Sant’Antonino 2008
Omelia del vescovo mons. Gianni Ambrosio
Basilica di Sant’Antonino, celebrazione eucaristica delle ore 11
Saluto e ringrazio di cuore per la loro presenza tutte le autorità civili e militari e saluto e ringrazio tutti voi, cari fratelli e sorelle.
1. Sono trascorsi molti anni da quando un giovane soldato, di nome Antonino, ha offerto la sua vita per la fede in Gesù Cristo. Secondo la tradizione ciò è avvenuto il 4 luglio 303: dunque sono trascorsi millesettecentocinque anni. Un fatto lontanissimo nel tempo e tuttavia quanto mai attuale per la nostra comunità piacentina: quel giovane è patrono della città di Piacenza e della Chiesa piacentina-bobbiese. Nell’esempio di quel giovane martire la nostra comunità ha sempre trovato la forza per camminare nella fede senza mai perdere la speranza, cammino che sta percorrendo da diciassette secoli.
D’altronde la Parola di Dio parla sempre al presente e l’azione liturgica compiuta nell’oggi della nostra storia raccoglie in sé tutto il passato e dischiude un futuro di novità. Nella celebrazione il tempo non è una mera scansione cronologica ma è l’ ‘oggi’ di Dio per noi, con il suo amore che ci salva: “Ora si è compiuta - abbiamo proclamato nella prima lettura - la salvezza del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 12, 10).
Così, facendo memoria del santo martire nostro patrono, noi oggi celebriamo Colui per il quale Antonino ha offerto la sua vita, il Signore Gesù, consapevoli che Gesù, «morendo per noi» (cf Rm 5,8), ci salva, oggi, «mediante la sua vita» (Rm 5, 10), e vuole che «chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 15).
Per la città di Piacenza e per tutta la nostra Chiesa è motivo di gioia fare memoria del suo santo patrono ed invocarne l’intercessione, e, nel suo nome, sentirsi appartenenti a questa comunità. Così facendo, diventiamo anche noi, come lui, attori consapevoli del nostro tempo, resi capaci di porre una nuova pietra sul cammino verso la pienezza della vita.
Per me in particolare la gioia è davvero grande: in questa celebrazione ho la grazia di riandare, insieme a tutti voi che pochi mesi or sono mi avete accolto con grande affetto, alle origini di questa comunità, immedesimandomi in essa fin nelle sue radici più profonde e più vitali.
2. Poche sono le notizie certe riguardanti il giovane soldato Antonino, ma la notizia del suo martirio è fondamentale e decisiva, perché attesta uno stile di vita caratterizzato dal dono di sé per la fede di altri. Tutto il resto conta poco o nulla.
Antonino morì testimoniando la sua fede nel Signore Gesù crocifisso e risorto: questa fede era per lui la vita vera, più importante della stessa vita terrena.
Antonino morì testimoniando la forza dello Spirito di Dio che attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio e non schiavi che vivono nella paura (cf Rm 8,14-17).
La giovane comunità cristiana piacentina, fin dai tempi del vescovo San Savino - cui si deve il rinvenimento del corpo di sant’Antonino - ha visto in questo giovane martire un autentico testimone di Gesù Cristo e dunque un punto di riferimento sicuro per la propria fede, per la propria fedeltà, per la propria libertà. Ha visto in lui la bellezza della vita nuova, quella della creatura resa nuova in Gesù Cristo.
Noi siamo qui, in questa basilica dedicata al santo patrono, per invocarne la protezione sulla nostra città e per affidare a Lui tutti i suoi abitanti, dagli amministratori della res publica ai bambini, ai giovani, agli anziani, agli ammalati, ai poveri. Per tutti e per ciascuno chiediamo che siano illuminati i passi del nostro presente, non sempre facile. Per la nostra comunità chiediamo il coraggio di lavorare insieme per il bene di ciascuno e di tutti.
3. Riandando alle nostre comuni radici, vorrei in particolare rivolgere una preghiera al Signore per intercessione del nostro patrono: che ci sia concessa una adeguata visione della vita.
Sì, questa festa nella quale facciamo memoria di un giovane che pone in Dio una fiducia più grande di quanto fosse la sua paura della morte, mi suggerisce questa invocazione: anche a noi sia concessa, come grazia, una coraggiosa e alta visione della vita.
Perché da soli, con il solo nostro impegno, con le sole nostre categorie, l’orizzonte della vita risulterebbe ristretto, angusto. A tal punto che anche la nostra comune radice potrebbe diventare sfuggente, quasi incomprensibile, mentre grande è il bisogno di una sua riscoperta sia sul piano spirituale che culturale, anche per riuscire a superare quella che sembra essere una frattura comunicativa tra le generazioni.
Come riuscire oggi a comprendere il gesto di un giovane pronto a far valere il primato del Dio vivo – il suo amore, la sua benevolenza, la sua alterità pura e forte - fino a pagare il prezzo della vita per essere fedele a questa verità e per essere fedele alla propria libertà?
Ma se il gesto che sta all’origine della nostra comunità piacentina diventasse incomprensibile, allora inaccessibile diventerebbe il nostro passato, inconsistente il nostro presente, insignificante il nostro futuro.
E’ forse questa la grave ‘malattia dell’anima’ che ci affligge fino a renderci ripiegati su noi stessi, senza tensione creativa, senza slancio per il domani, persino indifferenti a fini e obiettivi di futuro, come è stata recentemente descritta la nostra società italiana? (cf Censis, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2007, Ed. Censis, Roma 2007, pp. XVII e XX).
Sono convinto che la realtà non sia così cupa e triste. Mi pare di poter affermare questo ascoltando e osservando la nostra realtà piacentina. E soprattutto cercando di interpretare ciò che osservo e ciò che ascolto alla luce di quell’orizzonte grande e ultimo che ci è dischiuso dallo sguardo verso l’alto, dallo sguardo rivolto a Dio. Guardare la realtà con lo sguardo di Dio, cambia le cose,
Proprio partendo da questo orizzonte, ritengo che, nonostante parecchi segni in apparenza contrari, non ci lasci indifferenti il giovane martire Antonino, perché non ci lascia indifferenti Colui che è “il martire”, Colui che ha conficcato la sua croce su questa terra per estendere a tutti la potenza della sua vittoria pasquale.
Sant’Antonino ha camminato sulla stessa strada dell’amore percorsa da Colui che ha dato la vita per noi. Per questo il martirio cristiano deve essere compreso e custodito nella sua verità ed originalità: è un atto di amore a Dio, è un servizio reso alla verità e alla libertà, è un’offerta della propria vita per la vita dei fratelli. Così è stato per il Signore Gesù, così è stato per sant’Antonino, così è per ogni martire cristiano.
Ma dobbiamo proseguire dicendo che i cristiani di ogni tempo e di ogni luogo sono chiamati al martirio, sono chiamati cioè ad essere testimoni coraggiosi della compagnia del Dio con noi e a farsi servi per amore. Lo afferma con forza l’apostolo Paolo nella seconda lettura: “Noi siamo i vostri servitori per amore di Gesù” (2 Cor 4, 5).
E’ questa la bellezza della fede cristiana, è questo il fascino della vita cristiana. Per questo il cristiano è pronto a rendere ragione della gioia che deriva dalla fede in Colui che ha dischiuso per noi le porte della vita quale vivente profezia di Dio che è Amore.
4. Martyrìa e diaconìa: ricorro ad una terminologia antica ma altamente significativa per esprimere sinteticamente l’amore per la causa di Dio e il servizio alla causa dell’uomo, alla sua libertà, alla sua dignità: questo caratterizza il martire sant’Antonino, questo deve caratterizzare ogni cristiano.
Non credo che noi siamo diventati insensibili alla forza irradiante della verità, dell’amore e del servizio: sono, queste, le dimensioni inscindibili che qualificano la vita e la rendono pienamente umana e profondamente cristiana. Se una certa insensibilità si è diffusa anche da noi, dobbiamo allora far valere le ragioni vere che spingono verso una visione autenticamente umana della vita, soprattutto oggi, nella nostra città come nel nostro Paese e in Europa, dopo il tramonto dei miti ideologici e in mezzo alle disillusioni del pensiero debole e rinunciatario.
A questo appello tutti siamo chiamati, senza distinzioni o senza esclusioni.
Abbiamo bisogno di ragioni vere per vivere e per costruire insieme un mondo più umano, più giusto, più sensato, con una coscienza critica attenta alla qualità della vita nel senso pieno e integrale, con una speranza operosa e vitale che sa superare le tante, le troppe paure.
Abbiamo bisogno di crescere nella stima reciproca, nel bene apprezzato e condiviso, nella passione educativa che pone al centro la persona, nella forza della speranza.
Abbiamo poi un grande bisogno, quello di renderci conto che l’affermazione del Vangelo – “chi ama la sua vita la perde” (Mt 12,24-25) - è certamente paradossale, difficile da comprendere e da vivere, ma è un’affermazione profondamente vera. E’ un messaggio di vita nuova, quale è il Vangelo, che non rinnega affatto la vita ma rinnega una certa forma di vita, e precisamente quella egoista, incentrata su di sé, fissata sul presente. Discorso difficile, certo, ma autenticamente evangelico e nello stesso tempo profondamente ragionevole, in quanto solo così si evita la stupida esaltazione di sé fino a fare di se stessi un idolo. Il Vangelo prosegue infatti con un realismo disarmante: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Mt 12,24). Credo che abbiamo urgente bisogno di questa pedagogia, e dobbiamo tutti lasciarci educare da questa disciplina severa che fa valere la ragione sulle utopie, sulle fantasie, sugli istinti.
5. Attorno a sant’Antonino, le cui reliquie sono da sempre venerate in questa Basilica, si è costruita una comunità operosa, con persone dalla solida coscienza civile.
Il tessuto connettivo della comunità umana non può essere solamente la convergenza degli interessi dei singoli. Non può neppure essere solamente il rispetto delle leggi, spesso ritenute oggi, con sorprendente miopia, come neutrali nei confronti di ogni visione della vita. Il desiderio profondo della comunità umana non è soddisfatto da una vita legalmente giusta, ma da una vita buona.
Il tessuto veramente solido di ogni comunità umana è la condivisione di quei beni umani mediante i quali ogni persona può realizzarsi compiutamente. A questa condivisione l’uomo giunge attraverso il dialogo ed il confronto che possono svolgere la loro alta funzione spirituale se si riconosce la verità della persona che precede ogni dialogo. Sant’Antonino aiuti la nostra comunità a sentirsi figlia di questa lunga tradizione di attenzione, di solidarietà, di carità, e nello stesso tempo stimoli tutti noi ad essere a nostra volta continuatori di questo patrimonio di umanità, di rispetto e di dialogo che la storia ha consegnato nella nostre mani e nel nostro cuore.
Cari fratelli e sorelle, venerando il nostro santo patrono, siamo invitati a testimoniare la speranza in cui siamo stati salvati, a gioire della bellezza della vita nuova che ci è donata, a mostrare la ragionevolezza del nostro quotidiano vivere in Cristo.
A questo ci impegniamo come comunità cristiana, auspicando un rifiorire del culto di sant’Antonino nella nostra città e nella diocesi e un più accurato approfondimento dell’importanza di una tradizione viva che ci lega alle origini della nostra comunità e della nostra Chiesa. Amen.
†Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio
1 commento:
Non è una brutta omelia. Ha dei contenuti interessanti rispetto ai "predichini" spirituali del predecessore.
Ma è lunga, troppo lunga! E' il difetto di tanti vescovi e preti che credono di salvare il mondo con le omelie... Chi salva è nostro Signore!
Se fosse stata un poco più breve tutti l'avrebbero apprezzata.
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