martedì 29 maggio 2012

Nuovo esorcista per Piacenza-Bobbio

«Il giorno dopo la nomina del vescovo sono caduto e mi sono rotto una vertebra - sorride di fronte ad un benvenuto che sa tanto di zolfo -, così non sono riuscito ad andare al convegno nazionale degli esorcisti. Ma non mi scoraggio, sono qui per fare la volontà del Signore». Padre Achille Taborelli, 81 anni il prossimo ottobre, missionario scalabriniano, è il nuovo esorcista della diocesi di Piacenza-Bobbio. Dopo la morte del predecessore, il parroco di Seminò, monsignor Gianbattista Lanfranchi, e due anni di ricerche approfondite tra i sacerdoti e i religiosi diocesani, il vescovo Gianni Ambrosio ha infatti scelto un religioso. L'ufficialità della nomina verrà data nei prossimi giorni, probabilmente assieme ad altri spostamenti nel clero piacentino.

Una scelta, quella di nominare un esorcista ufficiale, che va controcorrente rispetto ad una linea di pensiero della Chiesa di oggi che non vede di buon occhio pratiche di tal genere, preferendo catalogare fenomeni non chiari al rango di questioni psichiche o psichiatriche. Tutto ciò nonostante sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI più volte abbiano affermato con forza l'esistenza del maligno.
«Ho accettato questa nomina con tanta trepidazione anche perchè ben conosco una certa ritrosia della Chiesa di oggi nei confronti degli esorcismi - conferma padre Achille -. Tuttavia il vescovo ha insistito e così ho deciso di accettare. Non so perchè abbia pensato a me, l'unica cosa in comune con il mio predecessore, monsignor Lanfranchi, è che gli sono succeduto come cappellano delle monache di San Raimondo». Già, perchè padre Achille, alla soglia degli 81 anni, non ha mai praticato un esorcismo in vita sua e poco conosce di questo mondo particolare.
Nato 80 anni fa ad Abbiategrasso (provincia di Milano), ha insegnato missionarietà nel seminario Scalabriniano di Bassano del Grappa, poi ha svolto il proprio ministero sacerdotale in Svizzera e come parroco in un paesino del Bresciano e in Santa Maria del Carmine nel centro di Milano. Era già stato a Piacenza nel 1984, prima di venire inviato nel sud Italia, a Manfredonia, e di ritornare stabilmente a Rivergaro, nel 2004, come rettore del Santuario del Castello.
«Il male esiste - ci tiene ad evidenziare - altrimenti rinnegheremmo il Vangelo. E' Gesù che parla del male, del demonio, libera gli indemoniati. Il male c'è ed è dappertutto. Quindi anche a Piacenza. E' per questo che il vescovo ha voluto un esorcista diocesano». Superata la trepidazione iniziale, padre Achille si sente pronto ad iniziare. Sa che opera in un luogo protetto contro le forze maligne: «Il santuario del Castello, a Rivergaro, dal 2 febbraio scorso è un santuario Scalabriniano a tutti gli effetti, per cui gode dalla protezione, oltre che della Madonna delle Grazie e di San Giacomo maggiore (a cui lo aveva consacrato il vescovo Giovanni Battista Scalabrini), anche dello stesso Beato Scalabrini». Da poco custodisce anche una reliquia del vescovo degli emigranti (un osso del piede), posta sotto l'altare maggiore. «Nel suo ultimo discorso prima della morte - ricorda padre Achille - Scalabrini espresse il desiderio di venire sepolto a Rivergaro nel santuario del Castello. Poi, però, non essendoci nulla di scritto, venne portato in Duomo».


Federico Frighi

16/05/2012 Libertà

venerdì 18 maggio 2012

Il cardinale Puljic: Giovanni Paolo II fu come un padre

(fri) Una persona preparata, fedele alla Chiesa, pragmatica, già inserito nella lista dei papabili successori di Giovanni Paolo II e di cui si sentirà parlare quando si tratterà di designare il successore di Benedetto XVI. Il cardinale Vinko Puljic - 67 anni il prossimo 8 settembre - riceve cordiale e sorridente al primo piano del vescovado nel centro storico di Sarajevo, a pochi metri dalla lapide che ricorda il sacrificio dei giornalisti durante l'assedio della città. Un'altra lapide, all'ingresso del vescovado, ricorda la visita di Giovanni Paolo II nel 1997, un anno dopo la conclusione della guerra fratricida. E' la seconda volta che una delegazione piacentina si reca in udienza dal primate della Chiesa Cattolica in Bosnia-Herzegovina. La prima due anni fa, 15° anniversario del genocidio di Srebrenica. Oggi un insegnante di religione, un ingegnere bosniaco da 20 anni a Piacenza, un'insegnante d'italiano per stranieri e tre giornalisti di Libertà e Telelibertà hanno il compito di portare la lettera d'invito che il parroco di Sant'Antonino, don Giuseppe Basini, di concerto con il vescovo Gianni Ambrosio, ha scritto al cardinale in vista delle prossime celebrazioni Antoniniane. Non guasta neppure una confezione di Gutturnio dei colli piacentini che il cardinale gradisce molto e che ricambia con la pubblicazione in italiano del volumetto "Le martiri della Drina" (cinque suore assassinate nel 1941 dai cetnici). Quaranta minuti di udienza davanti ad acqua, the e succo di lamponi che qui in Bosnia è quasi una bevanda nazionale. Il cardinale ricorda con commozione la figura di Giovanni Paolo II che a Sarajevo volle fortissimamente andare durante l'assedio anche se dovette tuttavia attendere la fine della guerra. «Il beato Giovanni Paolo II non solo aveva interesse per noi - conferma il cardinale Puljic - ma conosceva e seguiva da molto vicino la situazione della Bosnia Herzegovina. Era un padre per tutti coloro che soffrivano». Diversa la figura di Benedetto XVI: «Non segue molto la Bosnia-Herzegovina ma conosce ed ha interesse verso i nostri problemi e specialmente negli ultimi tempi ci incoraggia e si tiene in contatto con noi attraverso la nunziatura apostolica. Sentiamo il suo conforto e la sua vicinanza». In ripresa le vocazioni: «Durante il comunismo, in Bosnia Herzegovina, le nostre famiglie erano la prima scuola della fede, prima anche dei seminari - evidenzia l'arcivescovo -. Dopo la guerra è rimasta questa mentalità dove il primo passo per la vocazione è la famiglia. Oggi il vero problema è che diminuiscono le famiglie». «Oggi abbiamo nel seminario maggiore 35 seminaristi e altrettanti nel seminario minore - fa una rapida radiografia della Chiesa del suo Paese -. I cattolici in tutta la Bosnia-Herzegovina erano 820mila prima della guerra, oggi siamo rimasti in 446mila. A Sarajevo prima della guerra c'erano 528mila cattolici, oggi siamo meno di 200mila. In questo momento abbiamo 221 sacerdoti diocesani (con 20 ammalati e 45 che lavorano in Europa con i profughi). Infine ci sono i francescani che hanno il seminario minore e il seminario maggiore».

05/05/2012 Libertà

giovedì 17 maggio 2012

Il cardinale Puljic: prego per una pace giusta per la Bosnia

"Vengo volentieri a Piacenza, celebrerò con voi e pregherò il vostro patrono Sant'Antonino, il giorno prima di festeggiare a Sarajevo Cirillo e Metodio, patroni dei popoli slavi e copatroni d'Europa». In questo intreccio di memoria, esempio e santità, il cardinale Vinko Puljic conferma la sua presenza a Piacenza, invitato dal vescovo Gianni Ambrosio e dal parroco di Sant'Antonino, don Giuseppe Basini, in occasione delle celebrazioni per il santo patrono della diocesi di Piacenza-Bobbio. Lo fa ricevendo una delegazione piacentina recatasi nella capitale Sarajevo e nella città di Jajce la scorsa settimana. L'arcivescovo parlerà alla gente ai Teatini la sera del 3 luglio, intervistato dal direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto, e presiederà la solenne celebrazione nella basilica patronale il giorno successivo. Verrà a portare la sua testimonianza di vescovo da un Paese in cui esattamente 20 anni fa iniziava una guerra fratricida e che oggi tenta, con grandi difficoltà, di rialzare la testa.



«Dopo la guerra c'è stato da rinnovare tante case - dice Puljic nel suo italiano imparato da Radio Vaticana - e così è stato fatto, con una ristrutturazione molto più veloce della ristrutturazione dei cuori». Sorride il cardinale, sorride sempre perchè chi ha vissuto cinque anni sotto assedio o sdrammatizza o ci muore. «E' molto importante creare un clima di fiducia, di tolleranza, di perdono e noi capi religiosi lo stiamo facendo e lo faremo anche a settembre nel convegno della Comunità di Sant'Egidio; porteremo a Sarajevo lo spirito di Assisi». «Ma è difficile - ammette - perchè la politica sempre prende una strada diversa. Una politica che è in mano ai musulmani. Noi capi religiosi, compresi quelli musulmani, vogliamo invece creare un nuovo clima, mostrare Sarajevo come capitale per tutti; siano diversi a livello culturale e religioso, ma vogliamo creare una città in cui ognuno ha una sua casa».


La guerra ha dunque terminato il fuoco ma oggi continua con le parole. «Questo è vero - annuisce il porporato -. La guerra è finita ma non si è costruita una pace giusta. L'accordo di Dayton divide la Bosnia-Herzegovina in due parti, di cui una è serba, come una sorta di stato nello stato. Alcuni non possono ritornare in questa zona che si chiama Repubblica Srpska. L'altra parte è quella della Federazione, dove vivono insieme musulmani e cattolici, croati e bosniaci. Una zona a maggioranza musulmana in cui non è facile creare diritti uguali per tutti. La comunità locale gioca sempre a trovare un primo che comandi sugli altri. Ma anche la comunità internazionale sta al gioco. Non aiuta a creare una pace giusta, una pace vera e una prospettiva per vivere in questo paese». «Specialmente i giovani non hanno prospettiva, tanti sono senza lavoro - prosegue il cardinale -. Si stima che il 43 per cento dei giovani non abbia un'occupazione fissa ed io sono stupito di come questo popolo senza lavoro possa sopravvivere in Bosnia Herzegovina. Penso però che sarebbe più facile e veloce creare una pace giusta proprio lavorando insieme, creando una società in cui ognuno per il proprio lavoro riceve il medesimo premio e con questo può aiutare la propria famiglia. Questo è il primo passo per creare un clima di fiducia, di tolleranza e di convivenza insieme in questo paese». La comunità internazionale è stata sempre presente, ma a suo modo. «Non posso dire tutto quello che so - sorride sempre il cardinale -. Sono molto triste quando penso che tanti e tanti soldi sono arrivati in Bosnia-Herzegovina ma pochi si sono usati per investire. Molti si sono persi per strada. Io so tante cose ma non le posso dire. America e Europa hanno annunciato l'invio dei fondi ma io non ho visto dove sono andati a finire. L'Europa entra molto lentamente in questo paese. Ma prima di tutto dovrebbe entrare con i suoi principi democratici, portare investimenti per dare speranza e prospettiva a questo popolo, perchè rimanga e rinnovi questo Paese come stato democratico e come stato europeo».


Nel 2012 si ricorda il ventesimo anniversario dell'inizio dell'assedio di Sarajevo.
«Non parlo volentieri di questo perchè durante la notte spesso me lo sogno» dice il cardinale che poi però non si sottrae alle domande e non lesina le risposte. «Ho ricevuto questa arcidiocesi nel 1991 - inizia -. Il beato Giovanni Paolo II ha consacrato me come arcivescovo il 6 gennaio di quell'anno. Sono entrato a Sarajevo e sognavo un futuro bello e di speranza perchè arrivavo dopo il comunismo, con la democrazia, avevo in mente tanti progetti. Ma subito tutto è svanito perchè proprio nel ‘91 è scoppiata la guerra».
«Durante il conflitto sono stato sempre a Sarajevo e in Bosnia Herzegovina - ci tiene a sottolineare -, ho girato tante volte in modo segreto perchè era molto pericoloso, lo ho fatto per dare coraggio ai miei sacerdoti e al mio popolo. Anche in questa città io ero quasi l'unico capo religioso rimasto, perchè tutti erano andati via. Ogni volta che parlavo pubblicamente contro la guerra, subito ricevevo qualche granata sul vescovado». Un aneddoto raccontato con il sorriso di chi l'ha scampata bella: «Una volta un mio sacerdote mi disse: arcivescovo... parla, parla, rimarrai senza testa, non solo senza casa. Era molto pericoloso parlare pubblicamente di verità e giustizia. Grazie a Dio sono rimasto vivo e sono sopravvissuto in modo quasi normale. Perchè non è facile sentire migliaia di granate sulla testa e rimanere normali».
«Mi si chiede che testimonianza può dare oggi la chiesa cattolica qui a Sarajevo? Durante la guerra - risponde il cardinale - un giornalista mi disse: l'unica cosa che funziona qui è la chiesa cattolica. I miei sacerdoti non sono stati santi ma coraggiosi, hanno testimoniato una speranza, hanno dato il coraggio per sopravvivere. Durante la guerra hanno aiutato tutti a livello non solo spirituale. Dopo la guerra, tanti sono ritornati e hanno cominciato a ricostruire tutto quello che era stato distrutto, ovvero quasi il 60 per cento della mia arcidiocesi».
Il cardinale Puljic è molto devoto a al beato Giovanni Paolo II che fortemente volle andare a Sarajevo durante l'assedio e che definì la capitale bosniaca la "Gerusalemme d'Europa". «La Gerusalemme d'Europa in realtà è da ricreare - ammette il porporato -. A settembre avremo il convegno con la San Egidio per costruire un clima positivo per la pace, la convivenza e la tolleranza. Siamo diversi, ma grazie a Dio non è peccato. Bisogna creare un clima per rispettare e collaborare, oggi la politica manipola la religione e questo è molto grave».
Qui a Sarajevo convivono minareti, campanili cattolici e ortodossi, sinagoghe: «Ogni gruppo vuole dare una testimonianza di presenza. Ogni moschea, ogni chiesa significa la nostra identità, chi siamo. I nostri profughi, quando tornano, prima di tutto vogliono ricostruire la chiesa, perchè la chiesa significa esistere per cattolici, ortodossi, la moschea per i musulmani. Il problema è che di fronte a tante moschee che crescono come funghi, io qui a Sarajevo da 13 anni aspetto il permesso per costruire una chiesa. Con la gente in strada non c'è problema. La gente ha simpatia per la chiesa cattolica; ortodossi, musulmani, ebrei ascoltano la nostra parola».

Federico Frighi


05/05/2012 Libertà



martedì 8 maggio 2012

Don Sciortino: la politica torni a pensare al bene comune

Una barca alla deriva con timonieri in grado di conoscere solo la rotta più prossima, senza sapere dove punterà la nave. E' questa, se non si interviene subito, l'Italia secondo don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, ieri ospite alla Cattolica per il convegno "Educare i giovani alla giustizia e alla pace, le responsabilità di cittadini, media e istituzioni". Il convegno, organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore con il contributo dello Studio Commercialista Giuseppe Avella, è stato introdotto dal direttore di sede Mauro Balordi e dalla professoressa Claudia Mazzucato (docente di diritto penale).



Giovani sotto la lente dunque, quei giovani che oggi non sembrano al centro delle politiche italiane. «Nessuno sta programmando questo Paese - evidenzia don Sciortino -, presto lo capiremo. Noi parliamo tanto di giovani, questo Paese non investe sulle nuove generazioni. Perché negli altri stati a 40 anni si può governare e qui no? Dobbiamo cominciare a svecchiare l'Italia che si sta suicidando dal punto di vista demografico. Chi governa al massimo vede sino al 2013, non oltre. Ed abbiamo due milioni di giovani che non studiano nè lavorano». «Ci sono giovani che qui non cercano più il futuro - prosegue don Sciortino -. Si va all'estero e questo non fa problema per i governanti». Correlato è il sostegno alla famiglia: «La famiglia oggi non ha politiche che la sostengano. Spacciamo i bonus per aiuti ma non hanno nulla a che fa con una politica strutturale». «Il Papa chiama in causa le istituzioni e gli operatori della politica - sottolinea il direttore - ma oggi non c'è più il servizio al bene comune, quello inteso da Paolo VI. Noi qui insegnamo come arginare le leggi non come rispettarle. Ciò che ci deve preoccupare non é la crisi economica ma la crisi etica in cui siamo caduti».


«Dobbiamo educare i nostri giovani alla mondialità - esorta don Sciortino -, educare i giovani a considerare il mondo come un'unica famiglia umana. Quando parliamo di pace non possiamo non parlare di giustizia. Occorre una maggiore equità a livello mondiale».


Ancora: «Il nostro Paese sta ripetendo la disparità tra ricchi e poveri dei paesi del terzo mondo». Don Sciortino vede un'Italia arcobaleno: «Non c'è nessuna paura a far nascere moschee accanto alle chiese. Ma la vera religione non può che essere per la pace e per il dialogo. In questo modo si può crescere e le religioni hanno un ruolo determinante nella pacifica convivenza. Mi parlano del principio di reciprocità. Bisogna battersi perché oggi i cristiani nel mondo non vengano perseguitati, ma occorre battersi per la libertà religiosa di tutti. Nessuno può rinunciare alle proprie radici e il cammino dell'integrazione é la conoscenza e il rispetto reciproco».


D'altro canto Bendetto XVI, come sottolinea don Sciortino, affronta il fenomeno migratorio a partire dal concetto di persona: «Se ci battiamo per la vita di Eluana ci dobbiamo battere per la vita dell'ultimo straniero che arriva in Italia. Questo bisogna dirlo. Ci sarebbe bisogno che la Chiesa parlasse di più, non bisogna avere nessuna remora... altrimenti il silenzio é sospetto»


«Se vogliamo insegnare ai giovani dobbiamo renderli protagonisti responsabili del nostro tempo - evidenzia Flavio Lotti, Direttore del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani -. Quando noi invochiamo il principio di responsabilità, é importante che si capisca che cosa si può fare in prima persona e che cosa si deve fare insieme. Nelle nostre città le tante culture presenti sono importanti per costruire pace e giustizia. Non c'è solo l'inquinamento da combattere ma anche la possibilità di costruire un pezzetto della pace e della giustizia nel mondo». Al termine dell'incontro è stata assegnata alla piacentina Silvia Corradi la borsa di studio "Giuseppe Avella".


Federico Frighi





04/05/2012 Libertà