Il testo dell’omelia di mons. Antonio Lanfranchi, vescovo di Cesena-Sarsina, alla messa di riparazione del 6 giugno 2008, dopo che due persone erano state sorprese a consumare un rapporto sessuale in un confessionale della cattedrale durante una celebrazione eucaristica.
Domenica mattina questa nostra Cattedrale è stata profanata. Tutti noi ci siamo sentiti feriti profondamente: molti come credenti, oserei dire, tutti o quasi tutti, come cittadini di questa città e come uomini e donne che vedono lesi i principi più sacri su cui è costruita la convivenza umana e la nostra civiltà.
Molti si sono chiesti: “Come è possibile arrivare a tanto squallore morale?”.
Personalmente non conosco i protagonisti dell’inqualificabile gesto; vorrei portarli nel cuore, come porto nel cuore ogni cesenate al di là della sua fede e di quello che egli riesce ad esprimere nella sua vita; se li incontrerò, vorrò ascoltarli, porrò domande vorrò capire e, se mi è possibile, parlare loro di quel Dio che se conoscessero nel suo amore forse non avrebbero compiuto quel gesto.
Non posso però esimermi dal pronunciarmi sulla gravità di quello che è accaduto.
La profanazione di questo luogo sacro, centro della comunità cristiana cesenate, ma anche cuore di tutta la città, è avvenuta nel momento in cui si compiva l’azione più sacra per la Chiesa cattolica: la celebrazione dell’Eucaristia.
Dire “Eucaristia” vuol dire memoria dell’atto d’amore più alto nella storia, che solo il Figlio di Dio poteva compiere in quella radicalità: il dono totale di sé, espresso nella gratuità dell’amore per tutti.
A questo atto di amore compiuto a favore di tutta l’umanità e offerto nel segno discreto e fragile del pane, fa da contrasto come sfida oltraggiosa, spero non cosciente, un altro atto di amore, se così si vuole chiamare, dove tutto è ridotto a sfogo dei propri istinti, incuranti di tutto e di tutti.
Dalla sublimità dell’amore allo svilimento, per me allo sfregio, della sessualità umana.
L’Eucaristia – ci ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est – ci attira all’atto oblativo di Gesù.
Nell’Eucaristia l’amore di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. E’ a partire da lì che il cristiano impara a definire l’amore; è a partire dallo sguardo su Gesù - eucaristia che trova la strada del suo vivere e del suo amare.
Due giovani che si amano e che si incamminano sulla strada del matrimonio guardano all’Eucaristia per integrare l’eros nell’agape, l’attrazione, la passione, nel dono di sé, perché il loro amarsi non riguardi due funzioni, ma sia espressione di tutta la loro persona e abbia un riflesso positivo su tutti.
Così possiamo dire di due sposi.
Dall’Eucaristia accolta la comunità cristiana cerca la luce e la forza per amare la sua città, per costruirla sui valori della fraternità, dell’amore e della verità, con quella discrezione che impara dal pane eucaristico.
Ma anche chi non crede sa che guardare l’amore di Cristo può essere per lui la via per vivere in pienezza la sua umanità.
Per questo la ferita è anche a livello umano.
I valori più alti della sessualità sono oggi sviliti come appartenenti ad un’altra cultura, ad un mondo non in linea con il progresso.
Non sono qui a sminuire la responsabilità personale di quanto è avvenuto: è un gesto compiuto da due persone, che dovranno rispondere alla giustizia. Ma sarebbe ingenuo non pensare che il fatto affonda le sue radici in un contesto, in una mentalità strisciante, che può diventare, se già non lo è, cultura, dove la regola del vivere civile, oltre che personale, è non avere regole, dove la libertà è sganciata dalla responsabilità e dal rispetto verso se stessi e verso gli altri per affermarsi come auto-determinazione sganciata dai valori: il bene è fare quello che mi sento e dove mi sento, libero da ogni imposizione e da ogni rispetto. So che sto radicalizzando, ma quando un modo di concepire la vita diventa mentalità, non si sa dove porta.
Progresso questo o non piuttosto epigoni di una cultura in decadenza o in declino? La storia dovrebbe insegnarci.
Mi sia concesso, nel clima pensoso e sacro di una celebrazione, porre a me stesso ma a tutti qualche domanda: Uomo, dove stai andando? A che punto ti trovi con la tua umanità? Cesena, dove stai andando? Dove va l’uomo quando Dio muore?
Faccio mie le parole di Nietzsche, sia pure inquadrandole in una prospettiva diversa:
“Dio è morto. …Non è il nostro un eterno precipitare? Non stiamo forse vagando attraverso un eterno nulla? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venir notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina?”.
Si fa più freddo quando muore la sensibilità verso gli altri; viene notte quando l’uomo non vede al di là del suo istinto.
Non serve una celebrazione di riparazione se ci si limita ad una condanna formale che non porta a interrogarsi, a cambiare rotta se è il caso, se da una parte ci si scandalizza, ma dall’altra si vive dello scandalo, ripercorrendolo e scandagliandolo con curiosità pruriginosa.
Una celebrazione liturgica apre sempre, se la si coglie nel suo vero significato, alla speranza. E’ quanto mi auguro che avvenga per tutti noi.
Dio è morto, gridava il folle uomo di Nietzsche. Gesù, il Figlio di Dio è morto ed è risorto, ci dice il mistero che stiamo celebrando, ed ha il potere di chiamare a vita nuova, alla pienezza della vita, chiunque si affida a Lui.
Benedetto XVI ci ricorda: “Chi segue Cristo non perde nulla della sua umanità, assolutamente nulla. Acquista tutto.” . Anche oggi è Lui la via per vivere in pienezza la nostra umanità.