domenica 28 dicembre 2008

Il magister scout arrivato al campo base

Piacenza - «Ora che è arrivato al campo base, ci aiuti a seguire le stesse orme, ci dia occhi attenti per mettere le tracce che ci porteranno al bivacco del cielo, lui che ha tracciato con esempio intancabile, quello che è diventato anche il nostro sentiero». Sono le parole pronunciate sul filo della commozione da suor Maria Elisabetta, una delle nipoti di Renato Scaravaggi, il fondatore degli scout piacentini (“magister scout”, come viene detto) scomparso nella notte tra Natale e Santo Stefano alla veneranda età di 101 anni. Ieri pomeriggio la grande chiesa della Santissima Trinità faticava ad ospitare tutti coloro che, nella navata centrale, hanno voluto dare il loro personale saluto a Renato Scaravaggi, geometra nella vita ma capo scout nel cuore fino alla fine. Con la sua scomparsa è un po’ come se se ne sia andato il vecchio saggio del villaggio, il grande capo del del gran consiglio degli anziani. È il parroco monsignor Riccardo Alessandrini a tenere l’omelia funebre.
«Oggi la nostra parrocchia partecipa intensamente a questa liturgia di commiato - esordisce - perché il nostro Renato sta all’origine di questa comunità. Proprio monsignor Antonio Tagliaferri - rivela - ha fatto emergere il suo impegno nei primi anni della Santissima Trinità. Oggi la famiglia Scaravaggi manifesta in modo concreto quanto il papà ha vissuto e ha proposto. Vorrei esprimere un grazie a Renato Scaravaggi: ogni gruppo, ogni associazione che qui ha preso il via, ma soprattutto gli scout, il Piacenza 2, sono scaturiti dal suo cuore di uomo attento».
Suor Maria Elisabetta, la nipote di Scaravaggi entrata nella congregazione delle Clarisse missionarie del Santissimo Sacramento, legge il testamento di Baden Powell.
“Cari Scouts, … desidero mandarvi un ultimo saluto, prima che ci separiamo per sempre. Ricordate che sono le ultime parole che udirete da me: meditatele. Io ho trascorso una vita felicissima e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice. Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dal cedere alle nostre voglie. Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute e robustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e godere la vita pienamente una volta fatti uomini. Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità. Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto il profitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto.
Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Procurate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del vostro meglio. Siate preparati, così a vivere felici e a morire felici: mantenete la vostra promessa … anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo”.
«Ecco il segreto della serena partenza del nonno - rivela suor Maria Elisabetta - ora che è tornato alla casa del Padre, ora che finalmente è arrivato al campo base, ci aiuti a seguire le stesse orme, ci dia occhi attenti per mettere le tracce che ci porteranno al bivacco del cielo, lui che ha tracciato con esempio intancabile, quello che è diventato, grazie a lui, anche il nostro sentiero».
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Il testo integrale su Libertà di oggi 28 dicembre 2008

In Sant'Antonino il Natale dei migranti

Piacenza - Erano in tanti gli immigrati a Piacenza da ogni parte del mondo che hanno celebrato il santo Natale nella basilica di Sant’Antonino. Era il primo Natale che uscivano da quella che può ben essere considerata come la loro parrocchia di origine: la chiesa di San Carlo, attigua al convento degli Scalabriniani, in via Torta. La messa solenne si è tenuta nel pomeriggio del 25 dicembre ed è stata officiata dallo scalabriniano padre Sergio Durigon e dal sacerdote spagnolo padre Tommaso. Sant’Antonino era gremita in particolare da sudamericani: Ecuador, Perù, Brasile. Diversi anche gli italiani. Tanti i giovani accorsi per vedere la rappresentazione del Natale realizzata dai loro coetanei e che ha preso il posto dell’omelia. Una madre spiegava alla figlia ciò che avveniva nel presepe tra i pastori, la sacra famiglia, i tre re magi. «Tutti i dialoghi si sono tenuti in lingua italiana - evidenzia padre Durigon - e i ragazzi hanno studiato per imparare le loro parti, alcune molto lunghe e complesse». «Abbiamo scelto Sant’Antonino - continua padre Durigon - perché San Carlo ormai è diventata piccola per queste realtà la cui partecipazione è in continuo aumento. La nostra idea è quella di andare pellegrini di parrocchia in parrocchia per far conoscere ai piacentini gli immigrati cattolici e per favorire il clima di integrazione».
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Il testo integrale e le foto su Libertà del 27 dicembre 2008