«L'amore è più forte del male e della morte. Questa è la Pasqua e prepariamoci a viverla così perchè è l'evento decisivo per l'umanità». Con questo invito di Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, si sono chiusi ieri sera nel Duomo di Piacenza i Quaresimali, i giovedì di meditazione e preghiera in preparazione della Pasqua. E' la seconda volta che il priore Bianchi tiene una meditazione a Piacenza sul tema "Liberaci dal male". La prima nel maggio del 2008, in Sant'Antonino, nell'ambito del Festival della Teologia. Di fronte ad una cattedrale gremita, con la presenza anche di molti giovani, Enzo Bianchi ripropone, aggiornandola con un nuovo itinerario, la sua riflessione, dopo l'introduzione alla preghiera del vescovo Gianni Ambrosio.
«È nell'invocazione del Padre nostro che è contenuto il dramma di tutta l'umanità ma anche la volontà di Dio che è la liberazione dal male - esordisce Bianchi -. Alla presenza del male non è possibile non credere, ognuno di noi ne fa esperienza. È anche vero che vorremmo rimuoverlo, che la cultura dominante tende oggi a negarlo, cerca di coprirci gli occhi; ma il male prima o poi ci riappare con tutta la sua forza mortifera». «Il sogno dell'uomo - evidenzia - è anche quello di non vedere il male, di non considerarlo perché sempre sofferenza, dolore, morte». Cita la storia del Buddha che venne fatto crescere in un recinto felice: «Sentì però che quel luogo era una prigione; anche se in quel giardino non si presentava il dolore, lui soffriva. Uscì è incontrò un lebbroso, un vecchio, un cadavere e vide la realtà. Ecco, la nostra società sembra avere il pensiero del padre del Buddha: impedire il male». Qui esce l'Enzo Bianchi battagliero che non le manda a dire: «Siamo tentati di vivere la carità con un sms sul telefonino per non vedere la sofferenza, per tenerla lontana. A morire qui è soprattutto il nostro prossimo». Se il riferimento ai profughi di questi giorni è nell'aria, il disastro del Giappone viene citato esplicitamente: «Conosciamo il male attraverso gli altri, ma anche la sofferenza portata dalla natura, con il terremoto in Giappone, è una devastazione di morte che ci impressiona». C'è poi quello che la tradizione cristiana chiama peccato: «Una parola che cerchiamo di allontanare perché non vogliamo riconoscere il male di cui siamo responsabili.
Il salmo 8, alla domanda che "Cosa è l'uomo? " risponde che è poco meno di Dio; il 44 risponde che è una creatura che va verso la morte. Ora, proprio perché è poco meno di Dio, l'uomo ha una consapevolezza del male come nessun'altra creatura al mondo».
Il male è anche qualche cosa che nella Bibbia viene chiamato demonio. «Paolo chiama questa presenza "il dio di questo mondo" - sottolinea il priore di Bose -. Nel Padre Nostro c'è la supplica "liberaci dal Male". Appare dunque come una forza che noi subiamo. Penso che il termine migliore sia quello di demonio, qualche cosa che si impone. Attenzione, nessuna fantasia o curiosità morbosa sul demonio, solo la non negazione della sua presenza. E' una forza che prima o poi appare sempre come paura della morte».
Da questa consapevolezza ci rivolgiamo a Dio «nella coscienza - dice Bianchi - che da soli non riusciamo a liberarci dal male». «Tutta la vita di Gesù - evidenzia - è stata una battaglia contro il Maligno e un'azione di liberazione di quanti erano in potere del diavolo, della morte, della malattia e del peccato. Gesù non si è interessato speculativamente al male, bensì si è accostato al male incarnato dalla malattia, dalla sofferenza, dalla morte, dal peccato in uomini e donne concrete, in vittime del male. Gesù è risorto perchè non poteva non permettere che l'ultima parola fosse la morte».
Federico Frighi
08/04/2011 Libertà
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