giovedì 29 dicembre 2011

Africa Mission, emergenza alluvioni

È emergenza alluvione a Namalu, centro situato nella parte meridionale della regione ugandese del Karamoja. L'emergenza, seguita alle forti piogge che nelle ultime settimane hanno colpito, in modo anomalo per la stagione, l'intera area, ha messo in difficoltà in particolare 800 famiglie, tutte provenienti dal villaggio di Okudud. L'Ong piacentina Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo, che opera in Karamoja attraverso un progetto di protezione dell'infanzia più vulnerabile finanziato da Unicef, sta intervenendo attraverso il Distretto competente, quello di Nakapiripirit, per garantire la distribuzione degli aiuti alle famiglie alluvionate.
Gli 800 nuclei familiari colpiti dall'alluvione verranno trasferiti nel "Kyerwata resettlement centre", un centro in cui gli sfollati verranno accolti. Altre 430 famiglie, residenti nei villaggi di Nakiloro e Komojoj e nel centro di Namalu, raggiunte in modo meno grave dalla calamità, potranno rimanere invece nelle loro abitazioni, ma saranno aiutate attraverso la distribuzione di cibo, sapone, taniche d'acqua potabile e coperte. Nelle prossime settimane, i volontari dell'Ong piacentina saranno impegnati a garantire che gli aiuti previsti raggiungano tutte le famiglie colpite dall'emergenza.

"Anche per questo Natale - dichiara il direttore di Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo, Carlo Ruspantini - una situazione di emergenza in una delle aree più povere dell'Uganda ci richiama a un impegno concreto di solidarietà. Chiediamo a tutte le persone di buon cuore di sostenerci in questo intervento urgente. Chi vuole, può fare un'offerta effettuando un versamento sul conto corrente postale intestato a Cooperazione e Sviluppo Ong Onlus n° 14048292, specificando nella causale «Emergenza Namalu». Qualsiasi donazione, anche piccola, contribuirà a ridare fiducia a una popolazione, come quella karimojong, che vive difficoltà enormi, ma che sa offrire anche segni di grande speranza, come hanno testimoniato anche recentemente le centinaia di giovani ugandesi che hanno partecipato alla settimana della pace che abbiamo organizzato, come ogni anno, presso il nostro Centro giovanile di Moroto, in preparazione del Natale. Sono proprio momenti come questo che ci incoraggiano a continuare a lavorare per un futuro migliore per il Karamoja".
Alcuni giorni fa, infatti, quasi 350 ragazzi, di età compresa tra i 15 e i 25 anni, provenienti da tutti i 7 distretti del Karamoja, oltre che da Lira, Gulu e Soroti e anche dal Kenya, hanno preso parte a una manifestazione dedicata alla pace. L'evento, sul tema "Il dialogo è chiave di pace alla riconciliazione", è stato caratterizzato da un programma molto vario di attività, incentrate sulla tolleranza e messe in atto attraverso dibattiti ma anche momenti di preghiera, svago, sport, musica, danze e teatro. L'iniziativa ha offerto l'opportunità ai giovani di tutta la regione di potersi incontrare, dialogare, stare insieme, pregare e giocare in un clima di pace e fratellanza.


Inviato da iPhone

martedì 27 dicembre 2011

Ambrosio: l'uomo non si rinchiuda nella solitudine

(Is 52, 7-10; Eb 1, 1-6;Gv 1, 1-18)
1. “E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14). Con queste parole, collocate al centro del primo capitolo del suo Vangelo, il cosiddetto prologo, l’evangelista san Giovanni ci introduce nel mistero del Natale, la festa dell’Incarnazione. Il fatto decisivo della storia umana è presentato con questo sobrio annuncio: “E il Verbo si fece carne”. Nella contemplazione del mistero di Dio e dell’uomo con cui Giovanni apre il suo Vangelo, vengono richiamate le prime parole del libro della Genesi: Dio si rivela nella sua grande opera, la creazione del mondo e soprattutto dell’uomo. Questo è il prologo assoluto della storia che è storia di salvezza fin dall’inizio, perché fondata su Dio che si rivela e si dona: Egli è all’origine della vita e pone il suo sigillo creatore sull’uomo e sulla donna, fatti “a sua immagine” e chiamati a vivere nella sua amicizia. Ora la lunga storia della salvezza arriva al suo culmine. Dopo aver parlato in vari modi per mezzo dei profeti, come ricorda la lettera agli Ebrei, ora Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 2): egli nasce da una donna e pone la sua tenda tra noi. Con parole che richiamano la normalità dell’esperienza umana del nascere, il Verbo eterno, che “era, in principio, presso Dio”, assume la nostra natura umana. Egli che è luce e vita, viene alla luce e alla vita su questa nostra terra.
2. “Veniva nel mondo la luce vera, (…) eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne ne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11). Anche in questo caso l’evangelista Giovanni è scarno ma molto efficace nel descrivere il dramma dell’umanità. Già a Betlemme Gesù nasce in una stalla perché nell’albergo non c’è posto per lui. Poi è il suo popolo, preparato dalla predicazione profetica, a non accogliere il Verbo di Dio. Infine è l’intera umanità che attende la Parola ma è poca disposta ad ascoltarla.
Nel profondo del cuore l’uomo cerca Dio e attende la sua benevolenza, la sua vicinanza, il suo amore. Ma quando arriva il momento, quando Dio si manifesta e viene ad abitare tra la sua gente, non c’è posto per Lui. Tutto lo spazio e tutto il tempo sono per altre cose, sono per le proprie cose: non rimane nulla per Dio.
Forse l’uomo del terzo millennio, l’uomo del nostro Occidente, ha pensato di fare un passo in più: rinunciare persino a ogni attesa e costruire un mondo in cui Dio è superfluo. Tanto più di un Dio che si china su di noi e vuole manifestarci il suo amore e donarci la sua salvezza. Questo è il dramma dell’uomo, in particolare dell’uomo di oggi che arriva a rinchiudersi nella sua solitudine, nel suo ristretto orizzonte, nel buio della sua stanza e del suo cuore. Non è questa – lo sappiamo e lo sperimentiamo ogni giorno – la strada della vita e della luce.

3. “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Cari fratelli, riconosciamo la grazia che proviene dall’accogliere Cristo: con Lui e grazie a Lui diventiamo figli di Dio e possiamo vivere come suoi figli. Per questo Cristo è venuto e questo è il senso ultimo della nostra storia umana: diventare in Cristo figli di Dio.
Celebriamo allora la sua nascita, ma riconosciamo che nell’accogliere Lui, noi festeggiamo anche il nostro natale, la nostra nascita come figli di Dio, partecipiamo della vita stessa di Cristo che ha in sé la vita e la luce. Accogliere è il grande verbo della fede cristiana, è il verbo che genera la vita vera, abitata dalla presenza in noi di Colui che è la vita.
Nel Credo professiamo la fede con queste parole: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. L’incarnazione è “per noi uomini e per la nostra salvezza”, per riconciliarci con Dio e farci conoscere la sua benevolenza di Padre, per ridonarci la gioia dell’autentico progetto di umanità che ci conduce a diventare “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4).
La gioia del Natale è destinata a tutto il popolo: “Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 10). Tutti noi siamo i destinatari della benevolenza del nostro Dio, tutti abbiamo bisogno di luce e di speranza, tutti dobbiamo poter confidare nell’amore di un Dio che è Padre che ci ama. Sono tante le persone, vicine e lontane, che vengono in mente in quanto più bisognose dell’annuncio natalizio: penso a chi fatica e soffre, a chi ha perso il lavoro, ha chi non ha più fiducia, ha chi si è lasciato ingannare dalle cose che luccicano, a chi è solo e disperato. Preghiamo perché la nascita di Gesù Cristo possa portare a tutti la gioia della vita dei figli di Dio, la gioia di una vita nuova, una vita che dalla fede attinge la forza e l’entusiasmo. Preghiamo perché ogni persona che ha accolto e riconosciuto Gesù Cristo, sappia offrire a ogni uomo che incontra ragioni per vivere e per sperare. Amen.

+Gianni Ambrosio, vescovo

Messa di Natale 2011

Ambrosio: il Natale illumini la nostra vita

NATALE DEL SIGNORE, MESSA DELLA NOTTE
(Is 9, 2-4.6-7; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14)

Carissimi fratelli, carissime sorelle

1. Siamo qui perché Qualcuno ci ha chiamati e noi abbiamo risposto, in modo più o meno consapevole. Questo Qualcuno ha un nome, un volto, un cuore. Si chiama Gesù, Dio che salva, il suo volto è il volto del Figlio di Dio, il suo cuore è ricolmo di amore. Egli, il Signore Gesù, ci ha invitati qui perché noi potessimo gioire nel vedere l’amore di Dio per noi ed accogliere la sua benevolenza verso tutti noi. Questa è la grazia e la bellezza del Natale cristiano che ancora una volta ci è dato di celebrare e di vivere facendo memoria della nascita di Gesù a Betlemme. È lui che ci ha chiamati per “porre la sua tenda tra noi” e nei nostri cuori ed invitarci ad accogliere la sua salvezza. Celebriamo allora la memoria della nascita di Gesù a duemila anni di distanza, ma quell’evento non è solo una memoria significativa ma è una presenza viva e attuale: riviviamo con stupore in questa notte santa il mistero della nascita di Gesù e insieme viviamo con gioia il mistero della nostra rinascita. Il Figlio eterno di Dio, fatto uomo nel grembo di una donna, è il nostro salvatore: è venuto per liberarci dall’oscurità, dalle tenebre, dal male e donarci la luce, la grazia e la forza di una vita nuova, una vita redenta, la vita dei figli di Dio. Ci mettiamo ancora una volta in ascolto della Parola di Dio che è stata proclamata con l’atteggiamento di meraviglia, di lode e di preghiera di Maria, di Giuseppe e dei pastori.

2. Il profeta Isaia ci parla di un “popolo che camminava nelle tenebre”. La difficile situazione storica del popolo di Israele descritta dal profeta vale anche per noi oggi: le difficoltà, l’incertezza, l’oscurità segnano la nostra vita odierna. Isaia annuncia che “il popolo vide una grande luce” e questa luce viene dalla nascita di un figlio che ha titoli regali ed è portatore di pace: “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (…), il suo nome sarà Principe della pace”.
L’annuncio di Isaia si compie nella nascita di Gesù: egli è la speranza dell’umanità e di ciascuno di noi. Siamo chiamati a fare nostra la gioiosa professione di fede dell’apostolo Paolo: “è apparsa la grazia (la benevolenza) di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. È apparsa e si è manifestata la benevolenza di Dio nella fragilità del Bambino che nasce a Betlemme. “Egli – prosegue Paolo – ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità”. Guardando il volto di quel Bambino, diciamo anche noi con gratitudine: “ha dato se stesso per noi”. Il Figlio di Dio si fa uno di noi per donare se stesso per noi come nostro salvatore.

3. Il racconto evangelico della nascita di quel bambino appare scarno, ma l’evento è inaudito. Ci troviamo sconcertati di fronte al modo con cui Dio manifesta il suo amore e guida la storia dell’umanità. Nel cuore della notte, Dio si fa vicino a noi e nel dono dell’Emmanuele fa risplendere la luce per tutta l’umanità. “Non temete”, dice l’angelo del Signore ai pastori: “ecco vi annunzio una grande gioia (…), oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Sono convinto che l’invito a “non temere” è oggi particolarmente prezioso per tutti noi, pieni di paura non solo di fronte alle sofferenze e alle difficoltà, ma anche di fronte a Dio e alla sua benevolenza. Questa paura ci rende sospettosi e diffidenti. Pensiamo con molta presunzione di salvarci da soli, con la forza delle nostri mani e delle nostre opere. Pensiamo di poter riporre ogni fiducia nelle cose che passano, che difendiamo a denti stretti. Ma Dio non vuole incuterci timore, vuole invece donarci fiducia e speranza. Egli viene in nostro aiuto donandoci il Salvatore che ci libera dal male e ci rende capaci di vivere come suoi figli.

4. Cari fedeli, anche noi, come i pastori, affrettiamoci verso quel “bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Nel segno fragile di quel Bambino, Dio ci assicura il suo amore, la sua presenza. Possiamo allora riprendere il nostro cammino con l’entusiasmo della fede, con la luce della speranza, con la forza dell’amore: grazie a quel Bambino, ci riconosciamo figli nel rapporto con il Padre che ci ama e ci riconosciamo fratelli di ogni essere umano, tutti amati da Dio. Questa è la prospettiva luminosa in cui tutta la storia, personale e sociale, può essere vissuta come storia di vita e di speranza, anche nella svolta epocale cui ci sta costringendo l’attuale crisi economico-finanziaria ed etica. Nel mistero del Natale, troviamo le ragioni per vivere e per sperare, troviamo la luce per illuminare il nostro cammino. Accogliamo questo mistero con la semplicità dei pastori e con la fede disponibile di Maria, la Madre. Sia proprio Lei a prenderci per mano e ad accompagnarci a Cristo per farci incontrare personalmente con lui e trovare in lui la nostra unica salvezza e il principio della nostra gioia e della nostra speranza. Sia questo, carissimi fedeli, per tutti noi e per le nostre famiglie l'augurio più bello per il nostro Natale cristiano. Amen.

+Gianni Ambrosio, vescovo

Messa della notte di Natale 2011

sabato 24 dicembre 2011

Sia un Natale di buone relazioni

A tutti i piacentini esprimo il mio augurio natalizio con il canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. Aggiungendo subito che Dio ama tutti gli uomini. Quel bimbo che nasce a Betlemme viene a condividere la nostra vita umana per farci condividere la vita di Dio. Un dono offerto a tutti, un dono che apre la strada della vita e della salvezza. L’angelo annuncia: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Quel bambino che è nato ci assicura che Dio ci ama. Allora la gloria dei cieli e la pace sulla terra si intrecciano, si fondono: vi è ormai un’unica storia, una storia aperta che ha una direzione di marcia, una destinazione precisa, un compimento in colui che è disceso dal cielo per noi.

Per questo auguro di saper accogliere il mistero che si rivela attraverso il segno fragile di un bimbo che viene alla luce per condurci alla pienezza della luce. Lasciamoci coinvolgere dalla sorprendente iniziativa di Dio che vuole donarsi a noi accogliendoci come figli amati e benedetti. E la serenità quasi spontanea che sgorga dal cuore accolga quella pace che viene dall’alto e porti speranza e fiducia.

Abbiamo bisogno di luce, di coraggio, di speranza in questi tempi difficili. Non è il caso di ricordare ciò che viene continuamente ripetuto e ciò che quotidianamente sperimentiamo: difficoltà, crisi, mancanza di fondi, precarietà del lavoro, futuro incerto. Quanti volti preoccupati, quante situazioni difficili, quanti cuori stanchi. Per molte famiglie e per molti giovani il lavoro che è venuto meno non offre garanzie per il futuro. Per la condizione di solitudine e di malattia tanti anziani sono in difficoltà. La lista è lunga: ciascuno mette in risalto la propria situazione e le proprie ragioni che sembrano tarpare le ali della speranza.

Ma non stona l’augurio di Natale, anzi. Quel bimbo che nasce a Betlemme non ha trovato posto nell’alloggio. C’è un drammatico realismo in quella nascita che non offusca la gioia del sentirci amati e non interrompe il cammino della storia verso la luce e la salvezza. Un realismo salutare per noi immersi nel nostro oggi, nel travaglio del nostro tempo. Ci spinge a non chiuderci in noi stessi: dobbiamo invece aprirci e aiutarci perché tutti possano trovare un posto. Ma dobbiamo anche convincerci che sono molte le illusioni da abbandonare. Va smascherata l’idea che più si ha e più si è felici. Non è vero che più si consuma e più si è appagati. Riscopriamo altre verità degne dell’uomo, alla luce di quel bambino che non ha trovato posto. I beni relazionali, la qualità delle relazioni interpersonali in famiglia, nei luoghi di lavoro, nella società civile, sono assai più preziosi di altri beni e concorrono decisamente ad aumentare la nostra felicità. Forse varrebbe la pena, contemplando quel bambino che nasce in una mangiatoia, osservare i nostri bambini che non cercano solo i giocattoli ma anche – e soprattutto – le buone relazioni, con i propri genitori, con i fratelli, con i compagni. La preferenza del bene di tutti al lusso di pochi, la sostenibilità del tenore di vita, la solidarietà creativa, la gestione dei nostri bilanci personali e comunitari, lo stile con cui vengono organizzati eventi di diverso genere: anche qui la lista è lunga e ognuno può trovare qualcosa da rivedere perché tutti possano sentirsi accolti e amati, perché ciascuno di noi sappia contribuire ad una società capace di amare.

Per questo l’augurio che desidero rivolgere a tutti è che la nascita di Gesù – è lui il festeggiato, ma con lui siamo tutti noi – porti nei vostri cuori, in ogni casa e in ogni comunità, la volontà e la forza di superare la tentazione dello scoraggiamento, della rassegnazione, dell’indifferenza. Susciti in ognuno l’impegno a unire le forze per aprire vie nuove in ogni ambiente di vita: in famiglia, in parrocchia, nel mondo del lavoro, nella società. Sapendo che non siamo mai soli: Gesù è l’Emanuele, il Dio con noi. Buon Natale a tutti!

vescovo Gianni Ambrosio

mercoledì 21 dicembre 2011

Morto don Giovanni Carpanese

E’ morto questa mattina a Chiavari don Giovanni Carpanese.
Nato a Santo Stefano d’Aveto (località in provincia di Genova e in diocesi di Piacenza-Bobbio) il 12 giugno 1928. Ordinato sacerdote a Bobbio dal vescovo mons. Zuccarino il 12 giugno 1954, ha svolto per un paio d’anni il servizio pastorale come curato a Romagnese per assumere poi la guida, come parroco, della parrocchia di Cerreto. Nel 1959 è stato nominato parroco di Zerba dove è rimasto fino al 1996, quando si è ritirato nel suo paese d’origine per motivi di salute.

sabato 17 dicembre 2011

Ambrosio e la trottola, un vescovo tra la gente

Monsignor Eliseo Segalini, all'incontro tra i politici e il vescovo per gli auguri di Natale, ha ringraziato il presule per la sua disponibilità e il suo voler stare tra la gente e lo ha simpaticamente definito una trottola. Ecco la frase:
Lei al Macra ha detto una cosa molto bella. Dà la priorità ai beni relazionali. Eccellenza lei davvero è una trottola che gira da tutte le parti, in tutti gli angoli. Credo che non sarà una novità per nessuno averla vista sul territorio non soltanto nelle chiese, che sono il posto del vescovo, ma anche in tanti luoghi della diocesi.

Ambrosio ai politici: unità, speranza, responsabilità per far crescere il Paese


Vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro in cui ci scambiamo gli auguri di un buon Natale e di sereno anno nuovo. Nello stesso tempo è l’occasione per esprimere il mio ringraziamento personale e della comunità ecclesiale per il vostro servizio di amministratori, non facile già nei momenti più tranquilli ma certamente più difficile in questo periodo.

Come già negli anni scorsi, desidero offrire un piccolo dono. Quest’anno non abbiamo un’enciclica sociale come la Caritas in veritate di Benedetto XVI. Allora ho pensato di offrirvi un documento del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. A Reggio Calabria si è tenuta la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dal 14 al 17 ottobre 2010 con questo titolo: Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese. Poi il 22 febbraio 2011 è uscito il documento conclusivo intitolato Un cammino che continua…dopo Reggio Calabria. Questo è il piccolo dono che vi offro: si tratta di una riflessione sul nostro Paese e sul suo futuro. È un documento un po’ lungo. So che non avete molto tempo da dedicare alla lettura, allora ho pensato di proporvi tre parole – peraltro presenti nelle prime pagine - per suscitare il vostro interesse ad approfondire l’agenda di speranza per il futuro del Paese.

Al n. 3 di questo documento si legge che sono tre le parole capaci di conservare la memoria della 46a Settimana Sociale: unità, speranza, responsabilità. Effettivamente queste sono state le parole riassuntive e conclusive dei lavori. Credo che possiamo e dobbiamo farle nostre in questo momento difficile. Cosa hanno significato per la Settimana Sociale e cosa possono significare soprattutto per voi amministratori?

Parto dall’unità. La Settimana Sociale – con le relazioni, il confronto, il lavoro nei gruppi di studio e in assemblea – è stata l’occasione per una riflessione a molte voci dei cattolici italiani. Tutte le diocesi italiane vi hanno partecipato, insieme ai gruppi, ai movimenti, alle associazioni. È stato un momento importante di discernimento comunitario, di riflessione comune, di racconto di esperienze. Al termine di quelle giornate, la prima indicazione è stata questa: “Non va smarrito quel senso di unità nato dalla meraviglia provata quando nei momenti assembleari e nelle sessioni di studio ci siamo reciprocamente testimoniati la dedizione appassionata e le competenze personali, la vitalità delle Chiese locali e il loro faticoso e attivo sperare”. Il fatto dell’unità è stato molto arricchente non solo a livello personale ma anche a livello ecclesiale, in quanto è stato un modo per coinvolgere soggetti diversi per perseguire in modo concreto il cammino verso il bene comune.
Credo che questa via di unità sia fondamentale. L’esperienza dei cattolici a Reggio Calabria, che insieme hanno cercato e proposto un’agenda di speranza per l’Italia, è la via da percorrere. Sappiamo che le difficoltà possono spingerci a chiuderci in noi stessi, ma è una strada senza alcun sbocco, che non porta da nessuna parte. Ci si salva solo insieme, ci viene ripetuto dal Presidente della Repubblica: “io sono convinto, ha affermato il Presidente, che riusciremo tutti insieme a fare ciascuno la propria parte con senso di giustizia, ma anche con alto senso di responsabilità e spirito di sacrificio”. Se questo ci viene ricordato come invito e come ammonimento, è perché finora questa non è sempre stata la strada che abbiamo percorso. È facile pensare all’altro che non percorre questa strada. Ma dobbiamo pensare anche a noi stessi, alle nostre pratiche amministrative, al nostro modo di pensare la vita politica. Se non si percorre questa strada, risulterà difficile ‘salvarci’. Non penso solo alla crisi e alle sue conseguenze. Penso a quell’impegno a “promuovere anzitutto una cultura dell’uomo, della vita, della famiglia, fonte di uno sviluppo autentico”. Ecco la prima parola e il conseguente invito per dare risposte collettive ai nostri problemi con un più vivo senso di unità.

La seconda parola è la speranza. Troviamo nel nostro documento questa frase: “il lungo e ricco cammino di preparazione” ci ha aiutato a “diventare più consapevoli della forza della speranza”. Sì, posso anch’io testimoniare, insieme alle persone della nostra diocesi che erano a Reggio Calabria, che il clima di ascolto reciproco, di confronto costruttivo, senza conflitti e senza esasperazioni, ci ha resi più consapevoli della speranza. Credo che tutti dobbiamo favorire questa esperienza che ci apre alla speranza. La nostra storia italiana attesta che così è avvenuto nei momenti più difficili e delicati della nostra vicenda storica: la forza della speranza ha dato slancio a un popolo che, su posizioni diverse, ha saputo costruire la nostra Italia.
Qui mi permetto di suggerire due rapide considerazioni. La prima è nel nostro documento: “Ci siamo detti come stanno le cose e qual è la posta in gioco, abbiamo messo a fuoco le questioni cruciali e realisticamente prioritarie. Non ci si è nascosti di fronte ai dati della realtà”. È davvero importante questo realismo, che ci evita sia di far finta che i problemi non esistano sia di cadere in un certo disfattismo a causa delle polemiche da salotto che inducono al fatalismo e alla rassegnazione. Credo che sia sufficiente ricordare che la ‘commedia dell’arte’ è nata in Italia ed è diventata molto popolare, ricordando però che in questo caso ‘arte’ significava il ‘mestiere’, la professione di commediante: non a caso all’estero è stata chiamata ‘commedia italiana o all’italiana’.
La seconda considerazione è anch’essa molto presente nel documento. La riassumo così: proprio la situazione di crisi che viviamo deve aiutarci a uscir fuori dall’errore commesso non solo negli ultimi decenni ma da parecchio tempo, quello di non considerare l’uomo come un intero, ma di vederlo sempre e solo dal punto di vista dei suoi bisogni materiali, nella logica riduttiva del produttore/consumatore, anzi spesso solo come consumatore.

La terza parola è responsabilità. Anche in questo caso l’esperienza di Reggio Calabria ha favorito la presa di coscienza della responsabilità in riferimento a ogni ambito della vita, in particolare in riferimento alla vita civile e ai giovani. Il documento si sofferma su diversi aspetti in cui è necessario lavorare seriamente per il bene di tutti e di ciascuno pensando al futuro: questo deve essere l’intento di tutti. Anche qui mi chiedo se e come questa presa di coscienza possa valere per tutti i nostri cittadini, dai genitori agli amministratori, dalla scuola alla comunità ecclesiale. Nel travaglio del nostro tempo, responsabilità vuol dire che noi dobbiamo ricuperare sia un sano e salutare realismo – molte sono le illusione da abbandonare – sia uno slancio progettuale che faccia leva su verità degne dell’uomo. Va smascherata l’idea che più si ha e più si è felici, non è vero che più si consuma e più si è appagati. Responsabilità significa allora riscoprire altri beni, apprezzarli e valorizzarli. Penso ai beni relazionali nella famiglia, nei luoghi di lavoro, nella società civile: sono assai più preziosi di altri beni e concorrono decisamente ad aumentare la nostra felicità. Ma per accogliere e far valere questi altri e più preziosi beni, occorre il concorso di tutti, anche delle amministrazioni, nella loro gestione delle risorse e poi anche nella concezione stessa dell’amministrazione. Se si segue e si pratica un modello verticistico di vita sociale, si diffonde la ‘cultura del dovuto’: questa cultura, lo vediamo, non aiuta a formare una società civile responsabile.

Unità, speranza, responsabilità: sono tre parole semplici ma fondamentali per il bene comune, per far sì che il nostro Paese torni a crescere, per dare un futuro meno incerto alle generazioni più giovani. Siamo tutti chiamati in causa in quest’opera che è di amore verso il nostro Paese, verso i nostri concittadini, verso i nostri giovani. So che voi amministratori già state facendo parecchio in questa direzione e anche di questo vi ringrazio molto.

Concludo rinnovando a voi, alle vostre famiglie e ai vostri concittadini gli auguri più fervidi di buone feste natalizie. Vi assicuro anche l’accompagnamento della comunità ecclesiale, in particolare con il sostegno della preghiera.

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

lunedì 12 dicembre 2011

Sacerdote a 45 anni

Dopo una serie di lutti nel clero diocesano e la scomparsa di ben tre sacerdoti in pochi giorni, ecco una new entry, un nuovo sacerdote che diventa tale a 45 anni. Per rispondere alla vocazione c'è sempre tempo.

L'ordinazione di un sacerdote diocesano continua ad essere un momento importante non solo dal punto di vista spirituale, anche da quello sociale e civico. Ecco perchè ieri in prima fila nel duomo di Piacenza c'erano tre sindaci di altrettanti comuni (Ludovico Albasi di Travo, Maria Bianchi di Gossolengo, Massimiliano Lodigiani di Santo Stefano Lodigiano), tutti in fascia tricolore, dunque a rappresentare le rispettive comunità al di là del colore politico. Presente anche il vice sindaco di Coli. Ecco perchè c'erano gli immancabili alpini con i loro cappelli piumati e le tute arancio dei volontari della Pubblica Assistenza Valtrebbia con il loro gonfalone. A rispondere sì alla chiamata del Signore è don Costantino Tomaso Dadda. Una vocazione adulta la sua, visto che diventa prete a 45 anni. Nato a Santo Stefano Lodigiano, da ragazzo studiò al collegio San Francesco dei Padri Barnabiti di Lodi, successivamente iniziò gli studi al Collegio Alberoni, salvo poi uscirne per diventare operatore di un'impresa di servizi funebri in Valtrebbia. Lavoro che lo ha fatto conoscere in provincia e stimare per il suo tatto e il suo garbo in un momento difficile e delicato della vita di una famiglia come quello della scomparsa di un proprio caro. Divenuto diacono permanente ha di nuovo risposto alla chiamata vocazionale, stavolta in via definitiva. Così ieri pomeriggio ha risposto sì alle domande del vescovo Gianni Ambrosio (presentato da monsignor Carlo Tarli, delegato vescovile per il diaconato permanente) ed è diventato sacerdote della diocesi di Piacenza-Bobbio. Il neo prete ha fatto propria l'omelia del presule. «Ovunque la provvidenza ti invierà ad esercitare il ministero tu annuncerai la parola di Dio e celebrerai l'eucarestia portando il sigillo della grazia del sacramento - lo ha esortato Ambrosio -. Il tuo sacerdozio sarà per tutti, per i giusti e i peccatori, per i piccoli e per i grandi, sarai segno della presenza di Dio in un mondo che spesso preferisce gli idoli. Porrai gesti di consolazione e generosità per essere seme di Dio che è amore. Ti comporterai con gratitudine, stupore, obbedienza, fedeltà alle promesse, vivrai la fraternità sacerdotale con il presbiterio. Lascia che Cristo sia tutto per te».
La celebrazione è stata accompagnata dai canti della corale della cattedrale mentre il servizio liturgico è stato svolto dai seminaristi del Collegio Alberoni. Don Costantino Dadda è il secondo sacerdote ordinato dal vescovo Gianni Ambrosio nel 2011 e porta il totale del clero diocesano a 300 preti. In attesa di un nuovo incarico, inizierà il proprio ministero sacerdotale nelle zone di Perino e Travo dove fino a ieri ha prestato servizio come diacono.
Federico Frighi


05/12/2011 Libertà

venerdì 9 dicembre 2011

Nomine, Santimento ad un prete brasiliano

Con Atto proprio di S. E. mons. Vescovo in data 24 Novembre 2011 il M. R.
Busi don Angelo, parroco di Borgo Val di Taro, provincia di Parma, mantenendo i precenti incarichi, è stato nominato Vicario episcopale territoriale del Vicariato 7 Val Taro-Val Ceno.

Con Atto proprio di S. E. mons. Vescovo in data 24 Novembre 2011, al M. R.
Figuredo Mendes don Luiz Carlos, vicario parrocchiale di Gragnano, è stato affidato l¹incarico di collaboratore nel servizio pastorale presso la parrocchia di Santimento, Comune di Rottofreno, Provincia di Piacenza.


Con Atto proprio di S. E. mons. Vescovo in data 24 Novembre 2011, il M. R.
Cattivelli don Franco, vice rettore del Seminario Vescovile di Bedonia PR è stato nominato moderatore dell¹Unità pastorale 1 del Vicariato 7 Val Taro-Val Ceno.


Con Atto proprio di S. E. mons. Vescovo in data 24 Novembre 2011, il M. R.
Ferraglio don Giacomo, parroco di Ottone e Rovegno, mantenendo i precedenti incarichi, è stato nominato amministratore parrocchiale delle seguenti
parrocchie:


*Santi Antonio abate e Giacomo Apostolo in Fontanigorda, Provincia di Genova, resasi vacante in seguito al decesso dell¹ultimo titolare il M. R.
Cavatorta don Giuseppe;


*San Bartolomeo apostolo in Casoni, Comune di Fontanigorda, Provincia di Genova;


*Santa Giustina in Canale, Comune di Fontanigorda, Provincia di Genova;


*San Pietro Apostolo in Casanova, Comune di Rovegno, Provincia di Genova;


*San Giuseppe e Sant¹Antonio di Padova in Pietranera, Comune di Rovegno, Provincia di Genova.


Con Atto proprio di S. E. mons. Vescovo in data 24 Novembre 2011, il M. R.
Musso don Emanuele Massimo, parroco di Tornolo PR, mantenendo i precedenti incarichi, è stato nominato assistente ecclesiastico dell¹ U.N.I.T.A.L.S.I., sottosezione di Borgotaro-Bedonia PR.


Dalla Curia vescovile
Piacenza 9 dicembre 2011
il Cancelliere Vescovile
don Mario Poggi


mercoledì 7 dicembre 2011

Morto don Zorzi. maestro di preghiera

E’ morto questa mattina, nella sua abitazione di via Poggiali 27, don Diego Zorzi; i funerali verranno celebrati venerdì prossimo, 9 dicembre, alle ore 10, nella basilica di San Giovanni in Canale; saranno presieduti dal vescovo mons. Gianni Ambrosio. Don Diego Zorzi, anche se non incardinato nella diocesi di Piacenza-Bobbio, faceva parte a tutti gli effetti del clero piacentino. Nato a Merano il 18 agosto 1921, aveva fatto parte della diocesi di Trento. In un primo tempo aveva insegnato all’Università Cattolica: era stato assistente del prof. Franceschini e poi era stato titolare della cattedra di filologia romanza. Negli anni Settanta fonda la Comunità di preghiera contemplativa “Doce nos orare” da cui deriva un’associazione col compito specifico di insegnare a pregare. Trasferitosi a Piacenza, don Zorzi dà anche la propria collaborazione al parroco di San Giovanni In Canale, don Cesare Ceruti, e nel frattempo segue la sua Comunità che stabilisce la propria sede in via Nova 23. Questa comunità avrà l’approvazione nel 1997 dal vescovo mons. Luciano Monari.

martedì 6 dicembre 2011

L'arcivescovo Lanfranchi: educare significa dare una speranza di vita

L'arcivescovo piacentino Antonio Lanfranchi è un uomo di chiesa che riesce a parlare alla gente in modo semplice e diretto. Nessun volo pindarico o ragionamento accademico. Pensieri semplici che gli arrivano dal cuore e dall'esperienza. Qui sotto la sua recente lezione alla Cattolica.

Educare per formare l'uomo. E' questo, sotto forma di slogan, il senso della lezione che l'arcivescovo abate di Modena-Nonantola, il piacentino Antonio Lanfranchi, ha tenuto ieri mattina all'Università Cattolica nell'ambito del ciclo di incontri promosso dall'assessore provinciale Massimiliano Dosi, dedicato ai "Maestri e modelli di vita". L'alto prelato, originario di Grondone di Ferriere ha parlato ad un pubblico composto soprattutto di studenti, sia dell'istituto Colombini, sia della facoltà di scienze dell'educazione, introdotto dall'assessore Dosi e dal direttore di sede dell'università Mauro Balordi. In cabina di regia don Davide Maloberti, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Piacenza- Bobbio. Tra il pubblico anche la prima maestra di Lanfranchi, Dina Bergamini, docenti universitari e il presidente di Piacenza Expo, Angelo Manfredini.
L'arcivescovo Lanfranchi parte dalla constatazione che qualunque cultura non può prescindere dalla domanda di educazione: «Senza questa domanda l'uomo sarebbe un fallito e seguirebbe un tragico destino». Invece non è così. «Educare è possibile ed è anche fondamentale. Si tratta di formare l'io, si tratta di formare l'uomo, cosa ancora più importante che creare professionisti. Contribuire come educatore alla nascita di un io che dura tutta la vita è la cosa più grande che si possa fare» si dice convinto l'arcivescovo Lanfranchi.
L'opera educativa è un mestiere che permette a chi lo fa di vivere, ma, osserva il presule, «in questo mestiere occorre inserire anche quella gratuità con cui il Papa, nella Caritas in Veritate, chiede venga affrontata l'economia».
Lo stupore di una vita che nasce sta, osserva Lanfranchi, all'origine dell'atto educativo: dunque educare vuol dire vivere il mistero della vita che si manifesta a partire dalla nascita. Ma non basta. Serve, come diceva don Giussani, l'impatto con la realtà. Un impatto che oggi sembra dominato solo dal piacere e non dalla spiritualità. Serve un esempio e monsignor Lanfranchi porta, come fa spesso, un frammento della sua vita vissuta. Il nipotino che guarda il cielo di Ferriere. Alla richiesta del perchè, la risposta: "Perchè prima di essere qui, noi eravamo tutti lassù". Ecco: «Con Dio o senza Dio la vita non è la stessa».
Da qui nasce l'impegno verso una educazione integrale che non censuri nessuna delle domande dell'uomo. Ma a chi tocca educare? Risposta: «A tutta la società con compiti e responsabilità diverse. E' importante creare sinergia tra scuole, parrocchie e famiglie, su comuni valori di fondo, rispettando le differenti modalità educative di ciascuno».
Alla base dell'educare c'è poi la maturazione di una conoscenza relativa all'altro: «L'educatore è coinvolto in prima persona, in una comunione di destino e di umanità che genera affezione, empatia, accettazione dell'altro per ciò che è». «L'educatore propone una visione di vita - evidenzia Lanfranchi - ma non gli interessa che il suo interlocutore diventi qualcuno, dare educazione è dare speranza per la vita. Lo diceva San Giovanni Bosco: educare è un affare del cuore».
Federico Frighi


26/11/2011 Libertà

lunedì 5 dicembre 2011

Morto monsignor Lavezzoli

E’ morto sabato, in un Hospice di Genova, dov’era ricoverato, monsignor
Mario Lavezzoli.
Mons. Mario Lavezzoli era nato a Ottone Soprano il 27 dicembre 1930 ed era stato ordinato sacerdote dal vescovo di Bobbio il 28 giugno del 1953. E’ stato inizialmente per sei anni parroco di Zerba, per subentrare alla guida dell’allora importante parrocchia di Borzonasca (Genova) a mons. Angelo Zambarbieri, ordinato vescovo della diocesi di Guastalla. Dopo ventidue anni è stato nominato parroco di Ottone e nel 1999 rettore del Santuario della Beata Vergine dell’Aiuto in Bobbio. Contemporaneamente è stato pure nominato canonico della concattedrale di Bobbio.
In questi anni ha collaborato anche alla pastorale nella parrocchia di Ceci. Ha rinunciato alla guida del Santuario bobbiese per motivi di salute nel 2005.

sabato 3 dicembre 2011

Morto don Gian Franco Marchi

I funerali di don Gian Franco Marchi si terranno lunedì prossimo, 5 dicembre, alle ore10, nella chiesa di Morfasso. Saranno presieduti dal vescovo mons. Gianni Ambrosio.
Don Gian Franco Marchi era nato a Castell’Arquato il 4 ottobre 1941; era stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1967 ed aveva iniziato il servizio pastorale come curato a San Giorgio, passando nel 1968, con la stessa qualifica, a Carpaneto e nel 1970 ai SS.Angeli. Nel 1971 lascia il servizio in diocesi e diventa cappellano militare prendendo servizio a Villa Vicentina; nel 1978 passa al Terzo Raggruppamento Celere di PS di Milano; nel 1981 ad Aviano (Pordenone); nel 1984 a Venezia e nel 1992 a San Damiano. Rientra in diocesi nel 1996 e viene nominato amministratore parrocchiale di Morfasso parrocchia che guida dal 1° gennaio 1998 come parroco. Rinuncia alla parrocchia il 23 marzo 2008. Viveva ultimamente alla Casa del Clero di Piacenza.

giovedì 1 dicembre 2011

Consigli pastorali da rivitalizzare

Questa mattina, giovedì 1° dicembre, si è riunito nella Sala degli Affreschi di Palazzo Vescovile il Consiglio presbiterale diocesano sotto la presidenza del vescovo mons. Gianni Ambrosio; ha coordinato i lavoro mons. Luigi Chiesa. Il Senato del Vescovo – il Presbiterale ha anche questa denominazione – era alla terza riunione dell’undicesima sessione quinquennale.

In apertura il vicario mons. Giuseppe Illica ha, tra l’altro, ricordato che è in distribuzione a tutti i sacerdoti il volume sui Polittici della diocesi realizzato recentemente dal Rotary Farnese (gli interessati devono rivolgersi in Curia a Mario Perinetti). Mons. Illica ha pure ricordato recenti incontri, tra cui quello dei Moderatori, durante il quale sono emersi spunti e riflessioni che meritano di essere ripresi.

Da parte sua il vicario per la pastorale mons. Giuseppe Busani ha aggiornato il Consiglio sui prossimi appuntamenti della Missione Popolare Diocesana. In particolare si è soffermato sulla settimana missionaria prevista dal 6 al 12 febbraio del prossimo anno dedicata al mondo giovanile e suo rapporto con il futuro. In ogni vicariato, nel mese di gennaio, si terranno incontri di formazione con alcuni incontri pubblici tra cui quello con gli amministratori civici. Altro appuntamento importante è la settimana liturgica in programma dal 15 al 22 aprile.

In questo periodo si doveva tenere un incontro con la lettura continua del Vangelo di Marco; per motivi organizzativi è stato rinviato alle ore 21 del prossimo 8 gennaio nella chiesa cittadina di San Savino. Interverranno un attore ed una cantante.

E’ stata poi la volta dell’esame degli organismi di partecipazione: i consiglieri erano stati invitati dalla giunta del Consiglio a coinvolgere su questo argomento i presbiteri dei rispettivi vicariati utilizzando una traccia così impostata: “Pensando ai Consigli Pastorali di Unità Pastorale e Parrocchiali, che avvertiamo in una fase di stanca e di difficoltà, noi preti – questa la domanda rivolta alla base del clero - ci interroghiamo, in vista del loro rinnovo, con la preoccupazione che non sia solo un rinnovo formale, ma un vero rinnovamento (se sarà possibile e se ne saremo capaci): quali sono i problemi e le difficoltà individuate nei vari livelli di Consigli Pastorali, (Consigli parrocchiali e di Unità Pastorale, di piccola o di grande/media parrocchia)? quali aspetti positivi avete riscontrato? quali sono stati gli accorgimenti che avete adottato per migliorarne il funzionamento e che hanno dato buoni risultati?”

I presbiteri rappresentanti dei vari vicariati hanno riferito sui risultati delle riunioni con i loro confratelli; a questi resoconti si è poi aggiunto il dibattito che ha fatto seguito alle relazioni. Tutto questo materiale verrà ora raccolto e messo a disposizione, nei prossimi mesi , dei vari organismi di partecipazione, tra cui, oltre allo stesso Presbiterale, il Consiglio pastorale diocesano (per quest’ultimo già dalla riunione di sabato prossimo), per impostare la nuova attività (il settore in questo periodo è impegnato nella costituzione delle nuove rappresentanze).

Dalle relazioni della base e dai contributi dei singoli presbiteri è emerso un quadro caratterizzato da una sostanziale difficoltà rappresentativa, da una crisi di identità sia degli stessi consigli sia dei componenti. Si nota ai vari livelli un diffuso senso di stanchezza, una scarsa partecipazione dei laici che tendono a delegare i sacerdoti (a volte sono gli stessi sacerdoti che faticano a coinvolgere i parrocchiani). Nonostante questo vento di crisi, che è stato condiviso da tutti, non sono mancati coloro che hanno sottolineato come queste difficoltà potrebbero agevolare un processo di cambiamento e di crescita; in molti vi è la convinzione che ormai la scelta dei Consigli rappresentativi è irreversibile; tra gli aspetti positivi vi è il buon funzionamento dei consigli economici, soprattutto nelle piccole parrocchie. In questi parrocchiani vi è ancora il senso di essere parte della comunità e questo induce a riflettere anche sulle scelte della pastorale diocesana che deve mettere in conto maggiormente la concretezza della vita delle persone interessate. Numerose le indicazioni operative.

Ha concluso il dibattito il Vescovo che non ha negato le difficoltà del presente, ma ha invitato ad un impegno secondo le proprie possibilità, evitando di lasciarsi vincere dal pessimismo. Mons. Ambrosio non ha mancato di dare indicazioni operative. In primo luogo la formazione . A questo proposito ha sottolineato che ci si forma attraverso la partecipazione e non secondaria è la comunicazione. “Comunità e comunicazione hanno la stessa radice”. E comunicare vuol dire flusso di informazioni tra i diversi livelli, in due direzioni; in questo meccanismo oggi qualche cosa si è inceppato: da qui la necessità di capire quali scelte operare. Occorre - ha sottolineato il Vescovo - rimotivarci partendo da quanto di positivo sta avvenendo, tra cui la partecipazione nelle piccole comunità su problemi concreti, anche se non dobbiamo dimenticare i principi fondamentali del nostro essere Chiesa. Utile, a questo proposito, può essere la valorizzazione dei momenti forti del cammino liturgico. Per mons. Ambrosio non ci si deve, comunque, lasciarsi demoralizzare dalle difficoltà, ma aprirsi all’oggi in modo propositivo.

Il Consiglio presbiterale ha poi parlato di formazione del clero, tema che è già stato affrontato ampiamente negli anni passati (nel 2007 è stato approvato un documento che - come è stato sottolineato - resta ancora valido ed è a disposizione degli interessati). Nella discussione fatta questa mattina sono stati valutati diversi aspetti del settore: negli incontri dare la precedenza alla lettura esistenziale e umana del sacerdote; privilegiare i momenti residenziale (lo ha ribadito anche il Vescovo); esaminare i motivi che portano all’assenteismo; fissare per tempo le date degli incontri formativi per facilitare la partecipazione.

Il Consiglio Presbiterale Diocesano tornerà a riunirsi il 2 febbraio 2012.