«La Quaresima ci ricorda che solo nel silenzio possiamo prendere in mano la nostra vita e possiamo riprenderci il tempo dell'ascolto». Lo ha detto il vescovo Gianni Ambrosio che ieri sera in duomo ha presieduto la cerimonia delle Ceneri in Duomo. Insieme al silenzio, l'altro grande segno: l'imposizione delle ceneri sul nostro capo. «Questo gesto è accompagnato dal monito di Gesù: "Convertiti e credi al Vangelo" (Mc 1,15) - ha evidenziato il vescovo - oppure dal monito tratto dal libro della Genesi: "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai" (Gn 3, 19). Sono ammonizioni severe, che si richiamano vicendevolmente. Solo ricordando la verità della nostra vita possiamo evitare di fare di noi stessi un idolo, fino a presumere di poter decidere il senso della nostra esistenza». Il vescovo ha poi esortato alla conversione e ricordato l'esempio di Benedetto XVI e la sua rinuncia al ministero di vescovo di Roma e di successore di Pietro: «Nell'anno della fede, accogliamo questa decisione come un atto di fede del nostro Santo Padre, un atto umile e coraggioso e preghiamo per Lui e per la Chiesa, come egli ci ha chiesto».
14/02/2013 Libertà
venerdì 22 febbraio 2013
giovedì 21 febbraio 2013
La preghiera contro il male
«Il problema del male riguarda tutti i popoli e tutte le epoche e dipende dal demonio - spiega padre Achille Taborelli -. E' il demonio che genera il male e la sua azione può essere ordinaria o straordinaria».
L'azione ordinaria si esplica con le tentazioni: «Quella di tentare l'uomo è l'attività alla quale il demonio si dedica maggiormente ed è quella a cui tiene di più». L'azione straordinaria «si esplica, più raramente, attraverso i malefici: possessione (quando si capisce di non essere più padroni di se stessi); vessazione (mali fortissimi come dolori, malattie, malvagità che sono di impedimento alla propria libertà di azione), ossessione (pensieri frequenti ossessivi che conducono alla disperazione, alla perdita del sonno), infestazione (case, oggetti, animali) ». Per allontanare il male morale e fisico ecco, per padre Taborelli, l'efficacia della preghiera di liberazione con la quale «ci si accosta a Cristo "il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perchè Dio era con lui" (At. 10,38) ».
14/02/2013 Libertà
L'azione ordinaria si esplica con le tentazioni: «Quella di tentare l'uomo è l'attività alla quale il demonio si dedica maggiormente ed è quella a cui tiene di più». L'azione straordinaria «si esplica, più raramente, attraverso i malefici: possessione (quando si capisce di non essere più padroni di se stessi); vessazione (mali fortissimi come dolori, malattie, malvagità che sono di impedimento alla propria libertà di azione), ossessione (pensieri frequenti ossessivi che conducono alla disperazione, alla perdita del sonno), infestazione (case, oggetti, animali) ». Per allontanare il male morale e fisico ecco, per padre Taborelli, l'efficacia della preghiera di liberazione con la quale «ci si accosta a Cristo "il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perchè Dio era con lui" (At. 10,38) ».
14/02/2013 Libertà
Argomenti
Esorcista,
padre Achille Taborelli
mercoledì 20 febbraio 2013
Verso il Conclave/Illica: un segno bello per la Chiesa e per il mondo
Il vescovo Gianni Ambrosio, il vicario generale monsignor Giuseppe Illica, il teologo padre Giuseppe Testa, l'ex vicario generale monsignor Lino Ferrari commentano le dimissioni del Papa.
«Con grande stupore ho appreso la notizia della rinuncia di Benedetto XVI. Un annuncio che mi ha molto sorpreso e che ha sorpreso tutti». Il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, ieri mattina, non appena arrivata la voce in Curia, si è messo subito al telefono per saperne di più. «Anche tra i cardinali c'era sorpresa e qualcuno non presente in San Pietro dubitava perfino della veridicità della notizia» ammette il vescovo.
«Ho avuto la gioia di incontrare Benedetto XVI qualche giorno fa, sabato 2 febbraio, nella Visita ad limina - ricorda il vescovo -. Era a fine mattinata, certamente era affaticato ma molto vigile, con domande precise sulla nostra Chiesa di Piacenza-Bobbio. Ora, dopo la comprensibile sorpresa del primo annuncio di agenzia, ammiro il coraggio e l'umiltà di questa decisione. È un atto coraggioso e umile, nel senso che il Papa ha tenuto fede a quanto aveva dichiarato soprattutto all'inizio del suo Pontificato, quando disse queste prime parole: "Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore". Quando si è reso conto che "il vigore del corpo e dello spirito" stava diminuendo e gli impediva di "amministrare bene il ministero" a lui affidato, non ha esitato a rassegnare le dimissioni, assicurando che "anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio". E' una lezione di fede nell'Anno della Fede».
Da tempo era programmato il pellegrinaggio diocesano a Roma, alla sede di Pietro, con l'udienza papale prevista proprio per il 27 febbraio, il giorno prima della formalizzazione delle dimissioni papali: «Saremo là con il nostro gruppo di duecento piacentini ad esprimere al Santo Padre il nostro affetto filiale e la nostra grande riconoscenza».
Anche in seminario, al Collegio Alberoni, stupore tra seminaristi e docenti al momento dell'annuncio. «Penso che vada dato onore al Papa - osserva il teologo padre Giuseppe Testa - che è stato consapevole della responsabilità del suo ruolo e delle forze che vengono meno. Ha appreso qualche cosa dall'esperienza di Giovanni Paolo II. Penso anche che in qualche misura possa avere influito l'esperienza anglicana con l'incarico a tempo e le dimissioni, dopo dieci anni, dell'arcivescovo di Canterbury».
«E' stato un grande gesto - è convinto il vicario generale monsignor Giuseppe Illica - una cosa bella che ci fa vedere che non smettiamo di essere uomini. Quando uno non ce la fa più è giusto che si ritiri. E' un segno bello per la Chiesa e per il mondo. Lo imparassero anche i nostri politici, da Berlusconi a Napolitano». «Un gesto anche profetico - dice monsignor Lino Ferrari - nel far sentire che il bene della Chiesa va messo al di sopra di ogni bene personale».
12/02/2013 Libertà
«Con grande stupore ho appreso la notizia della rinuncia di Benedetto XVI. Un annuncio che mi ha molto sorpreso e che ha sorpreso tutti». Il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, ieri mattina, non appena arrivata la voce in Curia, si è messo subito al telefono per saperne di più. «Anche tra i cardinali c'era sorpresa e qualcuno non presente in San Pietro dubitava perfino della veridicità della notizia» ammette il vescovo.
«Ho avuto la gioia di incontrare Benedetto XVI qualche giorno fa, sabato 2 febbraio, nella Visita ad limina - ricorda il vescovo -. Era a fine mattinata, certamente era affaticato ma molto vigile, con domande precise sulla nostra Chiesa di Piacenza-Bobbio. Ora, dopo la comprensibile sorpresa del primo annuncio di agenzia, ammiro il coraggio e l'umiltà di questa decisione. È un atto coraggioso e umile, nel senso che il Papa ha tenuto fede a quanto aveva dichiarato soprattutto all'inizio del suo Pontificato, quando disse queste prime parole: "Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore". Quando si è reso conto che "il vigore del corpo e dello spirito" stava diminuendo e gli impediva di "amministrare bene il ministero" a lui affidato, non ha esitato a rassegnare le dimissioni, assicurando che "anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio". E' una lezione di fede nell'Anno della Fede».
Da tempo era programmato il pellegrinaggio diocesano a Roma, alla sede di Pietro, con l'udienza papale prevista proprio per il 27 febbraio, il giorno prima della formalizzazione delle dimissioni papali: «Saremo là con il nostro gruppo di duecento piacentini ad esprimere al Santo Padre il nostro affetto filiale e la nostra grande riconoscenza».
Anche in seminario, al Collegio Alberoni, stupore tra seminaristi e docenti al momento dell'annuncio. «Penso che vada dato onore al Papa - osserva il teologo padre Giuseppe Testa - che è stato consapevole della responsabilità del suo ruolo e delle forze che vengono meno. Ha appreso qualche cosa dall'esperienza di Giovanni Paolo II. Penso anche che in qualche misura possa avere influito l'esperienza anglicana con l'incarico a tempo e le dimissioni, dopo dieci anni, dell'arcivescovo di Canterbury».
«E' stato un grande gesto - è convinto il vicario generale monsignor Giuseppe Illica - una cosa bella che ci fa vedere che non smettiamo di essere uomini. Quando uno non ce la fa più è giusto che si ritiri. E' un segno bello per la Chiesa e per il mondo. Lo imparassero anche i nostri politici, da Berlusconi a Napolitano». «Un gesto anche profetico - dice monsignor Lino Ferrari - nel far sentire che il bene della Chiesa va messo al di sopra di ogni bene personale».
12/02/2013 Libertà
Super lavoro per l'esorcista
Per chi dice che il demonio non esiste, che è tutta suggestione e che più che un esorcista serve uno psicologo o uno psichiatra.
Quindici visite a settimana. Persone inviate da sacerdoti, dal passaparola della gente, ma anche da psicologi e specialisti. Esorcista ufficiale della diocesi di Piacenza-Bobbio da poco di più otto mesi, padre Achille Taborelli, scalabriniano, è stato catapultato tra i "fumi di zolfo" alla veneranda età di 82 anni, quasi per caso, per obbedienza al vescovo. Ne parla volentieri facendo un primo bilancio del suo nuovo ministero.
«Ho gente che viene quasi tutti i giorni, una quindicina di richieste a settimana - racconta nel suo studio al pian terreno del santuario del Castello, a Rivergaro -. Non è che ci sia sempre la coda del diavolo. Vengono per problemi loro particolari o per quel senso di negatività che dicono di sentirsi attorno. Molti sono vittime della crisi ecomica. Si sfogano. Li ascolto e impartisco loro la benedizione di liberazione».
Come si arriva dall'esorcista?
«Vengono inviati dal passaparola, dai frati di Santa Maria di Campagna, dai Capuccini di Santa Rita, dal vicario generale, alcuni da Parma. Le strade sono tante. Anche uno psicologo mi ha mandato una sua paziente, una dottoressa con ossessioni che non la facevano dormire».
Quante volte si è imbattuto nel diavolo?
«Due in otto mesi. Uno era il caso di un avvocato che veniva da Milano. Fino a Natale è venuto da me. Poi il cardinale Angelo Scola ha nominato 7 esorcisti portando il numero totale a 12 e istituendo un numero verde. Così ha preferito continuare le sedute nella sua diocesi. L'altra una donna piacentina della provincia. Una persona laureata, distinta, di buona famiglia. Durante le sedute c'era il marito o un aiutante. Quando facevo il segno della croce o imponevo le mie mani sul suo capo si agitava e cominciava ad urlare come un ossesso; sputava da tutte le parti, anche chiodi».
Chiodi?
«Sì, ha capito bene; ma non voglio aggiungere altro. Una volta terminata la seduta, tornava tranquillissima come se niente fosse stato. Il male con la emme maiuscola entra nell'uomo perchè c'è l'invidia, il malocchio, la stregoneria, la ricerca del futuro nelle carte o nei fondi di caffè. Poi ci sono i dissidi in famiglia, o tra fratelli o tra genitori e figli. Tante situazioni che, se non sono causate in prima persona dal demonio, tuttavia possono farlo entrare».
Si parla di case infestate. E' vero?
«In questi mesi sono andato a benedire due appartamenti. Marito e moglie uscivano al mattino per andare a lavorare e tornavano la sera trovando mobili spostati, segni sulle pareti come la esse di satana; altri due fidanzati stavano ristrutturando la casa quando hanno trovato sotto le pietre del pavimento la cifra della Bestia. Sono andato in casa, ho dato la benedizione. E' tutto finito».
Di fronte a certe manifestazioni non le vengono i brividi alla schiena?
«Beh, naturalmente siamo tutti umani e quindi c'è un poco di impressione. Ma paura no. Penso di essere in grazia di Dio... (ride) ».
Ma esiste davvero il diavolo? Ce lo assicura?
«Oh, ma certo! Certo che esiste. Eccome. Basta prendere le Sacre Scritture: la prima domenica dopo le Ceneri abbiamo le tentazioni di Gesù da parte di satana. Poi è Gesù stesso che dà il potere agli apostoli, oltre che di predicare il Vangelo in tutto il mondo, di scacciare i demoni».
La Chiesa stessa però, a volte, è scettica.
«Bisogna avere tanta prudenza e non abboccare subito. Alcune volte può essere che si veda veramente la possessione, altre sono guai che possono capitare a chiunque. Io nel mio ministero ho l'appoggio del vescovo e questo mi basta. Sì, è vero che qualcuno è scettico. Nelle riunioni di preti non intervengo mai ma ascolto e sento magari qualche frecciatina... (ride) ma non rispondo. Peraltro è venuto da me anche un sacerdote, di un'altra regione. Era disperato, sentiva dentro di sè una forza malvagia».
Quanto dura una visita dall'esorcista?
«Ogni persona che arriva sta qui una mezz'ora, un'ora. Non faccio nulla di particolare. Parliamo un po', do i consigli che sono capace di dare e poi faccio questa preghiera di liberazione.
C'è gente che si meraviglia perchè pensa di vedere uno stregone che opera miracoli. Quando mi vedono, forse rimangono un poco delusi poi si tranquillizzano. Tanti tentano sempre di farsi fare un esorcismo, ma devono prima mettersi a posto loro stessi. Ad esempio con la preghiera o il digiuno. Adesso viene la Quaresima e il digiuno serve moltissimo a liberarci da questi influssi negativi che possiamo sentire in mezzo a noi».
Senta, con rispetto, è vero che non le hanno dato neppure il rituale?
«Eh sì, sto imparando a fare l'esorcista. Non ho neanche il rituale perchè è in ristampa. Ne ho qui una fotocopia che mi hanno procurato da Roma, ma è il rito in italiano. Quello più efficace è il rituale in latino di cui sono sprovvisto. Contro il demonio funziona meglio il latino».
Lei al santuario del Castello ha portato le messe di guarigione.
«Sono ogni terzo sabato del mese, alle 15 e 30 (la prossima è questo sabato, ndr.). E' pieno di gente che viene per pregare. Durante la prima una donna si è messa ad urlare frasi incomprensibili. Io ero all'altare. L'hanno portata in sacrestia e si è calmata. Poi non è più accaduto».
Crede agli Ufo? Dicono che in Valtrebbia se ne vedano parecchi.
«No. Sono frutto di fantasie e suggestioni. Tante volte si scrutano le nubi e si intravedono figure particolari, illusioni ottiche».
Mentre il demonio non è un'illusione?
«Assolutamente no! Basta prendere anche solo il Vecchio Testamento. Se crediamo al Vangelo non si può non ammetterlo. Gesù ne parla ed è stata una delle sue attività liberare gli indemoniati. La cosa però importante è questa: che tutte queste manifestazioni, dalla possessione alla vessazione, all'infestazione, non distaccano da Dio. L'unica cosa che distacca da Dio è il peccato. Si può essere posseduti dal demonio ma non essere distaccati da Dio. Dio c'è perchè Dio è più potente del demonio».
Federico Frighi
14/02/2013 Libertà
Quindici visite a settimana. Persone inviate da sacerdoti, dal passaparola della gente, ma anche da psicologi e specialisti. Esorcista ufficiale della diocesi di Piacenza-Bobbio da poco di più otto mesi, padre Achille Taborelli, scalabriniano, è stato catapultato tra i "fumi di zolfo" alla veneranda età di 82 anni, quasi per caso, per obbedienza al vescovo. Ne parla volentieri facendo un primo bilancio del suo nuovo ministero.
«Ho gente che viene quasi tutti i giorni, una quindicina di richieste a settimana - racconta nel suo studio al pian terreno del santuario del Castello, a Rivergaro -. Non è che ci sia sempre la coda del diavolo. Vengono per problemi loro particolari o per quel senso di negatività che dicono di sentirsi attorno. Molti sono vittime della crisi ecomica. Si sfogano. Li ascolto e impartisco loro la benedizione di liberazione».
Come si arriva dall'esorcista?
«Vengono inviati dal passaparola, dai frati di Santa Maria di Campagna, dai Capuccini di Santa Rita, dal vicario generale, alcuni da Parma. Le strade sono tante. Anche uno psicologo mi ha mandato una sua paziente, una dottoressa con ossessioni che non la facevano dormire».
Quante volte si è imbattuto nel diavolo?
«Due in otto mesi. Uno era il caso di un avvocato che veniva da Milano. Fino a Natale è venuto da me. Poi il cardinale Angelo Scola ha nominato 7 esorcisti portando il numero totale a 12 e istituendo un numero verde. Così ha preferito continuare le sedute nella sua diocesi. L'altra una donna piacentina della provincia. Una persona laureata, distinta, di buona famiglia. Durante le sedute c'era il marito o un aiutante. Quando facevo il segno della croce o imponevo le mie mani sul suo capo si agitava e cominciava ad urlare come un ossesso; sputava da tutte le parti, anche chiodi».
Chiodi?
«Sì, ha capito bene; ma non voglio aggiungere altro. Una volta terminata la seduta, tornava tranquillissima come se niente fosse stato. Il male con la emme maiuscola entra nell'uomo perchè c'è l'invidia, il malocchio, la stregoneria, la ricerca del futuro nelle carte o nei fondi di caffè. Poi ci sono i dissidi in famiglia, o tra fratelli o tra genitori e figli. Tante situazioni che, se non sono causate in prima persona dal demonio, tuttavia possono farlo entrare».
Si parla di case infestate. E' vero?
«In questi mesi sono andato a benedire due appartamenti. Marito e moglie uscivano al mattino per andare a lavorare e tornavano la sera trovando mobili spostati, segni sulle pareti come la esse di satana; altri due fidanzati stavano ristrutturando la casa quando hanno trovato sotto le pietre del pavimento la cifra della Bestia. Sono andato in casa, ho dato la benedizione. E' tutto finito».
Di fronte a certe manifestazioni non le vengono i brividi alla schiena?
«Beh, naturalmente siamo tutti umani e quindi c'è un poco di impressione. Ma paura no. Penso di essere in grazia di Dio... (ride) ».
Ma esiste davvero il diavolo? Ce lo assicura?
«Oh, ma certo! Certo che esiste. Eccome. Basta prendere le Sacre Scritture: la prima domenica dopo le Ceneri abbiamo le tentazioni di Gesù da parte di satana. Poi è Gesù stesso che dà il potere agli apostoli, oltre che di predicare il Vangelo in tutto il mondo, di scacciare i demoni».
La Chiesa stessa però, a volte, è scettica.
«Bisogna avere tanta prudenza e non abboccare subito. Alcune volte può essere che si veda veramente la possessione, altre sono guai che possono capitare a chiunque. Io nel mio ministero ho l'appoggio del vescovo e questo mi basta. Sì, è vero che qualcuno è scettico. Nelle riunioni di preti non intervengo mai ma ascolto e sento magari qualche frecciatina... (ride) ma non rispondo. Peraltro è venuto da me anche un sacerdote, di un'altra regione. Era disperato, sentiva dentro di sè una forza malvagia».
Quanto dura una visita dall'esorcista?
«Ogni persona che arriva sta qui una mezz'ora, un'ora. Non faccio nulla di particolare. Parliamo un po', do i consigli che sono capace di dare e poi faccio questa preghiera di liberazione.
C'è gente che si meraviglia perchè pensa di vedere uno stregone che opera miracoli. Quando mi vedono, forse rimangono un poco delusi poi si tranquillizzano. Tanti tentano sempre di farsi fare un esorcismo, ma devono prima mettersi a posto loro stessi. Ad esempio con la preghiera o il digiuno. Adesso viene la Quaresima e il digiuno serve moltissimo a liberarci da questi influssi negativi che possiamo sentire in mezzo a noi».
Senta, con rispetto, è vero che non le hanno dato neppure il rituale?
«Eh sì, sto imparando a fare l'esorcista. Non ho neanche il rituale perchè è in ristampa. Ne ho qui una fotocopia che mi hanno procurato da Roma, ma è il rito in italiano. Quello più efficace è il rituale in latino di cui sono sprovvisto. Contro il demonio funziona meglio il latino».
Lei al santuario del Castello ha portato le messe di guarigione.
«Sono ogni terzo sabato del mese, alle 15 e 30 (la prossima è questo sabato, ndr.). E' pieno di gente che viene per pregare. Durante la prima una donna si è messa ad urlare frasi incomprensibili. Io ero all'altare. L'hanno portata in sacrestia e si è calmata. Poi non è più accaduto».
Crede agli Ufo? Dicono che in Valtrebbia se ne vedano parecchi.
«No. Sono frutto di fantasie e suggestioni. Tante volte si scrutano le nubi e si intravedono figure particolari, illusioni ottiche».
Mentre il demonio non è un'illusione?
«Assolutamente no! Basta prendere anche solo il Vecchio Testamento. Se crediamo al Vangelo non si può non ammetterlo. Gesù ne parla ed è stata una delle sue attività liberare gli indemoniati. La cosa però importante è questa: che tutte queste manifestazioni, dalla possessione alla vessazione, all'infestazione, non distaccano da Dio. L'unica cosa che distacca da Dio è il peccato. Si può essere posseduti dal demonio ma non essere distaccati da Dio. Dio c'è perchè Dio è più potente del demonio».
Federico Frighi
14/02/2013 Libertà
Argomenti
Esorcista,
padre Achille Taborelli
martedì 19 febbraio 2013
Verso il Conclave/ Il testimone oculare
Ci abbiamo messo un po' per riprenderci dalla notizia. Da oggi per Sacricorridoi, tempo permettendo, inizia il periodo di avvicinamento al conclave. Come primo articolo le reazioni del vescovo Giorgio Corbellini in Vaticano alla notizia dell'abdicazione del Papa. Articolo pubblicato su Libertà.
«Quando il Papa ha cominciato a parlare in latino spiegando che avrebbe lasciato il Soglio Pontificio, i cardinali si sono guardati increduli l'un con l'altro. Nessuno si aspettava un gesto come questo». Il vescovo piacentino Giorgio Corbellini, originario di Travo, a capo dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, è stato testimone oculare delle dimissioni del Papa in diretta, ieri mattina, quando mancava un quarto d'ora al mezzogiorno. Era stato invitato al Concistoro per le canonizzazioni in Vaticano. «Nessuno, a parte lo stretto entourage di Benedetto XVI, immaginava una notizia del genere - ammette Corbellini - anche se, tuttavia, già al mattino, prima della cerimonia, in Vaticano girava voce di un annuncio importante». A sapere di che cosa si trattasse solo il cardinale decano, Angelo Sodano, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il segretario di papa Ratzinger, monsignor Georg Gaenswein che Benedetto XVI ha recentemente nominato arcivescovo, tutti presenti all'annuncio del Papa.
«Di solito i concistori sono pubblici per i membri della Curia romana, mentre quello di stamattina era ad invito - dice Corbellini -; l'abbiamo saputo sabato e subito ci è suonato un poco strano. Ma mai avremmo immaginato». «Un cardinale dopo l'annuncio in latino era stupefatto - racconta -. Alla fine delle cerimonia mi ha confessato: "Pensavo di non sapere più tradurre dal latino"».
«Nessuno era preparato ad una cosa simile - continua - perchè in Vaticano si è abituati a pensare ad un nuovo papa dopo la morte del predecessore. Anche se, devo dire, tutti hanno accolto bene questo gesto, un gesto di grande semplicità e di umiltà, secondo lo stile di papa Ratzinger che è di estrema discrezione».
«Si ritira perchè dice di non avere più la forza fisica di affrontare i problemi enormi della Chiesa universale - è convinto il vescovo piacentino -. Sono motivi di salute, ultimamente faceva fatica a camminare». Un gesto che apre una nuova era: «Certo! Ma teniamo conto che anche Paolo VI lo voleva fare. Lo dissuasero. Ci aveva pensato Giovanni Paolo II ma anch'egli fu convinto a rimanere e disse che sarebbe stato sulla croce fino alla fine, come Gesù Cristo».
In Vaticano Benedetto XVI dopo la nomina del nuovo pontefice soggiornerà in una struttura fatta creare da Leone XIII per il Corpo di Guardia. Sotto Giovanni Paolo II è stata ampliata per ospitare delle monache di clausura con il compito di pregare per il Papa. Le congregazioni cambiavano ogni 5 anni. «Le ultime suore erano andate via alcuni mesi fa - rivela Corbellini - e qui in Vaticano tutti si chiedevano come mai non fosse arrivata nessuna nuova congregazione a prendere il posto. Adesso abbiamo la risposta».
Federico Frighi
12/02/2013 Libertà
«Quando il Papa ha cominciato a parlare in latino spiegando che avrebbe lasciato il Soglio Pontificio, i cardinali si sono guardati increduli l'un con l'altro. Nessuno si aspettava un gesto come questo». Il vescovo piacentino Giorgio Corbellini, originario di Travo, a capo dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, è stato testimone oculare delle dimissioni del Papa in diretta, ieri mattina, quando mancava un quarto d'ora al mezzogiorno. Era stato invitato al Concistoro per le canonizzazioni in Vaticano. «Nessuno, a parte lo stretto entourage di Benedetto XVI, immaginava una notizia del genere - ammette Corbellini - anche se, tuttavia, già al mattino, prima della cerimonia, in Vaticano girava voce di un annuncio importante». A sapere di che cosa si trattasse solo il cardinale decano, Angelo Sodano, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il segretario di papa Ratzinger, monsignor Georg Gaenswein che Benedetto XVI ha recentemente nominato arcivescovo, tutti presenti all'annuncio del Papa.
«Di solito i concistori sono pubblici per i membri della Curia romana, mentre quello di stamattina era ad invito - dice Corbellini -; l'abbiamo saputo sabato e subito ci è suonato un poco strano. Ma mai avremmo immaginato». «Un cardinale dopo l'annuncio in latino era stupefatto - racconta -. Alla fine delle cerimonia mi ha confessato: "Pensavo di non sapere più tradurre dal latino"».
«Nessuno era preparato ad una cosa simile - continua - perchè in Vaticano si è abituati a pensare ad un nuovo papa dopo la morte del predecessore. Anche se, devo dire, tutti hanno accolto bene questo gesto, un gesto di grande semplicità e di umiltà, secondo lo stile di papa Ratzinger che è di estrema discrezione».
«Si ritira perchè dice di non avere più la forza fisica di affrontare i problemi enormi della Chiesa universale - è convinto il vescovo piacentino -. Sono motivi di salute, ultimamente faceva fatica a camminare». Un gesto che apre una nuova era: «Certo! Ma teniamo conto che anche Paolo VI lo voleva fare. Lo dissuasero. Ci aveva pensato Giovanni Paolo II ma anch'egli fu convinto a rimanere e disse che sarebbe stato sulla croce fino alla fine, come Gesù Cristo».
In Vaticano Benedetto XVI dopo la nomina del nuovo pontefice soggiornerà in una struttura fatta creare da Leone XIII per il Corpo di Guardia. Sotto Giovanni Paolo II è stata ampliata per ospitare delle monache di clausura con il compito di pregare per il Papa. Le congregazioni cambiavano ogni 5 anni. «Le ultime suore erano andate via alcuni mesi fa - rivela Corbellini - e qui in Vaticano tutti si chiedevano come mai non fosse arrivata nessuna nuova congregazione a prendere il posto. Adesso abbiamo la risposta».
Federico Frighi
12/02/2013 Libertà
Argomenti
conclave 2013,
monsignor Giorgio Corbellini
lunedì 18 febbraio 2013
Dal Congo 1.700 grazie
Fra le tante adozioni a distanza sostenute da Piacenza e dai piacentini ci piace segnalare quelle in Congo di cui si fa garante padre Luigi Vitella.
La solidarietà di Piacenza non conosce limiti e confini, neppure in tempi di crisi. Se tra qualche anno la primavera araba con i suoi venti di democrazia e libertà arriverà anche in Burundi, come ha ipotizzato padre Luigi Vitella, forse il merito sarà anche di quel piccolo esercito di piacentini che sostiene a distanza gli studi e il sostentamento di ben 1.700 bambini della parrocchia di Kamenge e dintorni.
Naturalmente oggi le finalità sono diverse. «Sostenere a distanza un bambino africano è fondamentale per la sua esistenza - dice il padre saveriano nella sala gremita del centro Caritas "Il Samaritano" -. Oggi vi porto i loro sorrisi, il loro grazie, i sorrisi e il grazie di tremila bambini». In gran parte sono orfani, bambini di strada abbandonati al loro destino.
«Quasi 1.700 sono aiutati direttamente da Piacenza» ci tiene ad evidenziare. Gli altri dalle varie regioni italiane in cui padre Luigi è riuscito a trapiantare il seme della solidarietà. «Parlo di numeri grandi ma li conosco ad uno ad uno, sappiamo dove sono, sappiamo come stanno» tranquillizza i genitori adottivi nell'assemblea periodica che ieri si è ritrovata nel salone della Caritas, accolta dal direttore Giuseppe Chiodaroli. E' proprio la Caritas diocesana, con l'associazione Valeria Tonna onlus, a fare da tramite tra la terra del Burundi e la terra piacentina, a garantire i contatti tra padre Vitella ed i piacentini di buona volontà. Il padre snocciola numeri e informazioni con l'entusiasmo di chi sa che quello che si sta compiendo nella parrocchia di Kamenge è un vero e proprio miracolo.
«Pensavo che con la crisi sarebbero nati nuovi problemi. Quando sono arrivato a Piacenza qualcuno mi ha confidato che era costretto, a malincuore, ad abbandonare l'adozione a distanza - ammette -; la sera dopo una parrocchia mi ha portato sedici nuove adozioni». La Provvidenza ci mette una toppa e va anche oltre. In sala, padre Vitella lo dice ma ne mantiene l'anonimato, c'è una persona che ha donato tutti i propri averi ai bambini del Burundi. «Ha fatto testamento e gli orfani ne saranno i suoi beneficiari» ringrazia il sacerdote. «Siete l'espressione del cuore di Dio che predilige gli orfani e le vedove» dice commosso.
«Oggi come oggi abbiamo 1.405 orfani che frequentano la scuola materna suddivisi in tre centri diversi». Chi è più grande va invece alla scuola tecnica, sempre creata da padre Vitella, dove impara un lavoro. «L'obiettivo è rendere i ragazzi autosufficienti - ricorda -. La scuola tecnica per imparare i mestieri artigiani è sempre stato un mio pallino fin da quando ero qui a Piacenza». Sono ottanta i ragazzi che frequentano la scuola dei più grandi: «Diamo loro un piatto di fagioli al giorno in cambio di due ore di lavoro». I risultati cominciano a farsi vedere: «Uno di questi ragazzi è diventato capomastro di un cantiere edile. Una piccola grande conquista». La parrocchia ha anche un oratorio, dedicato a San Filippo Neri, in cui ogni giorno transitano 750 ragazzi dai 6 ai 12 anni. Poi cinque centri di aggregazione, ognuno con una sua specificità: si va dal centro cinematografico a quello biblico. Suscita lo stupore dell'assemblea il numero dei partecipanti al Grest, il Gruppo estivo, importato anche in Burundi. «Sono 4.100 tra bambini e ragazzi» sospira padre Vitella. «Grazie a Dio ce la caviamo sempre».
Altro cavallo di battaglia della missione di padre Vitella è il ricorso ai microcrediti. Il microcredito alle vedove (sono 80), ad esempio, e quello alle associazioni delle colline. «Grazie al piccolo credito le associazioni di cittadini possono comperarsi tre o quattro pecore ed iniziare gli allevamenti - spiega il saveriano -. Tutto deve mirare all'autosufficienza. Chi non restituisce il credito, chi lo disperde viene multato». «Ci vorrà ancora molto tempo, ma questi sono i primi passi verso l'autonomia» confida.
Più il tempo passa più anche i piccoli orfani in Burundi si rendono conto di che cosa sta dietro la loro vita. Grazie ad internet. «Ho messo una persona per 8 ore al giorno a rispondere alle lettere e soprattutto alle mail che arrivano dall'Italia - rende noto il padre -. C'è un altro giovane universitario che lo aiuta a mezzo servizio». Grazie alla rete on line i contatti tra ragazzini adottati e genitori adottivi si intensificano e sono più stretti. E' così che cambiano le adozioni a distanza, con la consapevolezza di aiutare a crescere un bambino e con la certezza di non essere abbandonati dal mondo in un paese senza speranza.
Federico Frighi
Libertà, 10/12/2013
La solidarietà di Piacenza non conosce limiti e confini, neppure in tempi di crisi. Se tra qualche anno la primavera araba con i suoi venti di democrazia e libertà arriverà anche in Burundi, come ha ipotizzato padre Luigi Vitella, forse il merito sarà anche di quel piccolo esercito di piacentini che sostiene a distanza gli studi e il sostentamento di ben 1.700 bambini della parrocchia di Kamenge e dintorni.
Naturalmente oggi le finalità sono diverse. «Sostenere a distanza un bambino africano è fondamentale per la sua esistenza - dice il padre saveriano nella sala gremita del centro Caritas "Il Samaritano" -. Oggi vi porto i loro sorrisi, il loro grazie, i sorrisi e il grazie di tremila bambini». In gran parte sono orfani, bambini di strada abbandonati al loro destino.
«Quasi 1.700 sono aiutati direttamente da Piacenza» ci tiene ad evidenziare. Gli altri dalle varie regioni italiane in cui padre Luigi è riuscito a trapiantare il seme della solidarietà. «Parlo di numeri grandi ma li conosco ad uno ad uno, sappiamo dove sono, sappiamo come stanno» tranquillizza i genitori adottivi nell'assemblea periodica che ieri si è ritrovata nel salone della Caritas, accolta dal direttore Giuseppe Chiodaroli. E' proprio la Caritas diocesana, con l'associazione Valeria Tonna onlus, a fare da tramite tra la terra del Burundi e la terra piacentina, a garantire i contatti tra padre Vitella ed i piacentini di buona volontà. Il padre snocciola numeri e informazioni con l'entusiasmo di chi sa che quello che si sta compiendo nella parrocchia di Kamenge è un vero e proprio miracolo.
«Pensavo che con la crisi sarebbero nati nuovi problemi. Quando sono arrivato a Piacenza qualcuno mi ha confidato che era costretto, a malincuore, ad abbandonare l'adozione a distanza - ammette -; la sera dopo una parrocchia mi ha portato sedici nuove adozioni». La Provvidenza ci mette una toppa e va anche oltre. In sala, padre Vitella lo dice ma ne mantiene l'anonimato, c'è una persona che ha donato tutti i propri averi ai bambini del Burundi. «Ha fatto testamento e gli orfani ne saranno i suoi beneficiari» ringrazia il sacerdote. «Siete l'espressione del cuore di Dio che predilige gli orfani e le vedove» dice commosso.
«Oggi come oggi abbiamo 1.405 orfani che frequentano la scuola materna suddivisi in tre centri diversi». Chi è più grande va invece alla scuola tecnica, sempre creata da padre Vitella, dove impara un lavoro. «L'obiettivo è rendere i ragazzi autosufficienti - ricorda -. La scuola tecnica per imparare i mestieri artigiani è sempre stato un mio pallino fin da quando ero qui a Piacenza». Sono ottanta i ragazzi che frequentano la scuola dei più grandi: «Diamo loro un piatto di fagioli al giorno in cambio di due ore di lavoro». I risultati cominciano a farsi vedere: «Uno di questi ragazzi è diventato capomastro di un cantiere edile. Una piccola grande conquista». La parrocchia ha anche un oratorio, dedicato a San Filippo Neri, in cui ogni giorno transitano 750 ragazzi dai 6 ai 12 anni. Poi cinque centri di aggregazione, ognuno con una sua specificità: si va dal centro cinematografico a quello biblico. Suscita lo stupore dell'assemblea il numero dei partecipanti al Grest, il Gruppo estivo, importato anche in Burundi. «Sono 4.100 tra bambini e ragazzi» sospira padre Vitella. «Grazie a Dio ce la caviamo sempre».
Altro cavallo di battaglia della missione di padre Vitella è il ricorso ai microcrediti. Il microcredito alle vedove (sono 80), ad esempio, e quello alle associazioni delle colline. «Grazie al piccolo credito le associazioni di cittadini possono comperarsi tre o quattro pecore ed iniziare gli allevamenti - spiega il saveriano -. Tutto deve mirare all'autosufficienza. Chi non restituisce il credito, chi lo disperde viene multato». «Ci vorrà ancora molto tempo, ma questi sono i primi passi verso l'autonomia» confida.
Più il tempo passa più anche i piccoli orfani in Burundi si rendono conto di che cosa sta dietro la loro vita. Grazie ad internet. «Ho messo una persona per 8 ore al giorno a rispondere alle lettere e soprattutto alle mail che arrivano dall'Italia - rende noto il padre -. C'è un altro giovane universitario che lo aiuta a mezzo servizio». Grazie alla rete on line i contatti tra ragazzini adottati e genitori adottivi si intensificano e sono più stretti. E' così che cambiano le adozioni a distanza, con la consapevolezza di aiutare a crescere un bambino e con la certezza di non essere abbandonati dal mondo in un paese senza speranza.
Federico Frighi
Libertà, 10/12/2013
lunedì 11 febbraio 2013
Nikolaesvka, una battaglia di vita
La battaglia di Nikolaesvka non come momento di morte ma come inno alla vita. Lo spirito di Nikolaesvka è stato evidenziato ieri a Vigolzone durante la commemorazione dell'evento simbolo della campagna di Russia a 70 anni di distanza. A Vigolzone c'è l'unico momumento dedicato ai caduti di Nikolaesvka nella provincia di Piacenza e dunque ogni anno la sezione Alpini si trova in Valnure per rendere omaggio ai semila ragazzi con la penna nera sul cappello che persero la vita il 26 gennaio del 1943. Nel villaggio di Nikolaesvka (in Russia), lo ricordiamo, si combattè una battaglia all'ultimo sangue tra gli alpini della Tridentina e l'Armata Rossa. La vittoria degli alpini permise a migliaia di soldati italiani, tedeschi, ungheresi (quelli che formavano lo schieramento dell'Asse) di rompere la tenaglia russa che li accerchiava e di iniziare la ritirata verso la via di casa, verso la salvezza. Ecco dunque spiegato il "paradosso di Nikolaesvka", come lo ha definito il giornalista di Libertà, Federico Frighi, nella commemorazione ufficiale. Migliaia di ragazzi, migliaia di alpini morirono per salvare loro stessi e i propri compagni d'arme, per permettere a loro stessi e ai propri compagni di tornare a casa. Nikolaesvka da battaglia di sangue e di morte dunque, ad inno alla vita e alla speranza.
Quest'anno la corona di alloro al monumento piacentino è stata offerta e posta dal gruppo alpini di Travo, con il sindaco Ludovico Albasi e il capogruppo Marco Girometta, in un centro di Vigolzone imbandierato di tricolori.
In chiesa tanta gente per la messa celebrata dal parroco don Piero Lezoli, accompagnata dai suggestivi canti del coro Montenero, diretto dal maestro Mario Azzali, canti capaci di far emozionare le penne nere più in là con l'età. Dietro e di fianco all'altare i gonfaloni dei comuni di Vigolzone e di Travo e venticinque gagliardetti di altrettanti gruppi della sezione di Piacenza. Al termine della celebrazione religiosa la gente di Vigolzone si è fermata numerosa per il momento commemorativo. In rapida successione sono intervenuti il presidente della Sezione Alpini di Piacenza, Bruno Plucani, il sindaco di Vigolzone Francesco Rolleri, il sindaco di Travo Ludovico Albasi. Presenti anche l'assessore di Podenzano Mario Scaravella, anch'egli in fascia tricolore, e il comandante della polizia municipale intercomunale, Paolo Giovannini, con alcuni agenti. Il presidente Plucani ha ricordato alcuni momenti della commemorazione ufficiale nazionale avvenuta a Brescia sabato e ieri a cui lo stesso Plucani (nella prima giornata) ha partecipato a capo di una delegazione piacentina. Ancora ieri, altre penne nere piacentine erano presenti a Brescia in rappresentanza della Sezione.
Al termine l'arrivederci all'Adunata nazionale del 10-12 maggio di quest'anno, com'è noto, proprio a Piacenza. Un arrivederci ma anche un appello del capo gruppo di Vigolzone Gaetano Morosoli ai cittadini: «Venite a prendere i tricolori, il nostro comune dovrà essere il più imbandierato della provincia».
28/01/2013 Libertà
Quest'anno la corona di alloro al monumento piacentino è stata offerta e posta dal gruppo alpini di Travo, con il sindaco Ludovico Albasi e il capogruppo Marco Girometta, in un centro di Vigolzone imbandierato di tricolori.
In chiesa tanta gente per la messa celebrata dal parroco don Piero Lezoli, accompagnata dai suggestivi canti del coro Montenero, diretto dal maestro Mario Azzali, canti capaci di far emozionare le penne nere più in là con l'età. Dietro e di fianco all'altare i gonfaloni dei comuni di Vigolzone e di Travo e venticinque gagliardetti di altrettanti gruppi della sezione di Piacenza. Al termine della celebrazione religiosa la gente di Vigolzone si è fermata numerosa per il momento commemorativo. In rapida successione sono intervenuti il presidente della Sezione Alpini di Piacenza, Bruno Plucani, il sindaco di Vigolzone Francesco Rolleri, il sindaco di Travo Ludovico Albasi. Presenti anche l'assessore di Podenzano Mario Scaravella, anch'egli in fascia tricolore, e il comandante della polizia municipale intercomunale, Paolo Giovannini, con alcuni agenti. Il presidente Plucani ha ricordato alcuni momenti della commemorazione ufficiale nazionale avvenuta a Brescia sabato e ieri a cui lo stesso Plucani (nella prima giornata) ha partecipato a capo di una delegazione piacentina. Ancora ieri, altre penne nere piacentine erano presenti a Brescia in rappresentanza della Sezione.
Al termine l'arrivederci all'Adunata nazionale del 10-12 maggio di quest'anno, com'è noto, proprio a Piacenza. Un arrivederci ma anche un appello del capo gruppo di Vigolzone Gaetano Morosoli ai cittadini: «Venite a prendere i tricolori, il nostro comune dovrà essere il più imbandierato della provincia».
28/01/2013 Libertà
domenica 10 febbraio 2013
Tonini ai giornalisti: mettete sempre davanti il bene dei lettori
«Libertà ha avuto la fortuna di avere un gruppo di giornalisti formidabile che nei momenti difficili ha saputo rispondere mettendo davanti a tutto il bene dei lettori. Ecco perchè questo giornale è entrato nella storia di Piacenza».
Il cardinale Ersilio Tonini ne è profondamente convinto. L'arcivescovo piacentino, il grande comunicatore della Chiesa italiana nominato cardinale dal Beato Giovanni Paolo II, il prossimo 20 luglio toccherà il traguardo dei 99 anni. Con Libertà ha sempre avuto un rapporto particolare ma la memoria di oggi va all'immediato Dopoguerra e al grande regalo dei fratelli Ernesto e Marcello Prati. Allora il giovane don Ersilio era direttore del settimanale cattolico della diocesi di Piacenza, il Nuovo Giornale.
Che rapporto c'era con il quotidiano cittadino?
«Eravamo in difficoltà, terminata la guerra, e non riuscivamo a stampare. Libertà ci offrì la sua redazione e potevamo chiedere ai giornalisti il loro tempo per comporre il nostro giornale. Non dimenticherò mai Ernesto e Marcello Prati che mi hanno offerto questo grande aiuto con un affetto e una libertà interiore splendida. Ernesto era più composto e più riservato, un giornalista autentico; Marcello più giocoso, un grande amministratore. Tutti e due avevano un cuore grande. Bloccavano la trasmissione degli articoli dei loro giornalisti per ricevere le nostre. Quando era finita la guerra c'era chi si voleva appropriare di Libertà. Ernesto Prati si battè con grande coraggio per tenere il giornale. E ci riuscì».
Erano anni difficili in Italia e a Piacenza ma la solidarietà non si risparmiava. Anche verso la stampa, è così?
«Certamente, tra l'altro devo ringraziare anche la libreria Stucchi (si commuove, ndr.). Lo faccia sapere: nei confronti miei furono di una grandezza infinita».
Che ricordo ha di quei tempi?
«Un grande fermento. Andavamo in piazza e nei teatri a fare i grandi dibattiti sui temi della politica, ma abbiamo sempre cercato il rispetto della libertà».
Difficile fare i giornalisti con quel fermento?
«No perchè c'era la partecipazione della gente. Si dibatteva nei teatri, nei cinema; il compito del giornalista era agevolato da questa grande vivacità. Piacenza ha vissuto un momento di grande partecipazione civile. Il giornalismo del Dopoguerra aveva una sua libertà interiore; sarò un po' passionale, ma hanno avuto il coraggio di presentarsi, sia Libertà sia il Nuovo Giornale, con una libertà totale, pensando al bene dei lettori e alla solennità del momento storico che si stava vivendo».
La redazione della Libertà di allora oggi è diventata un museo, il Museo della stampa. Che ne dice?
«E' stata una grande idea, hanno fatto bene: la storia non si fa solo con i grandi racconti, la storia si fa anche richiamando la memoria dei testimoni del passato con fatti concreti».
Che cosa augura per il 2013 e gli anni futuri?
«Spero che Libertà continui ricordandosi della sua tradizione. Libertà ha sempre avuto dei riguardi e delle attenzioni nei confronti dei piacentini. Quando torno a Piacenza? Eh mi muovo meno, ho compiuto 98 anni e vado per i 99. Ma, stia a sentire, il cuore è il cuore e il mio è piacentino. Io devo tanto al mio seminario, alla mia città. Piacenza ha saputo rispettare se stessa e Libertà ha avuto la capacità di entrare nella storia di Piacenza».
Libertà, 28/01/2013
Il cardinale Ersilio Tonini ne è profondamente convinto. L'arcivescovo piacentino, il grande comunicatore della Chiesa italiana nominato cardinale dal Beato Giovanni Paolo II, il prossimo 20 luglio toccherà il traguardo dei 99 anni. Con Libertà ha sempre avuto un rapporto particolare ma la memoria di oggi va all'immediato Dopoguerra e al grande regalo dei fratelli Ernesto e Marcello Prati. Allora il giovane don Ersilio era direttore del settimanale cattolico della diocesi di Piacenza, il Nuovo Giornale.
Che rapporto c'era con il quotidiano cittadino?
«Eravamo in difficoltà, terminata la guerra, e non riuscivamo a stampare. Libertà ci offrì la sua redazione e potevamo chiedere ai giornalisti il loro tempo per comporre il nostro giornale. Non dimenticherò mai Ernesto e Marcello Prati che mi hanno offerto questo grande aiuto con un affetto e una libertà interiore splendida. Ernesto era più composto e più riservato, un giornalista autentico; Marcello più giocoso, un grande amministratore. Tutti e due avevano un cuore grande. Bloccavano la trasmissione degli articoli dei loro giornalisti per ricevere le nostre. Quando era finita la guerra c'era chi si voleva appropriare di Libertà. Ernesto Prati si battè con grande coraggio per tenere il giornale. E ci riuscì».
Erano anni difficili in Italia e a Piacenza ma la solidarietà non si risparmiava. Anche verso la stampa, è così?
«Certamente, tra l'altro devo ringraziare anche la libreria Stucchi (si commuove, ndr.). Lo faccia sapere: nei confronti miei furono di una grandezza infinita».
Che ricordo ha di quei tempi?
«Un grande fermento. Andavamo in piazza e nei teatri a fare i grandi dibattiti sui temi della politica, ma abbiamo sempre cercato il rispetto della libertà».
Difficile fare i giornalisti con quel fermento?
«No perchè c'era la partecipazione della gente. Si dibatteva nei teatri, nei cinema; il compito del giornalista era agevolato da questa grande vivacità. Piacenza ha vissuto un momento di grande partecipazione civile. Il giornalismo del Dopoguerra aveva una sua libertà interiore; sarò un po' passionale, ma hanno avuto il coraggio di presentarsi, sia Libertà sia il Nuovo Giornale, con una libertà totale, pensando al bene dei lettori e alla solennità del momento storico che si stava vivendo».
La redazione della Libertà di allora oggi è diventata un museo, il Museo della stampa. Che ne dice?
«E' stata una grande idea, hanno fatto bene: la storia non si fa solo con i grandi racconti, la storia si fa anche richiamando la memoria dei testimoni del passato con fatti concreti».
Che cosa augura per il 2013 e gli anni futuri?
«Spero che Libertà continui ricordandosi della sua tradizione. Libertà ha sempre avuto dei riguardi e delle attenzioni nei confronti dei piacentini. Quando torno a Piacenza? Eh mi muovo meno, ho compiuto 98 anni e vado per i 99. Ma, stia a sentire, il cuore è il cuore e il mio è piacentino. Io devo tanto al mio seminario, alla mia città. Piacenza ha saputo rispettare se stessa e Libertà ha avuto la capacità di entrare nella storia di Piacenza».
Libertà, 28/01/2013
sabato 9 febbraio 2013
Ambrosio: notizia bene prezioso
(fri) «La notizia, come le Tavole della legge, è un bene prezioso che viene trasmesso». Il vescovo Gianni Ambrosio fa una sorta di prologo al suo intervento sull'eredità del Concilio Vaticano II, in particolare sulla Gaudium et spes. E' vero che è un pastore ma è anche vero che è pure giornalista tra giornalisti. Così non si lascia sfuggire l'occasione. «Fa parte della realtà umana accogliere la vita e trasmetterla» evidenzia riprendendo l'esempio di Mosè, delle Tavole e di Aronne, citato da Zavattaro nell'articolo sopra. «Ecco perchè il lavoro del giornalista è un lavoro essenziale e prezioso» commenta il vescovo. In precedenza, neanche a farlo apposta, Carla Chiappini, vice presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna aveva stilato un sintetico bilancio dei provvedimenti disciplinari 2012 contro i "catari" della notizia: una radiazione, due sospensioni, due censure, tre avvertimenti orali.
Il vescovo va oltre e, nell'Anno della Fede, nel cinquantesimo del Vaticano II, mette in evidenza l'importanza della Costituzione pastorale Gaudium et Spes. «E' soprattutto grazie ad essa - rivela Ambrosio - che la Chiesa si presenta all'uomo di oggi come il popolo di Dio che annuncia e testimonia l'amore di Dio per il mondo. È un grande "annuncio di vita e di speranza", come disse Giovani Paolo II nel suo discorso commemorativo. Così pure è molto rilevante l'influsso della Gaudium et Spes nel favorire la partecipazione attiva del laicato cattolico alla vita della Chiesa e all'animazione evangelica delle realtà temporali».
Il vescovo fa notare in primo luogo la novità per la storia della Chiesa: «Mai è stata promulgata una Costituzione pastorale. È "pastorale" nel senso che la Costituzione è "basata sui principi dottrinali", ma intende esporre l'atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli uomini d'oggi.
Questa Costituzione, a differenza di ogni altra, non espone soltanto principi generali di fede, ma si esprime anche in merito a questioni concrete del mondo contemporaneo. Parla della pace e della guerra, fino ad evocare la guerra nucleare. Tratta del lavoro e dell'economia, si sofferma sulla scienza e sulla cultura, sul matrimonio e sulla famiglia. Affronta le questioni del mondo, i problemi della vita odierna per aiutare gli uomini a capire ciò che è in gioco in quell'ambito della vita».
Non solo. «Questo documento non si rivolge soltanto ai fedeli, ma a tutta la famiglia umana - prosegue Ambrosio -. Però bisogna fare attenzione. Alcuni dicono che questo documento tratta del rapporto tra la Chiesa e il mondo. Non è esatto. La Chiesa non si pone davanti al mondo, ma comprende se stessa come una realtà facente parte del mondo, in solidarietà con gli uomini».
La ragione del tutto: «Tutta la storia umana ha come fine Cristo, è la ragion d'essere del cosmo e del mondo. Cristo è il centro della Chiesa e la missione della Chiesa è annunciare e testimoniare questa verità».
Inizia citando Giovanni Paolo II e chiude con un'altra citazione del papa polacco: "Bastano questi rapidi cenni per sottolineare l'amplissimo orizzonte nel quale si muove la Gaudium et spes. Con essa la Chiesa ha voluto davvero abbracciare il mondo. Guardando agli uomini nella luce di Cristo, essa ha saputo coglierne gli aneliti profondi e i bisogni concreti. Ne è risultata una specie di "magna charta" dell'umana dignità da difendere e da promuovere".
27/01/2013 Libertà
Il vescovo va oltre e, nell'Anno della Fede, nel cinquantesimo del Vaticano II, mette in evidenza l'importanza della Costituzione pastorale Gaudium et Spes. «E' soprattutto grazie ad essa - rivela Ambrosio - che la Chiesa si presenta all'uomo di oggi come il popolo di Dio che annuncia e testimonia l'amore di Dio per il mondo. È un grande "annuncio di vita e di speranza", come disse Giovani Paolo II nel suo discorso commemorativo. Così pure è molto rilevante l'influsso della Gaudium et Spes nel favorire la partecipazione attiva del laicato cattolico alla vita della Chiesa e all'animazione evangelica delle realtà temporali».
Il vescovo fa notare in primo luogo la novità per la storia della Chiesa: «Mai è stata promulgata una Costituzione pastorale. È "pastorale" nel senso che la Costituzione è "basata sui principi dottrinali", ma intende esporre l'atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli uomini d'oggi.
Questa Costituzione, a differenza di ogni altra, non espone soltanto principi generali di fede, ma si esprime anche in merito a questioni concrete del mondo contemporaneo. Parla della pace e della guerra, fino ad evocare la guerra nucleare. Tratta del lavoro e dell'economia, si sofferma sulla scienza e sulla cultura, sul matrimonio e sulla famiglia. Affronta le questioni del mondo, i problemi della vita odierna per aiutare gli uomini a capire ciò che è in gioco in quell'ambito della vita».
Non solo. «Questo documento non si rivolge soltanto ai fedeli, ma a tutta la famiglia umana - prosegue Ambrosio -. Però bisogna fare attenzione. Alcuni dicono che questo documento tratta del rapporto tra la Chiesa e il mondo. Non è esatto. La Chiesa non si pone davanti al mondo, ma comprende se stessa come una realtà facente parte del mondo, in solidarietà con gli uomini».
La ragione del tutto: «Tutta la storia umana ha come fine Cristo, è la ragion d'essere del cosmo e del mondo. Cristo è il centro della Chiesa e la missione della Chiesa è annunciare e testimoniare questa verità».
Inizia citando Giovanni Paolo II e chiude con un'altra citazione del papa polacco: "Bastano questi rapidi cenni per sottolineare l'amplissimo orizzonte nel quale si muove la Gaudium et spes. Con essa la Chiesa ha voluto davvero abbracciare il mondo. Guardando agli uomini nella luce di Cristo, essa ha saputo coglierne gli aneliti profondi e i bisogni concreti. Ne è risultata una specie di "magna charta" dell'umana dignità da difendere e da promuovere".
27/01/2013 Libertà
Argomenti
S.Francesco di Sales
venerdì 8 febbraio 2013
Benedetto, il papa della Parola
Papa Benedetto XVI è il nuovo grande comunicatore della Chiesa cattolica. Alla veneranda età di 85 anni ha imparato ad usare twitter e si è lasciato coinvolgere dai social network. Con un'accortezza ed un invito ai giovani: lo schermo sia solo l'inizio, è necessario andare oltre per una vita di relazioni. Ne è convinto Fabio Zavattaro, vaticanista Rai, ospite ieri mattina nel salone della Curia per il convegno organizzato da il Nuovo Giornale su Chiesa e comunicazione. L'occasione: la festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli scrittori, come ricorda nella sua introduzione don Davide Maloberti.
«E' Benedetto XVI il nuovo grande comunicatore - dice Zavattaro rispondendo ad una domanda del direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto -. Lo si vede anche dal modo di porsi con la gente: addirittura, quando è in ritardo alle udienze generali, si scusa spiegandone anche i motivi». Un papa e un modo di comunicare diversi da Giovanni Paolo II.
«Papa Wojtyla parlava non solo con le parole ma anche con i gesti, gli sguardi e i silenzi. Diretto, fuori dal protocollo, come quando ci fece salire nella sua stanza durante le vacanze estive in montagna, ospite del vescovo di Belluno - racconta -. Eravamo in tre giornalisti. Ci si presentò davanti facendoci emozionare tanto che quando ci chiese che cosa volevamo sapere riuscimmo solo a domandargli come stava andando la vacanza».
Oggi è cambiato il modo di comunicare. «C'è la possibilità di avere materiale dalle fonti più diverse, c'è la volontà della gente di informare con i telefonini, i social network, i blog - evidenzia Zavattaro -. Abbiamo le immagini prese sul momento dai telefonini, dai tablet, in tutto questo il giornalista è sempre più necessario per fare da tramite». L'esempio biblico è calzante: «Mosè, ricevute le Tavole della legge, dice di non essere in grado di trasmetterle al popolo perchè egli stesso "tardo e impedito di lingua". Ci penserà il fratello, Aronne. "Egli parlerà al popolo in vece tua e sarà la tua bocca" risolse il problema il Signore rivolgendosi allo stesso Mosè». Il ruolo del giornalista è lo stesso di Aronne, sottolinea Zavattaro che, tuttavia, non può non mettere in luce come al giornalista non basti passare i documenti ufficiali ma sia necessario andare oltre la carta.
E qui iniziano le difficoltà, da entrambe le parti. «Ai tempi di Dante Alimenti un servizio sul papa durava tre minuti - ricorda Zavattaro -, oggi ci tocca sintetizzare un'enciclica in un minuto e venti». Oggi il mondo della comunicazione fagocita la Chiesa facendo passare solo determinate notizie ed ignorandone altre; a volte per mancanza di tempo, spesso per scelta. Ma oggi la Chiesa non ha più un cardinale giornalista come Ersilio Tonini. «C'è monsignor Gianfranco Ravasi, di immensa cultura - evidenzia Zavattaro -, ma Tonini era diverso, andava subito all'essenziale, per i giornalisti era un uomo da titolo».
Libertà, 26/01/2013
«E' Benedetto XVI il nuovo grande comunicatore - dice Zavattaro rispondendo ad una domanda del direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto -. Lo si vede anche dal modo di porsi con la gente: addirittura, quando è in ritardo alle udienze generali, si scusa spiegandone anche i motivi». Un papa e un modo di comunicare diversi da Giovanni Paolo II.
«Papa Wojtyla parlava non solo con le parole ma anche con i gesti, gli sguardi e i silenzi. Diretto, fuori dal protocollo, come quando ci fece salire nella sua stanza durante le vacanze estive in montagna, ospite del vescovo di Belluno - racconta -. Eravamo in tre giornalisti. Ci si presentò davanti facendoci emozionare tanto che quando ci chiese che cosa volevamo sapere riuscimmo solo a domandargli come stava andando la vacanza».
Oggi è cambiato il modo di comunicare. «C'è la possibilità di avere materiale dalle fonti più diverse, c'è la volontà della gente di informare con i telefonini, i social network, i blog - evidenzia Zavattaro -. Abbiamo le immagini prese sul momento dai telefonini, dai tablet, in tutto questo il giornalista è sempre più necessario per fare da tramite». L'esempio biblico è calzante: «Mosè, ricevute le Tavole della legge, dice di non essere in grado di trasmetterle al popolo perchè egli stesso "tardo e impedito di lingua". Ci penserà il fratello, Aronne. "Egli parlerà al popolo in vece tua e sarà la tua bocca" risolse il problema il Signore rivolgendosi allo stesso Mosè». Il ruolo del giornalista è lo stesso di Aronne, sottolinea Zavattaro che, tuttavia, non può non mettere in luce come al giornalista non basti passare i documenti ufficiali ma sia necessario andare oltre la carta.
E qui iniziano le difficoltà, da entrambe le parti. «Ai tempi di Dante Alimenti un servizio sul papa durava tre minuti - ricorda Zavattaro -, oggi ci tocca sintetizzare un'enciclica in un minuto e venti». Oggi il mondo della comunicazione fagocita la Chiesa facendo passare solo determinate notizie ed ignorandone altre; a volte per mancanza di tempo, spesso per scelta. Ma oggi la Chiesa non ha più un cardinale giornalista come Ersilio Tonini. «C'è monsignor Gianfranco Ravasi, di immensa cultura - evidenzia Zavattaro -, ma Tonini era diverso, andava subito all'essenziale, per i giornalisti era un uomo da titolo».
Libertà, 26/01/2013
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S.Francesco di Sales
giovedì 7 febbraio 2013
Zavattaro: ci manca un comunicatore come Tonini
«Il cardinale Tonini manca molto alla Chiesa di oggi. Aveva creato un modello di comunicazione che meriterebbe di essere studiato». Fabio Zavattaro, giornalista vaticanista della Rai, non ha dubbi sul grande vuoto lasciato dal porporato piacentino, oggi sulla soglia dei 99 anni e dunque in meritato riposo. Questa mattina a Piacenza in occasione della festa del patrono dei giornalisti - San Francesco di Sales - Zavattaro interverrà nel salone della Curia con un dialogo sulla Chiesa di Benedetto XVI. Una chiesa diversa da quella di Giovanni Paolo II che chiamò alla porpora un vescovo giornalista, ovvero, appunto, il piacentino Ersilio Tonini.
Zavattaro è tra i giornalisti italiani più a diretto contatto con la Santa Sede seguendo, prima per Avvenire, poi per la Rai i viaggi degli ultimi due pontefici dal 1983 ad oggi. Autore di numerosi libri, tra cui "Un santo di nome Giovanni" (Aliberti 2011) e "La valigia di Papa Wojtyla" (Iacobelli 2011), ha raccontato agli italiani in tv le ultime ore di Giovanni Paolo II.
«Il modo di comunicare la Chiesa dal pontificato di Giovanni Paolo II a quello di Benedetto XVI è cambiato eccome» non ha dubbi. «Giovanni Paolo II era un papa che sapeva comunicare in tanti modi: con gli sguardi, con i gesti - ricorda -. Anche con i silenzi. Pensiamo a quell'Angelus muto, quel semplice rumore colto dal microfono durante gli ultimi giorni della sua esistenza terrena, quanto è stato eloquente quel gesto». Di conseguenza la Chiesa si muoveva e si adeguava nel rapporto con i media. Con il nuovo papa cambia tutto. «Con Benedetto XVI la comunicazione acquista il senso e il valore della parola - è convinto Zavattaro -. Benedetto è il papa che ci fa riflettere su quello che dice, magari non ha la stessa forza comunicativa di Wojtyla, ma ci chiede di essere attenti alle parole, allo scritto. I giornalisti sono costretti a ritornare alla professione originaria, a fare fatica con biro e taccuino».
La comunicazione oggi ha fatto un balzo in avanti con i nuovi mezzi sul web e Benedetto XVI si è lasciato coinvolgere. «Il papa lo sta facendo scrivendo su Twitter, un modo per essere vicino ai giovani» osserva. Un'intuizione, quella del pontefice, che ha visto la Chiesa seguire a fatica. Forse oggi manca un grande comunicatore nella Chiesa cattolica, un cardinale Ersilio Tonini, ad esempio. «Eh sì, la figura di Tonini manca molto - ammette -, il cardinale aveva fatto avvicinare i laici alla chiesa, i suoi interventi e i suoi discorsi meriterebbero di essere studiati a fondo perchè era riuscito a creare un vero e proprio modello di comunicazione».
Benedetto XVI, nel rapporto con i media, ha parlato di etica dell'informazione. «Quell'infoetica che Benedetto XVI auspica - spiega il concetto Zavattaro - è proprio quell'elemento chiave che ci fa trovare il punto di non ritorno, ovvero il rispetto dell'uomo. C'è un'etica nel comunicare che ci dice che l'uomo è sempre al primo posto nell'informazione». «Il compito del giornalista - evidenzia - è quello di mettersi a metà strada tra la fonte di informazione e il lettore. Il giornalista deve recuperare la lucidità nell'esposizione, un ragionamento che non sia il suo ma sia il più possibile obiettivo per aiutare i lettori a farsi un'idea sui fatti che accadono».
«Nel mondo della comunicazione - è convinto Zavattaro - la Chiesa soffre di una sorta di strabismo: si guarda soltanto a quello che accade in Vaticano o si esaltano solo certi accadimenti e ci si dimentica che c'è una comunità cattolica locale viva con persone, momenti, luoghi». E' qui che entrano in gioco i media locali: «Sono fondamentali; hanno un rapporto diretto con i preti, con gli stessi vescovi, che a livello nazionale non c'è».
Libertà, 26 gennaio 2013
Zavattaro è tra i giornalisti italiani più a diretto contatto con la Santa Sede seguendo, prima per Avvenire, poi per la Rai i viaggi degli ultimi due pontefici dal 1983 ad oggi. Autore di numerosi libri, tra cui "Un santo di nome Giovanni" (Aliberti 2011) e "La valigia di Papa Wojtyla" (Iacobelli 2011), ha raccontato agli italiani in tv le ultime ore di Giovanni Paolo II.
«Il modo di comunicare la Chiesa dal pontificato di Giovanni Paolo II a quello di Benedetto XVI è cambiato eccome» non ha dubbi. «Giovanni Paolo II era un papa che sapeva comunicare in tanti modi: con gli sguardi, con i gesti - ricorda -. Anche con i silenzi. Pensiamo a quell'Angelus muto, quel semplice rumore colto dal microfono durante gli ultimi giorni della sua esistenza terrena, quanto è stato eloquente quel gesto». Di conseguenza la Chiesa si muoveva e si adeguava nel rapporto con i media. Con il nuovo papa cambia tutto. «Con Benedetto XVI la comunicazione acquista il senso e il valore della parola - è convinto Zavattaro -. Benedetto è il papa che ci fa riflettere su quello che dice, magari non ha la stessa forza comunicativa di Wojtyla, ma ci chiede di essere attenti alle parole, allo scritto. I giornalisti sono costretti a ritornare alla professione originaria, a fare fatica con biro e taccuino».
La comunicazione oggi ha fatto un balzo in avanti con i nuovi mezzi sul web e Benedetto XVI si è lasciato coinvolgere. «Il papa lo sta facendo scrivendo su Twitter, un modo per essere vicino ai giovani» osserva. Un'intuizione, quella del pontefice, che ha visto la Chiesa seguire a fatica. Forse oggi manca un grande comunicatore nella Chiesa cattolica, un cardinale Ersilio Tonini, ad esempio. «Eh sì, la figura di Tonini manca molto - ammette -, il cardinale aveva fatto avvicinare i laici alla chiesa, i suoi interventi e i suoi discorsi meriterebbero di essere studiati a fondo perchè era riuscito a creare un vero e proprio modello di comunicazione».
Benedetto XVI, nel rapporto con i media, ha parlato di etica dell'informazione. «Quell'infoetica che Benedetto XVI auspica - spiega il concetto Zavattaro - è proprio quell'elemento chiave che ci fa trovare il punto di non ritorno, ovvero il rispetto dell'uomo. C'è un'etica nel comunicare che ci dice che l'uomo è sempre al primo posto nell'informazione». «Il compito del giornalista - evidenzia - è quello di mettersi a metà strada tra la fonte di informazione e il lettore. Il giornalista deve recuperare la lucidità nell'esposizione, un ragionamento che non sia il suo ma sia il più possibile obiettivo per aiutare i lettori a farsi un'idea sui fatti che accadono».
«Nel mondo della comunicazione - è convinto Zavattaro - la Chiesa soffre di una sorta di strabismo: si guarda soltanto a quello che accade in Vaticano o si esaltano solo certi accadimenti e ci si dimentica che c'è una comunità cattolica locale viva con persone, momenti, luoghi». E' qui che entrano in gioco i media locali: «Sono fondamentali; hanno un rapporto diretto con i preti, con gli stessi vescovi, che a livello nazionale non c'è».
Libertà, 26 gennaio 2013
Argomenti
S.Francesco di Sales
mercoledì 6 febbraio 2013
Il Papa ad Ambrosio: fate conoscere San Colombano
«San Colombano merita di essere conosciuto di più. E' una figura importante per l'Europa che ha contribuito a rendere unita». L'invito al vescovo Gianni Ambrosio arriva direttamente da papa Benedetto XVI nel corso della "visita ad limina" iniziata ieri mattina in Vaticano dal capo della diocesi di Piacenza-Bobbio. La visita ufficiale che ogni vescovo deve fare al Papa ogni cinque anni presentando lo stato della propria diocesi. «Ho trovato il Santo Padre in buona salute, attento e disteso - spiega monsignor Ambrosio ancora nella capitale (la visita si concluderà mercoledì) - ha parlato a noi vescovi e si è intrattenuto brevemente con ciascuno».
Da qualche anno a questa parte Benedetto XVI ha rivoluzionato il protocollo delle "visite ad limina" per riuscire a ricevere, nei cinque anni previsti, tutti i vescovi del mondo. E' stato dunque soppresso il colloquio personale di 15 minuti del Papa con ogni presule, in favore di un'udienza più veloce. Per contro sono state rese più ferree le regole da rispettare nei passaggi alle varie Congregazioni. Monsignor Ambrosio è stato ricevuto nella biblioteca privata del Papa assieme ad un primo gruppo di vescovi dell'Emilia Romagna. Oltre al presule di Piacenza-Bobbio c'erano Paolo Rabitti, arcivescovo (ormai emerito) di Ferrara-Comacchio, Claudio Stagni, vescovo di Faenza-Modigliana, Lino Pizzi, vescovo di Forlì-Bertinoro, Francesco Cavina, vescovo di Carpi, Carlo Mazza, vescovo di Fidenza e il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna. E' stato proprio Caffarra a prendere la parola dopo le foto ufficiali con il Papa (insieme al segretario, arcivescovo Georg Ganswein), i vescovi e gli accompagnatori. Monsignor Ambrosio era con don Paolo Bonini, assistente spirituale della Università Cattolica a Roma. Caffarra ha parlato a nome proprio e dei vescovi dell'Emilia Romagna, presentando la situazione della regione, senza tralasciare il recente terremoto. Il Papa ha replicato con motivi di incoraggiamento, dimostrando anche di essere bene informato sulle conseguenze del sisma. Poi è toccato ai singoli vescovi.
Ambrosio si è sentito ricevere una domanda particolare, apparentemente senza un perchè. «La vostra diocesi confina con la Liguria, vero? » ha detto papa Ratzinger, dimostrando di avere ben chiara la geografia italiana.
«Il Papa aveva bene in mente Bobbio e San Colombano - spiega Ambrosio -, tanto che nel colloquio privato si è soffermato sull'invito a far conoscere sempre di più il santo che, come ha evidenziato, ha unito l'Europa. Naturalmente ho invitato il Santo Padre alle celebrazioni del 2015 per i 1.400 anni dalla morte del santo». «Vediamo... con l'aiuto del Signore» la risposta del Papa.
Ambrosio, nel suo breve intervento pubblico, ha evidenziato le caratteristiche della diocesi di Piacenza-Bobbio, ricordando il pellegrinaggio a Roma durante l'Anno Paolino con 35 sindaci e amministratori e, per San Colombano, i pellegrinaggi a Milano (a 1.400 dal suo arrivo) e in Irlanda, a Belfast. «Ho accennato al fatto che la nostra diocesi ha avuto parecchi cardinali - continua Ambrosio - e il Papa subito mi ha chiesto del Collegio Alberoni e di quanti seminaristi oggi vi studiano». Benedetto XVI ai vescovi dell'Emilia-Romagna ha quindi auspicato un impegno prioritario nella pastorale giovanile, in quella universitaria, nella cultura e nei rapporti con i rappresentanti delle istituzioni. La "visita ad limina" nella biblioteca papale è durata un'ora. Al termine Benedetto XVI ha omaggiato ciascun vescovo di una croce pettorale dorata, riproduzione della croce di Giustino II, custodita in un reliquiario del 570 dopo Cristo nella Basilica di San Pietro. Infine una busta con trenta rosari e venti immaginette riguardanti il Natale. Libertà, 3 febbraio 2012
Da qualche anno a questa parte Benedetto XVI ha rivoluzionato il protocollo delle "visite ad limina" per riuscire a ricevere, nei cinque anni previsti, tutti i vescovi del mondo. E' stato dunque soppresso il colloquio personale di 15 minuti del Papa con ogni presule, in favore di un'udienza più veloce. Per contro sono state rese più ferree le regole da rispettare nei passaggi alle varie Congregazioni. Monsignor Ambrosio è stato ricevuto nella biblioteca privata del Papa assieme ad un primo gruppo di vescovi dell'Emilia Romagna. Oltre al presule di Piacenza-Bobbio c'erano Paolo Rabitti, arcivescovo (ormai emerito) di Ferrara-Comacchio, Claudio Stagni, vescovo di Faenza-Modigliana, Lino Pizzi, vescovo di Forlì-Bertinoro, Francesco Cavina, vescovo di Carpi, Carlo Mazza, vescovo di Fidenza e il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna. E' stato proprio Caffarra a prendere la parola dopo le foto ufficiali con il Papa (insieme al segretario, arcivescovo Georg Ganswein), i vescovi e gli accompagnatori. Monsignor Ambrosio era con don Paolo Bonini, assistente spirituale della Università Cattolica a Roma. Caffarra ha parlato a nome proprio e dei vescovi dell'Emilia Romagna, presentando la situazione della regione, senza tralasciare il recente terremoto. Il Papa ha replicato con motivi di incoraggiamento, dimostrando anche di essere bene informato sulle conseguenze del sisma. Poi è toccato ai singoli vescovi.
Ambrosio si è sentito ricevere una domanda particolare, apparentemente senza un perchè. «La vostra diocesi confina con la Liguria, vero? » ha detto papa Ratzinger, dimostrando di avere ben chiara la geografia italiana.
«Il Papa aveva bene in mente Bobbio e San Colombano - spiega Ambrosio -, tanto che nel colloquio privato si è soffermato sull'invito a far conoscere sempre di più il santo che, come ha evidenziato, ha unito l'Europa. Naturalmente ho invitato il Santo Padre alle celebrazioni del 2015 per i 1.400 anni dalla morte del santo». «Vediamo... con l'aiuto del Signore» la risposta del Papa.
Ambrosio, nel suo breve intervento pubblico, ha evidenziato le caratteristiche della diocesi di Piacenza-Bobbio, ricordando il pellegrinaggio a Roma durante l'Anno Paolino con 35 sindaci e amministratori e, per San Colombano, i pellegrinaggi a Milano (a 1.400 dal suo arrivo) e in Irlanda, a Belfast. «Ho accennato al fatto che la nostra diocesi ha avuto parecchi cardinali - continua Ambrosio - e il Papa subito mi ha chiesto del Collegio Alberoni e di quanti seminaristi oggi vi studiano». Benedetto XVI ai vescovi dell'Emilia-Romagna ha quindi auspicato un impegno prioritario nella pastorale giovanile, in quella universitaria, nella cultura e nei rapporti con i rappresentanti delle istituzioni. La "visita ad limina" nella biblioteca papale è durata un'ora. Al termine Benedetto XVI ha omaggiato ciascun vescovo di una croce pettorale dorata, riproduzione della croce di Giustino II, custodita in un reliquiario del 570 dopo Cristo nella Basilica di San Pietro. Infine una busta con trenta rosari e venti immaginette riguardanti il Natale. Libertà, 3 febbraio 2012
martedì 5 febbraio 2013
Appello Caritas per la Siria
Un conflitto che rischia di allargarsi coinvolgendo altri Stati e in cui al momento non trova spazio quel “dialogo costruttivo” invocato più volte da Benedetto XVI per porre fine in Siria alle immani sofferenze della popolazione civile. ' Resta infatti gravissima la crisi umanitaria, sia sul fronte dei rifugiati nei paesi limitrofi, sia sugli sviluppi interni. I morti sono più di 60.000, centinaia di migliaia i rifugiati, 2.500.000 di persone hanno bisogno di aiuti. C’è carenza di cibo, acqua potabile, cure sanitarie.
In questa protratta crisi, la Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio sostiene Caritas Italiana che ha già provveduto ad inviare un contributo a Caritas Siria e alle altre Caritas impegnate nell’accoglienza dei profughi e rilancia l’appello per poter far fronte alle nuove, pressanti richieste.
Le Caritas di Siria, Libano, Giordania e Turchia si sono infatti attivate da subito e complessivamente forniscono aiuti a oltre 100.000 persone. Soprattutto all'interno della Siria si continua a lavorare fra grandi difficoltà e pericoli.
“Stiamo coordinando gli aiuti per decine di migliaia di persone a Damasco, Aleppo, Homs e Hassakeh – dice il Presidente di Caritas Siria, S.E. Mons. Antoine Audo – ma i bisogni aumentano di giorno in giorno”.
In Libano, tra i rifugiati distribuiti nel nord del paese, nella valle della Bekaa e a Beirut stessa , la Caritas aiuta 40.000 persone, di cui la metà sono bambini. Ha inoltre allestito due cliniche mobili per fornire assistenza sanitaria.
Caritas Turchia sta aiutando 2.000 famiglie con generi di prima necessità ed ha anche attivato servizi per cure sanitarie e assistenza psicologica.
In Giordania la Caritas si sta prendendo cura di 60.000 persone ad Amman, Irbid, Zarqa, Madaba e Mafraq. Fornisce loro aiuti alimentari, coperte, stufe. Prevede di estendere gli aiuti ad altre 25.000 persone, tra cui molte famiglie locali.
Per sostenere gli interventi a favore della popolazione siriana si possono utilizzare le seguenti modalità:
• versamento diretto presso i nostri uffici in Via Giordani, 21 a Piacenza dalle ore 9 alle 12 dal lunedì al venerdì
• C/C bancario tramite Banca di Piacenza intestato a Fondazione Caritas Diocesana (causale “EMERGENZA SIRIA”)
Iban: IT61 A 05156 12600 CC0000032157
• CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001 (orario d’ufficio)
In questa protratta crisi, la Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio sostiene Caritas Italiana che ha già provveduto ad inviare un contributo a Caritas Siria e alle altre Caritas impegnate nell’accoglienza dei profughi e rilancia l’appello per poter far fronte alle nuove, pressanti richieste.
Le Caritas di Siria, Libano, Giordania e Turchia si sono infatti attivate da subito e complessivamente forniscono aiuti a oltre 100.000 persone. Soprattutto all'interno della Siria si continua a lavorare fra grandi difficoltà e pericoli.
“Stiamo coordinando gli aiuti per decine di migliaia di persone a Damasco, Aleppo, Homs e Hassakeh – dice il Presidente di Caritas Siria, S.E. Mons. Antoine Audo – ma i bisogni aumentano di giorno in giorno”.
In Libano, tra i rifugiati distribuiti nel nord del paese, nella valle della Bekaa e a Beirut stessa , la Caritas aiuta 40.000 persone, di cui la metà sono bambini. Ha inoltre allestito due cliniche mobili per fornire assistenza sanitaria.
Caritas Turchia sta aiutando 2.000 famiglie con generi di prima necessità ed ha anche attivato servizi per cure sanitarie e assistenza psicologica.
In Giordania la Caritas si sta prendendo cura di 60.000 persone ad Amman, Irbid, Zarqa, Madaba e Mafraq. Fornisce loro aiuti alimentari, coperte, stufe. Prevede di estendere gli aiuti ad altre 25.000 persone, tra cui molte famiglie locali.
Per sostenere gli interventi a favore della popolazione siriana si possono utilizzare le seguenti modalità:
• versamento diretto presso i nostri uffici in Via Giordani, 21 a Piacenza dalle ore 9 alle 12 dal lunedì al venerdì
• C/C bancario tramite Banca di Piacenza intestato a Fondazione Caritas Diocesana (causale “EMERGENZA SIRIA”)
Iban: IT61 A 05156 12600 CC0000032157
• CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001 (orario d’ufficio)
venerdì 1 febbraio 2013
Viaggi per ritemprare lo spirito
L’Ufficio pellegrinaggi della diocesi (Piazza Duomo 33, tel. 0523.337150; ufficiopellegrinaggi@curia,pc.it, aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12,30) organizza nei prossimi mesi diversi pellegrinaggi di cui diamo le indicazioni principali; maggiori informazioni gli interessati possono avere rivolgendosi all’ufficio citato.
Pellegrinaggio a Roma per l’anno della fede il 26 e il 27 febbraio 2013 presieduto dal vescovo mons. Gianni Ambrosio. Partenza in pullman il giorno 26 da Piacenza, nel pomeriggio visita guidata di alcune basiliche. Il giorno seguente Messa in San Pietro sulla tomba di Giovanni Paolo II, udienza col Santo Padre nella Sala Nervi, rientro a Piacenza in tarda serata. Quota di partecipazione 160 euro. Iscrizione presso l’Ufficio pellegrinaggi. Finora hanno aderito le parrocchie di Sant’Antonino, S.Nicolò, Duomo, Sant’Antonio, Fiorenzuola, Bacedasco. Vi sono alcuni posti disponibili.
Per questo pellegrinaggio la Congregazione per la dottrina della fede ha suggerito alcuni itinerari, tutti convergenti in San Pietro. L’Ufficio pellegrinaggio di Piacenza, nella propria scelta, ha tenuto presente l’attuale momento di crisi economica e si è mosso nell’ottica del contenimento delle spese condensando i vari appuntamenti in soli due giorni e con la maggiore sobrietà possibile. Questo al fine di consentire la massima partecipazione dei fedeli.
Oltre a questa iniziativa, che vede la partecipazione del Vescovo, l’Ufficio diocesano si riserva di organizzare nell’Anno della fede anche altri pellegrinaggi, eventualmente con percorsi e modalità differenti.
Inoltre nel mese di ottobre è previsto un pellegrinaggio in Terra Santa a conclusione dell’Anno della fede. Sarà presieduto dal vescovo mons. Gianni Ambrosio e si terrà dal 17 al 24 ottobre.
E’ inoltre in programma un pellegrinaggio a Lourdes l’11 febbraio, anniversario dell’apparizione (quota di partecipazione 350 euro per persona). Questo pellegrinaggio si svolgerà in giornata; un altro, sempre a Lourdes, è in programma nei giorni 8 e 10 maggio (due notti e tre giorni) a partire da 475 euro a persona.
L’Ufficio diocesano ha inoltre intenzione di proporre in giugno la visita ai santuari della Sicilia.
Argomenti
Comunicati diocesi Piacenza-Bobbio,
Pellegrinaggi
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