martedì 6 dicembre 2011

L'arcivescovo Lanfranchi: educare significa dare una speranza di vita

L'arcivescovo piacentino Antonio Lanfranchi è un uomo di chiesa che riesce a parlare alla gente in modo semplice e diretto. Nessun volo pindarico o ragionamento accademico. Pensieri semplici che gli arrivano dal cuore e dall'esperienza. Qui sotto la sua recente lezione alla Cattolica.

Educare per formare l'uomo. E' questo, sotto forma di slogan, il senso della lezione che l'arcivescovo abate di Modena-Nonantola, il piacentino Antonio Lanfranchi, ha tenuto ieri mattina all'Università Cattolica nell'ambito del ciclo di incontri promosso dall'assessore provinciale Massimiliano Dosi, dedicato ai "Maestri e modelli di vita". L'alto prelato, originario di Grondone di Ferriere ha parlato ad un pubblico composto soprattutto di studenti, sia dell'istituto Colombini, sia della facoltà di scienze dell'educazione, introdotto dall'assessore Dosi e dal direttore di sede dell'università Mauro Balordi. In cabina di regia don Davide Maloberti, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Piacenza- Bobbio. Tra il pubblico anche la prima maestra di Lanfranchi, Dina Bergamini, docenti universitari e il presidente di Piacenza Expo, Angelo Manfredini.
L'arcivescovo Lanfranchi parte dalla constatazione che qualunque cultura non può prescindere dalla domanda di educazione: «Senza questa domanda l'uomo sarebbe un fallito e seguirebbe un tragico destino». Invece non è così. «Educare è possibile ed è anche fondamentale. Si tratta di formare l'io, si tratta di formare l'uomo, cosa ancora più importante che creare professionisti. Contribuire come educatore alla nascita di un io che dura tutta la vita è la cosa più grande che si possa fare» si dice convinto l'arcivescovo Lanfranchi.
L'opera educativa è un mestiere che permette a chi lo fa di vivere, ma, osserva il presule, «in questo mestiere occorre inserire anche quella gratuità con cui il Papa, nella Caritas in Veritate, chiede venga affrontata l'economia».
Lo stupore di una vita che nasce sta, osserva Lanfranchi, all'origine dell'atto educativo: dunque educare vuol dire vivere il mistero della vita che si manifesta a partire dalla nascita. Ma non basta. Serve, come diceva don Giussani, l'impatto con la realtà. Un impatto che oggi sembra dominato solo dal piacere e non dalla spiritualità. Serve un esempio e monsignor Lanfranchi porta, come fa spesso, un frammento della sua vita vissuta. Il nipotino che guarda il cielo di Ferriere. Alla richiesta del perchè, la risposta: "Perchè prima di essere qui, noi eravamo tutti lassù". Ecco: «Con Dio o senza Dio la vita non è la stessa».
Da qui nasce l'impegno verso una educazione integrale che non censuri nessuna delle domande dell'uomo. Ma a chi tocca educare? Risposta: «A tutta la società con compiti e responsabilità diverse. E' importante creare sinergia tra scuole, parrocchie e famiglie, su comuni valori di fondo, rispettando le differenti modalità educative di ciascuno».
Alla base dell'educare c'è poi la maturazione di una conoscenza relativa all'altro: «L'educatore è coinvolto in prima persona, in una comunione di destino e di umanità che genera affezione, empatia, accettazione dell'altro per ciò che è». «L'educatore propone una visione di vita - evidenzia Lanfranchi - ma non gli interessa che il suo interlocutore diventi qualcuno, dare educazione è dare speranza per la vita. Lo diceva San Giovanni Bosco: educare è un affare del cuore».
Federico Frighi


26/11/2011 Libertà

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