domenica 13 gennaio 2013

Madre denuncia il figlio per salvarlo dalla droga

«Parlate, non abbiate vergogna di chiedere aiuto o perderete la vostra vita e vostro figlio! » E' un messaggio di speranza che arriva da una madre che sotto Natale si è vista prelevare dalla polizia il proprio figlio di 23 anni con problemi di droga: ricovero obbligatorio presso una struttura di recupero. Potrebbe sembrare una disgrazia. Per "madre coraggio" è una vittoria dopo un anno e mezzo di minacce (anche di morte), di violenze in casa, dopo una situazione che, iniziata sotto traccia, era divenuta insostenibile, fino a alla "denuncia" in questura. Piacentina, impiegata, madre di due figli: una giovane, sulla trentina, laureata, e un ragazzo, di 23, più attratto dal lavoro che dallo studio. Ma non era quello il problema.


«Avevo iniziato a vedere qualche cosa ai tempi delle Medie - racconta la signora -. Immaginavo fumasse già allora qualche canna; una volta avevo preso una telefonata ma avevano buttato giù... Poi alle superiori aveva iniziato a frequentare l'Alberghiero. Lo portavamo in macchina per essere sicuri che andasse veramente a scuola. Quando mio marito veniva via, lui saltava sul pullman e tornava in città».

«L'abbiamo convinto a fare due anni in un istituto professionale - prosegue la storia - ed era riuscito a finire il corso per montatore di macchine utensili. Lo hanno preso per uno stage in una grossa azienda piacentina, ma di lavoro neppure a parlarne».

La situazione è degenerata un anno e mezzo fa quando sono scoppiate le crisi di astinenza: «Voleva più soldi. Scardinava le porte di casa, dava testate contro mio marito; un giorno ha preso il coltello da cucina e mi ha detto che avessi chiamato il dottore sarei morta».

Inizia un cammino difficile, tra gli specialisti di tossicodipendenze: «Una mia collega mi ha suggerito di fargli fare una visita da un medico che lo ha poi inviato al Centro di salute mentale. Probabilmente avrebbero potuto affidarlo subito al Sert dove c'è lo specialista della doppia diagnosi. Invece lo hanno bombardato di farmaci e mio figlio usciva più innervosito di prima; mi dicevano che le canne erano l'ultimo problema... In realtà le cose andavano sempre peggio, il consumo di cannabinoidi cresceva, i casi di violenza in casa aumentavano, tanto che io sono dovuta stare per tre mesi da mia figlia e da mia suocera perchè ero diventata il principale bersaglio di mio figlio».

«Quando entravo in casa - ricorda - sembrava si accendesse un videogioco di distruzione. Io per lui sono quella che ha fatto cinque esposti al questore, quella che lo ha fatto andare in diagnosi e cura». Era arrivato ad un punto di non ritorno ed aveva sostituito l'hashish alla marijuana. «Ne consumava quantità industriali fino ad arrivare a spendere 600-700 euro al mese. Mi chiede dove trovava i soldi? Glieli davamo noi, per tutto un anno».

«All'inizio pensavamo che una canna o due fossero solo una ragazzata - ammette l'errore comune -. Non è stato così. I medici dicevano che il problema era psichiatrico: disturbo della personalità a tratti con possibili reazioni anche violente. Da qui sarebbe arrivata la droga. Noi abbiamo sempre pensato il contrario: dalla droga ai disturbi. Intanto dal Centro di salute mentale è stato mandato al Sert».

Decisivo è stato l'intervento della questura: «Non ce la facevo più e sono andata in viale Malta dove ho fatto cinque esposti, il primo a giugno 2012. Ho scritto pagine in cui raccontavo quello che stava accadendo. Ad un certo punto, d'ufficio, tutti i miei esposti sono finiti in Procura. Mi hanno preso sotto la loro ala protettrice la dirigente Maria Pia Romita e l'ispettore capo Tiziana Sartori che non finirò mai di ringraziare assieme agli agenti delle volanti. Lei non ci crederà, ma in questura ho trovato della gente formidabile, sia dal punto professionale sia dal punto umano».

Il figlio finisce alla Novate. Per tre mesi. «Forse sarebbe stato meglio meno - dice la madre -. Il problema è che in carcere si sono scambiati i farmaci: io ti dò le tue 80 gocce di Entumin e tu mi dai il tuo Seroquel... tritavano lo Stilnox per dormire e lo sniffavano con il naso». Alla fine è stato scarcerato e sotto Natale lo hanno portato in una comunità di recupero in Piemonte.

«Mio figlio mi ha dato tutta la colpa, ma fa lo stesso. La mia speranza è che lo facciano riflettere. E' un ragazzo bello, alto, ha il futuro davanti. Però quando torna dovrà trovare un lavoro, anche pesante, ma un lavoro». Un consiglio ha chi sta vivendo lo stesso problema: «Parlare, senza vergognarsi, rivolgersi alle istituzioni (Sert e Csm), poi alla questura».

E' forte "mamma coraggio": un donnone tutto d'un pezzo che sorride dello scampato pericolo quando racconta i particolari efferati con cui il figlio (con il coltello in mano) l'ha minacciata di morte. «Spero che il 2013 vada un filino meglio del 2012, solo un filino - si accontenta -. Spero che mio figlio torni a casa consapevole che ha usato delle cose che non doveva usare. Ho un peso qui - si tocca il cuore - ma sono contenta perchè ora so che è protetto e che lo stanno curando. Però mi manca molto... ». Si commuove. «Il 31 dicembre gli ho telefonato per fargli gli auguri. "Ma che auguri! " Mi ha risposto arrabbiato. "Beh, insomma, io te li faccio lo stesso" gli ho replicato io. Poi ho messo giù perchè non voglio farmi vedere piangere».

Federico Frighi

02/01/2013 Libertà