giovedì 31 marzo 2011

Padre Gherardo in 60 pagine

E' un quaderno, più che un libro vero e proprio. Si può trovare alla Casa del Fanciullo con un'offerta di 5 euro. E' il volumetto su padre Gherardo Gubertini, curato da Fausto Fiorentini, presentato per il decennale della morte del frate dei bambini. Uno strumento buono per fare memoria di un testimone più che mai attuale.

(fed. fri. ) «Oggi più che mai abbiamo bisogno di fare memoria e di riscoprire nella nostra vita, nella cultura dei nostri tempi, delle persone che possono ancora fare da punto di riferimento». Ne è convinta la celebre maestra piacentina Dina Bergamini che, dopo 41 anni di insegnamento alle Elementari, si è dedicata al volontariato proprio alla Casa del Fanciullo.
«Oggi la debolezza della nostra cultura è proprio quella di non avere riferimenti stabili - osserva -. Padre Gherardo è stato invece un punto fermo non solo nelle cose essenziali ma anche nel suo grande dono d'amore. Ha amato i bambini e, attraverso i bambini, ha amato tutte le persone». La testimonianza della maestra Bergamini è racchiusa nelle 60 pagine del libro curato da Fausto Fiorentini per l'associazione Amici della Casa del Fanciullo, assieme a quelle degli insegnanti, di Maria Scagnelli (Tandem), di Alberto Manzoni (Gruppo Famiglie), di Dario Redaelli (casa di Carenno), di Paolo Ripamonti (associazione Amici della Casa del Fanciullo). Il libro è formato da cinque sezioni, ognuna ben identificata da un colore diverso. L'azzurro per gli editoriali: del vescovo Gianni Ambrosio, del guardiano dei francescani padre Secondo Ballati, del professor Fausto Fiorentini. Il blu per i cenni biografici sulla storia del frate. Il rosso sulla storia della Casa del Fanciullo. L'arancio sulle testimonianze. Infine il rosa, con un'antologia degli scritti del frate.
E' stato scelto un formato quaderno (stampato dalle Grafiche Lama), inedito per un libro storico. «E' la prima volta che uso il formato 20X24 che di solito è più adatto ad una pubblicazione artistica. Volevo dare molto spazio alle foto - spiega Fiorentini - perchè si avesse una visione ampia della figura di padre Gherardo». Nel volumetto ci sono anche delle vere e proprie chicche. Oltre alle foto, nella penultima di copertina, lo spartito dell'Ave Maria composta dal frate, che verrà eseguita in cattedrale durante la messa del prossimo 28 agosto, in suffragio, celebrata dal vescovo Gianni Ambrosio. L'Ave Maria venna eseguita per la prima volta in Santa Maria di Campagna dal tenore Flaviano Labò.
Il prossimo appuntamento delle celebrazioni per il decennale della morte del fondatore della Casa del Fanciullo si terrà sabato prossimo, 2 aprile, con il convegno "Figli contesi. I figli delle procedure di separazione e di divorzio: aspetti processuali e psicologici". L'appuntamento è per le ore 15 all''auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia. Il 17 luglio, poi, a Carenno (Lecco), nella sede estiva della Casa del Fanciullo, a partire dalle ore 11 si terrà la Festa dell'Amicizia, sempre in onore di padre Gherardo.


27/03/2011 Libertà

martedì 29 marzo 2011

Padre Gherardo, la storia continua

Padre Gherardo Gubertini, a dieci anni dalla morte, ha lasciato un'eredità educativa che continua la propria missione nonostante il fondatore della Casa del Fanciullo non ci sia più. Sono tante le opere che, perduta la mente originaria, proseguono arrancando spegnendosi poi nel giro di pochi anni. Non è stato così con la Casa del Fanciullo. Padre Gherardo ha seminato bene.

«Non ricordiamo padre Gherardo per commemorarlo. Può sembrare retorica, ma padre Gherardo è ancora vivo e il libro si muove proprio da questo presupposto». A metterlo bene in chiaro è lo studioso piacentino Fausto Fiorentini, amico di vecchia data della Casa del Fanciullo e curatore del libro presentato ieri in Santa Maria di Campagna, nei locali in cui padre Gherardo Gubertini iniziò la sua missione al servizio dei più piccoli.
La presentazione di "Un piccolo grande frate", edito dall'associazione Amici della Casa del Fanciullo, è una delle tappe più significative delle iniziative organizzate per questo 2011, decennale della morte del frate dei bambini. Il libro riporta un'antologia dei suoi scritti da cui esce il metodo educativo di padre Gherardo. «Prima di tutto la continuità didattica - evidenzia Fiorentini -. La scuola italiana oggi manda a casa i ragazzi a giugno e li richiama a settembre. Padre Gherardo insegnava dodici mesi su dodici. Poi l'importanza della famiglia, infine la scuola cristiana che accoglie tutti ma non trascende dai valori fondamentali». Il decennale è organizzato non solo dalla Casa del Fanciullo, ma anche dalla Diocesi, dal Comune e dai Francescani. Padre Gherardo era prima di tutto un frate del convento francescano e a fare gli onori di casa è padre Secondo Ballati, superiore del convento e rettore della basilica. «Da questo libro - evidenzia - emerge un padre Gherardo poliedrico. Tanto è vero che molti non pensavano a lui come un frate francescano. Quando ti appariva innanzi, ovviamente, te ne accorgevi dal saio. Però non era il classico francescano che va alla questua, tutto chiesa e convento».
Uomo di Dio ma anche della civitas. Ecco perchè è presente l'assessore alla cultura Paolo Dosi: «Padre Gherardo è stata una delle grandi figure che, pur avendo origine in una comunità ecclesiale, ha espresso delle grandi proposte che hanno avuto conseguenze anche di carattere civico. Primo nel suo genere, è riuscito a rispondere alle esigenze di tipo sociale con una modalità diventata riferimento anche per i servizi sociali di oggi, la tutela dei minori, della famiglia, la promozione dell'accoglienza familiare». Paolo Ripamonti, presidente Associazioni amici della Casa del Fanciullo, sottolinea come questo sia il primo libro scritto su padre Gherardo: «Ci dà la possibilità, dopo tanti anni, di ripercorrere la sua vita e di scoprire quanto le sue parole siano attuali». «Sentivamo la necessità di ricordarlo a dieci anni dalla sua scomparsa - dice Maria Scagnelli, responsabile del centro socio-educativo Tandem -, perchè poi non era così scontato che fossimo qui a parlarne; invece ce l'abbiamo fatta, siamo contenti perchè sappiamo che sarà contento».
Federico Frighi


27/03/2011 Libertà

lunedì 28 marzo 2011

Suore da 50 anni

Non solo il sì alla maternità, l'Annunciazione è anche la festa del sì per le religiose, il rinnovo del "matrimonio" con il Signore. Ecco perchè ieri pomeriggio le suore piacentine si sono trovate in Santa Maria di Campagna per la messa con il vescovo, divenuta anch'essa una tradizione della festa del 25 marzo. Monsignor Gianni Ambrosio, nell'omelia, dopo aver elogiato la presenza e il servizio dei francescani nel santuario, ha evidenziato due passaggi espressi nelle sacre scritture del giorno. Il sì della Madonna, "eccomi, sono la serva del Signore", come «gesto dell'obbedienza e della fedeltà a Dio», e quello di Gesù Cristo "eccomi io vengo, Signore, per fare la tua volontà". Il vescovo Ambrosio ha dunque invitato le religiose «a fare della loro vita un dono e un‘obbedienza a Dio».
La Festa del Sì, per le religiose, venne introdotta nei decenni scorsi dall'allora vescovo monsignor Enrico Manfredini, alla guida della Chiesa piacentina dal 1969 al 1983. La Festa del Sì, dunque, si ricollega alla solennità dell'Annunciazione - come Maria ha detto sì alla volontà di Dio, così si festeggiano le religiose che hanno dimostrato la fedeltà alla loro vocazione nella Chiesa - e rappresenta una delle due occasioni comunitarie per le suore. L'altra è il 2 febbraio, giorno della Candelora, in cui la Chiesa celebra la festa per la vita consacrata. A ciascuna religiosa sono state consegnate la nota pastorale del vescovo in occasione del secondo anno della missione popolare, il Libro del Pater, un fiore "per ricordare la bellezza della vita" e un cero "perché dobbiamo sempre tenere accesa la lampada della fede". Sono state festeggiate per i 25 anni di professione, suor Maria Francesca del Cuore di Gesù (carmelitane); per i 50 anni di professione, suor Irma Tonellotti (scalabriniane), suor Costanza Kallukulangara (orsoline), suor Elda Giavarini (suore di S. Dorotea), suor Enrica Zanata (suore di S. Dorotea), suor Anna ElenaClerici (Figlie di S. Anna); per i 60 anni di professione, suor Benedetta Salerno (scalabriniane), suor Eulalia Santi (scalabriniane), suor EmiliaBellucci (salesiane), suor Domenica Benassi (salesiane), suor Adele Lorenzetti (salesiane), suor Elisabetta Lorenzetti (salesiane), suor Maria Pia Ottani (salesiane), suor Agnese Sberna (salesiane) e suor Letizia Terzoli (Figlie di Gesù Buon Pastore).
fri


26/03/2011 Libertà

Il ballo dei bambini, kermesse del sacro

Può il sacro popolare far riflettere sul più profondo sacro celeste? Il ballo dei bambini e tutto ciò che lo circonda, nella basilica di Santa Maria di Campagna, sono lì a rispondere di sì. Provare per credere ...

Una tradizione tra popolare e sacro che rende più a misura d'uomo il grande mistero celeste. Una devozione che, se la si accetta, obbliga a fermarsi un attimo e a farsi delle domande sui grandi perchè della vita. E' tutto questo, ma anche altro, la festa dell'Annunciazione che ieri è stata celebrata in Santa Maria di Campagna con il tradizionale Ballo dei bambini. Più di mille, quasi 1.200 a contare i palloncini con l'effige della Madonna (andati esauriti) donati ai piccoli ballerini, i bambini presi tra le braccia dai frati e innalzati alla Madonna per richiedere la sua santissima protezione. Tutt'intorno i fiori verdi, bianchi e rossi, omaggio dei fioristi di Confcommercio alla Vergine Maria.
Il guardiano e rettore di convento e basilica, padre Secondo Ballati, è estremamente soddisfatto di come vanno le cose. «Quest'anno, secondo me, abbiamo fatto ancora meglio del 2010 - dice osservando bimbi e genitori in fila indiana nella navata centrale -. In questi giorni, dopo la pagina uscita su Libertà, abbiamo ricevuto tante telefonate di persone che ci chiedevano a che ora potevano portare i loro piccoli». A sollevarli, novità di quest'anno, ci sono ragazzi e ragazze vestiti con tuniche bianche. Sono quelli della Gioventù Francescana, il movimento nato in seno al santuario lo scorso 4 ottobre, giorno di San Francesco. Francesco Sabbadini (30 anni), medico, e Giovanna Fieramosca (30 anni), insegnante di religione, raccontano come il gruppo, che oggi conta una decina di giovani, sia nato per caso su impulso di alcuni allievi della scuola di polizia che, trovandosi a Piacenza, avevano come punto di riferimento Santa Maria di Campagna. Si sono uniti anche studenti della Cattolica ed è nato il gruppo che si trova oggi tutti i mercoledì sera alle 21 nella sala del Duca del convento francescano. Ogni domenica alle 18 e 30 prestano servizio in basilica e ieri si sono prestati per dare una mano ai diaconi e ai frati. Solo due i rinforzi con il saio: fra' Nazzareno Burgazzi, originario di Cortemaggiore ma "di stanza" a Parma, e padre Gilberto Aquini, già guardiano di Santa Maria di Campagna.
Un ministrante snocciola il rosario e la folla di fedeli aumenta sempre più. Arriva una neo mamma con il piccolo di 16 mesi, anche una futura mamma con il pancione; dovrebbe partorire proprio il giorno successivo (oggi, per chi legge). La basilica è una vera e propria kermesse del sacro, dal piazzale fino all'altare. Nel presbiterio il Ballo dei bambini, poco più in là la distribuzione dei palloncini con la Madonna, sulle panche i fedeli che attendono il rosario, nelle cappelle laterali i banchetti delle benedizioni. Nel primo, sulla sinistra, c'è padre Vincenzo che ti accosta il reliquiario al capo, recita la formula della benedizione e ti dà una sonora stretta di mano con un sorriso che trasmette bontà. Dopo il portale, sulla destra, c'è il book-shop della basilica, con la preghiera per le mamme, il crocifisso di San Francesco e le famose candele create da padre Cesare e decorate con l'effigie di Santa Maria di Campagna. Oltre naturalmente ai dvd e al film-documentario su Padre Gherardo. Sul sagrato i quattro quintali di busslanein, le ciambelline che le volontarie offrono ai fedeli, infine un paio di giostre per i bambini che non si accontentano di ballare con i frati e la tradizionale pesca di beneficenza pro convento.
Federico Frighi


26/03/2011 Libertà

sabato 26 marzo 2011

Consigli per le offerte/ Vetrina vintage per la Caritas

Abbigliamento usato in ottimo stato ma anche capi nuovi di zecca e persino due abiti da sposa. E' stata inaugurata ieri la vetrina solidale della Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio. Fino al 31 dicembre, nel prefabbricato al centro di Barriera Torino, sarà possibile fare un'offerta e portarsi a casa un capo o un oggetto di qualità (usato o nuovo). Il ricavato verrà utilizzato dalla Caritas per l'acquisto della biancheria per i poveri. «Abbiamo riscoperto un posto molto bello rimasto inutilizzato - osserva il direttore Caritas, Giuseppe Chiodaroli - e ci abbiamo fatto la nostra vetrina solidale grazie alla disponibilità del Comune che ci ha concesso questa casetta in comodato gratuito fino al prossimo 31 dicembre». «Abbiamo accessori, biancheria - spiega Emilia Rossi, volontaria Caritas, presente assieme ad Anita Natali, presidente dell'associazione Carmen Cammi, l'associazione dei volontari della Caritas - ma anche vestiti estivi, oggetti di ceramica, quadri e due vestiti da sposa nuovi». «Poi dipende dai momenti. Bisogna venire spesso - consiglia - e vedere se ci sono dei nuovi arrivi». E' il secondo anno che la Caritas apre una vetrina solidale. Nel 2010 si raccolsero ben 8mila euro nello spazio concesso a Barriera Genova. «Qui possono venire tutti - continua Emilia -. Dalle famiglie che magari sono un poco in difficoltà a coloro che sono sempre stati appassionati di vintage, da chi è in cerca di un'occasione alle badanti, ad esempio, che vogliono spedire a casa loro merce di qualità». Perchè qui a Barriera Torino ci finiscono i vestiti e gli oggetti di maggiore qualità che la Caritas riceve in dono. «E' sempre meglio portare le borse con gli indumenti usati nella sede Caritas di via Giordani dove tutto viene smistato - ci tengono a precisare i volontari -. La precedenza viene data ai poveri, ai carcerati, all'Azienda Usl per i servizi di assistenza. Quello che non è possibile donare perchè appunto troppo nuovo o di genere non richiesto dalle persone in difficoltà, finisce alle vetrine solidali. Se qualcuno ha cose molto particolari può comunque rivolgersi direttamente a piazzale Torino». Il punto Caritas è aperto tutti i giorni, dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 e 30 alle 18 e 30. Il giovedì è chiuso tutto il giorno così come il sabato pomeriggio e tutta la domenica (salvo aperture straordinarie). A gestirlo ci pensano le volontarie Caritas del settore "guardaroba" insieme a quelli del Centro d'ascolto Caritas. In tutto una decina di persone.
Federico Frighi


20/03/2011 Libertà

venerdì 25 marzo 2011

L'Unità d'Italia vista da Scalabrini

Nel 150° dell'Unità d'Italia si può festeggiare l'Italia unita rifacendosi alla società di oggi e rivivendo il passato solo come un ricordo sbiadito, oppure si può festeggiare andando a rivedere che cosa è veramente accaduto 150 anni fa. Se si sceglie la seconda opzione, chi è cattolico scopre che c'è poco da festeggiare visto che l'Unità d'Italia venne vista in chiave anticattolica. Lo dice il cardinale Velasio De Paolis a Piacenza per i 50 anni di sacerdozio. Spiega anche l'unità d'Italia secondo il beato Giovanni Battista Scalabrini. Un pensiero d'inizio 900 che oggi sembra essere addirittura troppo avanti rispetto al contesto storico attuale.


«La patria non è fatta solo dagli italiani ma da tutti coloro che sono in Italia. Il beato Giovanni Battista Scalabrini ha invitato all'accoglienza dei migranti facendoli sentire all'interno di una comunità, operando per la costruzione di una comunità unita nel rispetto reciproco, non contro qualcuno o qualche cosa». Il cardinale Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, lo dice a Piacenza dove si trova per celebrare i 50 anni da sacerdote, suoi e di altri cinque confratelli scalabriniani. Una riflessione a margine della festa dei Missionari di San Carlo nella cattedrale dove per trent'anni fu vescovo il fondatore della congregazione e dove oggi è sepolto il beato Scalabrini. Sua eminenza ci tiene a mettere tutti i puntini sulle "i". «Centocinquanta anni fa Roma non apparteneva ancora all'Italia - dice mentre ripone i paramenti nella sacrestia del Duomo -. Da studioso non posso non osservare come l'unità che si celebra oggi si sia compiuta all'insegna dell'anticattolicesimo. Non si mette in discussione il valore unità d'Italia, ma l'animus con cui la si è cercata, un animus che non è ancora superato. Purtroppo». «L'unità degli italiani poi - continua -oggi non ha più senso. Viviamo in una cultura che non è più nazionale ma sovranazionale. In Italia oggi abbiamo parecchi milioni di immigrati. Questa è una cosa positiva. Dobbiamo abituarci a convivere ricordando che il nazionalismo è una brutta malattia. Quante guerre abbiamo fatto in nome dei nazionalismi. Un conto sono i valori etnici, un conto è l'assolutizzazione dei valori etnici. Il nazionalismo è una piaga, l'amore per la patria e suoi valori no». La messa per il Cinquantesimo è stata celebrata nella cappella del Santissimo Sacramento, accanto al sepolcro del beato Scalabrini. Altare davanti al quale il vescovo degli emigranti era solito sdraiarsi prono a pregare. «Nel 1961 eravamo in dodici ad essere ordinati sacerdoti nella chiesa di San Carlo, in via Torta. Oggi siamo rimasti in sette» evidenzia il cardinale De Paolis. «Sono felice di celebrare questo cinquantesimo nel luogo in cui Scalabrini ha vissuto ed è stato glorificato da Giovanni Paolo II» dice mentre indossa la casula che venne data proprio a papa Wojtyla. Durante la consacrazione, utilizzerà poi il calice che usava lo stesso Scalabrini. Ci sono i compagni di ordinazione e una quindicina di sacerdoti tra cui il parroco del Duomo, monsignor Anselmo Galvani, quello di San Paolo, monsignor Bruno Perazzoli, e, naturalmente, il superiore padre Gaetano Parolin.
Oltre al cardinale De Paolis, hanno celebrato il cinquantesimo anniversario di ordinazione padre Giovanni Baggio (inviato in Argentina), padre Lino Celeghin, padre Ermete Nazzani, padre Angelo Risoli. Padre Risoli e padre Nazzani sono entrambi piacentini (una vita rispettivamente in America Latina e Canada, in Australia e Stati Uniti). Cinquantanni di sacerdozio anche per padre Amerio Ferrari (piacentino) e per padre Domenico Rodighiero, assenti perchè ancora in missione in Belgio e negli Stati Uniti. «Abbiamo bisogno della parola di Dio - dice il cardinale - senza siamo smarriti nel mondo. Nel nostro cinquantesimo vogliamo dirgli grazie». «Si parla oggi di nuova evangelizzazione, sottolineando che forse c'è stato un periodo in cui l'evangelizzazione è mancata, perchè l'evangelizzazione è sempre nuova. Ecco la grande notizia che il sacerdote è sempre chiamato ad annunciare al mondo».
Federico Frighi


19/03/2011 Libertà

giovedì 24 marzo 2011

Consigli per le offerte/ Emergenza acqua in Karamoja

“In questi giorni Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo è stata chiamata a rispondere a un’emergenza idrica in tutto il distretto di Amudat, in Karamoja”. La notizia arriva dal direttore di Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo, Carlo Ruspantini, in questi giorni in Uganda per coordinare i progetti che la Ong piacentina porta avanti nel Paese africano.

Il Karamoja è una regione dell’Uganda dove la necessità d’acqua è da sempre il principale problema. Un problema che non solo frena lo sviluppo della regione, ma spesso mette in discussione la sopravvivenza stessa della gente. Amudat, un nuovo distretto nella zona sud/est del Karamoja, al confine con il Kenia, è una delle zone più aride della regione e in cui è più difficile trovare acqua in profondità a causa della conformazione geologica del terreno.

Dopo tre anni in cui le stagioni delle piogge sono state irregolari e non abbondanti, oggi nell’area di Amudat il bisogno d’acqua è aumentato in modo esponenziale. Il maggior bisogno di rifornirsi d’acqua ha provocato infatti un iperutilizzo dei pozzi esistenti e quindi una maggiore usura e rottura delle pompe. Inoltre, l’ingresso in Karamoja di bestiame e pastori provenienti dai territori keniani di Pokot e Turkana (fenomeno legato alle condizioni di insicurezza in cui vivono le popolazioni in quelle zone) ha aumentato la necessità di fonti idriche. C’è dunque urgente bisogno di intervenire per riabilitare e riparare pozzi con l’obiettivo di consentire subito l’accesso all’acqua.

“I nostri responsabili di Moroto - riferisce Carlo Ruspantini - si sono subito attivati, recandosi sul posto per cercare di capire l’entità del problema e organizzare gli interventi di prima necessità in modo da dare, nei limiti del possibile, una risposta immediata. La situazione è ancora incerta ed è difficile quantificare tutti gli interventi necessari: ci sono almeno una trentina di pozzi da riparare, più di 13 pozzi sui quali fare dei pescaggi per recuperare la linea dei tubi caduta a causa di tentativi maldestri di riparazione, 10 nuovi pozzi da perforare e diversi meccanici di pompa da addestrare”.

“Chiediamo il contributo e il supporto di tutti gli amici e sostenitori di Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo e di tutte le persone sensibili alle problematiche dell’Africa - conclude il direttore dell’Ong - per riuscire a rispondere anche a questa emergenza e a portare subito il nostro aiuto alla gente, sempre fedeli allo stile e allo spirito del nostro fondatore Don Vittorione”.

Per informazioni sulle modalità con cui fare un’offerta per l’emergenza idrica ad Amudat, contattare la segreteria di Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo in via Martelli 15 a Piacenza, tel. 0523.499424, email africamission@coopsviluppo.org.

lunedì 21 marzo 2011

La lezione dei francescani-giapponesi

Sono quasi tutti ottuagenari e da missionari francescani ne hanno viste di tutti i colori. Tanto che non li spaventa nè un sisma catastrofico, nè uno tsunami devastante, nè un disastro nucleare. Come i giapponesi, hanno imparato ad accettare tutto perchè tutto fa parte della natura.

Ha chiuso la chiesa al primo piano e da venerdì scorso celebra la messa al pianterreno. «Quando c'è una scossa di assestamento mi aggrappo all'altare e vado avanti a dire messa». La vita continua nella missione cattolica di Itoigawa, Giappone, 150 chilometri in linea d'aria da Fukushima. Per fortuna dalla parte opposta dell'isola, dopo le montagne, sull'altro mare. Laggiù c'è da ormai trent'anni un frate piacentino: padre Domenico Gandolfi, 82 anni. Non usa internet e neppure il fax. Nelle ore successive al disastro è stato difficile contattarlo anche dai suoi stessi confratelli vicini di missione. Finalmente la telefonata da Piacenza: «Sto bene, abbiamo subito qualche danno ma da noi non ci sono stati nè morti nè feriti... Quando c'è stata la prima scossa era a letto, stavo dormendo. Sono rimasto lì è ho aspettato, altro non potevo fare. E' stato terribile».
Oggi che la terra sembra essersi calmata arriva il pericolo nucleare: «Le autorità ci ripetono che qui non corriamo rischi, al momento». Ma la missione è più forte delle radiazioni. La decisione l'hanno presa tutti insieme, i francescani del Giappone: «E' vero: l'ambasciata consiglia ai cittadini italiani che possono lasciare il Giappone di farlo al più presto; noi non lo faremo. Rimarremo qui».
Frate minore della Provincia bolognese, padre Domenico fu ordinato sacerdote nel 1952. Si è formato a Piacenza poi ha studiato a Lovanio, fino a che è stato inviato a Singapore nell'istituto di Sociologia fondato da padre Allegra. Da qui è passato a Taiwan dove è stato parroco. Di nuovo sulla terra ferma, a Hong-Kong, dove si è dedicato allo studio e all'insegnamento. L'obbedienza francescana lo ha portato infine in Giappone, dove risiede ormai da anni. Ha trascorso moltissimo tempo lontano dall'Italia ed è segnato dal fatto di aver conosciuto realtà diversissime, facendo tesoro di tutta questa esperienza. Ora tiene viva la vita della sua comunità cristiana. Si ritrova volentieri a far quattro chiacchiere con l'autista dei pulmini dell' asilo della parrocchia di Itoigawa; probabilmente, se fossero in Italia, ci scapperebbe anche una partita a briscola, ma nei ritmi imposti dalla vita frenetica deve piuttosto pensare a gestire le maestre dell'asilo cattolico. La missione di padre Domenico è proprio sopra l'inferno: la città di Ioigawa. Laggiù fanno finta di nulla, ma proprio laggiù inizia la cosiddetta Fossa Magna. Se la terra dovesse tremare con la medesima magnitudo della settimana scorsa e se l'epicentro fosse proprio laggiù, beh, allora, pace e bene a tutti. «L'isola di Honshu si spaccherebbe in due» scrive padre Mario Canducci, riminese, vicino di missione di padre Domenico e con un passato piacentino in Santa Maria di Campagna. «Ricordo con nostalgia Piacenza - dice - dove passai tre anni bellissimi dal 1957 al 1960». Ora si trova sul bordo dell'Apocalisse: «La terribile forza della natura e gli errori umani sulle centrali nucleari hanno causato migliaia di vittime e danni ingenti. Non sappiamo che succederà».
Anche padre Leone Maria Bassi, genovese, ha un passato piacentino. Ha 88 anni e qualche mese fa l'Ufficio missionario di Piacenza-Bobbio si offrì di pagargli il biglietto aereo per ritornare in Italia. Risposta negativa. Fece voto di rimanere in Giappone. A vita. Domenica si aspettava di non avere nessuno alla messa festiva e non si era preparato l'omelia; con sorpresa si è trovato davanti a quasi 200 fedeli. «I giapponesi - osserva -, davanti a questo disastro, sanno esercitare la virtù della pazienza in un modo, per noi occidentali, impensabile. Se fosse accaduto in Italia, ci saremmo subito chiesti perché Dio ha permesso tutto ciò. Per loro invece tutto questo fa parte della natura e va accettato».
Federico Frighi


18/03/2011 Libertà

domenica 20 marzo 2011

In Sant'Antonino i martiri del nostro tempo

Prosegue nella basilica di S. Antonino a Piacenza, la mostra fotografica “Beati i perseguitati per causa mia”, iniziativa promossa con la collaborazione della rivista “Mondo e missione” e costituita da una galleria di 12 storie di martirio del nostro tempo, fra cui la piacentina suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata originaria di Rezzanello, uccisa a Mogadiscio nel settembre del 2006.

La mostra si può visitare fino a giovedì 24 marzo tutti i giorni, dalle ore 10 alle 12 e dalle 16 alle 18. L’iniziativa è promossa dal Centro missionario diocesano, dalla Caritas diocesana e da Il Nuovo Giornale in preparazione alla Giornata dei missionari martiri, che si celebra in tutto il mondo il 24 marzo, giorno dell’uccisione del vescovo di San Salvador Oscar Romero, avvenuta nel 1980.

Martedì prossimo 22 marzo, alle ore 20.45, nella basilica di Sant’Antonino è in programma l’incontro sul tema “Algeria 1996: la strage dei monaci di Tibhirine”. Interviene padre Jean-Marie Lassausse, oggi missionario a Tibhirine, dove nel ‘96 morirono i 7 trappisti; padre Laussausse è autore del libro “Il giardiniere di Tibhirine”. Lo intervisterà la giornalista di “Mondo e Missione” Anna Pozzi, curatrice della versione italiana del libro.
Padre Lassausse, prete della Mission de France, ingegnere agricolo, continua a coltivare, insieme ai due operai dei monaci, i campi del monastero e al contempo cerca di mantenere vive e feconde le relazioni con la popolazione.

IL 24 MARZO IN CATTEDRALE.
I missionari martiri saranno ricordati giovedì 24 alle ore 21 nella preghiera durante il Quaresimale in Cattedrale.

Ambrosio: figli d'Italia è dono di Dio

Il vescovo Gianni Ambrosio è un piemontese e l'unità d'Italia la sente forse più d'altri. Così, nella messa per i 150 anni, ha tenuto una sorta di lezione di alta educazione civica: buoni cittadini si può essere se si osservano certe regole d'oro ma anche e soprattutto se ci si ricorda che la cittadinanza, l'appartenere ad un popolo con una storia e un volto comune, è una grazia di Dio.


«Nelle Sacre Scritture di oggi troviamo la lode e la gratitudine per i doni di Dio; tra questi anche la grazia di appartenere ad un popolo che ha una storia, un destino, un volto comune». Così il vescovo Gianni Ambrosio parla ai piacentini nella messa (ieri pomeriggio), in San Francesco, per i 150 anni dell'unità d'Italia. «In mezzo a tutte le difficoltà rendiamo grazie a Dio - dice il presule - per la nostra Italia, di cui siamo figli, e da cui deriva la nostra identità umana civile e religiosa. Siamo consapevoli, al di là di ogni retorica, che tutto questo è un dono». Ad ascoltare, nelle prime file, il sindaco Roberto Reggi (in fascia tricolore), l'assessore provinciale Paolo Passoni (in fascia azzurra), il prefetto Antonino Puglisi, il questore Calogero Germanà, il comandante provinciale dell'Arma, colonnello Paolo Rota Gelpi. Poi assessori e consiglieri comunali, rappresentanti delle forze armate e della società civile. Accanto al vescovo, il vicario episcopale per la città, monsignor Luigi Chiesa, e il parroco di San Francesco, don Giuseppe Frazzani.
«Siamo convinti, al di là di ogni presunzione e di ogni mancanza di memoria - ribadisce Ambrosio -, che essere figli di questa nostra Italia è una responsabilità bella, ma grande ed anche esigente. Con questa celebrazione invochiamo la grazia di essere più consapevoli del nostro essere figli dell'Italia, riconoscendo l'identità plurale e variegata, all'interno della grande famiglia dell'Europa e naturalmente di Dio». Il Vangelo si chiude con la regola d'oro: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi fatelo a loro". «E' la regola d'oro che ci tiene fuori - si augura il vescovo - da quell'individualismo ingannevole, dalla polemica estenuante, distruttrice e ci impegna per la vita buona che tutti desideriamo, per quel bene comune che dobbiamo perseguire per vivere bene».
fed. fri.


18/03/2011 Libertà

Don Illica: preti tra la gente, non dietro alla scrivania

E' stato molto chiaro il nuovo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio, monsignor Giuseppe Illica. Di preti ce ne sono pochi e quei pochi non stiano dietro ad una scrivania ma tra la gente ad annunciare e a testimoniare il Vangelo. Di seguito l'articolo dell'ingresso di monsignor Illica in Curia.

Meno sacerdoti amministratori ma più impegnati tra la gente come evangelizzatori, naturalmente con un maggiore coinvolgimento dei laici. Se avesse Photoshop, il programma più famoso di elaborazione immagini, don Giuseppe Illica modificherebbe così la fotografia della Chiesa piacentina.
Lo dice a riflettori spenti nel giorno del suo insediamento in Curia come vicario generale. Ieri mattina la cerimonia pubblica alla presenza del personale degli uffici del Vescovado - d'ora in poi saranno alle sue dipendenze dirette - e del clero di Curia, nonchè dei vicari episcopali e, naturalmente, del vescovo Gianni Ambrosio.
Il presule rivela sorridente che con don Giuseppe c'è stata «una lunga trattativa» prima dell'accettazione del suo nuovo ruolo; del quale poi tratteggia gli aspetti fondamentali. «Il numero 475 del codice di diritto Canonico dice che il vicario generale ha il compito di aiutare il vescovo nel governo della diocesi. Punto - evidenzia Ambrosio -. Il resto lo lascia alla sensibilità nostra e al soffio dello Spirito Santo». «Noi siamo tutti di aiuto all'opera buona di Dio - prosegue - e dobbiamo aiutarci perchè questo sia davvero un cammino comune. A tutti è chiesto di evangelizzare, dunque di dare la buona notizia: al vescovo, ai sacerdoti e ai laici».
«Un altro compito - continua - è quello di santificare». Il che vuol dire «dare una mano allo Spirito Santo attraverso i sacramenti, la liturgia, la celebrazione della Parola del Signore». Infine «le linee di indirizzo per una direzione di marcia comune con un'unità attorno al vescovo e uno spirito comunitario con i vicari episcopali, la mano lunga del vescovo nei diversi ambiti». Una penna a sfera di pregio come dono del presule e della Curia poi la cerimonia termina. Senza rinfresco. Siamo in Quaresima.
A riflettori spenti, nel pomeriggio, don Illica riflette sul ruolo della Chiesa nella società di oggi. Aveva parlato pubblicamente dell'attenzione ai poveri: «Mi viene da dire che non è mai sufficiente perchè i poveri continuano ad esserci, però noi non è che dobbiamo risolvere i problemi, dobbiamo dare dei segni di un amore verso i poveri. Io penso che questa attenzione nella chiesa di oggi ci sia». Ancora: «Sono d'accordissimo con chi parla di una Chiesa con una maggiore responsabilità dei laici. Penso che siano pronti. Ci vuole solo un po' di coraggio, per il resto la preparazione c'è». Parliamo di tempi difficili per la Chiesa di oggi. Ci ferma: «I tempi sono sempre stati difficili, io ho sempre sentito i preti lamentarsi, così come la gente. Non c'è mai un tempo facile o un tempo difficile, c'è il tempo che ci è dato di vivere, noi abbiamo questo e dobbiamo affrontarlo».
L'esperienza della missione in Brasile offre una prospettiva nuova. «Investire sui laici è la testimonianza e l'insegnamento più forte che ci può dare la chiesa brasiliana - è convinto don Illica -, la missione popolare deve poi aiutarci ad aprire delle strade». «Noi preti siamo ormai pochi - ammette - e secondo me dovremmo concentrare il nostro lavoro sull'evengelizzazione, lasciando perdere tante cose, tipo gli aspetti amministrativi che ci stanno occupando troppo tempo, rispetto al numero che siamo. Penso che sarebbe un bel risultato se riuscissimo a dedicarci completamente, direi quasi esclusivamente, alla formazione cristiana dei laici e all'evangelizzazione». Nessun programma: «Che vicario sarò? Personalmente mi propongo di non stare troppo dietro ad una scrivania. Andrò a trovare i parroci. Per il resto non chiedetemi che cosa farò perchè devo imparare giorno dopo giorno. Come ho trovato la Curia? In Curia tutti fanno il loro dovere e lo sanno fare bene. Chi deve imparare, lo ripeto, sono io».
Federico Frighi


15/03/2011 Libertà

venerdì 18 marzo 2011

Campanili tricolori

La bandiera tricolore sul punto più alto della città, i 74 metri dell'Angil dal Dom, la statua dorata dell'angelo che sormonta il campanile della cattedrale. L'ha fatta mettere il parroco del Duomo, il vescovo Gianni Ambrosio l'ha benedetta, in tante altre chiese della diocesi hanno fatto lo stesso, anche dalle canoniche. Perchè essere buoni cristiani vuol dire anche essere buoni cittadini.

«E' un gesto di amore all'angelo e di amore all'Italia». Spiega così, il parroco del Duomo, monsignor Anselmo Galvani, il significato della bandiera tricolore che da ieri sera sventola dai 73 metri della guglia, sotto la protezione e lo sguardo vigile dell'Angil dal Dom. Ci sono il vescovo Gianni Ambrosio, il prefetto Antonino Puglisi, il questore Calogero Germanà, il sindaco Roberto Reggi (in fascia tricolore), il presidente della Provincia, Massimo Trespidi (in fascia azzurra). Poi i canonici della cattedrale e un gruppuscolo di fedeli piacentini. Tutti, poco dopo, con il naso all'insù, verso gli elettricisti Sergio Paraboschi (70 anni) e il figlio Andrea (40), intenti a fissare la bandiera sotto l'ala dell'angelo. Duplice il significato del gesto. «ll vescovo Sanvitale, il 21 marzo del 1848, benedì il tricolore - spiega monsignor Galvani - e un piacentino, scalando la guglia del Duomo, lo issò tra le braccia dell'angelo. Da quel giorno l'angelo del Duomo non fu più solo un metereologo ma anche un segno di appartenenza di tutti i piacentini ad una comunità non solo religiosa come la diocesi, ma anche civile, Piacenza appunto, che per prima diede l'adesione all'amata patria».
Non solo: «Dal 1141, l'angelo vigila notte e giorno sulla cattedrale, sulla città, sui piacentini sparsi nel mondo che hanno fatto onore, non solo a Piacenza, ma a tutta l'Italia». Prima di venire portato in alto, il tricolore viene benedetto. Lo fa il vescovo Ambrosio che ringrazia il parroco della cattedrale e i canonici del Duomo per aver pensato all'iniziativa. Nessun dubbio. Anzi. «In tutte le chiese degli Stati Uniti la bandiera nazionale è ben presente - osserva -, lo stesso dicasi per l'Irlanda ed altri Paesi». Si pone poi nel naturale solco tracciato dal vescovo Sanvitale: «Nel 1848 il vescovo di allora benedisse la bandiera italiana, il vescovo di oggi è contento di compiere il medesimo gesto».
Per l'occasione è stata inaugurata la nuova illuminazione notturna dell'angelo. Enelsole ha donato le nuove lampade a led a luce calda e a basso consumo, che per i prossimi dieci anni non avranno bisogno di manutenzione; la ditta Paraboschi le ha fisicamente installate al posto del vecchio impianto formato da quattro fari da trattore.
Anche il tricolore si inserisce in un contesto eco-compatibile. Il vessillo è infatti in materiale biodegradabile. Rimarrà lassù fino a che non verrà "sciolto" da sole e intemperie.
Federico Frighi


17/03/2011 Libertà

giovedì 17 marzo 2011

La preghiera per l'Italia

Proteggi, o Signore, la Patria nostra che amiamo e serviamo.

Proteggi l'Italia che è stata grande nei secoli gloriosi.

Proteggi l'Italia nei suoi Santi, nei suoi Eroi, nei suoi Genii, nei suoi bimbi,

nelle sue donne e nelle sue madri, nel lavoro quotidiano dei suoi figli.

Rendici sempre più coscienti del suo nome e della sua storia.

E fa che ognuno sia degno d'esser figlio dell'Italia nostra.

Proteggi la Patria nostra e fa che sia fiera, ma non superba, forte, ma non violenta,

distributrice di amore, di bellezza, di giustizia a tutte le genti,

come Frate Francesco l'ha sognata e Dante l'ha cantata. E così sia.

mercoledì 16 marzo 2011

Il Papa a Piacenza? Se Dio vorrà

Verrà il Papa a Piacenza? Sono passati 23 anni dall'ultima visita piacentina di un pontefice. E' un tempo sufficiente ad averne un'altra? Il sindaco Roberto Reggi, sabato a Roma con l'Anci, ci ha provato, nel brevissimo colloquio individuale. La risposta di Benedetto XVI non è stata troppo incoraggiante. Poichè Reggi è stato uno dei dieci-dodici sindaci ricevuti, è verosimile che ogni altro collega, nel suo brevissimo colloquio individuale, abbia fatto il medesimo invito. Ed è verosimile che il Papa abbia risposto, in tutte le occasioni, con la medesima formula: "Se Dio vorrà, molto volentieri". Sotto riportiamo la cronaca dell'incontro come apparsa su Libertà.

«Se Dio vorrà, molto volentieri». Papa Benedetto XVI affida alla volontà dei cieli la sua visita a Piacenza e risponde così al cortese invito del sindaco Roberto Reggi. Siamo nella Sala Clementina del Vaticano, dove, ieri mattina, papa Ratzinger ha ricevuto personalmente i primi cittadini rappresentanti dell'Anci, l'Associazione nazionale comuni d'Italia. Il colloquio tra Reggi e il capo della Chiesa cattolica è durato una manciata di secondi. «L'ho ringraziato per le sue parole che suonano come un sostegno grande per i sindaci e le loro fatiche in questo particolare momento storico» racconta Reggi che è anche riuscito, nel poco tempo a disposizione, a spiegare al Papa come Piacenza sia all'avanguardia nello sviluppo civico dei concetti di solidarietà e sussidiarietà. Temi sottolineati da Ratzinger nel suo intervento. Infine il saluto e l'invito: «Santità, Piacenza l'aspetta».
Prima di Reggi, sono sfilati davanti a Benedetto XVI il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, di Firenze Matteo Renzi, di Padova Flavio Zanonato, di Reggio Calabria Giuseppe Raffa. Durante l'incontro di ieri mattina con il pontefice i sindaci hanno sottolineato che con la crisi economica sono in forte aumento le nuove povertà e i bisogni primari delle persone, bisogni che chiedono soluzioni. I sindaci e le amministrazioni locali si trovano a dovere fare a meno di risorse che sono indispensabili. «Nonostante tutto ciò renda particolarmente difficile la nostra opera quotidiana - ha detto Reggi - siamo consapevoli del nostro ruolo e dei nostri doveri. Abbiamo il compito di portare avanti quotidianamente il nostro lavoro e la nostra azione con sacrificio, dedizione e amore per il nostro Paese, operando con fiducia e speranza, con lo stesso spirito di Giorgio La Pira». Il pontefice ha esaltato il ruolo della solidarietà come principio per la convivenza tra diverse espressioni dell'umanità all'interno di uno stesso paese. Parlando dell'immigrazione, ha sottolineato l'importanza dell'elemento di solidarietà. «Oggi la cittadinanza si colloca nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza anche per i grandi flussi migratori. Di fronte a questa realtà bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi - ha detto Benedetto XVI - affinché non venga stravolta la convivenza sociale». Il Santo Padre ha anche ricordato «che le realtà ecclesiali, quali parrocchie, oratori, case religiose, istituti cattolici di educazione e di assistenza si collocano tra "le formazioni intermedie presenti nel territorio che svolgono attività di rilevante utilità sociale, essendo fautrici di umanizzazione e di socializzazione, particolarmente dedite alle fasce emarginate e bisognose. Desidero ribadire che la Chiesa non domanda privilegi, ma di poter svolgere liberamente la sua missione, come richiede un effettivo rispetto della libertà religiosa, che consente in Italia la collaborazione fra la comunità civile e quella ecclesiale».
Federico Frighi


13/03/2011 Libertà

martedì 15 marzo 2011

Via Arata, tregua per la quaresima?

Si può finalmente tirare un sospiro di sollievo sulla vicenda di via Arata? La decisione del parroco, don Giancarlo Conte, di rinunciare al progetto di attrezzare l'area verde, arriva come una boccata d'ossigeno in un'atmosfera rarefatta dove l'aria si tagliava con il coltello. L'effetto boomerang della vicenda contro la Chiesa rischiava di portare più danno del bene che avrebbe fatto un'area di aggregazione per i giovani e dedicata alle feste. E' l'unica cosa che di positivo c'è in questa vicenda.

Per il resto hanno perso veramente tutti.

1) Il Comune. Ancora una volta siamo qui a parlare di difetto di comunicazione! Lo hanno ammesso anche quelli dell'amministrazione sulla prima fase del progetto. Si poteva fare una assemblea pubblica o passare attraverso la Circoscrizione che esiste almeno per essere informata. Niente. Del progetto ne ha scritto per la prima volta Liberta' quando già la concessione comunale era attiva: ovvero dopo il 5 gennaio di quest'anno. Con tutti i soldi che spende il Comune di Piacenza, investa una volta per tutte su un ufficio comunicazione e partecipazione e gli dia poi retta!

2) La parrocchia di San Giuseppe Operaio
Esistono degli organismi partecipativi all'interno della Chiesa, vedasi il consiglio pastorale parrocchiale e il consiglio economico parrocchiale. Si usino! Non ci si può dimenticare di loro quando ci sono 168 mila euro da spendere! Solo così la decisione ultima del parroco può essere veramente partecipata e condivisa.

3) Il comitato di via Arata
Prendersela con un prete che dal '71 ad oggi ha tirato su generazioni di Piacentini attorno al campanile della Galleana, appendere striscioni ai balconi contro la parrocchia, scagliarsi con toni sopra le righe contro un progetto che fa giocare ed educa i bambini cittadini di domani, tutto questo, anche se si ha ragione, se si e' cattolici o anche solo cittadini di oggi non deve essere stato facile. Eppure e' stato. Sono diversi i modi per protestare e per difendere i propri diritti. Ci sono in primo luogo gli esposti, poi le cause legali. Le manifestazioni di piazza e la macchina del fango azionata contro un prete sono cose da far intervenire l'esorcista. In quaresima poi...


Inviato da iPhone

giovedì 10 marzo 2011

Doveva diventare vescovo, andrà parroco a Castelsangiovanni

Don Lino Ferrari dunque lascia il suo incarico da vicario generale e si appresta a ricoprire quello di parroco di Castelsangiovanni. In tanti lo hanno festeggiato nella sala delle Colonne della Curia, dopo la messa di commiato nella cripta del Duomo. Segno di un grande affetto per il sacerdote che poteva tranquillamente essere scelto come vescovo di una diocesi. Si era parlato di Pontremoli ma non se ne fece poi nulla. Ancora prima, una volta sceso da Bedonia ed arrivato in Nostra Signora di Lourdes, c'è chi dice che rifiutò una nomina a presule. I suoi ex parrocchiani ancora oggi sarebbero disposti a metterci una mano sul fuoco. Lui non ha mai confermato.


«Si chiude un capitolo della mia vita. Sono momenti per certi aspetti faticosi, per altri belli, perché si passano in rassegna volti e incontri. Posso dire di aver trovato in questi sette anni amicizia e collaborazione». Così monsignor Lino Ferrari ha celebrato ieri mattina la sua ultima messa da vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio. Tra le colonne della cripta del Duomo, scelta come luogo della messa di commiato, tanti amici, il personale degli uffici di Curia in testa. A concelebrare ben 14 sacerdoti, in gran parte direttori degli uffici diocesani. Monsignor Ferrari si emoziona: «Non mi aspettavo così tanta gente». Poi inizia l'omelia nel segno della gratitudine. «Dire grazie - osserva - è riconoscere di aver ricevuto tanto; ciò rende più positivi, anche nei confronti degli altri, meno pieni di pretese, capaci di riconoscere il bene che c'è in ciascuno di noi». «Anche Gesù ha mostrato questo atteggiamento - continua -, innanzi tutto nei confronti del Padre: dice grazie al Padre prima da lasciare sè stesso in dono ai discepoli; l'offerta della sua vita è il suo grazie più grande». «Gesù ha anche gradito il ringraziamento del lebbroso guarito - prosegue - che da solo ha sentito l'esigenza di ringraziare. Perché è un'esigenza nei confronti di Dio e degli altri. Ringraziare fa bene».
Passa in rapida rassegna i sette anni appena terminati. «Non cancello i problemi che pure ci sono stati - ammette -. Posso però affermare che il mio desiderio è sempre stato quello di contribuire a creare un clima sereno. Ho sempre ripetuto che il lavoro non mi fa paura, sono le tensioni che pesano, le tensioni dovute, a volte, a chiusura e a mancanze di comunicazione. D'altronde l'efficienza non è l'unico criterio di organizzazione in qualsiasi ambito, neppure per un'impresa, come afferma il Papa nell'enciclica Caritas in veritate. Se non siamo noi a testimoniare come cristiani che l'atteggiamento del dono e dell'accoglienza reciproca e dell'amicizia deve permeare ogni attività... »
«Gli uffici di Curia e gli altri collegati - ci tiene ad evidenziare - sono collaboratori della missione della Chiesa. Tutti rappresentiamo il volto della nostra Chiesa, anzi per molti siamo noi il volto della Chiesa in quanto tale, perchè è attraverso di noi che la incontrano, quella Chiesa, che è comunione e che ha la carità come legge fondamentale».
«Il nostro è un servizio innannzi tutto al Signore e alla Chiesa - ribadisce don Lino -. Ha un sapore diverso anche l'impiego, la fatica, quando l'atteggiamento di fondo è questo. Dobbiamo saper dare agli impegni piccoli di ogni giorno un grande orizzonte». Infine la preghiera per il suo successore, monsignor Giuseppe Illica e per il suo nuovo incarico pastorale, quello di parroco a Castelsangiovanni.
Al termine della celebrazione l'omaggio del personale della Curia a monsignor Ferrari nella sala delle Colonne. Don Lino entrerà nella sua nuova parrocchia domenica 3 aprile accompagnato dal vescovo Gianni Ambrosio. Lunedì prossimo, alle 12 e 30, sarà la volta di don Illica a fare il suo ingresso ufficiale nella Curia di Piacenza-Bobbio.
Federico Frighi


08/03/2011 Libertà

martedì 8 marzo 2011

Vicini e lontani/ Monari: la comunità si faccia carico degli immigrati

Nuova puntata di Vicini e lontani. La lettera del vescovo di Brescia, Luciano Monari, già presule della diocesi di Piacenza-Bobbio ed oggi cittadino onorario di Piacenza, è stata scritta quando ancora il caso della Libia doveva esplodere. Oggi la proponiamo perchè ci sembra più che attuale.

Stranieri, ospiti, concittadini. Il percorso che il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, indica nella sua Lettera alle comunità cristiane riprende le indicazioni della lettera agli Efesini: «Così dunque voi non siete più stranieri, Né ospiti ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio».
Pubblicata in occasione dei santi patroni della città, Faustino e Giovita, che si ricordano il 15 febbraio, la Lettera analizza il fenomeno migratorio chiedendo quale sia l’atteggiamento delle diocesi, delle parrocchie, dei gruppi ecclesiali e dei cattolici impegnati in politica. Questi ultimi, dice il vescovo, devono «evitare e impedire qualsiasi forma di discriminazione». «Con questo termine», specifica, «mi riferisco a comportamenti vessatori che trasformano i diritti in scelte di compiacenza; che usano le lentezze burocratiche per sfiancare le persone e costringerle alla rassegnazione o alla rinuncia; che usano due pesi e due misure a seconda della nazionalità o del colore della pelle. Non è lecito a un cristiano approfittare della condizione di debolezza del contraente immigrato per imporre contratti non equi (penso naturalmente ai contratti di affitto o di lavoro».
Ma prima di rivolgersi alla comunità politica e civile, il vescovo si rivolge a quella cristiana che, scrive monsignor Luciano Monari, «è chiamata ad accogliere i credenti battezzati da qualunque parte essi provengano: sono a pieno titolo membri delle nostre stesse comunità». Nei confronti di questi credenti «è necessario impegnarsi attivamente per offrire un’accoglienza calda; ci vogliono persone che prendano l’iniziativa di andare incontro ai nuovi arrivati, di interessarsi di loro, di introdurli poco alla volta nei diversi luoghi e alle diverse iniziative della parrocchia».
«Non possiamo lasciare agli immigrati», aggiunge il vescovo, «tutta la fatica di inserirsi nella comunità; deve essere anche la comunità che se ne fa carico in modo esplicito». Se un immigrato si sente accolto, si integrerà anche più facilmente, suggerisce la lettera indicando come momenti di accoglienza le feste, i gruppi di ascolto della parola di Dio, la devozione mariana. Analogo discorso può essere fatto anche per i cristiani ortodossi, protestanti o evangelici. Anche se, per quanto riguarda la partecipazione ai sacramenti, il vescovo raccomanda di fare tutto con chiarezza e senza ambiguità seguendo le norme dei diversi documenti della Santa sede e del recente Vademecum pubblicato dalla Cei «per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici».
Monsignor Monari non dimentica neppure la complessità e i problemi relativi a movimenti, sette e comunità religiose di provenienza africana e latinoamericana che mirano «alla soddisfazione di un bisogno psicologico soggettivo» e avverte del «pericolo che questi movimenti rappresentano per la fede». Per questo chiede che non si offrano ambienti parrocchiali per pratiche psicologiche che sconfinano nel religioso.
Altri percorsi, invece, richiede il dialogo con credenti di altre religioni, in particolare musulmani e buddisti. Di essi non possiamo disinteressarci, dice il vescovo. Senza confondere le religioni in una miscela indistinta va però sottolineato che «tutte le religioni conoscono e proclamano alcuni aspetti veri di Dio e dell’uomo e possono favorire la crescita della convivenza umana e del rispetto reciproco. È doveroso verso tutti quell’amore che accetta cordialmente l’esistenza dell’altro». E raccomanda di incoraggiare la presenza di bambini e ragazzi anche di altre religioni nella vita degli oratori. Così come di favorire momenti di dialogo, di festa, di collegamento che sciolgono alcuni sospetti e timori istintivi e che facciano superare isolamento e paura. «Possiamo condurre gli uomini a credere nell’amore di Dio solo amandoli concretamente con un amore sincero e generoso, con una prassi di vita che sia fraterna e accogliente».
Non si tratta di mero buonismo, ma di cercare, anche a livello politico e legislativo tutte quelle soluzioni che possano migliorare la qualità dell’esistenza di ciascuno e della comunità civile nel suo complesso. Per questo in particolare i cattolici impegnati in politica dovrebbero assicurare l’accoglienza dei rifugiati che fuggono da condizioni di ingiustizia e di oppressione, ricordando che i beni della terra sono di tutti e devono servire per il sostentamento di tutti. Dovrebbero fare in modo che chi lavora presso di noi e contribuisce al nostro benessere «veda riconosciuta la propria attività e di essere messo in regola». Inoltre, per chi è già regolarizzato, dovrebbero battersi per far modificare la norma secondo la quale perde automaticamente il permesso di soggiorno l’immigrato che perde il lavoro. «La logica di questa norma appare del tutto egoistica», scrive il vescovo, «Finché mi servi ti tengo e faccio uso della ricchezza che produci, ma appena la tua presenza smette di servirmi ti caccio». E ancora dovrebbero farsi carico del problema dei bambini nati da genitori stranieri che appartengono, come cittadinanza, a uno Stato del quale non conoscono lingua, usi, cultura e costumi, mentre non possono appartenere a quello italiano dove abitano, vanno a scuola, vivono; «bambini che sono, dal punto di vista culturale, italiani», sottolinea Monari. Così come dovrebbero favorire il riavvicinamento familiare e l’inserimento scolastico dei bambini stranieri.

Il rispetto della dignità dell’altro dovrebbe guidare le scelte dei cattolici, conclude il vescovo, convinti che «discriminare può sembrare una scelta vantaggiosa, se si considera solo il profitto economico; in realtà si tratta di un comportamento che usa l’altro come fosse una cosa e finisce – per una specie di effetto-boomerang – per corrodere l’anima di chi lo compie».

Da Famiglia Cristiana (Annachiara Valle)

domenica 6 marzo 2011

Il giuramento del nuovo vicario

Comincia l'avventura da vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio per don Giuseppe Illica. Venerdì, come riportiamo nell'articolo sotto, ha giurato davanti al vescovo. All'appuntamento nella cappella vescovile è arrivato con qualche minuto di ritardo e questo ha fatto sorridere qualcuno. Beh, se non viene ne facciamo un'altro, ha scherzato un monsignore. Poi quando don Illica è arrivato ed ha cominciato, quasi sotto voce, a leggere la formula del giuramento ... beh a chi lo conosce sono venuti i brividi dall'emozione. Anche in quelle poche parole scritte da altri, si sentiva un uomo che ci crede per davvero. Nella parola di Dio e nel magistero universale della Chiesa.

"Io, sacerdote Giuseppe Illica, nell'assumere l'ufficio di vicario generale, prometto di conservare sempre la comunione con la Chiesa Cattolica, sia nelle mie parole sia nel mio modo di agire». Da ieri mattina l'ormai ex parroco di Castelsangiovanni, monsignor Giuseppe Illica, è ufficialmente il nuovo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio. Nella cappella del palazzo vescovile ha giurato di fronte al vescovo Gianni Ambrosio, al cancelliere di Curia don Mario Poggi e ai direttori degli uffici diocesani. Presenti, tra gli altri, il vicario generale uscente, monsignor Lino Ferrari e il vicario episcopale per la pastorale, monsignor Giuseppe Busani.
Un giuramento secondo una formula che prevede la recita del Credo, oltre alla promessa di essere fedeli sempre «in tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o trasmessa», e in tutto ciò che la Chiesa afferma con i suoi pastori, «sia con giudizio solenne sia con il magistero universale». La firma, poi il timbro e i sigilli, apposti dal cancelliere di Curia, chiudono la cerimonia.
Don Illica è dunque il nuovo vicario generale ma ci vorrà ancora qualche giorno prima che prenda possesso del suo nuovo ufficio. Bisognerà attendere fino a lunedì 14 marzo, quando, alle 12 e 30, nel salone degli arazzi di palazzo vescovile, incontrerà, per un saluto, i curiali e tutti coloro che lavorano nei vari uffici diocesani. La domenica successiva, il 20 marzo, saluterà definitivamente i parrocchiani di Castelsangiovanni.
Quasi contemporaneamente avanzerà il percorso inverso di monsignor Lino Ferrari, l'ormai ex vicario generale. Lunedì 7 marzo, alle ore 11 e 15 nella cripta del Duomo, terrà la messa di commiato. Subito dopo saluterà curiali e personale. Domenica 3 aprile farà il suo ingresso solenne, accompagnato dal vescovo Gianni Ambrosio, come parroco di Castelsangiovanni.
fed. fri.


05/03/2011 Libertà

giovedì 3 marzo 2011

Oratori nuovi, prima un progetto educativo

Si è tenuta questa mattina, giovedì 3 marzo, la penultima seduta del decimo Consiglio presbiterale diocesano che ha parlato della Missione popolare diocesana, della formazione permanente del clero e delle norme per i nuovi oratori. Essendo in scadenza (questo organismo consultivo, detto anche “senato del Vescovo”, è quinquennale e tornerà a riunirsi ancora il 5 maggio) ha dato indicazioni per il proprio rinnovo (entro il 5 maggio dovrebbero essere indicati già i sette rappresentanti dei vicariati a cui si aggiungeranno i cinque membri che verranno eletti in giugno nella giornata del Sacro Cuore) ed ha preso congedo dal vicario generale mons. Lino Ferrari. Come ha lui stesso precisato, con il 14 marzo prossimo lascerà l’incarico al Vicario generale eletto mons. Giuseppe Illica ed il 3 aprile farà il proprio ingresso nella sua nuova parrocchia di Castel San Giovanni.

La seduta di questa mattina è stata presieduta dal vescovo mons. Gianni Ambrosio ed è stata coordinata da don Federico Tagliaferri.

In apertura vi sono state le abituali comunicazioni di vita diocesana del vicario generale mons. Ferrari; al termine mons. Giuseppe Busani, vicario episcopale per la pastorale, ha aggiornato i presbiteri sulla Missione popolare, facendo riferimento soprattutto all’ultima seduta del Consiglio pastorale diocesano. In tale occasione in vescovo mons. Ambrosio ha presentato la propria “nota pastorale”, sono stati distribuiti i sussidi per i tre ambiti (relazioni, fragilità e cittadinanza) ed è stato distribuito il libro delle “preghiere per benedire e invocare benedizione”, pubblicazione che potrà accompagnare anche le prossime benedizioni delle famiglie nelle singole parrocchie. A questo proposito mons. Busani ha illustrato le diverse note tecniche che gli interessati possono trovare nello specifico sito della Missione popolare, sito che può essere raggiunto partendo dal portale della diocesi: www.diocesipiacenzabobbio.org.

E’ stata poi la volta dell’intervento del Vescovo che ha esaminato un tema, già altre volte affrontato dal Consiglio presbiterale: la formazione del clero. Dopo aver sottolineato che la formazione permanente del presbitero è indispensabile, che non è isolata dal suo ministero, ma è in rapporto al ministero stesso, mons. Ambrosio ha poi citato alcuni documenti pontifici.

La formazione del clero è una questione che sta molto a cuore al Vescovo, per questo ha coinvolto il Consiglio Presbiterale perché occorre trovare insieme anche qualche buon suggerimento pratico per aiutarci a trovare forme e modi che favoriscano l'attuazione di questo preciso dovere di ogni presbitero”.

Mons. Ambrosio ha posto alcune domande: quale cura è in atto oggi per la formazione dei presbiteri nella nostra Chiesa? cosa si potrebbe fare per rilanciare la formazione? visto che la nostra diocesi è vasta - risulta molto difficile incontrarci -, si può pensare a qualche `mezzo' per ovviare a questa (e ad altre) difficoltà: due/tre/quattro giorni residenziali con alcune tematiche da approfondire, collegamento via internet là ove è possibile, ecc.)?

“Le opportunità che abbiamo a disposizione – ha aggiunto il Vescovo - sono: il ritiro quasi mensile (a cui partecipa un buon numero di sacerdoti, anche per il fatto che si svolgono nel vicariato; la durata del ritiro è ristretta a due ore circa, più - ed è cosa buona - l'agape fraterna); gli incontri di formazione previsti (circa tre all'anno, con una relazione e il successivo dibattito): la partecipazione è più limitata, la durata è di due ore circa (più pranzo); gli esercizi spirituali (in versione ridotta): lo scorso anno sono stati tenuti a Bedonia e alla Bellotta (spero che si possa proseguire anche quest'anno); la festa del Sacro Cuore; la festa di san Vincenzo; il Convegno pastorale; la celebrazione del sacramento della riconciliazione”.

Mons. Ambrosio ha riconosciuto che le opportunità di formazione in diocesi sono molte e nella sua analisi ha fatto riferimento anche al ruolo dei documenti del Magistero strumento opportuno per la formazione del clero ed in particolare ne ha richiamati tre: “L'Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, datata 30 settembre 2010 ma resa pubblica il successivo 11 novembre; il Congresso eucaristico nazionale che si terrà ad Ancona ai primi di settembre; Gli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo. È il programma pastorale della Chiesa italiana in questo decennio”.

Su queste indicazioni del Vescovo, ovviamente espresse in modo molto più articolato e documentato, si è sviluppato un ampio dibattito i cui contributi hanno sottolineato come sia importante che, accanto a momenti diocesani, siano curati anche quelli di vicariato.

E’ stata poi la volta dei criteri per la realizzazione di nuovi oratori: il Consiglio Presbiterale si era già interessato di questo problema ed aveva chiesto un supplemento di dibattito sul rapporto tra oratorio, come struttura fisica, progetto educativo ed educatori. Questi due aspetti del problema sono stati richiamati dal don Giuseppe Lusignani, direttore dell’Ufficio per i beni culturali e quindi competente per il finanziamento e la progettazione degli edifici, e da don Paolo Cignatta, delegato per la pastorale giovanile, quindi coinvolto nell’attività degli oratori. Entrambi hanno richiamato i termini principali del problema: per i finanziamenti sono da evitare gli interventi a pioggia e l’intera questione, sia per i contributi Cei come per quelli di istituzioni private o esterne alla diocesi, devono passare attraverso un’unica visione diocesana. Come ha ricordato don Paolo Cignatta (il problema era stato richiamato anche da mons. Ferrari) un progetto di un oratorio deve sempre mettere sullo stesso piano sia la costruzione dell’edificio sia il progetto educativo (per molti quest’ultimo ha la precedenza). Nel dibattito è emerso che, accanto all’oratorio, struttura destinata alla formazione degli adulti alla fede, deve essere tenuta presente anche la necessità di aule per il catechismo (e questo chiama in causa anche parrocchie medio-piccole).

Al termine il Consiglio ha approvato all’unanimità che, nel richiedere la realizzazione di un nuovo oratorio, il progetto di un nuovo edificio sia sempre integrato da quello educativo; inoltre è stato chiesto agli uffici competenti di verificare se esiste la possibilità di destinare parte dei fondi dell’otto per mille anche alla costruzione di quegli oratori che abbiano particolari necessità per il catechismo e quindi riguardino anche parrocchie di dimensioni limitate.