venerdì 2 novembre 2007

La morte di don Oreste Benzi

Il vescovo Luciano Monari (a destra) con don Oreste Benzi lo scorso 30 settembre a Piacenza

"Ciò che fummo siete, ciò che siam sarete"

Piacenza - Nella prima uscita pubblica piacentina come amministratore diocesano di Piacenza-Bobbio, monsignor Lino Ferrari ha ricordato il vescovo Luciano Monari e pregato per il futuro pastore che il Papa invierà alla chiesa emiliana. Pubblichiamo l'omelia che monsignor Ferrari ha tenuto nel cimitero urbano di Piacenza per la solennità di Ognissanti. Un grazie a Vittorio Ciani per la collaborazione.

È festa grande oggi per la Chiesa che guarda con stupore e gratitudine alla santità dei suoi figli.
Se è vero che la storia del popolo di Dio è anche storia di infedeltà e di peccato, ci sono più ragioni per dire che è una storia di santità, una santità nascosta, feriale, che costituisce la vera ricchezza della Chiesa; una santità di cui anche noi per grazia siamo partecipi.
Insieme alla gratitudine presentiamo al Signore le nostre fragilità e i nostri peccati, per essere rinnovati dal suo perdono.
Celebriamo l’Eucaristia nella solennità di Tutti i Santi accanto alle tombe dei nostri morti. C’è il rischio che prenda il sopravvento il rimpianto e la tristezza. Il legame c’è tra i nostri morti e la festa odierna, perché siamo certi che tante persone a noi care, che hanno percorso con noi un tratto più o meno lungo della vita, fanno parte della schiera dei Santi.
Ma è importante capire la radice della loro gioia e della loro comunione con Dio.
La prima Lettera di Giovanni, ne abbiamo sentito proclamare una parte, afferma che la vocazione cristiana è una “vocazione filiale”: carissimi, «[1]Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 1, 1).
Non è un modo di dire, una illusione, siamo davvero «figli di Dio»; e la santità è la realizzazione di tale vocazione.
È un codice genetico, un dna, che modella la vita fisica, e c’è ne è uno anche all’origine dell’esistenza cristiana. Vuole dire che nel nucleo centrale della nostra esistenza c’è qualcosa che viene davvero da Dio, quella che potremo chiamare la “santità ontologica radicata nel nostro essere” ; l’abbiamo ricevuto in dono con il Battesimo.
Ci ricorda Paolo nella Lettera ai Romani che:
«[4]Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 8, 4).
Quella santità ricevuta in dono deve diventare sorgente di una santità conquistata anche con l’impegno personale di una “santità morale”.
E abbiamo come aiuto, per vivere da «figli di Dio», la Parola che è Luce e ci indica il cammino, e lo Spirito: lo Spirito che è forza che agisce nell’intimo.
Che il cristiano porti in sé l’immagine di Cristo e ne assuma i lineamenti, nel modo di pensare e di agire, dipende proprio dal dono dello Spirito che abita in lui. Dono che se è riconosciuto e accolto rende attivi.
Era ancora san Giovanni a dire:
«[3]Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro» (1 Gv 1, 3).
Sente il desiderio di valorizzare quel dono ricevuto, e di fare si che la vita sia in sintonia con la volontà di Dio, abbia davvero i lineamenti di una vita da figlio.
Allora comprendiamo il valore della testimonianza del cristiano. Il cristiano dovrebbe lasciare intravedere attraverso i comportamenti chi è Dio, e che lui è presente, è all’opera nel mondo.
La pagina di Vangelo proclamata ci ha presentato le “Beatitudini”. Beatitudini che sono anzitutto l’identikit di Gesù, il suo essere Figlio di Dio, Gesù lo ha manifestato così: vivendo povero, libero dai beni materiali, misericordioso verso i peccatori, verso coloro che erano nella sofferenza e nel bisogno.
Un programma di vita alto, ma credibile anche per noi, ci viene proposto. Perché le Beatitudini ce le siamo viste venire incontro in volti concreti: di persone povere ma radiose, sofferenti ma serene, miti ma forti.
All’ingresso di un cimitero era stato scritto: “Ciò che fummo siete, ciò che siam sarete”. Una espressione che può incutere timore. Siamo stati anche noi giovani, forti, capaci di fare tante cose, ora siamo polvere. Ma può essere anche una espressione che trasmette speranza: “Come voi abbiamo camminato a fatica sorretti dalla fede e provati da tante difficoltà, ora siamo nella luce e nella gioia: Quel che fummo siete, quel che siamo sarete”.
Il Signore ci aiuti a riconoscere il dono ricevuto, quella santità che è stata posta in noi con il Battesimo; e ci aiuti a sentirci parte di quella famiglia, la Chiesa, che ci fa sperare fin d’ora in una possibilità di vita nuova e piena, che già sperimentiamo nella “Comunione dei Santi”.