lunedì 11 gennaio 2010

Ambrosio: nessuno è escluso dalla Missione Popolare

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa

Rito inizio Missione Popolare Diocesana

Cattedrale di Piacenza – 10 gennaio 2010
Omelia del vescovo mons. Gianni Ambrosio

Festa del Battesimo del Signore, inizio della Missione Popolare Diocesana.
(Isaia 42, 1-4.6-7; Atti 10, 34-38; Luca 3, 15-16.21-22)


Carissimi fratelli e carissime sorelle,

è bello e profondo il nesso tra la festa del battesimo di Gesù che stiamo celebrando e l’inizio della missione popolare nella nostra Chiesa. Non si tratta solo di una felice coincidenza, ma di un provvidenziale legame.

1. Nella celebrazione del battesimo di Gesù, viene svelato a tutti gli uomini il mistero della misericordia di Dio che, in Cristo Gesù, scende fino a raggiungere l’uomo nel più profondo del suo cuore. Sulle rive del Giordano Gesù manifesta la sua sorprendente solidarietà con tutti gli uomini. Egli è lì, in fila, con tutti coloro che sono accorsi per ricevere il battesimo di Giovanni, il profeta inviato da Dio. Giovanni annuncia la conversione in vista del Regno che sta per venire e chiama tutti a un deciso cambiamento di vita nel segno dell’immersione nelle acque del Giordano. Il battesimo di Giovanni è un “battesimo di conversione per la remissione dei peccati” (Lc 3,3): “anche i pubblicani” si recano da Giovanni per farsi battezzare (Lc 3,12). Gesù si mescola con quella folla che confessa i propri peccati e riceve il segno del battesimo di penitenza. Egli è, dice il Vangelo, con “tutto il popolo”, ne fa parte, ne condivide il desiderio di liberazione dal male, di perdono, di vita nuova.
L’evangelista Luca sembra voler solo accennare al battesimo di Gesù per subito portare l’attenzione su ciò che accade dopo il battesimo, la teofania. Ma è opportuno sostare: nel battesimo al Giordano, Gesù rivela lo stile e il contenuto della missione. Colui che è il Verbo eterno per il quale “tutto è stato fatto”, si trova a condividere il gesto di “tutto il popolo”, del popolo che si riconosce peccatore. Colui che è “la vita e la luce”, condivide il bisogno umano di luce e di vita, di grazia e di misericordia che si esprime nel gesto di invocazione e di purificazione. Il mistero dell’incarnazione è mistero di abbassamento, di condivisione, di solidarietà. Gesù, nel battesimo condiviso con tutto il popolo, assume su di sé tutta l’umanità peccatrice. Egli è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, prendendolo sulle proprie spalle nella logica dell’amore, della solidarietà, della sostituzione.

2. Carissimi fratelli, l’immersione battesimale è il primo atto pubblico di Gesù, il primo gesto della sua missione. Questa è la prima immagine pubblica che Gesù offre di sé: egli è in mezzo al popolo nelle acque del Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni. Un atto, un gesto, un’immagine che anticipano il dono totale della sua vita fino alla morte in croce.
Possiamo dire che nelle acque del Giordano, davvero “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini", come afferma l’apostolo Paolo (seconda lettura). Così “il cielo si aprì” appena Gesù ha ricevuto il battesimo e sosta in preghiera: é il frutto immediato del primo gesto della missione di Gesù, un gesto di amore per noi. E l’amore apre il cielo, perché il cielo è abitato dall’amore. Come ricorda l’evangelista Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
Si apre il cielo su Gesù e “scese su di lui lo Spirito santo…e venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Cristo riceve lo Spirito Santo per comunicarlo a noi: “ha dato se stesso per noi”, dona anche lo Spirito Santo. E con il dono dello Spirito, diventa possibile la vita nuova dei figli, salvati, giustificati per grazia, eredi della vita eterna. Il cielo si aprì su Gesù e si apre su tutti noi: siamo resi figli nel battesimo in Cristo Gesù, “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (seconda lettura).
La voce scende sul Verbo fatto uomo immerso nelle acque del Giordano. È la voce del Padre per il suo Figlio. Ma la voce del Padre risuona ormai per tutti i figli. Vi è ormai, a partire da quelle acque del Giordano, un’unica storia: è la storia degli uomini che si mescola con la storia del Figlio del Padre.
La voce del Padre sul suo Figlio, l’amato, raggiunge tutti coloro che il Figlio ha amato e ha voluto unire a sé, nel gesto condiviso del battesimo. Uniti a Cristo, abitati e santificati dal suo Spirito, siamo diventati in Lui figli del Padre. Per sempre, in attesa della pienezza della vita, quella vita che chiamiamo eterna. Immersi in Cristo nel suo santo battesimo, sentiamo rivolta a ciascuno di noi la voce del Padre: “tu sei il figlio mio”.

3. Carissimi sacerdoti, carissime fratelli e sorelle, la celebrazione del battesimo di Gesù offre un preciso orientamento alla nostra missione popolare. La gioiosa celebrazione del battesimo di Gesù è il punto di riferimento per tutti noi cristiani, immersi nella sua morte e resurrezione con il battesimo che abbiamo ricevuto. Da lì prende inizio la nostra nuova vita.
Per questo la nostra celebrazione è iniziata al fonte battesimale. La grande vasca battesimale della nostra Cattedrale, come sappiamo, risale al IV secolo: è molto significativo nella nostra Chiesa il più antico ‘segno’ liturgico della vita nuova in Cristo sia proprio la vasca del battesimo. Da lì accogliamo l’invito semplice e concreto che sgorga dal nostro cuore riconoscente e si fonda sul comando stesso di Gesù: raccontiamo l’amore misericordioso di Dio che si rivela in Cristo Gesù, testimoniamo la gioia di non essere soli ma uniti, uniti al Padre in Cristo Gesù e uniti ai fratelli e alle sorelle, viviamo la vita nuova che ci è donata, la vita liberata dal peso del peccato e resa vita filiale dallo Spirito Santo sceso su di noi.

4. Desidero sottolineare tre aspetti presenti nel brano evangelico che segnano la nostra missione.

Il primo aspetto è il popolo. Nei pochi versetti del brano evangelico, Luca parla del popolo per due volte, la prima volta dicendo che “il popolo era in attesa”, la seconda che “tutto il popolo veniva battezzato”.
Anche la nostra missione mette il popolo in primo piano, perché è missione popolare, perché è missione del popolo, con il popolo e per il popolo.
Luca afferma che “il popolo era in attesa”. Sorprende questa affermazione, perché Luca sa bene che quel popolo inquieto non accoglierà prontamente l’annuncio di Gesù. E tuttavia Luca dice: “il popolo era in attesa”. Sa riconoscere nel cuore inquieto e fragile degli uomini e delle donne del suo tempo una segreta invocazione, il desiderio di un cambiamento. Luca riconosce poi in Gesù colui che si immerge in questa attesa del popolo, la fa sua e la orienta, per non lasciarla nella sua indeterminatezza.
È questo il modo con cui anche noi siamo invitati ad avvicinarci gli uni gli altri nel tempo della missione: attenti a riconoscere e ad accompagnare l’attesa dell’altro, che nasconde sempre un desiderio di cielo, che è sempre un’invocazione rivolta a Dio, che lascia trasparire la speranza dell’incontro con Lui. Riconoscere e affermare con convinzione interiore che il popolo è in attesa è il compito fondamentale dei discepoli di Gesù nella storia. Perché, proprio in quanto discepoli, sappiamo di non conoscere fino in fondo il cuore dell’uomo e sappiamo pure che il regno che Gesù annuncia ha caratteri di novità che richiedono un modo sempre nuovo di pensare Dio e la sua presenza salvifica nel mondo.

Con questa sapienza che viene dall’alto, possiamo comprendere che i fatti del mondo non solo l’ultima parola e allora possiamo riconoscere che il popolo è in attesa di consolazione: “consolate il mio popolo, parlate al cuore di Gerusalemme, alza la voce tu che annunci liete notizie a Gerusalemme”. L’invito del profeta Isaia, ascoltato nella prima lettura, è sempre di viva attualità. Anche l’uomo del nostro tempo è inquieto e bisognoso, ferito dalle molte infedeltà, incerto per le molte fragilità, deluso per aver messo mano all’aratro e aver poi rivolto indietro lo sguardo (cf Lc 9,62): con quest’uomo possiamo cercare insieme la verità e condividere insieme la speranza, a quest’uomo possiamo comunicare la consolante notizia del Vangelo.
Il popolo è in attesa di Dio: “Ecco, il Signore Dio viene, come un pastore egli fa pascolare il gregge” (prima lettura). Il quaerere Deum, il cercare Dio, fa parte dell’humanum, anche se variano i modi di questa ricerca, anche se in particolari epoche della storia la ricerca avviene a tentoni, anche se il senso religioso sembra affievolito. Ma se sappiamo che la ricerca di Dio non è esaurita, sappiamo soprattutto non è venuta meno la ricerca di Dio per noi, per ciascuno di noi: è innanzi tutto l’uomo ad essere cercato da Dio che, per amore, “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32).

Il secondo aspetto è la frase di Luca: “il cielo si aprì”.
La missione di Cristo può essere riassunta in questo “aprirsi del cielo”: in Cristo Gesù il cielo si apre, come si aprono le braccia di un padre e di una madre che accolgono i figli. È un’espressione familiare che indica il comunicarsi di Dio all’uomo, l’apertura, la speranza. Con Gesù battezzato nel Giordano, il cielo è aperto e il cielo è per l’uomo, la comunicazione si è stabilita tra cielo e terra, tra il nostro quotidiano e il nostro destino ultimo.
Nell’avventura della missione popolare siamo invitati a ricordare che il cielo è aperto per tutti, senza differenza, senza distinzioni. Siamo “un popolo chiamato a guardare in alto”, secondo la stupenda espressione che troviamo nel profeta Osea 11,7, siamo un popolo in cammino verso l’alto, in pellegrinaggio verso quel cielo aperto ove siamo attesi.

Il terzo aspetto riguarda la preghiera di Gesù: “Gesù stava in preghiera”, dice Luca, l’evangelista che sottolinea sempre il valore fondamentale della preghiera. Sulle rive del Giordano, Gesù vive nella preghiera la comunione con il Padre. Ma appare anche come un figlio che attende la voce del Padre, quasi indugiando in preghiera che esprime il desiderio che il Padre stesso aggiunga ciò che il battesimo con acqua non può dare, invocando ciò a cui quel segno rinvia: lo Spirito Santo. Perché solo lo Spirito di Dio può liberare dal male e donare la vita nuova.

E’ davvero singolare che Gesù inizi la sua missione di inviato del Padre con un atto di preghiera e di ascolto della voce del Padre. Un atto che non consiste nel fare o nell’insegnare, ma nell’ascoltare e nell’invocare: è l’atto tipico del Figlio, di colui che sa di non poter fare nulla da sé, ma solo in comunione.
Anche la nostra Chiesa inizia la sua attività missionaria ‘fermandosi’, cioè ponendosi in ascolto della voce del Padre in preghiera. Iniziamo la missione invocando e accogliendo, come Gesù sulle rive del Giordano. Iniziamo la missione come ‘Chiesa del Signore’, come comunità di figli e di fratelli. Non mettiamo avanti noi stessi e i nostri progetti, ma lasciamo l’iniziativa a Dio e al soffio dello suo Spirito.
Per lasciarci educare da Dio e diventare suo popolo, per diventare discepoli di Gesù e mandati da lui in missione, siamo invitati alla grande scuola della Parola da accogliere nella preghiera. Anche noi, come Gesù, dobbiamo indugiare nella preghiera e arrivare ad rapporto di familiarità con la Parola di Dio. Per questo ho appena consegnato ai rappresentanti dei sacerdoti e dei laici di tutte le Unità Pastorali della diocesi l’Evangeliario della Missione. Lo scopo del primo anno della missione, come ho detto nell’atto della consegna, è questo: “il Vangelo sia accolto con animo libero e grato, sia annunciato a tutti e giunga al cuore dei cercatori di Dio”. Solo nella ‘familiarità orante’ con il Vangelo comprendiamo che l’uomo è fatto per Dio e che lo Spirito Santo abita nel più profondo del nostro cuore e ci rende capaci di servire nell’amore i fratelli.

5. Concludo dicendo a tutti che l’avventura della missione comincia da qui, dalla preghiera. Nessuno è escluso dalla missione, perché nessuno può dire di non aver tempo di pregare: sarebbe come dire di non aver il tempo di respirare.
Ma allora, nella preghiera, sarà facile renderci conto che siamo tutti in attesa, perché tutti vogliamo vivere, e non solo sopravvivere, sarà facile scoprire che tutti desideriamo guardare verso l’alto, perché abbiamo bisogno di speranza e di cielo aperto su di noi. Nella preghiera sarà soprattutto facile riconoscere che Gesù Cristo è il sì di Dio per noi: il suo amore trasforma la nostra esistenza.

So bene, lo dico soprattutto ai carissimi sacerdoti, che non mancano le difficoltà. Per questo desidero ringraziarvi molto, perché insieme abbiamo cercato di superare il piano delle obiezioni, pur legittime e comprensibili. E cercheremo di proseguire, confidando nel soffio dello Spirito ed anche nella buona volontà. Così come ringrazio i laici, e in particolare i giovani, che generosamente hanno accettato l’invito di prendere il largo. Ringrazio le religiose e i religiosi, gli ammalati e gli anziani, ringrazio tutti coloro che da tempo sono sul fronte della missione perché da tempo sostano in preghiera, anche con la particolare intenzione per la nostra missione popolare. Ringrazio infine i nostri missionari che sono in Brasile: sono uniti a noi nella preghiera e noi siamo in comunione con loro e li ringraziamo perché, con l’entusiasmo, ci hanno aiutato a preparare la missione come proposta di evangelizzazione da parte di una Chiesa che ascolta e annuncia, che prega e si converte, che educa e si lascia educare, che dialoga e propone.

In questa nostra Cattedrale, carissimi fedeli, si venera la Vergine Maria con il bel titolo di Madonna del popolo. La invochiamo con fiducia filiale, così come invochiamo la lunga schiera dei Santi di questa nostra Chiesa di Piacenza-Bobbio: ci accompagnino nel nostro cammino di popolo credente, lieto di vivere e di testimoniare la fede in Gesù Cristo e di donarla ai fratelli come vita, luce, gioia, speranza. Amen

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

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