sabato 9 luglio 2011

Il vescovo di Belfast: religione strumentalizzata dalla politica

(fri) In Italia per il 14esimo meeting della famiglia colombaniana, per Sant'Antonino 2011 in basilica c'è anche Donal McKeown, vescovo ausiliare della diocesi di Down and Connor (Belfast, Irlanda del Nord). Comprende e parla perfettamente l'italiano ed ha seguito la cerimonia in tutti i suoi momenti. Rimanendone favorevolmente colpito.
«Che qui nella basilica ci si trovi a celebrare non solo un santo ma l'orgoglio di una città assieme ai rappresentanti delle istituzioni e dello Stato è una cosa che mi stupisce - osserva -. Da noi, tra Chiesa e Stato, non c'è questa partecipazione. In centri dalle dimensioni di Piacenza poi, è una cosa del tutto sconosciuta». Così come il calore riservato al vescovo: «Durante la passeggiata tra il vescovado e la basilica del patrono ero assieme al vostro vescovo e ho visto come è amato; la gente lo saluta, lo ferma per strada, gli stringe la mano. A Belfast queste cose non succedono». A Belfast il conflitto tra cattolici e protestanti è ancora forte. Anche se per McKeown «la religione non c'entra nulla in un conflitto che è tra chi si sente inglese e chi irlandese». «La religione - spiega - viene sfruttata come arma e strumentalizzata. Durante gli anni più difficili, tra i Settanta e gli Ottanta, mentre i politici non erano pronti a stare insieme nello stesso edificio, le chiese erano impegnate a tenere cucita la società». «Il problema è essenzialmente politico - prosegue -. Tra l'altro è anche più facile per il governo inglese dire che "si vuol portare la pace lassù in Irlanda del Nord dove si fanno la guerra tra cattolici e protestanti". In realtà sono le chiese a tenere insieme il tessuto sociale. Ci sono persone a cui interessa che la convivenza non sia stabile, sennò non si riesce più a parlare di unire l'Irlanda». «Il nostro obiettivo oggi? Che nessuno muoia. I vescovi cattolici hanno sempre condannato le violenze».


Libertà 05/07/2011

Ambrosio: ascoltiamo giovani, disoccupati e precari

«Piacenza deve volare alto, come hanno fatto i nostri padri, riconoscendo Sant'Antonino come figura ideale di vita per affermare che al centro della convivenza civile non ci sono successo e ricchezza ma l'amore... Solo così riusciremo a rispondere alle emergenze etiche e sociali dei giovani e del lavoro». Il vescovo Gianni Ambrosio sceglie il pulpito della basilica patronale, sceglie la festa del 4 luglio, per dare una scossa alla città. Per ricordare che ci sono due invocazioni alle quali occorre dare una risposta. Quella dei giovani, «di tutti i nostri giovani, sia quelli originari sia quelli immigrati a Piacenza» con l'urgente bisogno «di un contesto educativo che sappia indicare una meta e dischiudere un orizzonte di speranza e di futuro». Quella di chi ha perso il lavoro e di chi è precario, perchè «anche nella nostra città si registrano gli effetti della crisi economica e delle difficoltà finanziarie di alcune imprese: in particolare incombe il rischio di chiusura o trasferimento di aziende storiche».
Una scossa non urlata quella di Ambrosio e neppure ad alta voce - non è nello stile del vescovo - ma non per questo meno efficace e diretta. Davanti a sè ha una basilica gremita: in prima fila il prefetto Antonino Puglisi, il sindaco Roberto Reggi - all'offertorio porterà il suo decimo cero da sindaco -, il presidente della Provincia Massimo Trespidi e tutte le altre autorità riunite per il santo patrono. Accanto, oltre al parroco don Giuseppe Basini, tre vescovi: Enrico Solmi di Parma, Carlo Mazza di Fidenza e Donal McKeown, ausiliare di Belfast (Irlanda del Nord).
«E' motivo di stupore il fatto che la memoria di questo giovane martire continui ancora oggi, a distanza di 1.700 anni» esordisce il vescovo. Sant'Antonino «non è solo il patrono ma è anche il simbolo della nostra città» ci tiene ad osservare il presule. E' importante, perchè - continua - è «come se Piacenza - la Piacenza del passato e, speriamo, quella di oggi - volesse dire che proprio nella figura di un giovane, di un giovane santo e coraggioso fino al martirio, si esprime al meglio, come ideale, il desiderio dei suoi concittadini, e cioè che al centro della convivenza cittadina ci sia l'amore».
«Celebrando sant'Antonino e riconoscendolo come figura ideale di vita - evidenzia - noi siamo invitati a riaffermare che il cuore della nostra città pulsa non per la ricchezza o per il successo o per il potere ma per quella forza grande che è l'amore. Questa scelta fatta nel passato dai nostri padri ha permesso alla nostra città di volare alto: È una scelta che non può essere dimenticata oggi, perché anche oggi abbiamo bisogno di volare alto, superando le visioni riduttive dell'uomo e della convivenza civile». Tra poco sarà monsignor Ambrosio a consegnare a don Giorgio Bosini l'Antonino d'oro. Un premio azzeccato più che mai. Tanto da divenire quest'anno una sorta di Oscar. Lo dicono i lunghi minuti di applauso con tutta la chiesa in piedi, una standing ovation a tutti gli effetti. Lo fa intendere il vescovo Ambrosio che mette don Giorgio Bosini tra coloro che hanno seguito la testimonianza di Sant'Antonino: «Questo premio, conferito nella memoria del nostro santo patrono, rappresenta per la nostra città e per tutti noi una precisa sollecitazione: ravviviamo le nostre risorse di cuore e di intelligenza, perché le sfide che stanno davanti a noi possono essere affrontate solo con un di più di cuore e di intelligenza». Queste sfide, le più urgenti, sono oggi, come detto il grido dei giovani, dei disoccupati, dei precari.
Dobbiamo rispondere - invita il vescovo - «altrimenti diventa molto facile per i nostri giovani pensare che "la vita sia altrove"» dice citando Bauman. «Così si diffonde, con questo "altrove" sempre sfuggente, una mentalità consumistica e strumentale che arriva ad investire ogni ambito della vita: anche le relazioni più importanti e le esperienze più significative si disperdono in questo agitarsi inquieto di tanti giovani». «L'altra voce che invito ad ascoltare - dice Ambrosio - è quella che proviene da chi vive in situazioni di disoccupazione e di precarietà lavorativa. Anche qui non possiamo essere fatalisti, non possiamo arrenderci gettando la spugna».
Federico Frighi

Libertà 5 /07/2011

Sant'Antonino/ Ambrosio: Piacenza voli alto

Carissimi fratelli e carissime sorelle

1. Suscita sempre stupore il fatto che il patrono della nostra città di Piacenza e della comunità ecclesiale diocesana sia un giovane che ha professato la fede nel Signore fino al martirio. Ed è pure motivo di stupore il fatto che la memoria di questo giovane martire continui ancora oggi, a distanza di 1.700 anni. Lo stupore suscita il rendimento di grazie. Siamo un popolo che sa di essere amato da Dio e che, nelle vicende della storia, fa memoria della morte e risurrezione del Signore Gesù: così vive di fede, di speranza e di carità. Siamo una comunità che desidera incontrare tutti per offrire il Vangelo di Gesù, luce e forza del nostro cammino. Il ‘luogo’ dell’incontro è in quelle dimensioni fondamentali della vita di tutti: le relazioni, la fragilità, la cittadinanza. Lì, nel cuore della vita, ci ritroviamo insieme per ascoltare, per proporre, per darci una mano, per trasmettere ragioni di vita. È la nostra Missione: condividere la Parola del Signore e le esperienze della vita. È la nostra pastorale quotidiana: con la preghiera rivolta al Signore, con l’impegno caritativo rivolto a tutti, con il lavoro educativo con i ragazzi e i giovani, con gli oratori, con i grest e i campi estivi.


2. Celebrando e invocando il santo patrono, siamo invitati ad apprezzare la fondamentale continuità della nostra comunità lungo i secoli. Con gratitudine possiamo riconoscerci figli di quei nostri padri che, nel corso del tempo, hanno costruito e trasmesso a noi una città, una storia, un ambiente di vita, una tradizione: noi siamo eredi di un grande patrimonio di umanità, di cultura, di spiritualità, di vita cristiana. Possiamo far ricorso all’espressione dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: egli parla di un “tesoro”, riferendosi al servizio che egli compie per i cristiani di Corinto, la missione di annunciare Gesù Cristo. Possiamo ben dire che anche a noi è stato trasmesso un “tesoro” di cui essere sempre consapevoli. Anche perché, come ancora l’apostolo Paolo ci ricorda, si tratta di “un tesoro in vasi di creta”, in vasi fragili, che possono rompersi. Siamo dunque invitati ad avere molta cura del “tesoro” ricevuto, continuando quelle scelte che i nostri padri hanno saputo compiere nelle difficoltà del loro tempo: è la strada del servizio e della responsabilità.


3. Sant’Antonino non è solo il patrono ma è anche il simbolo della nostra città. Come se Piacenza – la Piacenza del passato e, speriamo, quella di oggi – volesse dire che proprio nella figura di un giovane, di un giovane santo e coraggioso fino al martirio, si esprime al meglio, come ideale, il desiderio dei suoi concittadini, e cioè che al centro della convivenza cittadina ci sia l’amore. Il santo è infatti il segno vivo dell’amore: il santo accoglie in sé Dio, che è amore, e vive di questo amore nelle sue relazioni con i fratelli e le sorelle. Se poi, come nel nostro caso, il santo patrono è un martire che ha testimoniato con la vita la fede in Dio, allora abbiamo un ulteriore motivo per far valere ciò che veramente conta, lasciando da parte i tanti idoli seducenti che annullano la nostra libertà.
Celebrando sant’Antonino e riconoscendolo come figura ideale di vita, noi siamo invitati a riaffermare che il cuore della nostra città pulsa non per la ricchezza o per il successo o per il potere ma per quella forza grande che è l’amore. Questa scelta fatta nel passato dai nostri padri ha permesso alla nostra città di volare alto: l’amore è la via della vita che edifica in pienezza l’umano e lo incammina verso Dio, fonte della vita e dell’amore. È una scelta che non può essere dimenticata oggi, perché anche oggi abbiamo bisogno di volare alto, superando le visioni riduttive dell’uomo e della convivenza civile. Dobbiamo aiutarci a vivere nella logica sempre nuova dell’amore, prendendoci cura gli uni degli altri con la forza e con la fedeltà dell’amore. Non in nome di un ideale generico, ma vivendo fino in fondo, senza timori, la logica evangelica del chicco di grano che, se entra nella terra e muore, arriva a produrre molto frutto.

4. Carissimi fratelli e sorelle, l’assegnazione dell’ “Antonino d’oro 2011” al nostro don Giorgio Bosini è un segno di gratitudine nei suoi confronti e nei confronti di tutti coloro che, insieme a lui, hanno testimoniato l’amore per ogni persona, in particolare se segnata da ferite, da disagi, da fragilità. Questo premio, conferito nella memoria del nostro santo patrono, rappresenta per la nostra città e per tutti noi una precisa sollecitazione: ravviviamo le nostre risorse di cuore e di intelligenza, perché le sfide che stanno davanti a noi possono essere affrontate solo con un di più di cuore e di intelligenza.
Don Giorgio, in un’intervista, ha detto che è stata la voce di una ragazza che gli chiedeva di essere aiutata – “aiutami, perché mi drogo” – a spingerlo sulla strada della carità attenta e intelligente, per cercar di offrire un aiuto possibilmente valido e per testimoniare comunque e in modo fattivo l’amore di Dio. Anche oggi sono molte le voci che invocano aiuto, forse più in modo sommesso che ad alta voce. E sono molti i motivi dell’invocazione odierna, ma dietro ai diversi motivi si può scorgere il desiderio di essere e sentirsi amati e il bisogno di speranza.

5. Desidero riferirmi in particolare a due invocazioni. La prima è quella che proviene dalla voce di molti giovani, la seconda è quella che proviene da chi vive situazioni di precarietà lavorativa.
Per la voce dei giovani, di tutti i nostri giovani, sia quelli originari che quelli immigrati a Piacenza, mi limito ad affermare l’urgente bisogno di un contesto educativo che sappia indicare una meta e dischiudere un orizzonte di speranza e di futuro. Altrimenti diventa molto facile per i nostri giovani pensare che “la vita sia altrove”, per citare l’osservazione di un noto studioso (Z. Bauman, Vite che non possiamo permetterci, Laterza, Bari-Roma, 2011). Così si diffonde, con questo “altrove” sempre sfuggente, una mentalità consumistica e strumentale che arriva ad investire ogni ambito della vita: anche le relazioni più importanti e le esperienze più significative si disperdono in questo agitarsi inquieto di tanti giovani.
Non possiamo restare sordi al bisogno di un vitale e serio contesto educativo per ricuperare l’orizzonte del futuro che è quasi scomparso dalla nostra vita e dalla nostra cultura, per ritornare ad apprezzare la vita nella sua realtà, per ricostruire la nostra coscienza – non solo personale ma anche sociale – con la percezione di ciò che è degno di guidare il desiderio dell’uomo e di motivare il sì o il no rispetto alle diverse possibilità che ci stanno di fronte. Possiamo e dobbiamo aiutarci, coinvolgendoci tutti in modo serio, per favorire la crescita della passione educativa: così si supera la rassegnazione, si propongono obiettivi per i quali merita di spendere la vita, si sostengono le testimonianze di uomini buoni e saggi.
L’altra voce che invito ad ascoltare è quella che proviene da chi vive in situazioni di disoccupazione e di precarietà lavorativa. Anche nella nostra città si registrano gli effetti della crisi economica e delle difficoltà finanziarie di alcune imprese: in particolare incombe il rischio di chiusura o trasferimento di aziende storiche. Anche qui non possiamo essere fatalisti, non possiamo arrenderci gettando la spugna. È inutile ribadire che senza lavoro stabile, la vita delle persone perde dignità e diventa fragile. La mancanza di lavoro e la precarietà del lavoro sono una’emergenza sociale e etica, come lo è la questione educativa. Lo ribadiamo con forza per non perdere l’orizzonte delle priorità vere e ineludibili che una città deve garantire. Per molti lavoratori (dai cassaintegrati ai lavoratori in mobilità, dai giovani a cui è stato interrotto il contratto alle tante piccole imprese a rischio, spesso non conteggiate), l’oggi è precario e il domani è denso di incognite. A tutti è chiesto un grande sforzo per offrire le condizioni che possono favorire le soluzioni, ricordando che le sfide ci invitano a ritrovare ciò che è essenziale e a ricuperare nella comune partecipazione un rinnovato dinamismo. Di questo dinamismo abbiamo particolarmente bisogno, in quanto ci dispone alla fiducia e allo slancio creativo, non trascurando nessuna delle energie capaci di contribuire alla crescita della nostra città.

6. Carissimi fratelli e sorelle, la memoria del nostro patrono sant’Antonino ci richiama al passato, alla lunga storia della nostra comunità, alla fede coraggiosa e alla carità operosa di molti che hanno seguito l’esempio del patrono. Ma la memoria del patrono ci rivolge l’invito ad alzare lo sguardo e a guardare avanti, sapendo nella fede che Dio è fedele e mantiene la promessa di chiamarci alla pienezza della vita. Questa fede è vita, questa fede fa vivere, questa fede incide nella storia. La invochiamo con fiducia per noi e per tutti, perché tutti abbiamo bisogno di vivere nell’amore e nella speranza. Amen.

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio