Piacenza- «È una gioia grande essere piacentino per sempre, indipendentemente dal cammino che il Signore mi farà fare, una gioia grande per l’esperienza che ho vissuto in questi 12 anni e soprattutto per i legami che il Signore mi ha donato». Iniziano così i 18 minuti con i quali il vescovo Luciano Monari ha ringraziato la città per avergli conferito la cittadinanza onoraria ma, soprattutto, ha spiegato alla città come dovrebbe essere il vero volto di Piacenza, come dovrebbe fare la città per essere il più possibile simile alla città per eccellenza: la Gerusalemme celeste. L’auditorium di Sant’Ilario è tirato a lucido come non mai per l’appuntamento. La gente non riesce ad entrarci tutta e qualcuno se ne va a casa. Tanti volti che Monari saluta con gli occhi e con le espressioni del viso, mentre si trova sul palco, tra il sindaco Roberto Reggi e il presidente del consiglio comunale Ernesto Carini e mentre il quartetto d’archi del conservatorio (Vittorio Omati, Andrea Arcelli, Alessandro Pelissero, Giancarlo Catelli) suona il terzo divertimento di Mozart in fa maggiore. «I legami sono una delle ricchezze grandi della vita e una delle cose che ci sostengono quando la vita diventa faticosa e pesante; quando io ripenso a Piacenza ripenso ai volti, anche guardando questa piccola assemblea, volti delle persone che ho conosciuto e alle quali ho voluto bene. Devo ringraziare Piacenza come città: mi sono sentito accolto subito e questo atteggiamento mi ha accompagnato in questi 12 anni. Sono fiero della cittadinanza onoraria».
Monari cita il penultimo capitolo, il 21 dell’Apocalisse: la Gerusalemme celeste con le sue mura compatte ma anche con le sue dodici porte sempre aperte.
«La beatitudine, per la Bibbia, è una città. Noi ... se dovessimo pensare alla beatitudine penseremmo ad un bel prato verde con tanti fiori, alberi, un ruscello che ci passa in mezzo, con poca gente, qualche animale: quella, per noi, è l’espressione della felicità, della gioia, della libertà. Per la Bibbia l’espressione della felicità è una città compatta, con un muro che la circonda tutta. La concezione dell’uomo che ha la Bibbia non è quella dell’individuo isolato ma quella della persona che sta in relazione con gli altri». Monari insiste su questo punto: «Dire che la città ha un’anima significa che le relazioni che si stabiliscono tra i cittadini, tra le persone con funzioni e servizi diversi ma che si intrecciano, sono il volto vero, misterioso ma autentico, della città. La città è fatta di servizi, di strutture, ma anche di anima, di umanità che si trasmette da uno all’altro, che si arricchisce nel confronto». «Vivere nella città - continua Monari - vuol dire accettare il limite di una realizzazione che non è mai completa e perfetta, ma che è autentica fino a che ci sono delle persone autentiche, che pensano, che soffrono, che amano. Auguro a Piacenza proprio questo: che i rapporti interpersonali, che la percezione che la vita di ciascuno è intrecciata con la vita degli altri, diventi la più profonda possibile. Le differenze è giusto che ci siano ma devono stare dentro alla consapevolezza della dipendenza reciproca, del fatto che dipendiamo gli uni dagli altri, che gioiosamente dobbiamo accettare».
Federico Frighi
Il testo integrale su Libertà di oggi, 12 febbraio 2008
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