A Piacenza oggi è arrivato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per la prima pietra del nuovo padiglione del carcere. Pubblichiamo, per l'occasione, il bilancio del cappellano, don Adamo Affri, uscito su Libertà di sabato. Don Adamo è un prete giovane, una tonaca in trincea. Vento, tempeste, freddo non gli fanno paura. In un anno di ministero è riuscito a creare una vera e propria parrocchia dietro le sbarre.
E' soprattutto il dopo-carcere a preoccupare. La mancanza di lavoro e la solitudine, prima di tutto. Ecco perchè da dietro le sbarre c'è anche gente che non vuole uscire.
«Qualche mese fa sono andato a trovare un giovane che aveva ottenuto gli arresti domiciliari - racconta don Adamo Affri -. Piangeva. "Fuori che cosa ci faccio, non ho nessuno - mi diceva - In carcere avevo gli amici"».
Don Affri, 41 anni, è cappellano delle Novate dal gennaio 2010. «Sono diventato prete nel 2009 -racconta -, ho saputo che c'era bisogno in carcere e ho chiesto al vescovo di andare». Monsignor Ambrosio ha subito dato il suo benestare. Non solo. Nella penuria di giovani sacerdoti, ha deciso di lasciarlo a tempo pieno al servizio della casa circondariale, perchè dietro le sbarre, creasse una vera e propria parrocchia.
Dopo un anno don Affri può tirare il primo bilancio. I problemi ci sono e sono
parecchi. «In cella sono in tanti, devono lavarsi con l'acqua fredda quando la caldaia è rotta, a volte il mangiare non è gradito» osserva il cappellano. «Nei colloqui racconto le mie esperienze in Congo e in Ucraina da giovane missionario laico - continua - e mio accorgo che in realtà il fatto di essere in tanti e non avere acqua calda non è il problema fondamentale. Nessuno si è mai suicidato per questo. Chi si toglie la vita lo
fa perchè è solo».
Don Affri celebra 5 messe tra il sabato e la domenica in 5 sezioni carcerarie diverse, fa catechismo durante la settimana e ogni giorno innumerevoli colloqui personali. «Ho visto crescere questa gente sul piano della fede in Dio. In tante parrocchie oltre le sbarre una partecipazione del genere non la vedi» confessa.
Il 60 per cento della popolazione carceraria piacentina è formato da stranieri con una forte maggioranza musulmana. Nella parrocchia cattolica delle Novate convergono circa 150 persone di fede cattolica: «Gli altri rimangono fuori perchè non si possono obbligare. A volte vengono ai colloqui, a volte ti chiedono un piccolo contributo per chiamare casa». Questi altri sono più di 250 persone, perchè il carcere oggi scoppia. «Siamo in più di 400 con i servizi tarati per poco più della metà - evidenzia -. Lasciamo stare per un attimo sovraffollamento e freddo. Tante volte i detenuti si sfogano e viene fuori nei discorsi, anche durante le ore di catechismo. Il malessere è forte ma se si fa il confronto con situazioni di altri paesi capiscono che non è proprio così scontato, per dire, avere l'acqua calda». «La loro ferita più profonda - è arciconvinto don Affri - è però quando dall'altra parte sembra assente il dilaogo, il rispetto. Loro vorrebbero essere trattati come persone. La direzione fa come può, tuttavia, essendoci così tanti detenuti e così poco personale (gli educatori sono due invece di cinque), è chiaro che il dialogo viene diradato e tutto questo crea sofferenza».
«Ricordiamoci che quando queste persone entrano in carcere il rischio è che non si sentano più parte della società - continua -, ti trovi di fronte a persone destrutturate da sempre, usate da sempre. L'unica cosa che ti rimane sono gli affetti e la fede. Il mio compito è di aiutarli a recuperare il senso di colpa, a trovare una via d'uscita che è quella della fede e dello stare con Gesù. Che però deve diventare scelta non un momento emotivo. In carcere c'è una grande speranza; noi tentiamo di coltivarla». La città dentro è presente: ci sono i volontari, la scuola, le parrocchie, il giornale Sosta Forzata, don Adamo sta curando anche gli aspetti ricreativi e ha messo in campo per settembre una gara canora (una sorta di Corrida). Sul fronte del lavoro ci sono alcune cooperative sociali che impiegano i detenuti. «Ma quando cessa il loro status rimangono da soli - evidenzia don Affri -. Noi stiamo tentando di costruire un ponte tra la realtà carcere e la città dando un volto umano alle Novate. Mi piacerebbe che anche dalla parte delle pubbliche amministrazioni e della società ci fosse il desiderio di considerare i detenuti come persone, più che i loro problemi. Perchè sono persone non cattive ma fragili, senza strumenti per affrontare la vita».
La soluzione? «Sarebbe veramente auspicabile riuscire a fare un articolo 21 (la possibilità di lavorare di giorno e rientrare in cella di notte, ndr. ) a chi sta per uscire. I numeri sono pochissimi rispetto al bisogno. Queste persone quando escono non hanno
nessuno che li aspetta e non sanno dove collocarsi. Sarebbe interessante, ad esempio, creare dei gruppi esterni ai quali l'ex carcerato può fare riferimento».
Federico Frighi
Libertà, 26 febbraio 2010
lunedì 28 febbraio 2011
Addio al monsignore colonnello
E' morto ieri al centro di cura Humanitas di Milano mons. Renato
Chiapparoli, sacerdote del clero diocesano di Piacenza-Bobbio.
Nato a Bobbio il 1° febbraio 1936, dopo aver compiuto gli studi a Bobbio e
al Collegio Brignole Sale di Genova, è stato ordinato sacerdote nella
cattedrale di Bobbio il 28 giugno 1959.
Ha iniziato il proprio servizio pastorale come parroco di Bogli in Val
Boreca. Dopo aver dato la propria collaborazione a Genova anche alla
pastorale del mare (assistenza spirituale ai marinai), nel 1961 si è
trasferito in Germania dove, per sei anni, ha prestato la propria assistenza
spirituale ai lavoratori italiani.
Rientrato in Italia nel 1967, ha accettato l'incarico di cappellano militare
prestando prima servizio nei reparti alpini a San Candido e a Bolzano per
passare poi, come cappellano capo, al III Corpo d'Armata di stanza a Milano;
è stato cappellano anche dei Carabinieri a Genova. Collocato a riposo con il
grado di colonnello, ha prestato per alcuni anni anche servizio come
cappellano su navi civili.
Rientrato nella sua abitazione di Santa Maria di Bobbio, ha sempre
collaborato con molta disponibilità per il servizio religioso con la
parrocchia; per una breve parentesi si è preso cura pure della comunità
parrocchiale di Ceci.
I funerali si svolgeranno domani, martedì 1° marzo, alle ore 15, nella
cattedrale di Bobbio; saranno officiati dal vicario generale mons. Lino
Ferrari essendo il vescovo mons. Gianni Ambrosio indisposto.
Chiapparoli, sacerdote del clero diocesano di Piacenza-Bobbio.
Nato a Bobbio il 1° febbraio 1936, dopo aver compiuto gli studi a Bobbio e
al Collegio Brignole Sale di Genova, è stato ordinato sacerdote nella
cattedrale di Bobbio il 28 giugno 1959.
Ha iniziato il proprio servizio pastorale come parroco di Bogli in Val
Boreca. Dopo aver dato la propria collaborazione a Genova anche alla
pastorale del mare (assistenza spirituale ai marinai), nel 1961 si è
trasferito in Germania dove, per sei anni, ha prestato la propria assistenza
spirituale ai lavoratori italiani.
Rientrato in Italia nel 1967, ha accettato l'incarico di cappellano militare
prestando prima servizio nei reparti alpini a San Candido e a Bolzano per
passare poi, come cappellano capo, al III Corpo d'Armata di stanza a Milano;
è stato cappellano anche dei Carabinieri a Genova. Collocato a riposo con il
grado di colonnello, ha prestato per alcuni anni anche servizio come
cappellano su navi civili.
Rientrato nella sua abitazione di Santa Maria di Bobbio, ha sempre
collaborato con molta disponibilità per il servizio religioso con la
parrocchia; per una breve parentesi si è preso cura pure della comunità
parrocchiale di Ceci.
I funerali si svolgeranno domani, martedì 1° marzo, alle ore 15, nella
cattedrale di Bobbio; saranno officiati dal vicario generale mons. Lino
Ferrari essendo il vescovo mons. Gianni Ambrosio indisposto.
Argomenti
Comunicati diocesi Piacenza-Bobbio
Iscriviti a:
Post (Atom)