sabato 9 gennaio 2010

Black and white 2010

Buon anno a tutti. Dopo una lunga assenza Sacricorridoi torna operativo. Come primo post del 2010 ci piace pubblicare l'omelia integrale del vescovo di Brescia, Luciano Monari, tenuta durante la solennità dell'Epifania. Pensiamo sia una risposta a tutto quello che sta accadendo in questi giorni: dalla rivolta degli immigrati in Calabria, ai vari White Christmas.

Unica è l’origine di tutti gli uomini in Adamo; unica la vocazione di tutti gli uomini in Cristo. La varietà dei popoli, la diversità delle culture, la molteplicità delle lingue esprimono l’infinita ricchezza del mistero di Dio a cui immagine l’uomo è stato creato. Ma nessun popolo per quanto numeroso, nessuna cultura per quanto raffinata, nessuna tradizione per quanto ricca può esprimere davvero la bellezza di Dio senza l’apporto degli altri popoli, delle altre culture, delle altre tradizioni. Questo è il mistero che Paolo ha visto risplendere davanti ai suoi occhi quando ha contemplato la gloria di Cristo e il disegno di Dio che Egli, Cristo, è venuto a compiere nel mondo. Questo mistero, abbiamo ascoltato nella seconda lettura, “non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le gentili (i pagani) sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo.” In Cristo Dio offre la salvezza all’umanità intera e questa salvezza consiste esattamente nella vittoria sulle divisioni per diventare una cosa sola, un unico corpo, un’unica Chiesa insieme con tutti gli altri. In Cristo ci è data una memoria comune – quella della salvezza che Dio ha operato per noi; ci è data una speranza comune, quella di partecipare alla vita stessa di Dio; ci è data una forma di vita comune, quella dell’amore fraterno. Come ricorda san Giovanni: Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi. Quindi anche noi dobbiamo donare la vita per i fratelli.
In questo modo si compiono le promesse dei profeti, come quella di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Mentre il mondo intero è immerso nelle tenebre, Isaia vede Gerusalemme, alta sul colle di Sion, illuminata dalla gloria di Dio; lo splendore della città di Dio si riflette sul mondo intero e muove tutti i popoli a mettersi in cammino, come pellegrini, verso la città santa: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio… Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.” È l’immagine di una vitalità immensa; c’è di tutti: uomini che vengono da lontano, dalle zone lontane dell’Arabia e dello Yemen; cammelli e dromedari che permettono di attraversare i deserti aridi; oro e incenso, segni di ricchezza. Sembra che la vita prorompa vittoriosa, irresistibile. In realtà la città che il profeta ha davanti agli occhi, la Gerusalemme degli anni immediatamente successivi al ritorno dall’esilio, è una piccola città, economicamente povera, politicamente serva, priva di libertà e di autonomia. Ma è pur sempre la città di Dio; e basta quello perché gli occhi del profeta vedano una bellezza nascosta e proclamino un destino di gloria. Tutti i popoli, tutte le razze si riuniscono in quella città e trovano nel Signore motivo di esultanza e forza di comunione. Se a Babele Dio aveva confuso le lingue dei popoli e i popoli erano stati dispersi su tutta la faccia della terra, adesso la gloria di Dio li convoca e fa di loro i figli di una città nuova e santa.
Non so se esista un’immagine più bella e affascinante della Chiesa, di questa madre che riceve figli da ogni angolo del mondo e a tutti imprime una forma nuova, divina. Il giorno di Pentecoste erano presenti a Gerusalemme genti “di ogni nazione che è sotto il cielo.” E tutti si sentono in patria perché odono parlare la loro lingua nativa. Non è proprio questo il miracolo della Chiesa? In realtà a operare la riunificazione degli uomini è la croce di Gesù, innalzata fuori delle mura di Gerusalemme: su quella croce sono inchiodati i peccati, le cattiverie, le divisioni del mondo intero; e da quella croce sgorga un fiume di acqua limpida che lava le brutture del mondo, una sorgente di vita che rinnova e santifica il mondo. Cristo ha abbattuto il muro di separazione che teneva i pagani lontani dalla salvezza, esclusi dall’eredità di Israele, nemici gli uni degli altri. Cristo ha subito il tradimento, l’ingiustizia, la violenza da parte di tutti: dei Romani come dei Giudei, dei sacerdoti come dei discepoli. Nessuno è innocente di fronte a lui, ma tutti ricevono ugualmente da lui perdono e grazia. Chi sta davanti alla croce con la consapevolezza del suo peccato comprende che i suoi risentimenti verso gli altri vengono sciolti, che le sue paure vengono superate da una corrente di grazia che unisce e rinsalda.
Ecco perché acquista grande significato questa eucaristia che celebriamo. La chiamiamo Messa dei popoli e lo è davvero a vedere la molteplicità delle provenienze di noi che siamo qui insieme. Veniamo da tutti i continenti e parliamo molte lingue diverse; eppure ci troviamo qui e uniamo le nostre voci nella comune lode di Dio, ci scambiamo sinceramente un segno di comunione e di pace, ci sentiamo liberi da paure o da timidezze. Davvero l’universalità, la cattolicità della Chiesa si manifesta nel modo più chiaro. Ma vale la pena ricordare che ogni eucaristia è necessariamente cattolica, cioè universale. Fosse anche celebrata da poche persone in una parrocchia isolata di montagna, rimarrebbe pur sempre una esperienza di cattolicità, di universalità perché Cristo è di tutti e tutti sono chiamati a riconoscersi in lui. Un’eucaristia che chiudesse pregiudizialmente l’ingresso a un battezzato, chiunque egli sia, cesserebbe di essere eucaristia vera perché rinnegherebbe la cattolicità della Chiesa che è una sua nota essenziale. È bello allora che ci troviamo qui oggi. La Chiesa bresciana vuole dire in questo modo che vi riconosce come suoi figli dal momento che essa, la Chiesa bresciana, non è altra dalla chiesa romana, da quella brasiliana o congolese o filippina. Gesù è venuto per riunire quelli che sono vicini e quelli che sono lontani. E san Giovanni Cristostomo spiegava: “degli uni e degli altri Cristo fa un corpo solo. Così chi risiede a Roma considera gli Indiani come sue proprie membra. C’è un’unione che si possa paragonare a questa? Cristo è la testa di tutti.” A me sembrano espressioni bellissime, che possono darci speranza in un tempo come questo segnato da tensione e da aggressività. La Chiesa sta in mezzo al mondo come segno di quella comunione alla quale tutti gli uomini sono chiamati. Voi venite dal mondo intero; siete stati portati a Brescia dalle necessità concrete delle vostre famiglie. Bene, a Brescia siete a casa vostra, qui trovate la stessa chiesa che vi ha generato alla fede, trovate lo stesso Cristo che vi è stato annunciato, lo stesso Spirito che vi ha santificato.
Insieme siamo il corpo di Cristo e cioè la presenza di Cristo oggi, nel nostro mondo. Viene da tremare a pensare alla responsabilità che questo comporta. Col nostro modo di vivere, di parlare, dobbiamo manifestare la presenza di Cristo oggi, in questo luogo; il nostro cuore dovrebbe mostrare la tenerezza del cuore di Gesù; le nostre parole dovrebbero avere la grazia delle parole di Gesù. Quanto siamo distanti! Quanto abbiamo da crescere! Noi crediamo che la Chiesa è il corpo di Cristo; lo dice san Paolo con parole così chiare che non ci è lecito dubitare. Nello stesso tempo misuriamo con sofferenza la distanza tra la verità di Gesù e il nostro modo concreto di vivere e di pensare. Ma non ci perdiamo d’animo; quello che il Signore ci chiede, egli per primo ce lo dona con la sua grazia. Sappiamo perciò che la comunione è possibile anche tra culture diverse, anche parlando in lingue diverse. Perlomeno è possibile camminare e avvicinarci gli uni agli altri, attirati come siamo dalla medesima croce di Gesù. Quanto più ci avviciniamo a lui tanto più siamo prossimi gli uni agli altri e riusciamo a riconoscere il volto del nostro Signore nel volto diverso degli altri.
La tradizione del presepe mostra i re magi come segno dell’universalità dei credenti: vengono da lontano, mossi da una stella; di loro uno è bianco, uno nero, uno color cioccolata; uno porta oro, segno di regalità, uno incenso, segno di onore divino, uno mirra, segno di sofferenza e di passione. Ci sono proprio tutti ed è necessario che ci siano tutti; ne mancasse uno, mancherebbe qualcosa alla rivelazione del mistero di Gesù. Così, ammirando i magi, comprendiamo meglio il senso dell’epifania e benediciamo il Signore perché ci ha raccolti insieme: veniamo da un unico padre, Adamo; e cresciamo verso un unico corpo, Cristo. Dio vi benedica! Vi faccia sentire la tenerezza del suo amore; vi renda consapevoli della vostra dignità: siete figli di Dio! Vi aiuti a portare il peso non sempre leggero della vita; il tempo che viviamo, con la crisi economica e le paure che la crisi porta con sé è motivo di preoccupazioni. La Chiesa bresciana farà quello che le è possibile. Ma al di là di questo vorremmo che sentiste, qui a Brescia il calore della Chiesa in cui siete nati e dalla quale avete ricevuto il vangelo. Quando frequentate le parrocchie, non sentitevi come estranei accolti provvisoriamente ma come persone che vivono nel loro ambiente, in quello spazio che Dio ha creato per loro.


monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia