Carissimo padre e vescovo, carissimi fratelli e sorelle,
siamo tutti impegnati nel cammino quaresimale, il cammino di conversione, di ritorno al Signore. E per questo, in questa assemblea di credenti cerchiamo di ascoltare il Signore in modo più intenso e più attento.
Ascoltare il Signore, e dunque ascoltare la sua Parola contenuta nelle sante Scritture è non solo ciò che ci compete ma ciò che è decisivo nella nostra vita. Dall’ascolto della parola di Dio, infatti, dipende la qualità della nostra fede, la qualità della nostra conoscenza del Signore Gesù Cristo. Dipende la nostra capacità di amore per il Signore, e quindi anche la nostra capacità di amore verso gli uomini, in mezzo ai quali noi viviamo.
Questo ascolto della parola del Signore si concretizza questa sera in un cercare di comprendere maggiormente la preghiera che Gesù stesso ci ha consegnato, il “Padre nostro”. E comprendere maggiormente una domanda di questa preghiera, la settima e ultima del ‘Padre nostro’ secondo Matteo che abbiamo ascoltato: “liberaci dal male”.
Quando il vostro Vescovo, che nella sua amicizia nei miei confronti, mi ha invitato, io ho gioito di questo invito per tornare di nuovo in mezzo a voi. Ma mi sono anche ricordato di aver già meditato qui a Piacenza su questa domanda contenuta nel ‘Padre nostro’. Ma ho pensato di acconsentire ugualmente tornando però sul tema rinnovando la mia meditazione e ricerca in modo da non ripetere quello che già avevo detto in quell’occasione del 2008 [1].
Vi propongo dunque stasera un nuovo itinerario che comprenderà la meditazione di tre anni fa. D'altronde il tema, anche se racchiuso in tre parole, “liberaci dal male”, è un tema inesauribile.
Perché proprio in questa domanda del “Padre nostro” è contenuto il dramma di tutta l’umanità e dell’umanità di tutti i tempi e di tutte le culture. Ma vi è anche contenuta la volontà di Dio, che è liberazione del mondo, liberazione dal male.
E per facilitare il vostro ascolto vi traccio l’itinerario:
1. Vorrei riflettere sul modo innanzitutto sull’esperienza del male.
2. Quindi sul grido: il grido che sale dalla sofferenza, il grido che è una preghiera: “Liberaci dal male”!
3. Infine, sulla risposta di Dio alla nostra preghiera: la vittoria sul male.
1. L’esperienza del male.
L’esperienza del male, innanzitutto. Al male! alla presenza del male, non è possibile non credere. Perché del male ogni uomo, ogni donna, fa l’esperienza. È verissimo che noi lottiamo contro il male. È anche vero che noi vorremmo rimuoverlo, e che forse la cultura dominante oggi riesce in parte a rimuovere il male, tenta di non tenerlo presente all’orizzonte della vita, tende a negarlo, cerca di coprirsi gli occhi. Ma il male prima o poi ci appare, e ci appare con tutta la sua forza, che è sempre una forza mortifera, sempre una forza che è una presenza della morte.
Il sogno dell’uomo non è soltanto quello di non conoscere il male, ma il sogno dell’uomo è anche quello di non vedere il male, di non considerarlo. Perché il male è sempre sofferenza, dolore, morte.
Noi non vorremmo fare la domanda, che però siamo obbligati a farla, quando prima o poi la sofferenza, il male, ci coglie. Perché? Perché? Che senso ha? Come è possibile di questa rimozione del male? Rimozione molto umana. Tutte le culture ne danno testimonianza.
Mi permetto solo di ricordarvi molto istruttiva per noi: la storia del Buddha. Okkava Buddha. Sta scritto nella storia di questo grande paziente che suo padre, che era un principe, quando nacque il figlio si preoccupò che potesse crescere veramente felice. Fece costruire una cinta al palazzo in modo che Okkava potesse vedere soltanto la bellezza, conoscere soltanto la gioia, godere in quel giardino e in quel palazzo. E Okkava, ci dice la storia di Buddha, fece la sua crescita in quel recinto felice. Ma un giorno sentì che quel luogo era una prigione, e che anche in quel luogo in cui non si presentava il dolore, lui soffriva. E allora uscì fuori da quel giardino, da quel palazzo. E incontrò subito dopo un malato lebbroso. Poi incontrò un vecchio decrepito. Poi incontrò un morto, un cadavere. E così vide il dolore, vide la realtà, conobbe davvero l’umanità.
La storia di Buddha prosegue dicendo che subito dopo incontrò un monaco, un monaco indù. Ed ecco allora nacque la domanda, una domanda che nasceva dalla adesione alla realtà umana, non dalla falsa situazione di un recinto felice.
Ecco, la nostra società, sembra avere il pensiero del padre di Buddha: impedire di vedere il male! Non chiamare neanche più male ciò che è male.
E così noi tutti siamo indotti a rimuovere il male in mille maniere.
Pensateci bene, ormai siamo sempre più lontani dai morti, il più possibile. Vogliamo stare lontano da quelli che soffrano. Aiutiamo, certo, perché siamo buoni; aiutiamo anche gli altri, ma abbiamo la tendenza ad aiutarli sempre più da lontano, senza avvicinarci troppo alla loro sofferenza. Addirittura noi oggi siamo tentati di vivere la ‘carità’ mandando magari un’offerta attraverso il ‘telefonino’ pur di non incontrare chi soffre.
Si dice che “è morto dio nella nostra società”; è vero! Ma è morto soprattutto il prossimo, e tra il prossimo appaiono perciò i lontani, quelli che del prossimo sono bisognosi. Li teniamo lontani il più possibile. E anche quando vogliamo aiutare gli altri, siamo tentati di aiutarli con la carità presbite, che funziona solo con chi è lontano. E tiene lontano da noi soprattutto la realtà della sofferenza del male.
Non è forse così?
Ma voi sapete che resta la realtà. E per chi aderisce alla realtà, per chi aderisce al presente e al quotidiano, prima o poi noi incontriamo il male operante nella nostra vita. Ci vuol poco per riconoscerlo. La malattia che ci coglie nella mente, e che è sempre più presente nella nostra società. La malattia che ci coglie nel corpo, la malattia che ci porta alla morte.
Ma conosciamo anche la sofferenza causata dagli altri, quando ci abbandonano, quando smentiscono il loro amore, quando ci calunniano; quando magari arrivano alla violenza nei nostri confronti.
Ma conosciamo anche il male attraverso la sofferenza causata dalla natura stessa, la natura che porta la morte, la fame. Come non possiamo pensare in questi giorni al male portato dalla natura attraverso il terremoto in Giappone, con una devastazione di morte che certo ci impressiona.
Questo è il male che noi, ciascuno di noi, soffriamo.
Ma non basta questa ricognizione, perché c’è una dimensione del male che non può essere tralasciata: il male di cui noi siamo protagonisti, il male che noi facciamo con azioni, con parole, con monizioni. Quel male che la nostra tradizione cristiana chiama peccato. Una parola che noi cerchiamo di evitare il più possibile, perché non vogliamo riconoscere il male di cui noi siamo responsabili.
Ma c’è un male, di cui siamo responsabili, che non è mai soltanto rivolta contro la volontà di Dio, ma che conosciamo come contraddizione all’amore, contraddizione alla comunione, caduta e sempre disumana e disumanizzante.
Ecco, questo è il male di cui facciamo esperienza nella nostra vita, per cui soffriamo. E così fatichiamo a vivere. A volte addirittura fatichiamo a causa del male a trovare senso alla nostra vita.
E qui va detto, solo l’uomo ha coscienza del male in tutte le sue dimensioni. Solo l’uomo può dire dove c’è il male e dove c’è il bene. Quell’uomo, che il Salmo 8°, alla domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È poco meno di un Dio”; è la grandezza dell’uomo: poco meno di Dio. Ma è anche l’uomo che nel Salmo 44°, sempre alla domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È un mortale”; è una creatura che va verso la morte, la cui vita è come il fiore, è come l’erba, è come l’ombra che declina. Secondo la Bibbia: l’uomo sta proprio in questa sua dignità, “poco meno di un Dio”; e in questa sua fragilità, è una creatura votata che va verso la morte.
L’uomo, proprio perché ‘poco meno di Dio’, ha una consapevolezza, ha una coscienza del male come nessun altra creatura del mondo. Gli animali soffrono anche loro, ma non hanno consapevolezza di che cosa sia il male; ma gli uomini sì. E gli uomini sanno che il male può venire dalla natura, dalla vita, ma può venire anche dagli altri, può venire dalla storia, e che il male può venire da noi stessi, perché ciascuno di noi può essere soggetto di male. Siamo peccatori, cioè gente che sa che sono sedotti dal male. Non dimenticate mai quella espressione di Paolo, di cui dovremmo avere coscienza quotidiana noi: “Non c’è bene che voglio fare che ho fatto; ma il male che detesto, il male che non voglio fare, in realtà poi io lo faccio” (cf Rm 7, 15 – N.d.R.).
È indubbio che nella fede ebraica, e quindi nella fede cristiana, anche se non si arriva a dare una risposta alla domanda “Un de mago?” – “Da dove viene il male?”, si afferma però anche un’altra qualità del male, che noi oggi proprio dimentichiamo, tralasciamo, anche nello spazio cristiano. Cioè, sia l’Antico che il Nuovo Testamento affermano che il male è anche un’azione di una potenza, di una forza, che viene chiamato ‘demonio’, che il male è anche l’azione di qualcuno che viene chiamato ‘avversario’, ‘satanico’, ‘satana’; che il male è anche qualcosa che è causato da un ‘divisore’ – ‘di-a-volo’ (divisore – diavolo). Ci viene anche detto che il male regna perché c’è “un principe di questo mondo”, dice il quarto Vangelo (Gv 16, 11); e questo principe di questo mondo vuole il male. Paolo addirittura chiama questa presenza il “dio di questo mondo” (cf Ef 6,12). Gesù lo ha chiamato qualche volta il “nemico per eccellenza”, il nemico di Dio, il nemico della Sua opera, il nemico del bene, il nemico anche della Creazione come opera che Dio ha vinto bella e buona. È un nemico dell’uomo. Ed è talmente capace di male che viene anche chiamato “maligno”.
È così che la domanda del “Padre nostro”, “Liberaci dal male”, può essere tradotta in due maniere; e noi non possiamo preferire una maniera all’altra.
Possiamo tradurre dal greco, che è la lingua in cui è scritto il vangelo di Matteo, con “liberaci dal male”, cioè liberaci da tutte le espressioni del male.
Ma possiamo anche tradurre “liberaci dal maligno”. Perché l’espressione greca, poneroù, non ci dice se qui c’è solo l’espressione del male, o “mistificatore” ‑ il responsabile supremo del male. Tanto è vero che all’interno della traduzione della Bibbia, che è stata assunta dalla Conferenza Episcopale italiana, proprio nell’indecisione di tradurre il “Padre nostro” – “liberaci dal male” o “liberaci dal maligno” ‑ , ma scegliendo una espressione o l’altra si sarebbe operato una scelta che tralasciava una comprensione, giustamente i vescovi hanno preferito “liberaci dal Male”, ma mettendo la ”M” maiuscola. Per cui con la “M” maiuscola al “Male” si lascia la possibilità di chiedere a Dio: “liberaci dalle espressioni del male”. Ma il male con “M” maiuscola ci rinvia al maligno, al maligno quello che Gesù chiama il “principe di questo mondo”, il nemico, il diavolo, il divisore, satana.
Notate che tutti questi nomi sono stati dati da Gesù al male operante e che Gesù incontrava in mille situazioni. Di fatto il male appare con una forza che noi subiamo, che poche volte noi riusciamo a vincere, a contenere. Una forza che appare come seduzione alla quale è difficile resistere
Davvero credo che il termine migliore per definire il male è ancora quello di “demonio”, dove questa espressione greca demòn indica una dominanza, qualcosa che si impone. Appunto, come diceva Paolo, “non il bene che voglio fare faccio, ma proprio il male che non voglio fare alla fine io faccio”. E qui credo che ciascuno di voi, come me, constata che questo è la nostra situazione.
E così nel “Padre nostro” noi diciamo, denunciamo, il male e il “maligno” come realtà che conosciamo. In questo senso, permettetemi di dire: è molto sciocco dire se si crede al demonio sì o no. Perché del demonio, di questa sua forza, noi facciamo l’esperienza. Non è proprio il caso di crederci. E questa esperienza la facciamo in modo banale, quotidiano, semplice, sovente senza essere all’altezza del discernimento di chi è all’opera, di chi tenta e ci seduce.
Non a caso noi siamo riusciti nel secolo che sta’ alle spalle a parlare della ‘ banalità del male ’.
Attenzione! Nessuna fantasia sul diavolo-demonio. Nessuna fantasia! Tanto meno nessuna curiosità lussuriosa; ma solo la non negazione della sua presenza, perché certamente c’è una forza che è efficace; c’è una forza nel male che è plurale, ha molte facce, è una forza seducente. Ci tenta… Ed è una forza che prima o poi appare sempre come paura della morte
2. Liberaci dal male.
Secondo momento della nostra riflessione.
Da questa consapevolezza, esperienza del male che ci colpisce, noi allora gridiamo: “liberaci dal male”!. Noi gridiamo, noi invochiamo, noi chiediamo aiuto, ci rivolgiamo a Dio, nella coscienza che da soli non sappiamo liberarci dal male, né totalmente, né definitivamente.
Oggi una cultura dominante ci vorrebbe fare intravedere che andiamo verso una vita personale o collettiva… Ieri l’accento cadeva sulla dimensione collettiva. Oggi la dimensione è piuttosto individualista. Ma si vorrebbe far credere che il male in realtà diminuisce fino a scomparire, perché la scienza e la tecnica vincono il male. Ci viene promessa una vita sempre più longeva… Ma in realtà fin che c’è la morte c’è il male.
E l’avevano già capito bene i credenti dell’Antico Testamento, là dove si afferma “liberazione non c’è se non dalla morte”.
Noi a volte riusciamo a liberarci da un male, ma in realtà subito dopo dobbiamo iniziare un’azione di liberazione da un altro male, e così via… E poi comunque incontriamo la morte la quale ci attende inesorabilmente. Lo dobbiamo ammettere. E chi è capiente tra gli uomini, lo sa. L’uomo non è immortale. L’uomo può allungare di qualche anno la sua vita, ma alla fine c’è il traguardo. È stato così dall’inizio dell’umanità, millenni di umanità. E anche gli scienziati più sapienti ci avvertono che è impossibile per noi uomini sconfiggere la morte.
Alla fine, dunque, noi abbiamo la morte. E prima nella vita abbiamo delle anticipazioni che sono sempre segno della morte. Che cos’è la malattia? Ma che cos’è anche la separazione in una storia d’amore? Che cos’è la situazione di bisogno che ci minaccia nel nostro vivere? Che cos’è la cattivazione degli altri che ci provoca sofferenza? Non c’è liberazione se non dalla morte.
E per questo noi invochiamo Dio: “Liberaci tu dal male”. Perché noi la liberazione dal male non ce la possiamo dare.
Vorrei invitarvi qualche volta a pregare i Salmi. Queste centocinquanta preghiere, che cosa sono? Sono grida! pianti! lamenti! urli! da una situazione di male. Perché quell’uomo, quel credente, che prega nel Salmo, vuole il bene, vuole la felicità, vuole la liberazione, vuole la salvezza.
Questa ultima invocazione del ‘Padre Nostro’, “liberaci dal Male”, dice in tre parole tutto quello che è contenuto nei Salmi. Direi che dice tutto il movimento della preghiera cristiana. Ogni preghiera è un’invocazione al Signore, al Dio in cui si crede, per passare dalla malattia alla salute, dalla morte alla vita, dalla disperazione alla felicità, dal peccato all’amore di Dio.
In tutte le preghiere che noi uomini facciamo c’è sempre esplicito, sottointeso, “liberaci dal male”. E i mali dai quali chiediamo la liberazione sono diversi; mutano anche nella nostra preghiera. Ma ciò che chiediamo è indirizzato sempre allo stesso Destinatario, il Dio in cui abbiamo fiducia, il Signore. E noi vogliamo da Lui sempre la sua presenza, la sua consolazione, il suo amore.
La preghiera del “Padre nostro” inizia con l’invocazione a Dio come Padre: “Padre nostro”. Cioè noi abbiamo la fiducia che da Lui viene la vita. Ecco perché lo chiamiamo “Padre”: perché da Lui viene la vita.
E concludiamo il ‘Padre nostro’ con queste invocazioni contro il male, queste invocazioni di liberazione di salvezza.
E vorrei dirvi di più, come notava un padre della chiesa ‑ che ha commentato bene il ‘Padre nostro’ ‑, un padre della Chiesa antica: Giovanni Crisostomo, il quale diceva: “Quando noi diciamo ‘ liberaci dal male ’, di fatto stiamo dicendo tutto il ‘Padre nostro’”. Tutte le invocazioni ‑ perché le invocazioni precedenti: “venga il tuo regno”, “sia fatta la tua volontà”, “dacci oggi il pane quotidiano”, “rimetti a noi i nostri peccati”, “non abbandonarci alla tentazione” ‑ sono tutte richieste di liberazione dal male. È sempre il male che impedisce che siano realtà: vita degli uomini, le cose che chiediamo nel ‘Padre nostro’, il Regno, la realizzazione della volontà di Dio, il perdono.
Potremmo dire che queste parole sulla bocca del cristiano sono alla fin fine sempre ‘liberaci dalla morte’: sì, dalla morte! “Dalla morte”, come ultima parola per ciascuno di noi. Certo la morte eterna, quella morte che significa “esclusione dalla comunione con Dio”. Ma anche dalla morte che ti raggiunge alla fine della nostra vita. E anche dalla morte che è presente magari in uomini e donne che sembrano vivi, ma che sono “morti” perché incapaci di una vita di comunione, incapaci di speranza.
Dobbiamo pregare, e pregare dunque, chiedendo al Signore ciò che noi non possiamo da soli. Dobbiamo pregare il Padre perché ci dia la forza di resistere al male, perché c’è una resistenza al male che ci spezza, senza la quale Dio non può operare. Resistere a satana, al ‘tentatore’. Lottare contro tutte le forze del male che ci assalgono, è il nostro compito.
E per resistere occorre esser pronti ad una dura e incessante lotta spirituale, ma in questa resistenza occorre che sia presente il Signore.
Nel Salmo 119° c’è un’espressione straordinaria: “Signore, nella mia lotta si tu a lottare”. Quando noi lottiamo contro la tentazione, contro il male, il Signore è lui che lotta in noi.
E come dimenticare le parole di Gesù? che, nella lotta contro il male, aboliva “Questa specie di demoni non la si può scacciare, se non con la preghiera” (Mc 9, 29). E come dimenticare le parole dell’apostolo Paolo?: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12, 21).
3. La vittoria sul male.
Infine, ultimo punto della nostra meditazione, “la vittoria sul male”.
Il male che ti colpisce. Questa azione del demonio che si fa sentire nella nostra vita personale e collettiva, è invincibile? È una realtà ultima? È l’ultima parola sulla vita degli uomini?
Ecco, qui c’è la buona notizia: c’è il Vangelo! Che è davvero la risposta, l’unica risposta al dramma del male. Infatti, la “buona notizia”, l’unica vera buona notizia ‑ che i cristiani dovrebbero non solo ritenere loro speranza, ma sentirlo soprattutto come l’unico vero debito che hanno verso l’umanità, verso i fratelli ‑, questa buona notizia è che Gesù con la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione ha vinto il male e il maligno per sempre.
Ci bastino due parole del Nuovo Testamento.
Negli Atti degli Apostoli, Pietro riassume così la vicenda di Gesù: “Gesù, un uomo che passò facendo il bene e risanando tutti quelli che stavano sotto il potere del male, perché Dio era con Lui”, sta’ in Atti 10, 38. Ecco la vita di Gesù: una vita in cui ha fatto il bene, sottraendo al potere del male tutti quelli che erano malati e che Lui guarì.
Ma un’altra affermazione importante si ha sulla bocca di Gesù secondo il quarto Vangelo. Quando Gesù, ormai attraverso la sua passione e morte, la vigilia, a Gerusalemme, Gesù grida: “Ora il principe di questo mondo è buttato fuori” (Gv 12, 31). Cioè ora il demonio, con la mia passione morte e resurrezione, è vinto per sempre! È buttato fuori! Non ha più una vittoria definitiva per gli uomini.
Tutta la vita di Gesù è stata una battaglia contro il male, e contro il Male con la “M” maiuscola, perché Gesù è stato tentato e ha resistito alle tentazioni: ha vinto il demonio. Perché Gesù ogni volta che ha incontrato il Male nelle sue varie forme – i malati, i peccatori – ha dato loro la vita, ha rinnovato la loro vita, ha dato loro il perdono e l’amore. Tutto l’operare di Gesù era togliere terreno e potere al male. E questo Gesù non l’ha fatto interessandosi del male in modo astratto. Gesù ha mai speculato sulla realtà del male, come siamo tentati di fare noi; ma ha voluto incontrare uomini e donne segnate dal male, segnate dalla malattia, segnate dal peccato, segnate dalla morte.
E Gesù ha incontrato noi uomini prendendosi cura di noi, curando le nostre malattie – dicono i Vangeli –, liberandoci dal potere del male.
Tutta la sua dizione, come aveva detto nella sinagoga di Nazaret, era annunciare la buona notizia ai poveri, portare la libertà ai prigionieri, portare ai ciechi la vista, portare la liberazione agli oppressi (cf Lc 4, 16-19).
E questa lotta di Gesù contro il male, era una lotta combattuta soltanto con la voce.
E possiamo anche riassumere la vita di Gesù, non solo come facevano gli Atti degli Apostoli, ma sto facendo del bene, ma come fa il quarto Vangelo: adesso ho amato: ‘amò fino all’estremo’, “amò fino alla fine” (Gv 13,1). Questa è la sintesi di tutta la vita di Gesù.
E se i discepoli potranno arrivare a dire che “Dio è amore” – questa è l’affermazione che fa Giovanni nella sua lettera (1 Gv 4, 8.16) ‑ (e lo sapete) è l’affermazione ultima, l’ultima del Nuovo Testamento, dopo la quale non sono possibili altre definizioni ulteriore di Dio. Ma se sono arrivati a dire che “Dio è amore”, ciò cui non era giusto l’Antico Testamento. L’ha fatto perché avevano visto l’amore di Dio presente nella vita umanissima di Gesù, l’autorevolezza di Gesù, la sua forza, quella che permetteva a Gesù di guarire i malati, di risvegliare una donna in una prostituta, di risvegliare un uomo nuovo in uno strozzino, di mettere vita dove c’è la morte. Era la sua capacità di amare concretamente, umanamente e gratuitamente.
Così Gesù dimostrava che il male può soltanto essere vinto soltanto dal bene, dunque dall’amore che è il bene supremo.
E dopo un’esistenza segnata dall’amore, anche nella Passione. Quando si scaricava su di Lui l’odio dei potenti ‑ la violenza dei persecutori, il tradimento degli amici ‑, Gesù ha continuato ad amare mai contraddicendo l’Amore. Mai cedendo al Male, mai cedendo alla tentazione di opporsi al male con il male.
È andato incontro alla morte come ogni altro uomo, ma è entrato nella morte amando. E questo suo Amore non poteva morire per sempre. Sicché Dio ‑ il Padre – ha dovuto confermare il suo Amore risuscitandolo da morte.
Stiamo attenti a noi cristiani! Quando finiamo per dire che Gesù è risorto solo perché era Figlio di Dio – messaggio troppo breve che agli uomini non interessa nulla! Gesù è risorto perché il suo Amore – che era l’amore di Dio operante in Lui – non poteva morire, e non poteva permettere che l’ultima parola fosse la morte. Per cui, il Padre confermandolo come Figlio ‑ come sua Narrazione, come sua Rivelazione ‑ lo ha resuscitato dai morti: ha mostrato che l’Amore vince la morte. E questa è la Pasqua, questa è la buona notizia pasquale. L’Amore è più forte della morte. L’Amore è capace di vincere il male.
Cari fratelli e care sorelle, in questo cammino quaresimale ci siamo impegnati a lottare contro il male, e abbiamo certamente pregato più volte il Signore “liberaci dal male”. E ormai, ecco, la Pasqua ci sta’ davanti. La Pasqua è vittoria sulla morte, sul Male e sul peccato. La vittoria dell’amore di Dio. La Pasqua è l’evento decisivo per l’umanità.
Vogliamo noi partecipare a questo evento? L’evento del Cristo vincitore del Male e della morte? Vogliamo essere con Cristo nella lotta contro il male, vittoriosi! Grazie soltanto a Lui, alla sua azione, alla sua Grazia, non certo fondando sulle nostre forze? E vogliamo con tutti i nostri limiti essere con Cristo nell’Amore fino alla fine, a prezzo anche della croce?
Così saremo liberati dal Male, e saremo esauditi nella nostra preghiera del ‘Padre nostro’: “Liberaci dal Male”. Questa è l’invocazione. Una invocazione che facciamo però nella fede di Cristo, che ci ha liberati dal male con la sua vita, la sua morte, la sua Passione, cioè con il suo Amore fedele fino alla fine.
Apprestiamoci a celebrare la Pasqua, come vittoria dell’amore di Dio sul Male, che purtroppo regna nel Mondo, e che sovente regna anche in noi: il male che conosciamo, che non possiamo rimuovere, ma che Dio in Gesù Cristo ha vinto per sempre.
Documento rilevato da registrazione audio da Vittorio Ciani, nel linguaggio parlato, ma non rivisto dall’Autore.
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