venerdì 9 aprile 2010

Pedofilia/Monari: non nascondiamoci

Penso sia interessante riportare parzialmente l'omelia della messa del Giovedì Santo 2010 (quella crismale) del vescovo Luciano Monari a Brescia. Ecco la sua analisi sullo scandalo pedofilia.

Siamo responsabili delle persone che si allontanano dal Vangelo

Se Paolo scriveva “non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero”, noi siamo costretti, con vergogna, a tacere questa frase e a piangere sul danno fatto alla Chiesa. Se il disonore ricadesse solo su noi stessi, sarebbe pur sempre sopportabile; ma portare la responsabilità di persone che si allontanano dalla fede e dal vangelo ci pesa terribilmente. Con umiltà e vergogna ci presentiamo oggi davanti al Signore. Stiamo davanti all’altare a motivo del ministero che esercitiamo, ma nello spirito ci collochiamo in fondo al tempio, dove stava il pubblicano della parabola battendosi il petto e dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore.”

Generalizzare è ingiusto, ma non nascondiamoci

Le generalizzazioni sono sempre ingiuste e ingenerose e spesso nascono da motivazioni impure. Tuttavia non vogliamo nasconderci; sappiamo che non serve giustificarci o esibire i nostri certificati di credito, anche reali. Serve piuttosto assumere consapevolmente l’amarezza del momento che stiamo vivendo per trovare la forza di una conversione sincera e profonda. Siamo sacramento di Cristo; solo se riusciamo a manifestare il rispetto e l’amore di Cristo per ogni uomo e in particolare per i bambini, i poveri, i malati, gli anziani saremo davvero preti.

Accusano il celibato, riflettiamo quando la tempesta mediatica sarà cessata

Si parla molto, in queste settimane, di cambiare le regole, di abolire l’obbligo del celibato per coloro che, nella chiesa latina, chiedono l’ordine del presbiterato. Naturalmente il celibato è legge ecclesiastica – non c’è bisogno di dirlo. Ma il fatto che sia legge ecclesiastica non significa che sia cosa da poco, se è vera la promessa che “ciò che legherete sulla terra sarà legato anche in Cielo”. E sant’Ignazio ci ha insegnato che non è cosa saggia cambiare le proprie scelte quando ci si trova in mezzo a tensioni e turbamenti. La tempesta mediatica che si è scatenata ci impedisce di ponderare le cose con serenità e chiarezza e vale la pena attendere tempi più tranquilli per riflettere e capire e decidere.

Il celibato: legame totalizzante con Dio

Piuttosto siamo richiamati, da subito, a riflettere sul senso del nostro celibato e a verificare il modo in cui lo viviamo. Il celibato, ci ricorda ripetutamente il Papa, è il segno che il servizio al Regno di Dio è per noi non semplicemente una professione, ma una scelta totalizzante, attorno alla quale si organizza tutta la vita; Gesù Cristo, il Vivente, “colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue”, si è insediato così profondamente nella nostra coscienza, ha riempito e plasmato così profondamente i nostri pensieri e desideri che non rimangono le energie psichiche necessarie per costruire altri legami totalizzanti e definitivi come è quello che lega l’uomo e la donna nel matrimonio. Penso sia per questo che anche persone non direttamente interessate si fanno paladine dell’abolizione del celibato: perché non riescono a capire che la relazione con Dio sia realmente operante a livello dell’immaginazione, del desiderio, delle decisioni concrete. Sospettano che in noi debba esserci qualche ipocrisia per la quale nascondiamo il nostro vero vissuto. In realtà, pensano così perché non conoscono né Dio né noi.

Il celibato non può avere surrogati, sennò è una castrazione

Ma naturalmente il valore testimoniale del celibato dipende dal modo concreto in cui lo viviamo. Perché se si vive il celibato surrogando la mancanza di una moglie e di una famiglia propria con diversi tipi di dipendenze, il risultato è quello di una vita dimezzata e il celibato appare una forma di castrazione.

Internet, tv, riconoscimenti pubblici: il rischio di una doppia vita


Quando parlo di ‘dipendenze’ mi riferisco a comportamenti diversi che vanno da quelli più semplici e innocenti – piccole manie o attaccamenti – fino a una vera e propria ‘doppia vita’ che lacera la persona e rende la sua esistenza un inferno per lei e per gli altri. Ciascuno di noi può riconoscere dentro di sé queste dipendenze se solo siamo sinceri con noi stessi e non operiamo razionalizzazioni indebite. Si tratta spesso, come dicevo, di piccole manie che creano qualche disagio – come atteggiamenti rigidi di fronte a cose secondarie o spese eccessive per cose inutili o incapacità di spegnere la televisione o bisogno di navigare curiosamente su internet o bisogno incoercibile di apparire o di avere riconoscimenti. A volte non sono nemmeno peccati in senso stretto. Eppure sono comportamenti che tradiscono, in misura più o meno grande, la debolezza del nostro celibato e lo rendono inefficace quando non controproducente. Se siamo irritati e irritabili, se diventiamo scostanti con le persone, se ci imponiamo puntigliosamente per cose banali, se la gente ci deve prendere con le pinze per timore di essere aggredita, l’incontro con noi celibi non può che essere deludente. E allora, a che cosa serve un celibato che non manifesti la tenerezza di Dio, la sua accoglienza, la premura per ogni persona umana? Non è una contraddizione in termini? Un celibato non addolcito dall’abbandono in Dio produce facilmente una gramigna spirituale fatta di insoddisfazione, malumore, accidia.

Gli strumenti per salvarci ci sono

Abbiamo tutti gli strumenti per fare della nostra vita qualcosa di bello e di utile: basta una preghiera fatta con intelligenza e con cuore per evitare derive; basta un atteggiamento di ascolto sincero della parola di Dio per non essere ingannati dalle sirene del mondo; basta tenere un contatto regolare col sacramento della penitenza per non indurire cuore e cervice; basta avere un direttore spirituale serio al quale dire tutto dei nostri moti del cuore per non decadere senza rendercene conto. I mezzi ci sono; soprattutto c’è, come sostegno solido, il dono di un’amicizia personale col Signore.

L'arcivescovo Ruppi sulla pedofilia: il peccato di un prete 10 volte quello di un uomo

«Il peccato di un prete vale dieci volte più di quello di una persona non consacrata». Lo ha detto monsignor Cosmo Francesco Ruppi (78 anni), arcivescovo emerito di Lecce, a Piacenza invitato dalla locale Famiglia Pugliese (guidata da Aldo Panese), l’associazione che raggruppa i quasi mille salentini trapiantati all’ombra del Gotico.
«Questo è un momento molto difficile per la Chiesa, non solo per il Papa ma anche per tutto il mondo cattolico» è convinto monsignor Ruppi. «Penso che la Chiesa abbia attraversato tanti periodi critici in duemila anni. Da storico mi sento di affermare però che la Chiesa attuale stia vivendo un momento migliore rispetto, ad esempio, a cento anni fa. All’unità d’Italia si respirava un vento anti-clericale molto più forte di quello di oggi».
Sullo scandalo pedofilia: «Sei o sette preti che si sono comportati male li ho conosciuti - confessa Ruppi - ma la Puglia, di preti ne ha 1.853. Se pensiamo poi che tra gli apostoli c’è stato un traditore, Giuda, e uno che ha rinnegato Gesù, Pietro, beh, allora chi si comportò male fu sì e no il 20 per cento».
«Oggi i preti pedofili sono lo 0,03 per cento del clero mondiale. Non so quante altre categorie possano vantare percentuali simili». «Certamente, anche se fossero lo 0.01 per cento, vanno condannati e anche aspramente, perchè il peccato di un prete vale dieci volte il peccato di un uomo».
«Non si può però generalizzare né si deve accusare questo povero Papa che è sempre stato molto rigido su queste questioni». «La contaminazione della Chiesa da parte della società di oggi senza etica, senza problemi morali, c’è. La Chiesa vive nel mondo e può prendere anche i difetti del mondo. L’importante è che dia anche la speranza di Cristo».