domenica 16 dicembre 2007

Monari: "Luna Stellata abbia come fondamenta quelle del Signore"

Il vescovo Monari inaugura Luna Stellata

Il vescovo Luciano Monari, sabato 15 dicembre, era a Piacenza l'inaugurazione della nuova se di Luna Stellata, la casa per mamme che vogliono uscire dal mondo della droga e per i loro bambini. Di seguito pubblico l'intervento integrale del vescovo di Brescia.

L’inaugurazione della nuova sede della Comunità "Luna Stellata" suscita in noi sentimenti di gratitudine e di speranza. Anche noi in qualche modo diventiamo cooperatori di Dio ogni volta che in spirito di servizio veniamo incontro alle necessità del prossimo e della comunità. L’aiuto del Signore accompagni sempre il cammino di questa comunità.
Lettura Vangelo di Luca 6, 47-49:
«[47]Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: [48]è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. [49]Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande».
Bisogna trovare quindi delle fondamenta che siano sufficientemente stabili per riuscire a dare una comunità grande, in modo che quando uno si ritrova con gli ostacoli il fondamento mantenga l’unità della costruzione. Così dice il Vangelo, e dice anche che questo fondamento radicato è quello che arriva fino alla parola di Dio, che trova lì le motivazioni ultime della sua realizzazione.
E voglio dire: una casa come questa si può costruire per molti motivi, il motivo è quello del bisogno immediato, il motivo è quello di una comunità come Piacenza che vive la solidarietà e l’amore e l’attenzione e la premura nei confronti degli altri... Se però vogliamo che sia costruita sul fondamento più solido, dobbiamo costruirlo sulla parola di Dio.
E uno dice: "Ma perché? Non basta il senso di solidarietà e di fraternità", ecc.? Va benissimo! Ma la parola di Dio è quella che dice l’amore di Dio per noi; è quella che dice che prima di quello che facciamo noi, prima del nostro impegno e della nostra buona volontà c’è un amore che ci ha raggiunto e che ci ha raggiunto gratis, e ci dice che la nostra vita è fondata sull’amore di Dio.
Allora se questo fondamento rimane solido, se siamo convinti che della nostra vita siamo debitori e in qualche modo ne dobbiamo essere riconoscenti, allora l’attenzione alla vita degli altri viene fuori necessaria. Non è semplicemente una scelta che faccio io quella dell’interessarmi degli altri, è il rendermi conto che io sono così, che io sono fatto, impastato, dell’amore di Dio, e non posso rifiutare l’amore agli altri, non posso perché andrei contro me stesso, negherei il significato della mia vita, toglierei valore alla mia stessa esistenza se non mi prendo cura della esistenza degli altri. Se uno arriva a quel fondamento lì, dopo tutti gli ostacoli che ci possono essere non riescono a distruggere la decisione di fare del bene e di volere bene agli altri, nemmeno le esperienze di delusione o nemmeno le esperienze di non accoglienza o di rifiuto.
Perché istintivamente il discorso è: se io faccio del bene e mi viene restituita la riconoscenza e l’affetto, sono contentissimo e continuo a farlo. Ma se io faccio del bene e quello che io faccio non viene riconosciuto, e non c’è un ritorno, e non c’è un affetto che mi viene donato, mi viene da dire: "Ma chi me lo fa fare?". E invece il discorso è: "chi te lo fa fare" è la tua stessa vita, perché tu sei fatto così, è l’amore di Dio per te; questo non viene meno in nessuna situazione, in nessun momento; e questo ti aiuta soprattutto nei momenti difficili.
Perché nel momento in cui siamo contenti di fare le cose non c’è problema, lo facciamo volentieri e grazie a Dio che è questo. Però possono capitare i momenti della delusione o i momenti della solitudine, i momenti del dire: "non ce la faccio, chi me lo fa fare". Allora lì bisogna che il portamento sia abbastanza profondo per avere delle motivazioni che rimangono, che rimangono di fronte a qualunque risultato.
Bene, posto questo, c’è solo da dire quello che è stato detto all’inizio, cioè la gioia per una Casa come questa, perché è segno di maternità ed è un immenso segno di speranza.
Perché le mamme e i bambini per noi danno questa dimensione di apertura al futuro di cui abbiamo un bisogno enorme. Abbiamo bisogno di speranza che lo possiamo quasi toccare con mano tanto è solido, e realtà come queste un briciolino di speranza sono convincenti.
Allora voglio solo ringraziare chi ha lavorato per la "Casa", voglio ringraziare chi ci lavora dentro. E voglio ringraziare naturalmente le mamme per le quali questa Casa è fatta, perché la responsabilità più grande l’hanno fatta loro con la loro scelta della maternità, che il Signore le benedica e dia a loro la gioia di quello che sono, la gioia di quel bambino che è affidato alle loro mamme per lui. Che sappiano di avere vicino la comunità di Piacenza, che sappiano vedere vicino il nostro affetto e la nostra riconoscenza.

Si ringrazia Vittorio Ciani per la collaborazione.