli anziani, i bambini. Una riflessione corredata da precisi riferimenti alla deontologia professionale ma anche ad una deontologia che non proviene da carte di settore bensì dalla legislazione più alta che ha regolato in questi ultimi 150 anni l'Italia e gli italiani: dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica. Una riflessione che si inserisce perfettamente nel cammino della Missione Popolare diocesana che quest'anno, nella sua seconda fase, ha come oggetto, tra l'altro, l'ambito sociale della fragilità umana. «Il giornalista - si augura Fiorentini - dovrebbe tornare a guardare questi casi quotidiani con rinnovata voglia di capirli. Forse scoprirebbe che spesso vi sono gli estremi per raccontarli. Ovviamente qui sono in gioco la sensibilità, la creatività e la disponibilità dell'operatore della comunicazione, ognuno con gli strumenti specifici del suo settore».


23/01/2011 Libertà

Ambrosio alla stampa: abbiate cura delle persone

«Comunicare è sempre educare». Lo ricorda il vescovo Gianni Ambrosio nella sala degli affreschi della Curia dove ieri mattina (sabato 22 gennaio) ha ricevuto i giornalisti piacentini in occasione di San Francesco di Sales, patrono della stampa. Un'occasione per ringraziare i media locali «per l'importante lavoro che svolgono» dice Ambrosio, ma anche e soprattutto per ricordare che alla Chiesa sta a cuore il mondo della comunicazione «per la rilevanza imponente nell'educazione», come recita il numero 51 degli Orientamenti pastorali della Cei fino al 2020. In sala, oltre a numerosi giornalisti e collaboratori dei vari media piacentini, anche il direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto, il presidente dell'Associazione stampa Emilia Romagna (Aser), Camillo Galba, la vice presidente dell'Ordine regionale dei Giornalisti, Carla Chiappini, il direttore dell'Ufficio stampa della diocesi, Fausto Fiorentini, sacerdoti giornalisti come il direttore de il Nuovo Giornale, don Davide Maloberti, il parroco di San Giuseppe Operaio, don Giancarlo Conte, il responsabile del Servizio diocesano multimedia per la pastorale, don Riccardo Lisoni.
Il vescovo Ambrosio inizia con una sorta di premessa che coinvolge personalmente i giornalisti. «Si comunicano le notizie, le informazioni, le nozioni, i fatti della vita - osserva - ma alla fin fine la comunicazione è sempre da una persona ad un'altra persona o a molte persone. In qualche modo, pur attraverso molte mediazioni e mezzi assai diversi, si comunica sempre qualcosa di sé a un'altra persona, si racconta sempre qualcosa di sé, e si coinvolge l'altro nel proprio racconto. E l'altro accoglie sempre qualcosa che proviene da un'altra persona». «Se si riconosce che la comunicazione avviene tra persone - continua - allora la comunicazione dovrebbe sempre ‘educare', nel senso di aiutarci a crescere come persone, altrimenti non vi è comunicazione».
Un atteggiamento per vari motivi distante dalla realtà odierna. Il vescovo lo sa e chiama in campo gli orientamenti pastorali della Cei per il decennio 2010-2020 dove «si prende atto della enorme possibilità di contatti: "La tecnologia digitale, superando la distanza spaziale, moltiplica a dismisura la rete dei contatti e la possibilità di informarsi, di partecipare e di condividere"». «Subito però - prosegue Ambrosio - si aggiunge: "anche se rischia di far perdere il senso di prossimità e di rendere più superficiali i rapporti". Per cui le possibilità sono grandi, ma incombe il rischio di superficialità dei rapporti e del venir meno della prossimità». «Si evidenzia poi - sottolinea - ciò che i processi mediatici compiono, e cioè danno forma alla realtà, la presentano secondo il loro punto di vista e secondo le possibilità del loro strumento, e poi arrivano all'esperienza delle persone, fino a influire sulla loro esperienza».
Poi il documento Cei offre tre consigli: «Il primo è quello di educare alla conoscenza e all'uso dei media... Ma questo non basta: occorre anche tutelare i soggetti più deboli: l'infanzia, ma non solo».
«Infine anche in questo campo, l'impresa educativa richiede un'alleanza fra i diversi soggetti. Perciò sarà importante aiutare le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, e mostrare alle giovani generazioni la bellezza di relazioni umane dirette». Come esempio di questa alleanza il vescovo cita l'ambito dell'università: «La questione dell'educazione e della comunicazione convergono ormai da tempo come discipline - scienze della educazione e scienze della comunicazione - che vogliono porsi al servizio dell'educare e del comunicare. Così è nata, come movimento che viene dalla base, prima nei paesi anglofoni e poi anche in Italia, la Media Education, un movimento pedagogico e comunicativo che si è fatto carico della integrazione curricolare dei media nella scuola, come risposta alle esigenze della cultura massmediale, della vita individuale e sociale». Per Il vescovo si può agire su due versanti: «Il primo è un intervento educativo da parte dei genitori e della scuola. Non solo. Tutti devono avere una certa "cura educativa". Anche chi comunica, chi è nel mondo della comunicazione e anche della pubblicità. La cura della relazione in cui si manifesta la preoccupazione per l'altro non può essere assente nel momento in cui si entra nel mondo dei media. L'attenzione verso l'altro nell'esercizio del comunicare è basata sul fatto di riconoscere l'altro come soggetto: ma se non lo riconosco come soggetto, non riconosco me stesso come soggetto. Se l'altro è una cosa, anch'io sono una cosa. E non è bello né per me né per l'altro».
Federico Frighi


23/01/2011 Libertà

domenica 23 gennaio 2011

Ambrosio ai giornalisti: davanti a voi avete delle persone

Vi ringrazio per la vostra presenza e vi ringrazio per l’importante lavoro che svolgete. Un lavoro che il titolo del mio intervento – il titolo mi è stato assegnato – presenta come facente parte di quella missione grande e bella che è l’educare. Comunicare è sempre educare, recita il titolo. Troppo generoso?
Può darsi, ma nella sua generosità, il titolo coglie un aspetto significativo della comunicazione.
Si comunicano le notizie, le informazioni, le nozioni, i fatti della vita, ma alla fin fine la comunicazione è sempre da una persona ad un’altra persona o a molte persone. In qualche modo, pur attraverso molte mediazioni e mezzi assai diversi, si comunica sempre qualcosa di sé a un’altra persona, si racconta sempre qualcosa di sé, e si coinvolge l’altro nel proprio racconto. E l’altro accoglie sempre qualcosa che proviene da un’altra persona.
Se si riconosce che la comunicazione avviene tra persone, allora la comunicazione dovrebbe sempre ‘educare’, nel senso di aiutarci a crescere come persone, altrimenti non vi è comunicazione. Nel senso ancora di aiutarci a creare un contesto in cui si apprezzano le persone, in cui si ha il gusto della vita, in cui si insegna a ‘vedere’ e dunque ad aprire gli occhi, in cui si stimola la fame di ‘conoscere’, perché il dinamismo dell’intelligenza si liberi dal torpore che deriva dalla superficialità e dalla noia. Potremmo continuare, e la conclusione sarebbe sempre la stessa: altrimenti non si ha una comunicazione tra persone.
Questo può apparire molto distante dalla comunicazione odierna: è vero, lo sapete voi, lo so anch’io, lo sappiamo tutti. Ma sappiamo anche che in questo modo il nostro contesto non è molto bello e le nostre relazioni non sono molto felici. Ma non mi soffermo sull’analisi della nostra realtà. Vorrei invece suggerire qualche spunto di riflessione per ricuperare l’impegno educativo nel mondo della comunicazione. Lo faccio in riferimento al documento della Chiesa italiana Educare alla vita buona del Vangelo e in riferimento a una alleanza educativa tra le scienze dell’educazione e le scienze della comunicazione.

2) Parto dal documento Educare alla vita buona del Vangelo: è il documento in cui sono indicati gli orientamenti pastorale della Chiesa italiana. Mi soffermo sul n. 51, dedicato alla comunicazione della cultura digitale. Prima però vi è un cenno alla società che merita di essere ripreso, perché ci ricorda che siamo sempre persone in relazione che vivono nella stessa ‘casa’, anche se questa casa è grande, come la nostra città o come la società italiana o la società globale.
Ascoltiamo il testo: “La società nella sua globalità, infatti, costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo; essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla mentalità e sulle scelte di ciascuno. Inoltre, i vari ambienti di vita e di relazione – non ultimi quelli del divertimento, del tempo libero e del turismo – esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei luoghi tradizionali, come la famiglia e la scuola. Essi offrono perciò preziose opportunità perché non manchi, in tutti gli spazi sociali, una proposta educativa integrale” (n. 50). Non mi soffermo a commentare questo passo del documento, ma – ripeto – è buona cosa tenerlo presente, perché è al suo interno che si colloca il rapporto fra comunicare e educare.

Il n. 51 del documento è intitolato: La comunicazione nella cultura digitale. Sottolineo alcuni aspetti di questo numero. Innanzi tutto è indicata l’attenzione della Chiesa per il mondo della comunicazione: “La comunità cristiana guarda con particolare attenzione al mondo della comunicazione come a una dimensione dotata di una rilevanza imponente per l’educazione”.
Poi il testo esplicita il senso di questa rilevanza imponente per l’educazione. Innanzi tutto si prende atto della enorme possibilità di contatti: “La tecnologia digitale, superando la distanza spaziale, moltiplica a dismisura la rete dei contatti e la possibilità di informarsi, di partecipare e di condividere”. Subito però si aggiunge: “anche se rischia di far perdere il senso di prossimità e di rendere più superficiali i rapporti”. Per cui le possibilità sono grandi, ma incombe il rischio di superficialità dei rapporti e del venir meno della prossimità.
Vi sono parecchie implicazioni sociali, etiche e culturali che accompagnano il diffondersi di questo nuovo contesto esistenziale dovuto alla cultura digitale. Insisterei in particolare su questa implicazione: “Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arrivano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone”. In poche parole si evidenzia ciò che i processi mediatici compiono, e cioè danno forma alla realtà, la presentano secondo il loro punto di vista e secondo le possibilità del loro strumento, e poi arrivano all’esperienza delle persone, fino a influire sulla loro esperienza. Quindi configurano il contesto in cui in viviamo e arrivano al cuore delle persone.

Poi il documento offre tre consigli.

Il primo è quello di educare alla conoscenza e all’uso dei media. Questi processi mediatici “vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile. Il loro ruolo nei processi educativi è sempre più rilevante: le tradizionali agenzie educative sono state in gran parte soppiantate dal flusso mediatico. Un obiettivo da raggiungere, dunque, sarà anzitutto quello di educare alla conoscenza di questi mezzi e dei loro linguaggi e a una più diffusa competenza quanto al loro uso”.
È importante il modo di usare i mezzi di comunicazione: “Il modo di usarli è il fattore che decide quale valenza morale possano avere. Su questo punto, pertanto, deve concentrarsi l’attenzione educativa, al fine di sviluppare la capacità di valutarne il messaggio e gli influssi, nella consapevolezza della considerevole forza di attrazione e di coinvolgimento di cui essi dispongono”.

Ma questo non basta: occorre anche tutelare i soggetti più deboli: “Un particolare impegno deve essere posto nel tutelare l’infanzia, anche con concreti ed efficaci interventi legislativi”. Questo consiglio è anch’esso importante: è riferito all’infanzia, con i soggetti più a rischio, ma credo che non si debba limitare questo impegno alla sola infanzia.

Infine un terzo consiglio, molto importante: “Pure in questo campo, l’impresa educativa richiede un’alleanza fra i diversi soggetti. Perciò sarà importante aiutare le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, e mostrare alle giovani generazioni la bellezza di relazioni umane dirette”.
Credo che valga davvero la pena di attuare questa alleanza educativa, alleanza tra i diversi soggetti, tra la famiglia, la scuola, le agenzie educative e il mondo della comunicazione.

3) Come esempio di questa alleanza permettetemi di citare l’ambito dell’università.
Alcuni anni fa mi capitò tra le mani un libro che mi incuriosì per il suo titolo: Teleduchiamo. Poi il sottotitolo precisava l’argomento: Linee per un uso didattico della televisione (a cura di R. Giannatelli e P.C. Rivoltella, Elledici, Torino, 1994) Poiché conoscevo gli autori di questo libro, mi sono lasciato incuriosire anche dal contenuto del libro. Gli autori di questo libro – anzi i curatori – sono Roberto Giannatelli e Pier Cesare Rivoltella Il primo è un professore salesiano che insegna all’università salesiana di Roma ed è anche il presidente del Med, Media education, l’altro, Rivoltella è docente all’Università Cattolica di Milano.
Non entro nel merito del libro. Prendo solo lo spunto per dire che la questione dell’educazione e della comunicazione convergono ormai da tempo come discipline – scienze della educazione e scienze della comunicazione – che vogliono porsi al servizio dell’educare e del comunicare. Così è nata, come movimento che viene dalla base, prima nei paesi anglofoni e poi anche in Italia, la Media Education, un movimento pedagogico e comunicativo che si è fatto carico della integrazione curricolare dei media nella scuola, come risposta alle esigenze della cultura massmediale, della vita individuale e sociale.

Cosa vuol dire questo?
L’educazione tende a promuovere le potenzialità umane dell’individuo, ad insegnargli il significato delle cose, aiutandolo a capire, a giudicare, a scegliere, ad acquistare autonomia di fronte alle cose e ai fatti.
Ma la comunicazione nelle sue varie forme va in questa direzione?
Prendiamo ad esempio una particolare forma di comunicazione, la pubblicità, che, come ben sappiamo, è una forma diffusa e pervasiva di comunicazione. La pubblicità assolutizza un qualche aspetto positivo di un prodotto, esalta le conseguenze derivanti dal possesso di quel prodotto. Il rischio di comunicare valori fittizi è incombente. Non solo per l’esaltazione degli aspetti positivi di un bene, ma anche per il fatto che quelle forma di comunicazione tende a non richiamare, anzi ad escludere, la riflessione che tiene presente anche altri aspetti, magari non così positivi o anche negativi. In questo modo la pubblicità, con la sua diffusione massiccia, con il suo ritmo martellante, tende ad inculcare un sistema valoriale ampiamente distorto, ma tende anche a non aiutare – forse a impedire – la stessa riflessione.

Si può agire su due versanti.
Il primo è un intervento educativo da parte dei genitori e della scuola in grado di situare la pubblicità nei suoi limiti, fornendo soprattutto agli studenti – dal bambino al ragazzo e al giovane - gli opportuni strumenti critici di difesa. Ma questo non vale solo per la pubblicità, ma per ogni forma di comunicazione.
Il compito educativo consiste nell’adottare una strategia educativa in grado di aiutare gli studenti ad orientarsi, a conoscere le funzioni positive e le tecniche della comunicazione, a comprenderne il linguaggio, ma anche a difendersi dai suoi eccessi aggressivi, a smascherare i suoi inganni, a sottrarsi al condizionamento ideologico che essa esercita con l’insieme dei suoi messaggi.
Si tratta dunque di un compito difficile, che ha come obiettivo ideale l’autonomia intellettuale – di pensiero, di riflessione, di capacità critica - degli studenti. Si tratta di educare all’uso dei media, sapendo che i media informano, ma possono imporre precisi messaggi valoriali, possono rispondere solo al business commerciale.
La Media Education è una proposta educativa-comunicativa, cioè un intervento didattico che aiuta a riflettere sui media, individua obiettivi, elabora metodologie, mette a punto strategie opportune.

Ma questo non basta. Allora vorrei suggerire questo: se tutti devono avere una passione per l’uomo, per la sua vita, per la sua dignità, per la polis, per la vita sociale, allora tutti devono avere una certa “cura educativa”. Anche chi comunica, chi è nel mondo della comunicazione e anche della pubblicità.
La cura della relazione in cui si manifesta la preoccupazione per l’altro non può essere assente nel momento in cui si entra nel mondo dei media. L’attenzione verso l’altro nell’esercizio del comunicare è basata sul fatto di riconoscere l’altro come soggetto: ma se non lo riconosco come soggetto, non riconosco me stesso come soggetto. Se l’altro è una cosa, anch’io sono una cosa. E non è bello né per me né per l’altro.

Concludo. Siamo tutti invitati a considerarci e a stimarci come soggetti e a riconoscere che vi è un legame sociale in cui tutti siamo coinvolti. Se con responsabilità diamo il nostro contributo per questo considerazione reciproca – siamo soggetti – e per questo riconoscimento – siamo dentro a vincoli di solidarietà che sono il nostro legame sociale – , allora comunicare è sempre educare.

+Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

sabato 22 gennaio 2011

Don Conte come Veronica: per Berlusconi ci vorrebbe un amico

Il 19 gennaio 2011 sul quotidiano Libertà è apparso uno scritto di monsignor Giancarlo Conte, parroco di San Giuseppe Operaio, sulle vicende che in questi giorni stanno interessando il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Nell'edizione del 21 gennaio ben tre lettere al direttore accusavano don Conte di aver preso le difese di Berlusconi e si scandalizzavano. Bene. A parte che prendere le difese del Presidente del Consiglio ci sono altri che lo fanno - poco più di mezza Italia, fino a qualche settimana fa -, neppure leggendo e rileggendo lo scritto di don Conte si può pensare che il sacerdote abbia voluto in qualche modo difendere il capo del Governo da comportamenti che, se venissero confermati, sono lontani mille miglia da quanto don Conte predica dal pulpito e testimonia nella vita di ogni giorno da 80 anni a questa parte. Nello scritto di don Conte, piuttosto, si rivede, in una versione imbevuta di carità cristiana, la famosa lettera di Veronica Lario nella quale l'ex moglie del Presidente chiedeva agli amici veri di aiutarlo. Dunque nessuna difesa, piuttosto il contrario.


Ieri un giovane mi chiede: "Don, cosa sta succedendo? ". Più tardi alcuni anziani mi domandano: "Dove andiamo a finire"?. Non ne possiamo più! ". In effetti il panorama italiano di questi giorni non è certo esaltante: TV e giornali non parlano d'altro, non possiamo proprio far finta di niente né come cittadini, né come cristiani.
Al disagio - per alcuni imbarazzo, per altri disgusto - vorrei proporre una modesta riflessione, con la premessa di non voler giudicare, né tanto meno condannare.
Da tutta la vicenda ne ricavo anzitutto quanto stia soffrendo tremendamente un uomo e con lui la famiglia. E quando un uomo soffre, il cristiano prega con l'antico canto: "…Se un uomo soffre, là ci sei Tu... Se un uomo cade, là ci sei Tu... Se un uomo piange, là ci sei Tu... "
Confermo quanto espresso nel titolo di questa nota. Al nostro Presidente del Consiglio - da tutto l'insieme delle vicende della sua vita politica e privata - mi sembra sia mancato l'essenziale. Un amico vero, di forte personalità e di profonda onestà - una specie di angelo custode - che con coraggio, dignità e amicizia gli dicesse: "bravo! " quando la situazione lo richiedeva. Ma che con forza in altre occasioni gli dicesse: "amico, attento che sbagli".
La sorte con Berlusconi è stata generosissima e tutti ce ne siamo accorti. Con la grande capacità sul piano imprenditoriale ed economico, con la forza di volontà di raggiungere grandi scopi, con l'immenso potere politico esercitato per oltre 15 anni, con la capacità di relazionarsi con le persone e di diventare per milioni di italiani un mito.
Quando uno arriva ad essere Presidente del Consiglio, la legge gli pone accanto i cosiddetti consiglieri d'ufficio: consigliere diplomatico, consigliere economico, consigliere militare e così via. Tutte persone che a lui non sono certamente mancate, ma gli è mancato - e insisto su questo - il vero amico forte e autorevole alla pari (più di quanto lo sia il mite e saggio Letta) che gli dicesse: "Stai attento, forse stai sbagliando".
Purtroppo accanto ai potenti di ogni tempo e di ogni tipo ci sono e ci saranno estimatori ciechi che idolatrano il capo e in lui vedono solo la luce della gloria oltre che il proprio interesse e avvenire personale.
Le massime altitudini possono dare le…vertigini. La storia ne propone molti esempi. Cito quelli a noi meno lontani: Napoleone, Mussolini, Craxi. Qualcuno potrebbe dirmi: "Eppure mi pare ne abbia avuti di amici e consiglieri Berlusconi, persino tra gli ecclesiastici: don Baget Bozzo, don Gelmini, don Verzè (il fondatore del famoso "San Raffaele" di Milano) e qualche vescovo: come mai sono stati possibili al Presidente del Consiglio errori anche grandi quando, persone di valore potrebbero avergli dato qualche buon parere? ". Mistero.
Comunque non è mai troppo tardi. Nelle difficoltà di questi giorni chi è credente chieda a Dio di dare al Presidente del Consiglio un coraggio gigantesco. Chi gli è ostile non aggiunga benzina sul fuoco. Chi gli vuol bene non pianga l'idolo infranto ma conforti e sostenga l'amico ferito.

Don Giancarlo Conte



venerdì 21 gennaio 2011

Il pozzo di Arianna

E' una piccola santa del nostro tempo. Una bambina scomparsa nel 1995 a 7 anni di età per una incurabile malattia. Da lassù guida oggi i suoi genitori impegnati in opere di bene nel suo nome e in quello del Signore. L'ultima è il pozzo per l'acqua di cui scrivo sotto per Libertà.

Grazie ad Arianna ogni giorno duecento bambini africani possono vivere bevendo l'acqua del suo pozzo. Ma non solo i soli. Ci sono i genitori, gli amici, i compaesani, i volontari di Africa Mission, i perforatori. A tutti la piccola Arianna ha donato un piccolo frammento della sua breve vita. Arianna Fogliazza, nata a Piacenza il 18 agosto del 1987, è venuta a mancare il 14 marzo del 1995, a neppure 8 anni di età. Una malattia incurabile non le ha lasciato scampo. Dalla tragedia di quella morte, in questi 15 anni sono fiorite tante iniziative di vita, in gran parte opera dei genitori, Tiziana Gaeta e Ferdinando Fogliazza. L'ultima è stata presentata ieri nella sede di Africa Mission. Papà e mamma di Arianna hanno donato al movimento fondato da don Vittorione e dal vescovo Enrico Manfredini un pozzo per l'acqua. Pozzo che è stato realizzato nei mesi scorsi nel villaggio di Rimenze, regione del Western Equatorian, Sud Sudan, a 40 chilometri dalle foreste del Congo. «Arianna ha fatto scoprire a noi tutti il senso della vita» dice mamma Tiziana. Non solo: «Anche l'esigenza della condivisione che abbiamo imparato nei giorni passati all'ospedale con i genitori degli altri bambini malati. Abbiamo capito che il nostro rapporto con il Signore non doveva essere il mercanteggiamento della salute di nostra figlia con opere di bene. Bensì l'esigenza di fare qualche cosa per gli altri, per coloro che non sono aiutati da nessuno e che non hanno nulla». Così è nata l'idea del pozzo per l'acqua e il contatto con il direttore di Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo, Carlo Ruspantini, che ieri ha presentato l'iniziativa. «La morte di vostra figlia - ha voluto evidenziare il presidente di Africa Mission, don Maurizio Noberini - è stata non un dolore arido ma fecondo, che ha dato frutti di vita». Il pozzo, come ha spiegato il responsabile delle perforazioni, Egidio Marchetti, rappresenta una garanzia di approvvigionamento d'acqua pulita e scongiura il diffondersi di malattie legate all'utilizzo di fonti non potabili. Profondo 90,5 metri, ha una portata di 1.037 litri all'ora in grado di soddisfare le 900 persone del villaggio e i 200 bambini della vicina scuola. Nell'area la popolazione vive una situazione difficile a causa del gruppo dei ribelli ugandesi dell'Lra (Lord's Resistance Army), responsabile di atrocità terribili. Da aprile-maggio del 2009 nella zona sono stati stimati oltre 3mila rifugiati, molti dei quali, dopo giorni di cammino nella foresta, sono arrivati affamati e terrorizzato in cerca di un posto sicuro dove essere accolti. Un'ultima annotazione. La piccola Arianna, così come don Vittorione, è inserita fra i 31 piccoli santi piacentini descritti nell'ultimo libro di don Giancarlo Conte.
Federico Frighi


20/01/2011 Liberta'

mercoledì 19 gennaio 2011

Il nuovo vicario, sondaggio tra i lettori

Sacricorridoi l'aveva fatto anche per il vescovo di Piacenza-Bobbio all'indomani della partenza di monsignor Luciano Monari. Oggi riproponiamo un sondaggio tra i nostri pochi ma importanti lettori e lo centriamo sul nuovo vicario generale. Com'è noto siamo ormai alle battute finali per la nomina del nuovo numero 2 della diocesi che andrà sostituire monsignor Lino Ferrari giunto alla fine del proprio "mandato" e destinato ad un altro importante incarico pastorale. Tutte le indiscrezioni si possono leggere sul quotidiano Libertà seguendo le edizioni di questi giorni. E' altrettanto noto che la nomina del vicario generale spetta unicamente al vescovo diocesano. Il nostro umile sondaggio non vuole influenzare nessuno e neppure mettere in dubbio una competenza del capo della diocesi che noi, peraltro, riteniamo giusta e legittima. Solo per mettere un po' di pepe ...

domenica 16 gennaio 2011

Etiopia, continua il sogno di Michele Isubaleu

Mille rivoli di solidarietà per l'Africa. L'ultimo arriva dall'associazione Michele Isubaleu che ha inaugurato una mostra fotografica in favore delle missioni delle suore di monsignor Torta in Etiopia. Qui sotto l'articolo scritto su Libertà.

Una mostra per far conoscere un'immagine diversa dell'Etiopia e dell'Africa. Organizzata dall'associazione Michele Isubaleu nella sala degli Amici dell'Arte, ha aperto i battenti ieri pomeriggio alla presenza dell'assessore alla cultura Paolo Dosi. «Siamo abituati a immagini di miseria e povertà - spiega Marco Rezzoagli, uno dei volontari -, invece accanto c'è una grande capacità di sorridere, di relazionarsi con gli altri, c'è il valore della fatica quotidiana e dei gesti antichi». La mostra è formata da cinquanta foto stampate su forex. «Una parte parla del tema dell'infanzia - spiega Anna Giulia Gregori, curatrice della mostra - con ritratti di bambini che nella loro giovinezza devono fare anche le cose dei grandi. Poi scene di vita quotidiana con gli adulti in stretto contatto con la natura fonte principale del loro sostentamento». La mostra è nata raccogliendo foto di questi anni scattate in Etiopia da Anna Giulia Gregori, Carlo Pinasco e Marco Rezzoagli. L'associazione Michele Isubaleu è nata nel 2005 ed opera in Etiopia nelle missioni di monsignor Torta. Dopo il primo progetto in una scuola elementare ne sono nati altri, il più importante in collaborazione con i pediatri piacentini. La storia dell'associazione nasce da un'amicizia con un ragazzinio etiope, Michele Isubaleu, etiope di nascita, piacentino d'adozione, che aveva un sogno: quello di tornare nel suo Paese da grande ad aiutare chi ha avuto meno fortuna di lui. Purtroppo Michele oggi non c'è più. E' morto nel 2003 per una malattia. Aveva 12 anni. Oggi l'associazione, con sede a Gragnano, conta una sessantina di persone. La mostra Mamma Africa, figli dell'Etiopia, rimarrà aperta all'Associazione Culturale Amici dell'Arte (presso la Galleria Ricci Oddi) in via San Siro 13, fino al prossimo 30 gennaio (orari: dal lunedì al venerdì: 16-19; sabato e domenica: 10-12/16-19).


16/01/2011 Libertà

martedì 11 gennaio 2011

La Missione Popolare regge il colpo

La fase due della Missione Popolare ha retto il colpo. Domenica pomeriggio il Duomo non era pieno e probabilmente le presenze erano inferiori alla partenza nel gennaio 2010. Tuttavia i rappresentanti delle Unità pastorali erano presenti assieme ad una quarantina di sacerdoti e ad un migliaio di fedeli. E' chiaro che la Missione non si giudica dai numeri, tuttavia, nonostante le difficoltà, come ha ammesso il vescovo, prende a poco a poco il largo. Sotto l'omelia di monsignor Ambrosio e il pezzo di presentazione su Libertà.


Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi fratelli e sorelle,

1. Il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano è un avvenimento grande e carico di profondo significato, un’ulteriore manifestazione – epifania – di Gesù che suscita anch’essa sorpresa, stupore e grande gioia.

Gesù si reca al Giordano per ricevere il battesimo da Giovanni Battista che, nella sua predicazione, invita alla conversione e annuncia che “il regno dei cieli è vicino” (Mt 3, 2). Il primo gesto di Gesù sulla scena pubblica non è un gesto di guarigione e neppure di insegnamento, ma di piena solidarietà con gli uomini peccatori. Gesù è “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29), “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10), fino ad immergersi nelle acque del Giordano, manifestando in questo modo l’amore di Dio che non lascia gli uomini in balìa del peccato e della morte. In Gesù, solidale con l’umanità bisognosa di vita nuova, si mostra il volto del Dio vicino, il volto del Dio che ci fa dono della sua stessa vita.

Così il regno dei cieli si è fatto vicino, anzi è sceso in mezzo a noi, è dentro di noi. Lo sconcerto, anzi lo scandalo, del Battista è grande e netto è il suo rifiuto: “Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Il Battista non comprende quella presenza di Gesù in mezzo ai peccatori che fanno la fila in attesa del battesimo di penitenza: come può essere Messia e Salvatore chi si confonde con coloro che hanno bisogno di conversione? Il Battista allora propone il rovesciamento delle parti: “io ho bisogno di essere battezzato da te”. Ma Gesù risponde: “lascia fare per ora, poiché conviene che adempiamo ogni giustizia”.

La difficile risposta di Gesù si basa sulla parola “giustizia”. Ma nel gesto dell’immersione nell’acqua possiamo subito coglierne il senso. Quel gesto è il segno della disponibilità di Gesù ad essere il servo obbediente di Dio che carica su di sé “le nostre sofferenze e iniquità” (cf Is 53, 4-5). Così annunciava il profeta Isaia e l’evangelista Matteo vede compiersi questo annuncio in Gesù, venuto a prendere su di sé tutto il peccato del mondo per liberare l’uomo e rigenerarlo alla vita nuova. “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia, (…), e ti ho stabilito come alleanza” (Is 42, 6): è la missione del servo su cui il Signore “ha posto il suo spirito”. Ma questo servo “non griderà né alzerà il tono, (…) non spezzerà una canna incrinata” (Is 42, 1-2). È lo stile della missione del servo “chiamato per la giustizia” (Is 42, 6). Una missione grande, ma attuata con uno stile umile, povero, debole: “non spegnerà (neppure) uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42, 3).

2. Quando Gesù risale da quell’acqua, “si aprono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come colomba su di lui. Ed ecco una voce dal cielo:“Questi è il Figlio mio, l’amato” (Mt 3, 16-17). Sulle rive del Giordano avviene l’incontro tra il cielo e la terra, tra Dio e gli uomini: l’amore di Dio è più forte del peccato e nella solidarietà di Gesù con il popolo bisognoso di perdono si manifesta la giustizia misericordiosa di Dio. Nella visione dello Spirito che scende su di lui e nella voce del Padre che trova il suo compiacimento e la sua gioia nel Figlio, Gesù è rivelato nella sua identità e confermato nel suo ministero.

Anche noi, insieme all’apostolo Pietro, siamo invitati a renderci conto che Gesù di Nazaret, “consacrato nello Spirito e potenza”, “è il Signore di tutti” (At 10, 34-38). E in Lui, nel Figlio, anche ciascuno di noi diventa, mediante il battesimo, figlio del Padre: quella voce dal cielo è rivolta a ciascuno di noi. In comunione con Gesù che accoglie su di sé lo Spirito Santo, anche su ciascuno di noi scende e dimora lo Spirito Santo. È grazie allo Spirito che possiamo gridare: “Abba, Padre” (cf Rom 8,15).

3. Carissimi fratelli e sorelle, lo scorso anno in questa festa del battesimo di Gesù abbiamo iniziato l’avventura della Missione Popolare fidandoci di Gesù e del suo invito: “Prendi il largo”. Vogliamo oggi ringraziare il Signore perché, pur nella fatica, ci siamo resi conto di essere un popolo in cammino, una Chiesa in pellegrinaggio verso Gerusalemme. Ci sono stati fratelli ed amici che hanno condiviso la speranza del nostro viaggio missionario. Contemplando l’icona della visita di Maria ad Elisabetta, ci siamo presi cura della fede gli uni degli altri, abbiamo gioito condividendo il Vangelo e ravvivato il desiderio di renderlo vivo, attuale, parlante per noi e per i fratelli.

Anche la nostra ripartenza in questo secondo anno può apparire faticosa: i timori non mancano. Ma ascoltiamo con fiducia il nuovo invito di Gesù: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Ascoltiamolo come rivolto a ciascuno di noi e all’intera nostra comunità ecclesiale, invitata a ricuperare la sua dignità battesimale, a valorizzare la corresponsabilità, a promuovere vocazioni e ministeri nella comunità. Ed ascoltando l’invito, accogliamo l’esempio di Gesù: seguiamo lui che non ha paura di immergersi nelle acque del Giordano insieme agli uomini bisognosi di senso, di perdono e di amore. Così possiamo scoprire che Lui è la “parola” che dà senso alle nostre parole e alle nostre esperienze umane fondamentali. Così possiamo ascoltare la parola di Dio e la parola dell’uomo, e possiamo invocare insieme, nell’ospitalità e nell’amicizia, la benedizione di Dio che illumina, conforta, rianima, ben sapendo per esperienza che il Vangelo di Gesù abbraccia tutto l’umano e porta a verità i desideri più veri del cuore dell’uomo.

Lasciamoci condurre dallo Spirito. Il suo soffio è libero, i suoi doni sono molteplici e arrivano a noi in forme inaspettate. Ma riconosciamo che lo Spirito Santo ci precede con la sua azione nel cuore degli uomini, in quanto è già presente e operante nelle più diverse esperienze e realtà. Vale la pena di ricordare la felice espressione adottata da alcuni padri della Chiesa per parlare della verità che si manifesta in forme diverse: “semina Verbi”, i semi o i germi di verità del Verbo, riflessi della luce di Cristo “che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). Cerchiamo insieme queste tracce del Verbo che lo Spirito ha già impresso nelle storie e nel cuore degli uomini. Così, seguendo il Signore Gesù, benedetti dal Padre, animati e illuminati dallo Spirito, troviamo nelle esperienze della vita umana l’alfabeto per comporre le parole con le quali dire a noi e al mondo l’amore di Dio e la bellezza di essere suoi figli, battezzati in Cristo Gesù.

4. “Coraggio, sono io. Non abbiate paura”. Iniziamo con questo invito di Gesù e con la consegna della sua e nostra preghiera, il Padre Nostro, il secondo anno della Missione Popolare. Così possiamo sentirci figli amati e possiamo aiutarci a vivere come figli di Dio. Lo Spirito Santo ci assicuri la luce per vedere sempre quel cielo aperto su di noi e su tutti gli uomini e ci doni il coraggio per rispondere alla nostra vocazione di discepoli di Gesù e di missionari del suo Vangelo.

La Vergine Maria, umile serva del Signore, docile alla voce dello Spirito, dolce madre di tutti noi, accolga l’offerta della vostra diaconia, la metta nelle mani del suo Figlio Gesù, perché diventi piena di umile gratuità per rendere al Vangelo il servizio missionario dell’annuncio gioioso. Amen.
+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio



Parte domenica in Duomo il secondo anno della Missione Popolare della diocesi di Piacenza-Bobbio. La solenne celebrazione (inizio ore 16) sarà officiata dal vescovo Gianni Ambrosio e avrà nella consegna del libro del Padre Nostro ai delegati delle Unità pastorali uno dei suoi momenti più suggestivi. A spiegare le peculiarità di questa seconda fase di quello che il vescovo Ambrosio ha più volte definito il "cantiere dello spirito" è il vicario espiscopale per la pastorale, monsignor Giuseppe Busani, da poco anche parroco di San Sisto. «La caratteristica del secondo anno di Missione è quella di far percepire il Vangelo - spiega - come una risorsa buona per tutti gli ambiti di vita che noi sperimentiamo come i più decisivi: dalle affettività alle relazioni interpersonali, dalla fragilità al dolore, alla malattia, dalla cittadinanza alle relazioni civili e sociali». «Sono gli ambiti sui quali porremo l'attenzione perchè ci sembrano gli ambiti di vita decisivi - continua monsignor Busani -. Se il primo anno di Missione ha visto come tema quello della familiarità orante con il Vangelo, oggi il secondo anno vede la vicinanza del Vangelo alla vita umana e avremo come riferimento la preghiera del Padre Nostro, uno degli elementi costitutivi della vita cristiana».
Se lo scorso anno venne donato ai rappresentanti delle 39 Unità pastorali in cui è divisa la diocesi l'evangeliario della Missione, quest'anno verrà consegnato il libro del Padre Nostro. Il Pater, così come è chiamato, sarà un oggetto artisticamente prezioso con la copertina curata dal piacentino Giorgio Milani. «Un libro con preghiere in cui invochiamo benedizione di Dio sulle situazioni umane di sofferenza e dolore - sottolinea Busani - ma un libro in cui troveremo anche motivo di benedire Dio per le situazioni in cui il bene c'è già, benedizioni discendendi e ascendenti insomma». La suddivisione del libro del Padre Nostro in tre parti viene a spiegare ancora meglio i punti toccati dalla Missione Popolare: Padre Nostro (le relazioni), Venga il tuo Regno (la cittadinanza), Liberaci dal male (la sofferenza e il dolore). Ogni sezione sarà divisa in sei preghiere per un totale di 18 benedizioni, nove ascendenti e nove discendenti. Nelle settimane successive alla cerimonia di domenica il libro sarà distribuito sotto forma di sussidio a tutte le famiglie della diocesi che lo vorranno.
Durante la Quaresima quattro saranno i momenti forti (i cosiddetti "quaresimali") con altrettanti testimoni del Vangelo. Incontri pubblici in Duomo il 17 marzo con madre Ignazia Angelini (badessa del monastero di Viboldone), il 24 marzo con la pedagogista Paola Bignardi, il 31 marzo con il teologo Pierangelo Sequeri, il 7 aprile con Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose.
Federico Frighi


04/01/2011

sabato 8 gennaio 2011

Albania, emergenza alluvione per le Scalabriniane

Le suore Scalabriniane in Albania stanno facendo cose grandi. Nel 1999 le ho viste di persona e penso che se, tra le tantissime situazioni bisognose di aiuto nel mondo, si sceglie di sostenerle non si fa certo torto a nessuno. Ora la missione di Jubani è sotto lo scacco delle acque e assediata dagli sfollati. Se qualcuno vuol fare qualche cosa, questo è il momento giusto.

Nel nord dell’Albania, flagellato un mese fa da forti precipitazioni e conseguenti alluvioni, continua a permanere lo stato di emergenza. In particolare nel distretto di Scutari sono state invase dalle acqua oltre 3mila abitazioni e 14mila ettari: molte persone hanno visto sommergere da acqua e fango la propria casa, le stalle e i campi, perdendo gran parte di ciò che possedevano e che dava loro sostentamento.
La situazione resta precaria anche per la forte saturazione del terreno e per i livelli dei fiumi che restano elevati. Molti sono gli sfollati che non hanno potuto tornare alla propria abitazione a causa dei danni provocati dalle esondazioni dei fiumi e del lago di Scutari.
Le suore Scalabriniane hanno a Juban, a 15 km da Scutari, la loro missione, fortunatamente risparmiata perché in più elevata rispetto alla piana circostante. La casa e i vicini locali dell’ambulatorio e della foresteria (costruiti dalla Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio in occasione dell’emergenza profughi dal vicino Kosovo alcuni anni fa) sono serviti e servono tuttora ad ospitare nuclei famigliari che non hanno più un posto sicuro dove abitare.
La Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio intende sostenere l’operato delle suore Scalabriniane che in questa fase, ancora emergenziale, stanno tentando di rispondere alle principali esigenze dei più colpiti, per poterne consentire un graduale ritorno alla normalità, nella speranza che il tempo torni favorevole.
E’ stato pertanto stanziato un primo contributo pari a 5000 euro che verrà utilizzato per l’acquisto di viveri, vestiti, attrezzature, capi di bestiame.
Per sostenere gli interventi in Albania si possono utilizzare le seguenti modalità:
• versamento diretto presso i nostri uffici in Via Giordani, 21 a Piacenza dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 alle 18 dal lunedì al venerdì
• C/C bancario tramite Banca di Piacenza intestato a Fondazione Caritas Diocesana (causale “EMERGENZA ALBANIA”) - Iban: IT61 A 05156 12600 CC0000032157

venerdì 7 gennaio 2011

Diocesi, il 2011 si apre all'insegna delle nomine

Ben ritrovati nel 2011! Dopo un periodo di riposo riprendiamo le pubblicazioni di Sacricorridoi. Lo facciamo con alcune indiscrezioni riportate su Libertà relative alla nomina del nuovo presidente dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero e del nuovo vicario generale. Il 2011 si apre all'insegna delle nomine.

Il 2011 si appresta a portare una ventata di novità nella diocesi di Piacenza-Bobbio. Alcune già decise, come il nuovo presidente dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, altre in via di definizione, come il nuovo vicario generale. Venerdì 14 gennaio, con la ripresa delle pubblicazioni del settimanale diocesano il Nuovo Giornale, verrà resa nota ufficialmente la nomina di don Giampiero Esopi (70 anni) a presidente dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, al posto di monsignor Antonio Bozzuffi (79 anni). Una nomina giunta lo scorso 28 dicembre, quando in Curia il vescovo Gianni Ambrosio ha preso la decisione definitiva. Decisione sofferta e arrivata dopo almeno due tentativi da parte del capo della diocesi di indirizzare il suo numero due, monsignor Lino Ferrari, alla presidenza dell'Istituto per il sostentamento del clero. Tentativi andati a vuoto per il duplice cortese diniego del vicario generale, più versato come pastore di "pecorelle" che di numeri e di economia aziendale. Occorreva passare subito al piano B e così si è pensato a don Giampiero Esopi che, vista la grande esperienza come presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Pio Ritiro Cerati Onlus, solo per citare il suo ultimo ed attuale incarico, ha battuto la concorrenza di don Giuseppe Bertuzzi. Don Esopi è anche parroco di Caverzago e amministratore di Bobbiano e Viserano. Don Bertuzzi, ex francescano, laureato in architettura, è già nel cda dell'Istituto per il sostentamento del clero e a breve assumerà anche l'incarico di parroco di Nibbiano che reggerà assieme a Caminata, Sala Mandelli e Tassara.
Messo a posto l'Istituto del clero, ora i fari si spostano sul vicario generale. E' consuetudine che con l'arrivo di un nuovo vescovo il vicario venga sostituito dopo circa un anno. Dall'entrata di monsignor Ambrosio in diocesi di anni ne sono passati ormai tre e, almeno a stare all'iter che ha portato don Esopi all'Istituto per il clero, sembra proprio che per monsignor Lino Ferrari sia giunto il momento della pensione. La nomina del successore (sempre che di un'unica persona si tratti) sarebbe imminente. Oltre a monsignor Luigi Chiesa, parroco di Santa Teresa e vicario per la città, la candidatura ad andare per la maggiore, in queste ultime ore, è quella di monsignor Giuseppe Illica (57 anni), parroco di Castelsangiovanni. Già missionario in Brasile, molto amato dal suo attuale popolo (quello della Valtidone, di cui guida il capoluogo dal 1998), amministratore capace e rigoroso, pochi rapporti con la Curia diocesana se non quelli dovuti al suo ufficio di consultore, sacerdote ascoltato (soprattutto dal clero più giovane); per la sua umiltà avrebbe in passato detto no ad una nomina vescovile in Brasile e lo stesso vescovo Luciano Monari, quando nel 2007 lo fece monsignore, dovette convincerlo al telefono ad accettare la nomina.
Tra i papabili ci sarebbe anche l'esperto monsignor Giovanni Vincini, 72 anni, parroco di Fiorenzuola dal 1991 e vicario per la Valdarda. Monsignor Vincini era già stato in ballottaggio per la nomina a vicario generale del vescovo Luciano Monari dopo il pensionamento di monsignor Eliseo Segalini. Allora la spuntò monsignor Antonio Lanfranchi.
fed. fri.


04/01/2011 Libertà