sabato 28 marzo 2009

L'arcivescovo Marini: sulla tradizione nella Chiesa c'è troppa confusione

Piacenza - «Nella chiesa di oggi c’è una grande confusione sulla tradizione». A parlare è l’arcivescovo monsignor Piero Marini invitato ieri pomeriggio in Cattolica dall’Ucid (Unione cristiana imprenditori e dirigenti) di Piacenza. Il tema assegnato è la liturgia, di cui Marini, oggi presidente del Pontificio per i Congressi eucaristici internazionali, è uno dei massimi esperti. «Sulla tradizione nella Chiesa di oggi si fa troppa confusione - ribadisce all’auditorio -. Dobbiamo vedere che cosa è la tradizione andando al Concilio Vaticano Secondo. Questo Concilio è stato una novità o una rottura con il passato? Non possiamo dire che è stata una rottura con il passato perché abbiamo 150 anni prima del Concilio in cui si è parlato di riforma liturgica. Il Rosmini nel 1848 pubblicava il suo volume delle Cinque piaghe della chiesa il cui quella della mano sinistra del Cristo sulla croce era proprio l’allontanamento del popolo dalla liturgia». «Da allora si andò sviluppando il movimento della liturgia - continua l’arcivescovo piacentino di diocesi - che ha portato anche la Chiesa istituzionale ad accettare questa riforma. Si veda Pio X nel 1903 che parla della partecipazione attiva, Pio XII che ha fatto le grandi riforme della Settimana Santa e della Veglia Pasquale. Al 1962, al Concilio, ci si è arrivati preparati. Il Vaticano Secondo è stato il punto di arrivo di un cammino che ha portato i vescovi a piegarsi ai bisogni e alle necessità degli uomini e delle donne del nostro tempo con una liturgia partecipata e compresa. Bisognava risollevarsi per diventare non solo cristiani che professano un credo ma persone che vivono uno stile diverso di vita dagli altri».La figura di monsignor Marini non può essere considerata senza i 18 anni al fianco di papa Giovanni Paolo II come maestro delle cerimonie. Il prossimo 2 aprile ricorre il quarto anniversario della morte di Wojtyla. «L’ultima volta che l’ho visto da vivo è stato il 31 marzo del 2005 - racconta -. Lo ero andato a trovare, sapendo che ormai era arrivato alla fine. Nella stanza sono rimasto solo con lui per alcuni minuti. Il Papa ha alzato la sua mano e mi ha preso la mia, stringendola. Sento ancora questa sua mano attraverso la quale ha voluto comunicarmi il suo affetto, la sua riconoscenza, il suo saluto e la sua comunione». Sulla beatificazione: «Il fatto di avere aspettato ha dato a tutti la possibilità di riflettere su quello che ha fatto e che ha detto. Penso sia stato un aspetto positivo».
fri

Il testo integrale su Libertà del 28 marzo 2009