lunedì 15 marzo 2010

A Piacenza il congresso nazionale Fuci

Piacenza ospiterà dal 22 al 25 aprile il 60° congresso nazionale della FUCI
(universitari cattolici) sul tema: "Un'economia per l'uomo: quale sfida per
il futuro?". Agli incontri, previsti a Palazzo Gotico, Palazzo Farnese e
all'Università cattolica, interverranno importanti economisti.
L'iniziativa verrà presentata alla stampa giovedì prossimo, 18 marzo, alle
ore 12, a Palazzo Vescovile (Sala San Luigi), da una delegazione nazionale
della FUCI composta dai presidenti Emanuele Bordello e Sara Martini e dai
vicepresidenti Maria Rosa Petti e Luca Bilardo. Sarà presente anche
l'assistente diocesano don Celso Dosi.
E' la prima volta che la FUCI tiene un proprio congresso nazionale a
Piacenza.

VIDEO/Monari: auguro a Lanfranchi più vocazioni anche a Modena

Lanfranchi a Modena (5): la Chiesa e la città hanno bisogno l'una dell'altra

Grazie, signor sindaco, per l’affettuosa accoglienza e per le espressioni augurali che mi ha rivolto e per la presentazione della città con i suoi punti forza e con le attenzioni che richiede.
Con Lei saluto e ringrazio tutte le autorità civili e militari.
Grazie Modena. Mi sento ormai legato a te e a tutti i tuoi abitanti, a cui voglio consegnare tutte le mie energie. Vengo volentieri, con la compagnia buona, corroborante dei molti legami che il Signore mi ha dato di tessere a Cesena, sicuro che non si recideranno mai, ma saranno arricchiti dai tanti che sicuramente da oggi avrò la possibilità di costruire con la tua gente.
Signor Sindaco, le assicuro di voler collaborare con Lei e con tutte le autorità, nel rispetto del ruolo proprio di ognuno, per la costruzione della civiltà dell’amore nella convivialità delle differenze e nella valorizzazione dei doni di ciascuno.
Mi viene spontaneo, per la mia formazione e la mia storia, pensare la comunità cristiana come “Chiesa nella città”.
Dicendo questo, non posso anzitutto non pensare alla stupenda immagine che si presenta al visitatore arrivando in Piazza Grande: sullo sfondo la Ghirlandina slanciata verso il cielo, poi la Cattedrale a unire il Palazzo comunale e l’Episcopio.
Quando vi arrivai per una breve visita, all’indomani della festa di San Geminiano, e la contemplai non con lo sguardo di chi è affascinato semplicemente dalla bellezza artistica, ma ormai con quello dell’innamorato, un pensiero prevalse su tutti: i monumenti simbolo della vita religiosa e civile uniti insieme. Lo spazio di Dio e quello della vita si attirano e si arricchiscono reciprocamente. Non perché uno limiti e oscuri l’altro, ma a indicare quanto siano fecondi per la città i valori spirituali e quanto sacra per il cristiano sia la responsabilità sociale. La configurazione stessa del cuore della città con la preziosità dei suoi monumenti ci insegnano che tra chiesa e mondo c’è una vicinanza insopprimibile, che deve portare a un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso, nello sforzo di edificare insieme una società più umana e più libera.
La Chiesa e la città, pur essendo realtà distinte, hanno bisogno l’una dell’altra. Esse non sono chiuse l’una all’altra e nemmeno impermeabili tra loro.
L’intera “città” sta a cuore alla Chiesa, nulla è estraneo alle sue preoccupazioni.
Abbiamo tutti presenti, credo, un testo paradigmatico della presenza dei cristiani nella società, la Lettera a Diogneto. Essa avverte: “Dio ha assegnato loro (ai cristiani) un posto tale che non è loro lecito tirarsi indietro” (VI,10). I cristiani non solo possono, ma debbono impegnarsi per la vita della città, sapendo tuttavia che la loro patria sta nei cieli.
All’intera comunità cristiana spetta l’affascinante e grave compito di rendere presente Dio nella vita degli uomini. Oggi, in un tempo, povero di speranze e in cui la centralità della dignità della persona umana, con i valori irrinunciabili in cui si esprime, si pone come centrale all’attenzione di tutti, tale compito è ancora più urgente. Sono rivolte ai cristiani le parole di Gesù ai discepoli mentre ascendeva al cielo: “Ma voi rimanete in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49).
Rimanere in città, cercando di diventarne l’anima.
La presenza della comunità cristiana può essere determinante per dare quest’anima alla vita di un paese, alla periferia della città, ad un quartiere, ad un centro storico, attraverso anzitutto quella presenza quotidiana che non fa clamore, ma di fatto è determinante per la coesione sociale e per il perseguimento del bene comune.
La città in tutte le sue espressioni sta a cuore alla comunità cristiana, sta a cuore al vescovo.
Se la sua missione è una salvezza che ha la dimensione dell’eternità, essa sa che questa non è da intendersi come fuga dalle responsabilità concrete e in termini individualistici. Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi ricorda che “la salvezza è sempre stata considerata come una realtà comunitaria” (n. 13) e cita la Lettera agli Ebrei che usa più volte il termine “città” per indicare la salvezza a cui siamo chiamati: Il Signore “ha preparato per loro una città” (Eb 11,16).

Signor Sindaco, sono davvero lieto del ricco patrimonio artistico, culturale, economico, sociale e religioso, che rende bella Modena, e che andrò via via a conoscere sempre più profondamente.
Così come mi conforta la ricchezza di esperienze associative e di volontariato che arricchiscono il patrimonio sociale della città e contribuiscono al bene fondamentale della coesione sociale e in particolare trovo incoraggiante quella cultura della partecipazione che si esprime nella collaborazione nel campo educativo a favore delle nuove generazioni.
Dichiaro la mia piena disponibilità a proseguire sulla strada della collaborazione in quelle forme che si sono rivelate ricche di frutti per il bene comune, aperto a nuove modalità che la situazione potrà richiedere.
La crisi globale che segna il nostro tempo, investe anche Modena e richiede in termini ancora più forti la relazione stretta tra “città e Chiesa”.
Vorrei concludere ripetendo oggi quanto affermai al mio ingresso a Cesena.
Della città la Chiesa custodisce la memoria: una memoria depositata nelle pietre dei suoi templi, che raccontano avvenimenti vissuti in comune, che hanno segnato un destino comune. Una memoria trasmessa dall’arte, da tante pagine gloriose di santità, di civiltà, di cultura, scritte in ogni comunità, anche nelle più piccole.
Della città la chiesa vuole abitare il presente: un presente complesso dai mille volti, anche contradditori, ora frettoloso, ora conflittuale, ora rassicurante e rasserenante ora angosciante, comunque sempre bisognoso di molteplici ascolti, di motivazioni che sostengano il vivere quotidiano e di dedizione alle persone.
L’oggi di Modena è anche l’oggi della Chiesa.
Della città la chiesa vuole sognare il futuro.
Modena viviamo insieme il presente per sognare insieme il futuro.
E’ l’augurio che faccio alla chiesa di Modena-Nonantola e alla città.

+ Antonio Lanfranchi


Modena, 14 marzo 2010

Lanfranchi a Modena (4): il saluto dei giovani

Eccellenza, nostro vescovo Antonio,
è con grande gioia e sincero affetto che noi giovani della diocesi di Modena-Nonantola oggi la accogliamo come pastore e padre e le diamo il benvenuto nella nostra città, nel ricordo ancora vivo del suo predecessore Mons. Benito, che per tanti anni della nostra vita è stato per noi un testimone autentico del Vangelo.
Sappiamo che Lei ha sempre considerato il rapporto con i giovani una priorità del suo impegno pastorale. Questo ci riempie di speranza, perchè crediamo di avere davvero bisogno di un pastore come Lei, che con l'aiuto del Signore possa costituire per noi una guida sicura nella nostra crescita personale e comunitaria e una fonte di slancio nella testimonianza di fede che dobbiamo rendere nella nostra città.
Ogni giorno sperimentiamo le difficoltà della fede in un mondo caratterizzato da tanti problemi e da tanti cambiamenti. Noi giovani ci rendiamo conto di vivere in una realtà complessa, in cui non è facile avere certezze e prospettive sicure, in cui spesso ci si sente soli e privi di punti di riferimento, talvolta anche nelle nostre parrocchie. Tanti nostri amici sono forse sbandati perchè non trovano la direzione verso cui volgere il proprio cammino e noi stessi ci troviamo a vivere la fede in una società per certi aspetti indifferente ai valori spirituali ed etici del Vangelo.
Eppure a Modena la fede non si è spenta e il Signore Gesù continua ad attrarre molti giovani con il fascino irresistibile del suo amore. Sono tanti i luoghi e i momenti in cui sperimentiamo la vera amicizia, la solidarietà fraterna anche attraverso il volontariato, la condivisione fra noi e i più poveri, e l'accoglienza dello straniero in una città sempre più multietnica e multireligiosa.
Siamo govani di speranza e facciamo nostre le parole che molti di noi hanno udito dalla bocca di Papa Giovanni Paolo II a Tor Vergata: "Vedo in voi le sentinelle del mattino. Dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione."
Chiediamo perciò oggi a Gesù, nostro Signore, di infondere in noi e in Lei il dono dello Spirito Santo, perchè rafforzi la comunione tra le varie realtà giovanili, ci costituisca in unità e ci renda a Modena segni credibili del suo amore. E' quanto ha chiesto il Cristo stesso prima della sua passione: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perchè tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anche essi in noi, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17).


Modena, 14 marzo 2010

Lanfranchi a Modena (3): il saluto della diocesi

Saluto a nome della chiesa di Dio che è in Modena-Nonantola tutti i presenti, così numerosi: le autorità civili e militari che hanno ora incontrato Mons. Lanfranchi nella Chiesa del voto, in particolare il Sottosegretario di Stato Sen. Carlo Giovanardi in rappresentanza del governo italiano; S.E. il Prefetto di Modena e S.E. il prefetto di Forlì-Cesena, il sindaco di Modena e i sindaci dei comuni della Diocesi; il parlamentare On. Giulio Santagata, il presidente della provincia di Modena e il Presidente della Provincia di Forlì-Cesena, assessore e consiglieri della Regione Emilia-Romagna, Rettore dell'Università di Mo-Re, Presidente del consiglio comunale, Comandante dell'Accademia militare di Mo, Presidente del tribunale di Mo, Il questore di Mo, il Comandante provinciale dei carabinieri, Comandante provinciale Guardie di Finanza, Comandante vigili del fuoco.
Saluto gli eccellentissimi vescovi che hanno voluto con la loro presenza rendere più bella questa nostra celebrazione: Prima di tutto Mons. Benito Cocchi, che ha accettato di essere ancora con noi oggi. E che proprio oggi ricorda il 51° anniversario della sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 14 marzo del 1958.
Saluto il Nunzio Apostolico in Italia Mons. Giuseppe Bertello, Mons. Piero Marini, presidente comitati per i congressi eucaristici internazionali; Mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, e Vice presidente della CEI, Mons. D'Onorio arcivescovo di Gaeta, Mons. Pizzi, vescovo di Forlì, i vescovi dell'Emilia: di Piacenza (Mons. Ambrosio), Parma (mons. Solmi), Reggio (Mons. Caprioli e l'ausiliare mons. Ghizzoni), Fidenza (mons. Mazza), Carpi (Mons. Tinti); i vescovi emeriti mons. Bernardini e Mons. Govi., Mons. Garavaglia vescovo emerito di Cesena-Sarsina.

Saluto i preti, i diaconi, i ministri istituiti della nostra diocesi, i religiosi e le religiose, i membri del Consiglio Pastorale diocesano, rappresentanti delle associazioni, i giovani, i fedeli qui convenuti da tutta la diocesi, i malati dell'Unitalsi.

Saluto i famigliari di Mons. Lanfranchi, con particolare affetto la sua mamma a cui auguriamo che possa continuare ad essere vicina al suo figlio vescovo per tantissimi anni, tutti i parenti, i compaesani di Grondone (suo paese natale) tra cui la sua maestra che ha voluto essere presente in questo momento così importante del suo antico allievo, la numerosa rappresentanza della diocesi di origine Piacenza, e i molti fedeli della diocesi di Cesena che saluto con particolarissimo calore e che la Diocesi ringrazia di cuore (è la seconda volta che Cesena regala a Modena il proprio vescovo: Mons. Amici nel 1957 e oggi Mons. Lanfranchi).

Ma soprattutto siamo qui per salutare ed accogliere con vera gioia il nostro nuovo Pastore Mons. Antonio Lanfranchi, centesimo della lunga catena dei vescovi a cui è stata affidata la cura pastorale della diocesi.
L'accoglienza del nuovo Arcivescovo e l'inizio del suo ministero pastorale fra di noi rappresentano un momento di grande importanza per la vita della nostra diocesi. Sappiamo tutti quale significato ha la persona e l'azione del vescovo in una chiesa locale. Nella pienezza dell'ordine sacro, egli è nella sua chiesa una presenza particolarissima del Signore, vicario di Cristo; successore degli apostoli, è il segno visibile della presenza della Chiesa una santa e cattolica nella chiesa di Dio che è in Modena, segno di comunione tra la chiesa universale e la nostra chiesa; dentro la nostra chiesa, è segno e garante dell'unità, ne è la guida, ne presiede tutta la vita e l'attività, punto di riferimento per tutte le comunità parrocchiali e non sparse su tutto il territorio diocesano, da Finale Emilia a Fiumalbo.

Il cambio del Pastore dice insieme un cammino che continua e un cammino che si rinnova. Siamo consapevoli di avere compiuto un cammino importante negli anni dell'episcopato di Mons. Cocchi, ma insieme percepiamo che il Signore in questo momento ci dona possibilità nuove.
Abbiamo compiuto un cammino in questi anni. In questi anni è cresciuta nelle nostre comunità la attenzione alla Parola di Dio; si è fatto più vivo il senso della centralità dell'Eucaristia da cui parte e a cui ritorna tutta la vita della comunità; più attenti alle necessità dei fratelli, ed accoglienti sulla strada di ogni uomo che soffre; più aperti e più proiettati verso il mondo, nella convinzione della necessità oggi di passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale di missionarietà; più profondamente radicati nel territorio, in mezzo alle case degli uomini, all'interno del vissuto umano, solidale con la vita della gente.
Un cammino è stato compiuto e siamo grati a Mons. Cocchi che di tale cammino è stato guida paterna e illuminata, che ancora ringraziamo per tutto il bene che ci ha donato negli anni del suo episcopato.

Ma siamo insieme consapevoli della presenza di problemi non piccoli che ci attendono per i quali siamo certi di trovare nel nuovo Vescovo indicazioni e aiuto.
• La diminuzione del clero che nei prossimi anni si farà ancora più sensibile data l'età avanzata di una parte notevole dei sacerdoti operanti ora nella nostra diocesi. Questo comporterà la necessità di sviluppare maggiormente la corresponsabilità dei laici, anche attraverso i nuovi ministeri laicali e di incrementare con decisione le unità Pastorali; di dare uno sviluppo maggiore alla scuola di teologia per i laici, oggi 'Istituto superiore di scienze religiose', una realtà che deve farsi sempre più incisiva nella vita della nostra diocesi.
• Sentiamo il bisogno di crescere nella comunione e nella fraternità, di camminare insieme, di trovare nel nuovo Vescovo un preciso punto di riferimento: segno e strumento di unità, ci aiuti a sentirci un'unica famiglia e renda più forte l'impegno di tutti per cercare di essere, come ci vuole il Signore, una cosa sola.
• Sentiamo tutto lo spessore dei problemi che la società di oggi porta con sé e la Chiesa deve affrontare: il problema dei giovani, delle famiglie, delle povertà vecchie e nuove, di una società sempre più complessa dalle grandi sfide epocali. Sentiamo la tentazione di tirare i remi in barca di fronte a problemi così grandi che ci attendono, sentiamo il rischio della rassegnazione. Abbiamo bisogno in questo momento di crescere nella speranza, abbiamo bisogno di un Vescovo che infonda fiducia e sia per noi una guida sicura per cammini coraggiosi.
Siamo sicuri che tutto questo sarà per noi Mons. Lanfranchi, un dono del Signore alla Chiesa di Dio che è in Modena. E' con questa certezza che l'accogliamo con gioia e con piena disponibilità.

Viene a noi dopo una già lunga esperienza. Ordinato sacerdote 38 anni fa, viene da studi di teologia biblica, scienza dell’educazione e catechetica presso le Pontificie università romane, gregoriana e salesiana; viene da una lunga esperienza pastorale: nella sua diocesi di Piacenza, da impegni a livello regionale e a livello nazionale a Roma, vicario generale a Piacenza, quindi a Cesena come Vescovo.
Da questo momento Lei appartiene pienamente alla nostra Chiesa modenese: la croce pettorale che ora le doniamo è la croce di S.Geminiano: fa di lei un modenese a pieno diritto, uno di noi per tutti noi. Ovunque è stato le hanno voluto bene. Anche noi modenesi le vorremo bene, come Lei già vuole a noi. Siamo certi che sarà per i preti padre buono, attento alle diverse e non facili situazioni; sarà per i piccoli, i poveri, i malati, i disoccupati, gli immigrati, i carcerati un fratello che condivide, sostiene e difende. Siamo certi che aiuterà tutti noi a non chiudere il nostro cuore su noi stessi, ma ad aprirlo alle dimensioni del cuore del Signore.

Celebra ora la sua prima Eucaristia nella Chiesa di Modena, in questa nostra cattedrale, cuore della nostra diocesi. E' con questa solenne celebrazione eucaristica che esprime la comunione di tutta la Diocesi attorno al suo Vescovo, che inizia e da qui parte il suo ministero episcopale per noi e con noi. Inizia un cammino nuovo da percorrere, tutti insieme, nel nome del Signore.
E' questo davvero un prezioso momento, un momento di grazia. Il Signore ci conceda che non si perda nulla di ciò che contiene e dona alla Chiesa di Dio che è in Modena.

Monsignor Losavio


Modena, 14 marzo 2010

Lanfranchi a Modena (2): riconciliamoci con l'ambiente, la società, Dio

E’ con trepidazione, ma anche con gioia e affetto che mi presento a voi, fratelli e sorelle carissimi, della Chiesa di Modena-Nonantola, per iniziare il mio servizio episcopale, accogliendo con devozione filiale e con animo grato la decisione del Santo Padre, Benedetto XVI.
Se il gravoso compito che mi è affidato come Vescovo mi riempie di tremore, l’accoglienza affettuosa che mi avete riservata mi dà forza e serenità.
Saluto con particolare affetto e con gratitudine Mons. Benito Cocchi, che oggi mi ha passato il pastorale e che oggi celebra il 51° anniversario di ordinazione sacerdotale. So quanto significativo sia stato il suo servizio episcopale in diocesi. Questo mi riempie di responsabilità a proseguire il cammino intrapreso, obbedendo alla storia di questa diletta Chiesa.. Grazie, Eccellenza, siamo certi che continuerà a seguirci, soprattutto con la preghiera di intercessione e anche noi non ci dimenticheremo di Lei. Saluto poi Mons. Paolo Losavio per le espressioni augurali che mi ha rivolte e per avermi aiutato ad entrare nel cammino concreto dell’arcidiocesi.
Mi unisco a lui nel saluto a tutte le autorità civili, religiose e militari, di ogni ordine e grado, a pertire dal nunzio apostolico mons. Giuseppe Bertello e dal senatore Carlo Amedeo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, delegato a rappresentare il Governo.
Un saluto affettuoso ai miei compaesani e a tutti i piacentini: le proprie origini danno l’impronta a tutta la vita. Con uguale affetto saluto i cesenati, che hanno segnato in modo indelebile i sei anni trascorsi con loro.
Saluto tutti voi, popolo dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, nella bellezza e nella varietà dei doni di cui l’ha arricchita lo Spirito Santo.
Vorrei riprendere quello che dicevo al signor Sindaco nella Chiesa del Voto. Grazie Modena. Mi sento ormai legato a te e a tutti i tuoi abitanti, a cui voglio consegnare tutte le mie energie. Vengo volentieri, con i valori grandi della vita, assimilati anzitutto nel piacentino, la terra delle mie origini, e con la compagnia buona, corroborante, dei molti legami che il Signore mi ha dato di tessere a Cesena, sicuro che non si recideranno mai, ma saranno arricchiti dai tanti che sicuramente da oggi avrò la possibilità di costruire con la tua gente.
Un saluto affettuoso alle persone che sono rimaste fuori dalla Cattedrale e che sono collegate tramite gli schermi posti all’sterno e a quelle che seguono la diretta televisiva, in particolare agli ammalati e a quelli che non hanno potuto muoversi.
Questa nostra stupenda Cattedrale, la Chiesa-Madre, è oggi troppo angusta per accogliere tutta la famiglia dei figli di Dio, sparsa per la Diocesi, e vorrebbe eliminare le barriere dei muri per unire in un unico abbraccio tutti, compresi quelli che per un motivo o per l’ altro non sono qui.
Come la Cattedrale allarga idealmente le braccia per accogliere tutti, io vorrei avere un cuore grande dove tutti possano trovare accoglienza. Ma come assumere tale ampiezza? Sono consapevole della mia povertà, ma anche della ricchezza che devo portarvi: Gesù Cristo. E allora il segreto per accogliervi tutti è lasciare plasmare il mio cuore su quello di Cristo.
Sant’Ambrogio afferma che il vescovo è “vicario dell’amore di Cristo”.
La nomina di un vescovo è accompagnata da tante domande. Tramontate quelle della semplice curiosità, emergono altre più impegnative, più coinvolgenti: “Che tipo di vescovo sarà? Sarà davvero vescovo per la gente e con la gente, come è stato sottolineato a Cesena? Che programma pastorale ha in testa?”. Fedele alla citazione di Sant’Ambrogio, non vorrei parlarvi di me, ma di Lui, di Gesù Cristo, di come , incontrandolo, uno, come ci ricorda l’apostolo Paolo, diventa una creatura nuova.
Vorrei fare mie le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica ‘Novo Millennio ineunte’: “Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non ci salverà una formula, ma una Persona, e la certezza che essa c’infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso s’incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace” (n.29).
Vorrei tanto riuscire a parlare al cuore di ognuno e comunicare con efficacia il messaggio di Benedetto XVI: “Chi incontra Cristo e lo segue non perde nulla della sua umanità, proprio nulla, ma acquista tutto”.
Vorrei tanto riuscire ad essere “vicario dell’amore di Cristo” e, cogliendo il messaggio di questa IV domenica di quaresima, chiamata nella tradizione “in laetare”, essere “servitore della vostra gioia”, non di quella gioia effimera, illusoria, ma la gioia che nasce dalla comprensione del dono grandissimo della vita e del suo senso.
“Vicario dell’amore di Cristo”, “servitore della vostra gioia”: sono queste le due linee che colgo in termini forti nel messaggio della liturgia della Parola di questa domenica, all’inizio di questo cammino.
Vicario dell’amore di Cristo
Abbiamo ascoltato le parole di Paolo rivolte ai Corinti: «Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo,
come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 20).
Il bisogno di riconciliazione è uno dei più urgenti.
Abbiamo bisogno di riconciliazione nella nostra vita personale, nelle relazioni che fanno parte della nostra quotidianità, ma anche nella vita sociale. Dobbiamo riconciliarci con noi stessi, con la nostra vita che a volte trasciniamo passivamente, a volte strapazziamo e buttiamo via per niente. Dobbiamo riconciliarci con la natura che continuiamo a saccheggiare come un bottino, invece di custodirla come un tesoro che ci è affidato. Dobbiamo riconciliarci con gli altri a livello personale e sociale, superando i conflitti, le guerre, le ostilità, i dissidi, gli odi, tutte le cattiverie che avvelenano la convivenza umana. Quindi c'è bisogno di riconciliazione con noi stessi, con la natura e con gli altri.
Ma stranamente San Paolo non parla di nessuna di queste riconciliazioni e dice solo: "lasciatevi riconciliare con Dio". Se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo ammettere che di questa riconciliazione ne sentiamo meno il bisogno, la sentiamo un po’ astratta, non incidente sulla vita concreta. In che cosa cambia la nostra vita se ci sentiamo riconciliati con Dio? Abbiamo l'impressione che sia solo un nobile concetto religioso, ma che non ha incidenza nel nostro modo di vivere. Una certa cultura vorrebbe proprio questo. C’è chi pretenderebbe che fosse così: che l’esperienza di Dio fosse racchiusa nell’intimo della coscienza senza incidenza sulla vita concreta; c’è chi invece lamenta questo.
Per convincersi dell’importanza della riconciliazione con Dio, basterebbe leggere le prime pagine della Bibbia che ci mostrano come nella rottura della relazione con Dio c’è l’origine di tutte le divisioni, le sopraffazioni, le divisioni, in una parola di tutti i peccati. Rompendo la comunione con Dio l’uomo si sente nudo, cioè indifeso, povero, vulnerabile. Non coglie più se stesso nel cuore di Dio ma neanche gli altri. La lontananza da Dio lo porta lontano dalla verità della sua vita con una ripercussione negativa su tutto. Ecco perché la riconciliazione è con Dio. Perché con il peccato abbiamo detto di no a Lui, al suo amore per noi, anche quando abbiamo offeso l’altro o non abbiamo avuto rispetto di noi stessi.
Ma perché “lasciatevi riconciliare” e non “riconciliatevi?”.
L’amore di Dio per noi lo porta a fare Lui i primi passi, a offrire Lui la possibilità di ritornare nella verità di noi stessi e lo fa attraverso il suo Figlio, Gesù.
Paolo fa un’affermazione fortissima: ”Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”.
Il Figlio di Dio, l’innocente, il santo, diventato “peccato”, il peccato fatto persona!
Portando nella propria carne e nel proprio cuore le ferite del nostro peccato, Gesù ne fa, in grazia del suo amore di misericordia, l’offerta che ci riconcilia con il Padre: “perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”.
Questo è l'effetto della riconciliazione che Dio ha operato per noi attraverso il suo Figlio. Per questo sta scritto: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2 Cor 5, 17),
Allora, la riconciliazione con Dio è l’inizio di un mondo nuovo che nasce dalla croce di Cristo.
La riconciliazione con Dio, quando è presa sul serio, cambia tutto; cambia il nostro modo di pensare e di agire, di entrare in rapporto con gli altri, di trattare la natura, di gestire la nostra vita.
La riconciliazione con Dio non è niente di meno che il mondo nuovo creato secondo Dio nella giustizia, nella santità, nella verità.
L'accogliere la riconciliazione mette dentro ai nostri cuori delle grandi forze di speranza e di amore, ci risveglia dalla nostra pigrizia, dalle nostre indifferenze, ci spinge con forza verso un futuro degno del nostro impegno e del progetto di Dio.
La novità che nasce dall’incontro con Cristo e che risponde all’anelito di comunione che ogni uomo porta nel cuore in un’epoca di sopraffazione, di conflitti e di divisioni come la nostra è il primo dono e nello stesso tempo il primo compito che questa celebrazione di inizio ci consegna.
Il secondo risponde all’anelito alla felicità, al bisogno di festa di fronte al mal di vivere, all’accidia che caratterizza tanti nostri comportamenti; e ci viene dal Vangelo, incentrato sulla parabola del figliol prodigo e del Padre misericordioso, e che evidenzierei come chiamata a essere servitore della vostra gioia.
Sarebbe bello avere il tempo di soffermarci su ognuno dei personaggi della parabola, su ogni particolare, per coglierne il messaggio per noi. Lo lascio alla buona volontà di ognuno per concentrarmi su un unico aspetto.
C’è un padre che vuole fare festa con i suoi figli. Sappiamo che questo Padre è Dio, che quando ha voluto l’uomo, l’ha pensato nella festa, nella gioia, nella felicità. La festa chiaramente non data dalla mancanza di difficoltà, di limiti, di privazioni, ma quella festa che nasce dalla convivialità, dalla fraternità, dalla solidarietà, dalla condivisione, dalla pace, dalla positività delle relazioni.
Ma sembra che tutto congiuri contro la realizzazione di questo desiderio. Ora vi si oppone l’atteggiamento di un figlio ora quello dell’altro.
Una soluzione sembrerebbe esserci, capace di rendere contenti tutti. Sarebbe bastato che il padre accogliesse il figlio prodigo come salariato. Sarebbe stato contento il figlio minore perché sperava solo a quello: "dirò a mio padre: trattami come uno dei tuoi garzoni", quindi non desiderava altro, considerato che veniva da una condizione di miseria estrema e poter essere salariato in casa di suo padre era un vantaggio.
Sarebbe stato contento anche il figlio maggiore, perché veniva salvaguardato un trattamento diverso tra lui e il fratello. Quindi c'era una soluzione che andava bene a tutti, ma non andava bene al padre. Perché per il padre i figli sono sempre figli e lui vuole essere considerato padre e non padrone, un padre che ama incondizionatamente tutti i suoi figli.
La parabola non ci dice se alla fine si riesce a far festa, la soluzione resta aperta, come a voler sottolineare che questo è il compito affidato ai discepoli di Gesù di tutti i tempi, il compito anche di questa chiesa che il Signore oggi mi chiama a guidare. La Chiesa esiste non per incentrare su di sé l’attenzione, ma per essere la casa dove si apprende la strada che porta alla festa, cioè la strada della comunione, della fraternità, della condivisione.
Si dice che in ogni inizio c’è una grazia particolare.
All’inizio del mio ministero di vescovo vorrei cogliere questo dono che diventa responsabilità per me e per tutta la nostra chiesa: vicario dell’amore di Cristo, servitore della vostra gioia.
La Beata Vergine Maria, che portando Gesù nell’incontro con Elisabetta, ha portato la gioia, sostenga il cammino che percorreremo insieme. Interceda per noi presso Dio il nostro Patrono San Geminiano.


+ Antonio Lanfranchi



Modena, 14 marzo 2010