Certo Gesù avrebbe potuto morire per noi in modi diversi, ma ha quasi obbedtito ad un simbolismo molto significativo. Fin dall'antichità pagana la croce ha un significato cosmico per le quattro dimensioni che contiene. Il cristianesimo primitivo le dà un significato nuovo. Gesù ha allargato le braccia riunendo giudei e pagani in un solo popolo nuovo, esprimendo così un amore che supera e sorpassa ogni conoscenza. Ma è soprattutto significativo il brano evangelico scelto per questa scelta: un passo del colloquio tra Gesù e Nicodemo, dove Gesù dice che bisogna rinascere dall'alto per entrare nella salvezza. Nel brano Gesù interpreta come simbolo di se stesso elevato sulla croce quello che Mosè aveva fatto nel deserto per salvare gli ebrei che mormoravano e che erano stati puniti col morso del serpente. Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Da notare però che il testo di Giovanni non dice di guardare la croce come si doveva guardare il serpente di bronzo, ma di credere in lui. Cioè, solo la fede permette il realizzarsi delle parole di Gesù: io quando sarà elevato da terra attirerò tutti a me. La croce però ha sempre creato difficoltà. Ma che razza di padre è questo Dio - diceva il pagano Celso - che non ha potuto salvare il proprio figlio dal supplizio più infamante della croce? E' l'obiezione più inquietante sulla paternità di Dio. Oggi si concentra su questo punto tutto il rifiuto di Dio da parte di chi è sensibile al dolore innocente, come quello, ad esempio, dei bambini; o Dio non può liberare dal male o non lo vuole; se non può allora non è più Dio, l'onnipotente; se non lo vuole, allora non è più il padre. Ma noi sappiamo che la croce è proprio la rivelazione dell'amore del padre, come dice il nostro Vangelo: Dio, cioè il Padre, ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito perchè chiunque crede in lui non muoia ma abbia vita eterna. Il Padre non è uno che se ne sta impassibile ma è talmente coinvolto nella sofferenza del figlio che è proprio lui il primo a pagare il prezzo della nostra liberazione, facendosi dono del suo bene più prezioso, cioè il suo figlio. Colui che era senza peccato Dio lo ha fatto peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio, dice San Paolo. Insomma, Dio ci ama perchè è amore. Un amore assoluto, un amore indipendente da ogni risposta umana, ma proprio per questo la croce manifesta un'amore gratuito e fedele. Il suo modo particolare di amarci lo possiamo esprimere così: la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci. La croce di Cristo ci insegna a guardare nella giusta propettiva alle nostre croci e a quelle delle persone care, senza correre il rischio di covare un rancore sordo contro Dio a causa del dolore che abbiamo dovuto sopportare sentendoci impotenti. La fede ci dice appunto che la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci e le preredime; quindi precedentemente le nostre difficoltà sono state sperimentate da Cristo. Dio non può patire ma può compatire, ci dice la Spe Salvi citando sant'Anselmo, che continua con queste stupende parole: a partire dalla passione di Cristo in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide le sofferenze e la sopportazione e diffonde in ogni sofferenza la consolazione dell'amore partecipe di Dio, e così sorge la stella della speranza. Il nostro dolore assume così un qualche cosa di salvifico>.
martedì 16 settembre 2008
ANGIL DAL DOM 3/Monsignor Eliseo Segalini: ecco perché la croce è amore assoluto
Monsignor Eliseo Segalini, presidente del capitolo della cattedrale di Piacenza-Bobbio ha celebrato domenica scorsa la messa per l'Angil dal Dom, in occasione della ricorrenza per l'esaltazione della Croce. Ecco alcuni passi della sua appassionata omelia.
Certo Gesù avrebbe potuto morire per noi in modi diversi, ma ha quasi obbedtito ad un simbolismo molto significativo. Fin dall'antichità pagana la croce ha un significato cosmico per le quattro dimensioni che contiene. Il cristianesimo primitivo le dà un significato nuovo. Gesù ha allargato le braccia riunendo giudei e pagani in un solo popolo nuovo, esprimendo così un amore che supera e sorpassa ogni conoscenza. Ma è soprattutto significativo il brano evangelico scelto per questa scelta: un passo del colloquio tra Gesù e Nicodemo, dove Gesù dice che bisogna rinascere dall'alto per entrare nella salvezza. Nel brano Gesù interpreta come simbolo di se stesso elevato sulla croce quello che Mosè aveva fatto nel deserto per salvare gli ebrei che mormoravano e che erano stati puniti col morso del serpente. Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Da notare però che il testo di Giovanni non dice di guardare la croce come si doveva guardare il serpente di bronzo, ma di credere in lui. Cioè, solo la fede permette il realizzarsi delle parole di Gesù: io quando sarà elevato da terra attirerò tutti a me. La croce però ha sempre creato difficoltà. Ma che razza di padre è questo Dio - diceva il pagano Celso - che non ha potuto salvare il proprio figlio dal supplizio più infamante della croce? E' l'obiezione più inquietante sulla paternità di Dio. Oggi si concentra su questo punto tutto il rifiuto di Dio da parte di chi è sensibile al dolore innocente, come quello, ad esempio, dei bambini; o Dio non può liberare dal male o non lo vuole; se non può allora non è più Dio, l'onnipotente; se non lo vuole, allora non è più il padre. Ma noi sappiamo che la croce è proprio la rivelazione dell'amore del padre, come dice il nostro Vangelo: Dio, cioè il Padre, ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito perchè chiunque crede in lui non muoia ma abbia vita eterna. Il Padre non è uno che se ne sta impassibile ma è talmente coinvolto nella sofferenza del figlio che è proprio lui il primo a pagare il prezzo della nostra liberazione, facendosi dono del suo bene più prezioso, cioè il suo figlio. Colui che era senza peccato Dio lo ha fatto peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio, dice San Paolo. Insomma, Dio ci ama perchè è amore. Un amore assoluto, un amore indipendente da ogni risposta umana, ma proprio per questo la croce manifesta un'amore gratuito e fedele. Il suo modo particolare di amarci lo possiamo esprimere così: la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci. La croce di Cristo ci insegna a guardare nella giusta propettiva alle nostre croci e a quelle delle persone care, senza correre il rischio di covare un rancore sordo contro Dio a causa del dolore che abbiamo dovuto sopportare sentendoci impotenti. La fede ci dice appunto che la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci e le preredime; quindi precedentemente le nostre difficoltà sono state sperimentate da Cristo. Dio non può patire ma può compatire, ci dice la Spe Salvi citando sant'Anselmo, che continua con queste stupende parole: a partire dalla passione di Cristo in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide le sofferenze e la sopportazione e diffonde in ogni sofferenza la consolazione dell'amore partecipe di Dio, e così sorge la stella della speranza. Il nostro dolore assume così un qualche cosa di salvifico>.
Certo Gesù avrebbe potuto morire per noi in modi diversi, ma ha quasi obbedtito ad un simbolismo molto significativo. Fin dall'antichità pagana la croce ha un significato cosmico per le quattro dimensioni che contiene. Il cristianesimo primitivo le dà un significato nuovo. Gesù ha allargato le braccia riunendo giudei e pagani in un solo popolo nuovo, esprimendo così un amore che supera e sorpassa ogni conoscenza. Ma è soprattutto significativo il brano evangelico scelto per questa scelta: un passo del colloquio tra Gesù e Nicodemo, dove Gesù dice che bisogna rinascere dall'alto per entrare nella salvezza. Nel brano Gesù interpreta come simbolo di se stesso elevato sulla croce quello che Mosè aveva fatto nel deserto per salvare gli ebrei che mormoravano e che erano stati puniti col morso del serpente. Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Da notare però che il testo di Giovanni non dice di guardare la croce come si doveva guardare il serpente di bronzo, ma di credere in lui. Cioè, solo la fede permette il realizzarsi delle parole di Gesù: io quando sarà elevato da terra attirerò tutti a me. La croce però ha sempre creato difficoltà. Ma che razza di padre è questo Dio - diceva il pagano Celso - che non ha potuto salvare il proprio figlio dal supplizio più infamante della croce? E' l'obiezione più inquietante sulla paternità di Dio. Oggi si concentra su questo punto tutto il rifiuto di Dio da parte di chi è sensibile al dolore innocente, come quello, ad esempio, dei bambini; o Dio non può liberare dal male o non lo vuole; se non può allora non è più Dio, l'onnipotente; se non lo vuole, allora non è più il padre. Ma noi sappiamo che la croce è proprio la rivelazione dell'amore del padre, come dice il nostro Vangelo: Dio, cioè il Padre, ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito perchè chiunque crede in lui non muoia ma abbia vita eterna. Il Padre non è uno che se ne sta impassibile ma è talmente coinvolto nella sofferenza del figlio che è proprio lui il primo a pagare il prezzo della nostra liberazione, facendosi dono del suo bene più prezioso, cioè il suo figlio. Colui che era senza peccato Dio lo ha fatto peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio, dice San Paolo. Insomma, Dio ci ama perchè è amore. Un amore assoluto, un amore indipendente da ogni risposta umana, ma proprio per questo la croce manifesta un'amore gratuito e fedele. Il suo modo particolare di amarci lo possiamo esprimere così: la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci. La croce di Cristo ci insegna a guardare nella giusta propettiva alle nostre croci e a quelle delle persone care, senza correre il rischio di covare un rancore sordo contro Dio a causa del dolore che abbiamo dovuto sopportare sentendoci impotenti. La fede ci dice appunto che la croce di Cristo assomma in sè tutte le nostre croci e le preredime; quindi precedentemente le nostre difficoltà sono state sperimentate da Cristo. Dio non può patire ma può compatire, ci dice la Spe Salvi citando sant'Anselmo, che continua con queste stupende parole: a partire dalla passione di Cristo in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide le sofferenze e la sopportazione e diffonde in ogni sofferenza la consolazione dell'amore partecipe di Dio, e così sorge la stella della speranza. Il nostro dolore assume così un qualche cosa di salvifico>.
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