domenica 24 febbraio 2008

Ambrosio, l'omelia di ingresso a Bobbio


Ecco il testo dell'omelia che il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, ha pronunciato oggi a Bobbio in occasione della presa di possesso della concattedrale.


3ª DOMENICA DI QUARESIMA

(Esodo 17, 3-7; Romani 5, 1-2.5-8; Giovanni 4, 5-42)

Cari fratelli e sorelle,

è grande la mia gioia di essere qui con voi, radunati attorno all’altare del Signore per celebrare l’eucaristia in questa bella concattedrale. Vi confesso che è la prima volta che vengo a Bobbio. Lo confesso con un po’ di vergogna, sia per la bellezza di questa città e di questi luoghi sia per l’importanza religiosa, storica e culturale di san Colombano e dell’abbazia di san Colombano. Mi viene spontaneo dire, quasi riprendendo una famosa espressione di sant’Agostino, che se tardi ho visitato questa terra – sant’Agostino in verità scrive: “tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova” (Confessioni, X, 27) -, mi è data da oggi la possibilità di ricuperare il tempo perso: spero infatti di poter venire qui spesso. Tanto più che proprio qui è stato vostro vescovo – dal 1937 al 1953, quindi durante la guerra e poi nel dopoguerra - un vercellese come me, mons. Bernardo Bertoglio.

Cari fratelli e sorelle, la Parola del Signore di questa terza domenica di Quaresima ha uno spiccato carattere battesimale. D’altronde, come ben sappiamo, nella Chiesa dei primi secoli la Quaresima era il tempo della preparazione più prossima e più intensa dei catecumeni, i candidati al battesimo che si apprestavano a ricevere il sacramento del battesimo nella notte di Pasqua, nella grande veglia pasquale.

Ma anche per chi ha già ricevuto il dono del battesimo, il brano evangelico è quanto mai significativo: esso tratteggia – possiamo dire – una pedagogia verso la fede, un cammino verso l’incontro con il Signore.

Vale anche per noi battezzati il rimprovero che Gesù rivolge alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio”. Forse non è, in verità, un rimprovero. E’ piuttosto un invito e uno stimolo: Gesù vuole suscitare nella samaritana – e in tutti noi - il desiderio di aprirci a Dio, alla sua iniziativa, al suo dono, al suo amore.

Ecco allora l’importanza della Quaresima alla luce di questo stupendo racconto evangelico. Come tempo prezioso per la nostra memoria, per ricordarci il dono del nostro essere battezzati in Cristo Gesù. Come tempo prezioso per il nostro desiderio, invitato ad andare in profondità, fino a scoprire la nostra sete più vera. Come tempo prezioso per l’incontro, l’incontro gioioso con il Signore e l’incontro con i nostri fratelli e le nostre sorelle che attendono quell’“acqua viva” che soddisfa la sete profonda dell’uomo.

Se seguiamo la pagina evangelica, possiamo mettere in risalto alcuni tratti di questa pedagogia verso la fede.

Innanzi tutto anche noi – anche noi battezzati - possiamo identificarci per molti aspetti con questa donna di Samaria. Nel senso che tutti siamo interpellati sul desiderio che abita il nostro cuore: una sete profonda di incontro, di relazione, di vita.

La samaritana, all’inizio, non vuole entrare in dialogo con Gesù e non vuole accogliere il dono dell’ “acqua viva”. Sembra preferire l’acqua di sempre, piuttosto stagnante, e cioè la vita di tutti i giorni, le abitudini, le convenzioni, le illusioni. Quella donna di Samara sa bene che l’acqua del pozzo di Giacobbe, in una terra deserta come quella di Sicar, è una benedizione grande, ma sa pure che è acqua che non soddisfa la sua vera sete. Tuttavia difende se stessa e la propria vita, vuole custodire quel poco che ha, anche se sa bene che non le basta.

Certo, almeno a prima vista, questa donna di Samaria ha molte buone ragioni per rifiutare la richiesta di Gesù di dargli da bere. Era assai vivo il contrasto tra la Giudea e la Samaria, sia per motivi politici che per motivi religiosi. Ma Gesù supera i pregiudizi politici e le barriere religiose e chiede da bere alla donna samaritana, a una straniera cui nessun giudeo avrebbe mai rivolto la parola.

La richiesta di Gesù è già un dono. Nella richiesta di un gesto di attenzione e di cortesia – “dammi da bere” - c’è l’invito a quella donna a uscire da se stessa, dalla chiusura nel suo piccolo mondo.

Ma si tratta solo dell’inizio. Il cammino è ancora lungo e deve proseguire. Perché è molto facile disattendere i desideri più profondi e più veri ed accontentarsi dell’acqua stagnante, rischiando di sciupare la vita, inseguendo illusioni, consumando energie inutilmente.

C’è, invece, un’“acqua viva” che purifica il cuore e disseta lo spirito: è il dono di Dio. È Gesù questo dono di Dio: egli ci rivela il Padre e ci rivela il nostro essere figli.
La samaritana ha finalmente compreso che Gesù viene incontro alla verità del suo desiderio più vero e profondo. Però cerca ancora di resistere, quasi fingendo di non aver compreso fino in fondo la rivelazione di Gesù.
Ma ormai non può più difendere la sua vita, il suo “girare a vuoto”: si è guardata dentro senza paura e ha potuto strappare la maschera che copriva il suo volto.

Per quella donna di Samaria – e per chi, come lei, osa chiedere ciò che Gesù Cristo vuole dare – è ormai giunto il momento della fede in Gesù riconosciuto come profeta e messia, dell’incontro con Lui, della gioia di una novità che cambia la vita. E con entusiasmo la samaritana comincia ad annunciare la bella notizia: diventata credente, diventa annunciatrice di Gesù salvatore del mondo.

Così la samaritana ha conosciuto il dono di Dio. Lo ha conosciuto con il cuore, aprendo cioè il suo cuore e la sua vita all’iniziativa di Gesù. «Non si vede bene che attraverso il cuore», scriveva Antoine de Saint-Exupéry (Il piccolo principe). Possiamo dire che l’esperienza di fede, che è esperienza pasquale, e quindi incontro con il Cristo risorto, è inseparabile dal nostro risveglio interiore, dal sentirci personalmente attesi da Dio e ricondotti a riconoscere la “sete vera” che domanda “l’acqua viva”.

Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto e con cui mi accogliete quest’oggi qui a Bobbio. Nella preghiera condivisa e nell’amicizia scaturisca per la nostra comunità diocesana una rinnovata vitalità spirituale nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa. Così potremo guardare al futuro con speranza e lavorare con appassionata fiducia nella vigna del Signore.

La nostra Chiesa – a cominciare dalla parrocchia – vuole essere lo spazio nel quale l’amore del Signore per l’umanità incrocia la sete di ciascuno.

La nostra Chiesa vuole essere - e deve essere - il luogo nel quale ogni uomo si sente personalmente atteso e condotto a gustare l’ “acqua viva”.

Il mio pensiero va soprattutto ai giovani che hanno un profondo bisogno di trovare la forza per opporsi alla “cultura del nulla”: particolarmente a loro vogliamo proporre un itinerario che conduca a Cristo Gesù, a colui che “ha reso luminosa la vita” (2 Timoteo 1,10).

Il mio pensiero va anche ai malati e agli anziani: l’amore per Cristo e la solidarietà dei fratelli vi rechino conforto nei momenti difficili e vi infondano sempre serenità.

In questa concattedrale dedicata a S. Maria Assunta, affidiamo il nostro cammino ecclesiale alla Vergine Maria e al grande monaco San Colombano che può, a buon diritto, essere considerato come uno dei fondatori del monachesimo occidentale. Insieme ai molti Santi di questa Chiesa, la Vergine Maria e san Colombano intercedano per noi e ci accompagnino perché sappiamo gustare l’“acqua viva” e sappiamo donarla ai nostri fratelli. Amen.

+ Gianni vescovo

Comunicato stampa diocesi di Piacenza-Bobbio


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