Signor sindaco, autorità, alpini, signore e signori oggi siamo qui a commemorare uno dei momenti più tragici della storia d'italia dall'unità ad oggi: la battaglia di Nikolajewka. Era il 26 gennaio 1943, 65 anni fa. Gli alpini, provat, oltre che dai combattimenti, dal gelido inverno russo, si ritrovano ad affrontare alcuni reparti dell'Armata Rossa, asserragliatisi nel villaggio per impedire all'ARMIR la fuga dalla grande sacca del Don: nel corso dei mesi precedenti, l'esercito sovietico era infatti riuscito a circondare i nemici, chiudendo qualunque via di fuga. Il prezzo pagato è altissimo: migliaia di soldati italiani cadono sotto i colpi dell'artiglieria nemica, altrettante migliaia sono i feriti. Nonostante questo bagno di sangue, la battaglia di Nikolajewka viene considerata una vittoria: grazie a questo successo, si riesce infatti ad aprire un varco nella sacca del Don e il 31 gennaio 1943 la colonna riesce a raggiungere la salvezza presso le linee amiche. Il costo di vite umane di quella battaglia venne quantificato in 4mila, 6 mila uomini. Ebbene, oggi a distanza di 65 anni, c'è il concreto rischio che il ricordo di quelle vicende vada svanendo. C'è il concreto rischio che i libri di coloro che c'erano e che, una volta avuta la fortuna di tornare a casa, hanno provato a mettere rosso su bianco il sangue eroico di quegli alpini, c'è il concreto rischio che queste testimonianze finiscano, impolverate, sullo scaffale più nascosto della nostra libreria o di una biblioteca comunale. Per fortuna l'Associazione nazionale alpini ha adottato questa battaglia e, una volta all'anno, la ricorda con la commemorazione di oggi. Ma non basta. Occorre che il ricordo sia di tutti. Non solo degli alpini. Oggi ci viene bene ricordare e commuoverci per altre tragedie: rimaniamo attoniti di fronte alla violenza con cui è stata uccisa Meredith, la studentessa americana, a Perugia; siamo increduli di fronte all'omicidio della giovane Chiara, a Garlasco; rimaniamo colpiti dall'assurda violenza che ha causato la morte del piccolo Tommaso, a Parma, del piccolo Samuele, a Cogne. Ancora ricordiamo la tragedia di Novi Ligure e quella dei genitori di Verona, uccisi dal figlio che poi andò tranquillamente in discoteca. Sono queste le guerre di oggi in cui la violenza, cieca, si manifesta senza alcun senso. Ebbene, a Nicolajewka, ci sono state 100, mille Perugia, 100, mille Novi Ligure, 100, mille Cogne .... eppure, eppure quella è una battaglia, una guerra che non ci dice più nulla. Grazie dunque agli alpini che quella battaglia hanno adottato e che a 65 anni di distanza la fanno ancora parlare. Già, perché da dire, ha ancora molto. Da una parte la cieca violenza di una tragedia senza senso che dovrebbe far riflettere sul senso che ha, oggi, una guerra, qualsiasi guerra. Dall'altra i piccoli grandi gesti eroici di quei soldati, di quelle penne nere che in quella avventura hanno dato tutto loro stessi. Gesti di 65 anni fa ma incredibilmente attuali. Nel libro di Carlo Vicentini che ho avuto la fortuna di presentare a Caorso si raccontava di un alpino che, per fermare il carroarmato russo, gli è messo davanti, senza fucile né munizioni, ma solo con il proprio corpo. Un'immagine eroica che noi possiamo solo figurarci nella nostra mente. Non c'eravamo. C'eravamo, invece, davanti alla tv, quando il giovane universitario cinese di piazza Tien An Men, con il proprio corpo ha tentato di fermare la colonna dei carri armati di Pechino. Poco importa, poi, che l'alpino sia finito travolto ed ucciso e che l'universitario cinese ce l'abbia invece fatta. Quel giovane alpino e quel giovane studente universitario, a distanza di anni, lottavano per gli stessi ideali: la patria, la democrazia, la libertà. Ecco perchè la battaglia di Nikolajewka deve essere ricordata anche oggi. Quegli uomini, quegli alpini hanno ancora molto da dire, Viva gli alpini!
Federico Frighi, 26 gennaio 2008, Vigolzone, Piacenza
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