sabato 23 marzo 2013

Don Cattadori canonico della cattedrale


Con Atto proprio di S.E. mons. Vescovo in data 9 marzo 2013 il M. R. Tagliaferri don Carlo, attuale parroco moderatore di Strà PC, mantenendo i precedenti incarichi, è stato nominato amministratore parrocchiale della parrocchia di Sant’Antonino martire in Corano, Comune di Borgonovo Val Tidone, Provincia di Piacenza.

Con Atto proprio di S.E. mons. Vescovo in data 14 marzo 2013 il M.R. Cattadori don Francesco, attuale parroco di Rivalta PC, è stato nominato Canonico del Capitolo della Cattedrale di Piacenza.




Il sogno: Francesco Papa, Scalabrini santo

O adesso o chissà quando. Nella casa madre degli Scalabriniani è la prima cosa a cui hanno pensato. In Curia il vescovo Gianni Ambrosio è la prima riflessione che ha fatto, a caldo, mentre la tv ancora inquadrava piazza San Pietro. Se Jorge Mario Bergoglio, figlio di migranti italiani, è diventato Papa, dietro c'è il grande lavoro del vescovo Giovanni Battista Scalabrini, il vescovo degli emigranti.


Proclamato Beato nel 1997, il prossimo gradino è quello della santificazione. O adesso, dicevamo, o chissà quando.

In via Torta vengono i brividi al solo pensarci. «Ne abbiamo parlato a tavola - confessa padre Stelio Fongaro -, sappiamo che è possibile e naturalmente saremmo molto felici se il cammino arrivato alla beatificazione procedesse». Grazie alla sensibilità del nuovo pontefice. Padre Fongaro è stato per due volte in Argentina a predicare gli esercizi spirituali agli Scalabriniani. La prima nel 1985, quando Bergoglio stava per partire per il dottorato in Germania; la seconda nel 1996, appena prima che divenisse arcivescovo coadiutore di Buenos Aires (Baires). «Era una figura conosciuta e seguita e tra i nostri padri se ne diceva un gran bene» ricorda. «E' vero quello che ha detto il vescovo Ambrosio - è d'accordo -, Scalabrini starà esultando». «Sosteneva proprio che se i migranti sono seguiti - continua -, mantenendo la loro cultura, la loro lingua, la loro religione, così manterranno la fede e saranno loro gli evangelizzatori delle Americhe. Era questo il pensiero di Scalabrini che chiamava le Americhe la terra promessa del Cattolicesimo». Comportamenti che non erano affatto scontati se è vero che «gli americani - evidenza padre Fongaro - si chiedevano che razza di cattolici fossero gli italiani che una volta sbarcati cambiavano la loro religione». Dunque la vocazione di Jorge Mario Bergoglio e il suo diventare Papa è anche il frutto del prezioso lavoro di Scalabrini.

Padre Sante Zanetti, economo generale della congregazione, conosce bene papa Francesco, per averlo incontrato più volte negli anni passati in Argentina come superiore provinciale, dal 2001 al 2007. Sabato scorso era a Piacenza per una riunione, poi è volato a Roma, dove risiede, e dove ha assistito, sorpreso come tutti, all'elezione del nuovo pontefice. Nei prossimi giorni andrà a trovarlo, ricordando i vecchi tempi tempi e magari cominciando a parlare della santificazione di Scalabrini.

«Papa Francesco è una persona decisa - ne tratteggia i caratteri -, di grande cultura, con una preparazione che non fa pesare a nessuno, semplice, breve, non grida mai; oltre ad aver sposato la causa dei poveri è una persona che ha scelto di vivere povero e lo dimostra con cose molto concrete, con la sua maniera di viaggiare e di parlare». Ha dimostrato sempre quell'attenzione ai migranti, frutto di quella sua esperienza di figlio di piemontesi: «Il giorno del migrante veniva a celebrare nel nostro santuario, e si presentava molto spesso alle manifestazioni di chiesa in favore degli oppressi sul lavoro o contro la tratta delle persone».

Ancora: «Ricordo che veniva nelle bidonville con i nostri seminaristi, luoghi in cui la polizia non entra; lui girava con la sua borsa in mano attorniato dai bambini che gli facevano festa».

«Ogni volta che lo incontravo - prosegue - trovavo sempre una persona affabile, semplice. Mi diceva di andare in episcopio alle 8 del mattino e che mi avrebbe aperto lui la porta».

Sulla conoscenza del carisma di Scalabrini non ci sono dubbi. «In una delle ultime sue presenze nel santuario della Madre dei migranti - racconta padre Zanetti - invocava Scalabrini come il protettore di tutti coloro che hanno lasciato la loro patria. Ribadiva spesso la sua origine migrante. Una volta venne in Italia, in Piemonte. Prima di ripartire per Buenos Aires si portò via un sacchettino di terra del suo paese».

Federico Frighi

15-3-2013 Libertà




Bergoglio, il Papa dei migranti

«Di fronte ad un figlio di emigranti italiani che diventa Papa, il beato Giovanni Battista Scalabrini non può che esultare e così fa anche il suo successore».


Il vescovo Gianni Ambrosio, attuale successore appunto, sulla cattedra di Piacenza-Bobbio che fu, tra gli altri, di monsignor Scalabrini, è contento e nello stesso tempo sorpreso della scelta dei cardinali per il papa Jorge Mario Bergoglio, ovvero Francesco I.

«Mi ha sorpreso la persona, così come il nome che ha scelto ed anche la rapidità della votazione» dice il vescovo che come tutti ormai attendeva l'elezione per la giornata di oggi. Del resto lo aveva detto anche il cardinale di New York, Timothy Dolan, che il conclave sarebbe finito di giovedì. Ma lo Spirito Santo è imprevedibile.

«Quando il cardinale protodiacono ha annunciato Bergoglio - continua il vescovo - ho subito pensato al nostro vescovo Giovanni Battista Scalabrini, che tanto ha fatto per i nostri emigrati. Di fronte ad un figlio di migranti italiani che diventa vescovo di Roma e successore di Pietro, Scalabrini esulta e non posso non esultare anch'io, suo successore». Ambrosio non ha mai conosciuto il cardinale Bergoglio che tuttavia ha, come il vescovo, origini piemontesi. Importante anche il nome: Francesco.

«In un periodo storico come quello in cui visse Francesco, mentre vigeva una visione mercantile della vita, Francesco ha saputo accogliere il cristianesimo alla luce della povertà e della fratellanza - evidenzia Ambrosio -; ha compreso che se non si riconosce il legame con il Signore e con la natura si diventa schiavi di un mondo senza valori».

Incollato alla televisione anche il numero due della diocesi di Piacenza-Bobbio, il vicario generale monsignor Giuseppe Illica, già missionario in Sudamerica. In Brasile.

«Mi sembra un gesto bello già il nome che ha scelto, Francesco - osserva don Illica -, poi la cosa straordinaria della richiesta della benedizione da parte del popolo, l'insistenza dell'essere vescovo di Roma che teologicamente è un'affermazione molto forte». Che cosa potrà dare un Papa sudamericano al mondo? «L'amore per i poveri - risponde il vicario generale - la vicinanza alla gente, la semplicità, la minore burocrazia».

E' festa nel convento dei frati minori francescani di Santa Maria di Campagna. «Mi ha fatto un'ottima impressione - dice il rettore e guardiano, padre Secondo Ballati -, la sua umiltà, l'essere al di fuori delle etichette. Poi ha chiesto di pregare per lui e si è inginocchiato davanti ai fedeli. Mai nessun Papa lo aveva fatto il giorno della sua nomina. E' segno di una grande comunione con la gente».

Felici della scelta di Bergoglio nella casa madre degli Scalabriani. «I nostri padri sono sempre stati vicini al cardinale di Buenos Aires - spiega il superiore, padre Gaetano Parolin -, purtroppo oggi non abbiamo più padri piacentini in Argentina». La tradizione missionaria della diocesi di Piacenza-Bobbio è rivolta verso il Sudamerica ma in modo quasi esclusivo verso il Brasile. L'unico sacerdote inviato in Argentina da Piacenza è don Fausto Capucciati che tuttavia è tornato in Italia già nel 1994. Don Capucciati non venne inviato nel paese di Papa Bergoglio come "fidei donum" ma come appartenente al movimento di Comunione e Liberazione. «Non ho mai conosciuto il nuovo Papa - confessa al telefono dalla sua parrocchia di Momeliano -, mi sembra una persona umile ma, a quanto dicono gli argentini, una persona anche tosta, che si saprà far rispettare».

Federico Frighi

14/03/2013 Libertà



Ambrosio: il Conclave alla luce della fede

L'unità della Chiesa (in tutte le sue componenti) con il Papa, la preghiera allo Spirito Santo come forza per essere vicini ai cardinali nel momento della scelta del successore di Pietro, il grazie a Benedetto XVI. Sono i punti cardine dell'omelia del vescovo Gianni Ambrosio nella messa piacentina "Pro eligendo pontefice". Una celebrazione voluta per invitare i fedeli della diocesi di Piacenza-Bobbio alla preghiera «in un momento del tutto particolare» per la Chiesa cattolica, come ha evidenziato Ambrosio. «L'elezione del nuovo Papa ci richiama al fatto decisivo della Chiesa, che si edifica sul fondamento della fede apostolica - ha osservato -. In unione con il Papa e con i vescovi, siamo confermati nell'amicizia con il Signore Gesù, nel suo amore, e siamo sospinti a vivere la grazia di questa amicizia facendo ciò che egli ci comanda». Nella piccola chiesa di San Raimondo, in corso Vittorio Emanuele, ieri sera sono stati in tanti ad accogliere l'invito del vescovo. Assieme ad Ambrosio diversi sacerdoti e parroci del centro storico, i seminaristi del Collegio Alberoni che hanno prestato il servizio liturgico. Dietro la grata le monache benedettine del monastero di clausura (le padrone di casa); nell'assemblea i rappresentanti dei vari movimenti ecclesiali, dall'Azione Cattolica a Comunione e Liberazione, dai Focolarini alle Comunità neocatecumenali.


«Radunati in questa chiesa di San Raimondo, preghiamo per il futuro Papa in comunione con tutta la Chiesa cattolica» invita il vescovo. «Insieme al Papa, nella comunione ecclesiale, possiamo diventare adulti e maturi nella fede, "vivendo secondo la verità nella carità", superando lo spaesamento e vincendo la paura e la solitudine».

«Siamo qui in preghiera per invocare la luce dello Spirito Santo sui cardinali - continua Ambrosio - perché scelgano il pastore che, nello spirito del Pastore supremo, guidi il gregge del Signore. Invochiamo poi lo Spirito Santo su tutti noi, su tutta la santa Chiesa, popolo di Dio che cammina nella storia per donare agli uomini la grazia e la gioia di incontrare Gesù, che è la "luce degli genti", "lumen gentium"».

Il vescovo richiama le parole pronunciate da Benedetto XVI nella sua ultima udienza in piazza san Pietro prima di lasciare il ministero petrino: «Possono esserci di aiuto per vivere questo momento con la sapienza della fede e non con lo sguardo semplicemente umano che si ferma alla cronaca esteriore». "La Chiesa è viva. Ho sempre saputo che la barca del Signore non è mia, non è nostra, ma sua - diceva papa Ratzinger -. E il Signore non la lascia affondare. È lui che la conduce. Questa è stata ed è una certezza che nulla può offuscare. Oggi ringrazio Dio perché non ha mai fatto mancare la sua luce, la sua consolazione, il suo amore".

«Noi tutti ci uniamo al suo ringraziamento a Dio - ha concluso Ambrosio - così come ringraziamo lui, Benedetto XVI, esprimendogli il nostro affetto, la nostra riconoscenza, la nostra ammirazione. Il dono del suo magistero con le encicliche, i sinodi, le esortazioni apostoliche, le catechesi settimanali, i numerosi messaggi, è la linea sicura per il cammino delle comunità cristiane e dell'umanità intera. Ci uniamo alla sua preghiera, che è il servizio che egli svolge per la Chiesa "nell'ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra"».

Federico Frighi

12/03/2013 Libertà



Ambrosio: un Papa attento all'Europa

«Forse Benedetto XVI non sarà l'ultimo l'ultimo papa europeo, come annunciato da Bernard Lecomte nel suo "Benoît XVI, le dernier pape européen" (2006). Certamente non è pensabile che l'Europa non abbia più nulla da dire al mondo». E' uno dei passaggi più significativi del fondo del vescovo Gianni Ambrosio pubblicato sull'edizione di sabato dell'Osservatore Romano. Il quotidiano vaticano, in vista del Conclave che inizierà domani, sta pubblicando scritti che appaiono come contributi sui temi caldi che dovrà affrontare il nuovo Papa. Riflessioni e meditazioni che non passeranno di certo inosservate ai cardinali riuniti per le Congregazioni generali. Come vice presidente della Comece - l'organismo che riunisce i rappresentanti delle Conferenze episcopali dei Paesi membri dell'Unione Europea - è stato chiesto al vescovo di Piacenza-Bobbio di ricordare ai "grandi elettori" il valore dell'Europa.


Ambrosio cita il monito di Benedetto XVI in occasione dei festeggiamenti per i cinquant'anni dei Trattati di Roma: "L'Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia". «L'immediato riferimento del Papa riguardava la crisi demografica del vecchio continente - scrive Ambrosio -, ma il discorso coinvolgeva i diversi aspetti dell'odierna vicenda europea. Queste parole evidenziano la preoccupazione per la crisi di civiltà del nostro continente: l'Europa, con l'indebolimento della sua identità culturale e religiosa, rischia di ridurre la persona a una sola dimensione, quella orizzontale. Come se la storia europea del secolo passato non insegnasse nulla, come se le tragiche esperienze non attestassero che l'uomo perde l'orientamento e compie passi disumani quando si chiude in se stesso e cancella Dio dal suo orizzonte».

Insieme alla preoccupazione è sempre emersa la fiducia di Benedetto XVI nell'Europa. Il vescovo ricorda l'intervento di Julia Kristeva, psicanalista francese, su Avvenire del 13 febbraio scorso: "Papa Benedetto ha ridato speranza a un'Europa in crisi". Ma anche come diversi intellettuali - soprattutto nel Nord Europa - non abbiano gradito il suo insegnamento. «Quando la polemica lascerà il posto alla riflessione - osserva - ci sarà la possibilità di comprendere più a fondo la portata del pensiero di Joseph Ratzinger». In Europa oggi, evidenzia Ambrosio, «le differenze nazionali non costituiscono più un problema, le diversità non sono divisioni. Le nazioni restano, con la loro diversità culturale. Questo è un tesoro da condividere tra i popoli, fino a far nascere una grande sinfonia di culture. L'Europa, che ha inventato la forma dello Stato nazionale, con aspetti positivi ma anche con le guerre nazionalistiche, e poi l'ha esportata nel mondo, ora sta mostrando al mondo il parziale superamento di quella forma, avviandosi verso una modalità di convivenza e collaborazione che va oltre i confini statuali».

Su questo cammino incombe, sottolinea Ambrosio, il rischio dell'Europa contemporanea: la perdita di se stessa, della sua anima «che il cristianesimo aveva "contribuito a forgiare", acquisendo un ruolo "non soltanto storico ma fondativo nei confronti dell'Europa". Se la visione religiosa è centrale per ogni cultura, se la relazione con Dio è essenziale per il cammino dell'umanità, l'Europa non può ignorare la questione della fede che coinvolge l'uomo e Dio. Questa è la sfida». «Nonostante le molte difficoltà - tuttavia - la speranza di un cammino diverso è sempre presente in Benedetto XVI. La ragione di questa speranza risiede nel desiderio di Dio che è presente nel cuore dell'uomo».

Federico Frighi


11/03/2013 Libertà



Bianchi: un Papa forte e saldo

«Ci vorrà un Papa forte, saldo, capace di dialogare con la modernità». Lo sostiene con fermezza Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, in Duomo prima della "lectio magistralis" sulla Lumen Gentium, la costituzione conciliare sul volto della Chiesa. Quella di ieri sera era l'ultima delle quattro lezioni organizzate dall'Ufficio pastorale della diocesi di Piacenza-Bobbio sulle altrettante costituzioni conciliari nel cinquantesimo anniversario del Vaticano II. Dal conclave appena annunciato dovrà uscire il nuovo volto della Chiesa, simile a quello abbozzato ma mai completato dalla Lumen Gentium. «Potrà uscire qualunque Papa, di qualunque nazionalità - continua Bianchi a margine della "lectio" -, l'importante che sia un Papa che nella Chiesa voglia la trasparenza, voglia una Chiesa che sa dialogare con gli uomini, che sa ascoltarli, perchè nel grande mutamento in atto a livello antropologico e culturale dell'Occidente, gli uomini hanno bisogno di qualcuno che li ascolti e che dia loro un orientamento per la ricerca di senso».


In apertura ringrazia il vescovo Gianni Ambrosio per averlo invitato nella cattedrale di Piacenza

e mette subito in chiaro che il Concilio è «la grande grazia del ventesimo secolo per la Chiesa», richiamando una frase di Giovanni Paolo II, ma anche come sia «ancora da realizzare in molte sue parti», riprendendo le parole di Benedetto XVI. Ricorda come la Lumen Gentium sia stata promulgata nel novembre del 1964 con 2.151 voti favorevoli e 5 contrari. «Una grande convergenza - osserva - e la sensazione comune che fosse il documento più importante uscito dal Concilio». Un documento che resta tuttavia «timido sulla necessità della riforma della Chiesa, di cui in questi giorni vediamo tutta l'urgenza». «Soprattutto per questa costituzione, si attende una realizzazione che è appena abbozzata ma lontano dall'essere adeguata - spiega Bianchi -. L'idea è che la Chiesa sia non una società che visibilmente sta nella storia, ma soprattutto un mistero, non un enigma ma un qualcosa che Dio rivela. Con tante sfaccettature. La Chiesa è corpo di Cristo, comunione, dimora dello Spirito Santo, ovile, campo, immagini che non esauriscono la Chiesa come mistero». Quella più forte è la Chiesa "popolo di Dio", «espressione che appariva come nuova in quel momento storico». Una realtà di popolo fatta dalla gente, in cammino, «che abbisogna degli uomini e della storia, anche dei non cattolici». Un'immagine molto forte che più avanti, negli anni Ottanta, mutò: «Si guardò alla Chiesa come comunione: da un lato un passo in avanti per la dimensione spirituale profonda, dall'altro si è pensato più al mistero che non agli assetti e alle strutture che devono mutare nella storia, a seconda delle esigenze dei tempi e dei bisogni degli uomini. Questo è un cammino ancora da fare».

Il priore Bianchi non abbandona la speranza. Dice di non temere per il futuro del Vangelo e del Cristianesimo ma invita la Chiesa di oggi ad un'assunzione di responsabilità: «Occorre che si privilegino la trasparenza, un senso di giustizia profondo, nuove vie con lo stile di Cristo, una Chiesa più povera nel mondo, capace di dialogo anche con chi non vuole dialogare con noi. Gli uomini di oggi, è vero, sono lontani dalla Chiesa ma non sono contro il Cristianesimo. L'umanità ha bisogno di una Chiesa che la comprenda e che usi verso gli uomini tanta misericordia».

Federico Frighi

09/03/2013 Libertà



Un prete ogni mille abitanti

Un sacerdote ogni mille abitanti. E' la media della diocesi di Piacenza-Bobbio così come appare dall'ultimo annuario diocesano in uscita la prossima settimana edito da Il Nuovo Giornale. La pubblicazione ogni anno fotografa la diocesi ai raggi X dal lontano 1870, quando si diede alle stampe per la prima volta l'Indicatore ecclesiastico piacentino. Nelle pagine dell'agile volumetto tanti sono i dati pubblicati, dallo stato del clero a quello delle parrocchie, passando per gli ordini religiosi, i movimenti e le associazioni laicali. Tutti con gli ormai immancabili siti internet e indirizzi mail. Un lavoro poderoso curato come sempre dalla Cancelleria vescovile, in collaborazione con il settimanale della diocesi. Un annuario che, per la prima volta, esce senza Papa. Solitamente, dopo l'introduzione iniziale e prima del profilo dei cardinali piacentini (oggi il solo Ersilio Tonini), spiccava la pagina riguardante la guida della Chiesa universale, con il profilo del pontefice in carica.


L'edizione 2013 dell'annuario esce in Sede Vacante, senza i dati completi di Benedetto XVI nè, ovviamente, del suo successore. Oltre al vescovo Gianni Ambrosio, sono indicati i presuli piacentini nel mondo: due missionari (Domenico Berni Leonardi in Perù e Luigi Ferrando in Brasile), tre nella curia vaticana (Piero Marini, Bruno Bertagna e Giorgio Corbellini), uno diocesano (Antonio Lanfranchi).

I sacerdoti incardinati nella diocesi di Piacenza-Bobbio sono 258. Sono aiutati da 11 religiosi che svolgono il loro ministero nelle parrocchie e da altrettanti sacerdoti provenienti da fuori diocesi. Quaranta i diaconi. Nel 2006, all'ingresso del vescovo Gianni Ambrosio, erano a quota 305. L'età media è di 63 anni, ma il gruppo più numeroso si colloca dai 71 ai 90 anni con un totale di 126 tonache. Se si aggiungono i 18 che hanno dai 91 ai 96 anni, il totale fa 144, ovvero più della metà degli incardinati diocesani.

Dal 2006 ad oggi 12 sono state le ordinazioni e ben 68 i sacerdoti defunti. Le parrocchie sono 424 con una media di 687 fedeli; 23 i santuari mariani.

In copertina l'annuario 2013 riporta il dipinto del De Longe con Sant'Antonino mentre annuncia il Vangelo. «La scelta della figura di Sant'Antonino - spiega don Davide Maloberti, direttore de Il Nuovo Giornale - è strettamente legata all'Anno della Fede, con il santo patrono che è all'origine della fede per i piacentini».

A concludere l'Annuario uno studio di monsignor Luigi Tagliaferri, curato da Fausto Fiorentini, sul campanile del Duomo di Piacenza.

Federico Frighi

Libertà, 2-3-2013