mercoledì 31 ottobre 2007

Basta zucche, Halloween mette l'aureola


Borgotrebbia fa scuola e negli oratori

si moltiplicano le feste con i bambini vestiti da santi

Basta zucche, Halloween mette l'aureola

I parroci: nessuna crociata, solo il rispetto delle nostre tradizioni


da Libertà, 31 ottobre 2007


PIACENZA - Finte zucche e cappelli da strega, teschi di plastica e forconi da diavolo. La Chiesa piacentina dice basta con la festa di Halloween (in scena questa sera) e risponde con le ali degli angeli e le aureole dei santi. L’esempio di Borgotrebbia - dove il parroco ha inventato, tre anni fa, la festa con i bambini vestiti da santi - ha fatto dunque scuola. «Siamo stati i primi ad inizare a Piacenza - ricorda don Pietro Cesena, parroco di Borgotrebbia - e altre parrocchie ci stanno seguendo su questa strada: San Nicolò, Sacra Famiglia, Santissima Trinità, Caorso». «Se la bellezza salverà il mondo, la bruttezza e l’orrore lo manderanno sempre più giù - è convinto -. Occorre ribadire che noi abbiamo un’altra cultura e tradizione. La nostra festa? Credo che sia una giusta rivendicazione culturale di cose che per noi sono più importanti. È un discorso educativo, non una pianificazione americane delle multinazionali che vendono zucche di plastica». I bambini della parrocchia, nei giorni scorsi, assieme ai genitori ed agli educatori, hanno cercato su internet e sui libri le caratteristiche del santo che corrisponde al loro nome. Questo pomeriggio si maschereranno di conseguenza. «Si fa festa assieme ai bambini sul tema dei santi - spiega il parroco - poi si mangia una grande torta e domani tutti a messa». Qualche problema c’è con i nomi delle nuovissime generazioni: Kevin o Jessica, ad esempio. «Per Kevin siamo riusciti a trovare un santo irlandese - dice - per il resto useremo degli escamotage, comunque anche questo costituisca motivo di riflessione su come i genitori scelgono i nomi dei loro figli». A pochi isolati di distanza c’è la parrocchia della Sacra Famiglia. «Halloween non mi interessa, è una carnevalata - non le manda a dire don Angelo Cavanna, il parroco -, una delle classiche feste importate dagli Stati Uniti». Quest’anno non è riuscito ad organizzarla ma il prossimo la festa dei santi con i bambini sbarcherà anche nella sua parrocchia: «La ritengo una buona idea, un’ottima occasione per riflettere sulla santità, la farò».Chi, questo pomeriggio, va in scena è don Massimo Cassola che, assieme alla coordinatrice dei catechisti, Vittoria Dagradi, ha messo a punto l’evento alla Santissima Trinità. «È la prima volta - spiega il sacerdote -, lo facciamo volentieri perché quella di don Cesena è una buona idea ed è giusto che venga propagandata». Ma attenzione! Nessuna crociata: «Non è un’anti-festa, solo una sottolineatura della festa cristiana dei santi. Ed è una festa perchè gli uomini sono felici, le ricorrenze dei santi e dei morti non devono essere associate alla tristezza, noi cristiani, con la resurrezione, vinciamo la morte. Nella festa di Halloween i vivi che si mascherano da morti lo fanno per esorcizzare la paura».Anche i sacerdoti con i capelli bianchi, come monsignor Giancarlo Conte, parroco di San Giuseppe Operaio, avvertono il pericolo. «Di per sé su questa festa pagana, di origini celtiche, non nutro particolari opposizioni - dice monsignor Conte - sempre che non prenda il posto di due celebrazioni importantissime: lo sguardo ai nostri santi e il ricordo dei cari che ci hanno lasciato».

Federico Frighi

martedì 30 ottobre 2007

Nuovo vescovo, settimana di pausa

Un silenzio di tomba. Nella settimana dei Santi e dei Morti i lavori della Congregazione per i vescovi si sono presumibilmente fermati. Nulla trapela dalla plenaria di giovedì scorso, pertanto per il successore di Luciano Monari occorrerà attendere a tempo indeterminato. Tra l'altro, sabato avrebbe dovuto tenersi la tradizionale udienza di tabella del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, con papa Benedetto XVI. Il bollettino della sala stampa vaticana non ha però riportato nulla. A questo punto della situazione c'è chi, nella Curia piacentina, è convinto di vedere il nuovo vescovo addirittura oltre Natale. Una cosa appare piuttosto evidente: che la terna piacentino-bobbiese è composta da monsignor Gianni Ambrosio (assistente ecclesiastico generale dell'università Cattolica) e monsignor Erminio De Scalzi (vescovo ausiliare di Milano e abate di Sant'Ambrogio). Sul terzo nome è mistero fitto. Potrebbe essere monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina oppure - più probabile - un'outsider, di cui però preferisco parlare più avanti, quando le cose saranno leggermente più chiare.

lunedì 29 ottobre 2007

48583, sms per un pozzo d'acqua


E’ ancora in corso la campagna di raccolta fondi di Africa Mission per la realizzazione di nuove strutture idriche nella più arida regione ugandese, il Karamoja. Fino a sabato 3 novembre, sarà possibile donare 1 euro mandando un sms al numero 48583 da telefoni cellulari Tim, Vodavone, Wind e Tre, nonché da telefoni fissi Telecom Italia abilitati all’invio di messaggi. Con una chiamata allo stesso numero, sempre dal fisso Telecom Italia, si potranno donare ben 2 euro.
Il costo per la realizzazione di un nuovo pozzo: 10.000 euro
Costo medio per la riattivazione di un pozzo: 3.000 euro
Costo di impianto e mantenimento di una rete di monitoraggio: 50.000 euro annui
Impianto di una rete di distribuzione dell’acqua in 5 punti: 7/10.000 euro
Dotazione di un generatore con sistema solare fotovoltaico: 15.000 euro

Rizzuto saluta il vescovo Monari

"Monari ha saputo parlare a tutti"

da Libertà, 21 ottobre 2007

Il fondo del direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto

Oggi pomeriggio, alte 16, in Duomo, Piacenza abbraccia il "suo" vescovo-amico, Luciano Monari, amato dai piacentini. Il vescovo di tutti. Saremo in tanti, per dirgli affettuosamente grazie. Grazie per i suoi 12 anni vissuti con noi, con semplicità. Grazie per le tante cose che ha fatto, con entusiasmo. Grazie per le "scosse" che ha dato alla città e alla sua classe dirigente. Grazie per i tanti insegnamenti che lascia, come un patrimonio e una eredità da custodire bene. Grazie perché ha saputo parlare a tutti, perché ha saputo ascoltare tutti.
Il vescovo Luciano ‑ per tanti resta "don Luciano" ‑ lascia a Piacenza un segno profondo e una impronta indelebile. È stato accolto con simpatia, sin dal prima giorno. I piacentini sono subito entrati in sintonia col giovane vescovo arrivato da Sassuolo. In questi 12 anni lo hanno sostenuto, aiutato, seguito ed incoraggiato. Hanno ascoltato la sua parola chiara, profonda, colta e immediata. Un grande comunicatore. Apprezzata la sua capacità di dire le cose importanti nel modo più chiaro possibile, per farsi capire da tutti. Nei piccoli e grandi eventi sa sempre trovare le parole giuste e trasmettere un messaggio di valori. Un vescovo amico, e fratello. Un testimone autentico di una Chiesa viva.
Oggi mentre lo salutiamo scorrono davanti ai nostri occhi le immagini, i gesti, le parole di 12 anni vissuti intensamente con il vescovo Luciano chiamato a continuare a Brescia la sua missione. Rivediamo la sua sensibilità verso i suoi preti, i poveri, i bambini, i giovani, i volontari, gli ammalati, i lavoratori, le donne, gli handicappati, gli immigrati, i bisognosi.
Riascoltiamo i suoi moniti ai potenti, come quello di cinque anni fa durante la festa di S. Antonino. Rileggiamo i suoi forti messaggi lanciati in momenti importanti della vita piacentina, come gli Stati Generali e il Patto per Piacenza. Sfogliamo i suoi tanti interventi ‑ Libertà ha avuto l'onore di pubblicarli ‑ sui grandi temi della società dalla bioetica alla famiglia, dal lavoro alla pace. Piacenza resta nella vita di Monari: qui ha tanti amici. Ha costruito tanti legami, profondi. Qui si è trovato bene, tra la sua gente.
Torni, ogni tanto, caro vescovo Luciano. Qui ha seminato bene e il raccolto è stato fruttuoso. Lascia una città e una provincia in cammino verso il futuro con qualche speranza in più di farcela. Il suo contributo è stato importante per tenere accesa questa fiaccola della speranza.
Ciao, vescovo Luciano.

Riti per le solennità dei santi e dei morti

Diocesi Piacenza-Bobbio
“Riti al Cimitero urbano di Piacenza"

29 Ottobre 2007

Giovedì prossimo, 1° novembre, ricorre la Solennità di tutti di Santi e alle ore 15 al Cimitero urbano l’amministratore diocesano mons. Lino Ferrari presiederà la celebrazione dell’Eucaristia a suffragio dei defunti della diocesi; parteciperanno al rito i canonici della cattedrale e i parroci urbani.

In questi giorni le singole parrocchie cittadine compiranno il tradizionale pellegrinaggio al cimitero urbano con la celebrazione della Messa nella chiesa di Santa Maria del Suffragio; questo il calendario:

1° novembre parrocchia di Santa Maria del Suffragio, Capitolo (ore 10,30); Sant’Anna (ore 15);

2 novembre, venerdì, commemorazione dei defunti: San Sisto (ore 9); alle 10,30 Messa al Famedio militare in suffragio di tutti i caduti in guerra; parrocchie di Santa Teresa, San Giovanni in Canale Cattedrale, Santa Franca, San Paolo, Santa Brigida (ore 15);

4 novembre, domenica: Corpus Domini (ore 9); San Francesco, San Pietro, Santa Maria in Gariverto (ore 15); San Giuseppe Operaio, Nostra Signora di Lourdes (ore 16);

5 novembre, lunedì: Centro Manfredini (ore 15);

8 novembre, giovedì: parrocchia di Sant’Antonino (ore 15);

9 novembre, venerdì: parrocchia di San Savino (ore 10).

Curia

Gli uffici della Curia di Piacenza saranno chiusi al pubblico nel giorni di giovedì è venerdì, 1° e 2 novembre.

domenica 28 ottobre 2007

Tonini prete da 70 anni

Il cardinale piacentino, oggi 92enne, venne ordinato

a Santimento dal vescovo Menzani il 18 aprile del 1937

"Tonini, prete da settant'anni"

Per l'anniversario gli auguri di Ratzinger e un convegno di bioetica


da Libertà, 18 aprile 2007


Oggi interviene a Melegnano ad un convegno di bioetica, domani presenterà
un libro a Cinisello Balsamo, ieri mattina, a Ravenna, ha parlato per oltre
un'ora ai microfoni di una troupe Rai. È la vita frenetica di un arzillo
92enne che da settant'anni esatti veste la talare e ne va fiero. Mai un
ripensamento, mai un “rospo ingoiato” o un “obbedisco” uscito tra i denti.
Il cardinale Ersilio Tonini non ha difficoltà a dire: «Sono nato prete
e nella mia vita sono stato fortunato: ho fatto quello che avevo sempre
desiderato sin da quando avevo sei anni». Questa mattina ricorrono i 70
anni esatti dal giorno dell'ordinazione di Tonini; due giorni fa, Benedetto
XVI° ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno. Il cardinal Tonini e
papa Ratzinger non hanno mancato di scambiarsi vicendevolmente gli auguri per questi due eventi da celebrare.

In realtà il cardinale piacentino, a quanto racconta la suora sua assistente,
non ha dato troppa pubblicità ai suoi settant'anni di sacerdozio che, a
Ravenna, sono stati celebrati ieri mattina con una cerimonia molto sobria
all'interno della comunità in cui Tonini vive. È tuttavia sufficiente una
telefonata da Piacenza perché la macchina dei ricordi del cardinale si
metta in moto e continui inesauribile con incredibile dovizia di particolari.
«Nel 1937 siamo stati ordinati sacerdoti in 24 dal vescovo Menzani - esordisce
il cardinale -, in 4 a Santimento il 18 aprile. Il vescovo, in quel periodo,
stava facendo la visita pastorale ed è stato per questo motivo che l'ordinazione
non si tenne in cattedrale. Di quei 24 siamo rimasti in due: io e monsignor
Luigi Molinari, che fece il parroco a Pianello».
«Di quella data ho un
ricordo splendido - dice Tonini - era il giorno in cui si arriva allo scopo
di tutta una vita, un sogno che si corona». Già, perché Ersilio Tonini
ha cominciato presto ad avere le idee chiare: «Ho iniziato a rendermene
conto a 6 anni: mio padre stava menando la polenta sul fuoco la sera, io,
che ero piccolino, mi infilai sotto il camino e gli chiesi, in dialetto,
se ci volevano molti soldi per studiare da prete. Mi rispose che ce ne
volevano tanti. Poi si confidò con mia madre la quale, un giorno, mi chiamò
e mi disse: “Sono desideri belli, però ora sei piccolo, poi si vedrà, adesso
pensa a fare il bravo a stare vicino al Signore, ma non rivelare a nessuno
il tuo desiderio sennò non saresti più libero». «Fu un suggerimento ottimo
- continua il cardinale -, se avessi cambiato parere sarei stato segnato
per la vita, se avessi reso pubblico il mio desiderio, qualcuno avrebbe
potuto tentare di convincermi a desistere». Tonini è un fiume in piena:
«Un giorno un contadino che aveva intuito qualche cosa mi disse: “Ragazzo
non vorrai mica fare il prete?! Perché, devi sapere, sono tutte favole
e i preti servono solo a mantenere la santa bottega”. Io non dissi nulla
e mi tenni tutto per me, con una gran voglia di guardarci dentro. Quando
arrivai al liceo mi buttai sulla filosofia e gli studi supportarono il
mio convincimento».
Settant'anni con la medesima “casacca” sono un primato
invidiabile: «I momenti belli sono stati tanti. Non mi sono mai pentito,
assolutamente. Quando ero chierichetto a Centovera e il parroco parlava
a messa mi chiedevo perché non potessi farlo anch'io». Siccome a San Damiano
era già tutto esaurito, tutte le domenica il piccolo Tonini andava a piedi
fino a Centovera per fare il chierichetto. «Rifarei la stessa scelta anche
ora, a distanza di settant'anni: era un desiderio per il quale sono nato,
non ho sognato altro che fare il prete».
«Nel mio paese - prosegue - quando
hanno saputo che il figlio di un contadino andava a fare la quarta elementare
a San Giorgio e la quinta a Carpaneto si sono meravigliati tutti, quando
hanno capito che volevo andare in seminario erano molto sorpresi. Nel mio
paese non era mai accaduta una cosa del genere». La scelta di fare il prete
sorprenderebbe oggi come allora, ma oggi, come allora, Tonini direbbe di
sì: «Oggi il problema è un altro: il clima familiare. A casa mia c'era
una grande serenità, mio padre non ha mai alzato la voce con mia madre.
Oggi c'è una tensione verso lo star bene, mia madre, invece, mi comunicò
lo stupore per essere al mondo». «Sono stato molto fortunato come uomo
e come sacerdote. Ho fatto tanto: lo studio a Roma, poi Piacenza e la guerra,
a Salsomaggiore, il Nuovo Giornale, la nomina a vescovo, insomma ti rendi
conto che c'è un'attenzione di Dio su di te».
Federico Frighi

Tonini, mangerei una mela transgenica

Il cardinale piacentino protagonista

di un convegno sugli organismi geneticamente modificati

"Mangerei una mela transgenica"

Tonini: la ricerca scientifica è un dovere e un dono


da Libertà, 18 marzo 2001


«Una mela transgenica? Se ho la garanzia degli scienziati che non ci
sono elementi inquinanti la mangerei volentieri». Il cardinale Ersilio
Tonini prende le difese degli organismi geneticamente modificati, chiama
applausi per gli scienziati ed i ricercatori, invita la gente ad informarsi
di più senza lasciarsi prendere dai pregiudizi. Nei giorni il cui il “popolo
di Seattle”, le divisioni anti globalizzazione manifestano, al Global Forum
di Napoli, l'ennesimo no a tutto ciò che sembra portare il pianeta Terra
fuori dalla sua natura, il cardinale interviene al fianco degli scienziati
per difendere i “cibi Frankestein”.
Lo fa dal pulpito profano del Teatro dei Filodrammatici, dove è stato
invitato dalla Famiglia Piasinteina a portare la sua opinione e quella
della Chiesa sui cosiddetti “ogm”: gli organismi geneticamente modificati.
Assieme al porporato anche due esperti del mondo scientifico: il professor
Gianfranco Piva, preside della facoltà di Agraria della Cattolica di Piacenza,
nonché direttore dell'istituto di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione,
ed il professor Francesco Salamini, direttore generale del Max-Planck Institut
di Colonia. A fare gli onori di casa il presidente della Famiglia, Danilo
Anelli, ed il coordinatore della serata Mauro Tagliaferri. «La ricerca
scientifica è un dono ed un dovere sacrosanto», non ha dubbi il cardinale
Tonini. «Non possiamo dimenticare - spiega - che nella visione cristiana
la conoscenza è un dono di Dio, un dovere ed una responsabilità. Nella
Bibbia sta scritto che l'uomo deve utilizzare la natura per scoprirne i
tesori, dunque ecco che ogni scoperta scientifica è un'esaltazione della
vita umana, della grandezza del dono di Dio». Tonini porta le parole di
Giovanni Paolo II: «Il Papa, nel discorso ai genetisti del 5 marzo 1984,
li invitava a procedere con il massimo fervore nella ricerca sul genoma
umano». Il perché, secondo il porporato, è semplice: «Un domani sarà possibile
eliminare per sempre quei morbi impietosi come l'Alzheimer ed il Parkinson
ed altre malattie oggi ritenute incurabili». Occorreranno però delle misure,
delle regolamentazioni della ricerca. «Questo non spetta agli scienziati
- dice il porporato - ma alle istituzioni. Il potere politico ha il dovere
sacrosanto di tutelare l'essere umano» sottolinea con forza. «L'uomo non
potrà mai utilizzare un suo simile come strumento di ricerca» mette bene
in chiaro, ed osserva che la ricerca deve avere dei significati e degli
scopi terapeutici. Può l'intelligenza umana modificare gli alimenti? Può
trasformare i cibi? «Se questo volesse dire garantire all'uomo una facilità
di accesso al necessario per vivere ed una cura più razionale dell'alimentazione
non ci vedrei nessun contrasto» fa sapere il cardinale. «Gli scontri nascono
quando la paura prende il sopravvento. Non condivido la sfiducia totale,
il gridare all'allarme, come se i prodotti della terra fossero i soli a
dare garanzie all'uomo». Nel campo dei cibi transgenici, secondo Tonini,
la Chiesa non dirà mai di no. «Chiederà, questo sì, molta serietà agli
scienziati; pretenderà che diano serie e precise garanzie all'essere umano.
Ma non ostacolerà mai la ricerca». Il porporato piacentino ricorda la nascita
della facoltà di Agraria, realizzata da padre Gemelli con i soldi del calmiere
del latte: «Nacque per la ricerca, con la benedizione della Chiesa e degli
agricoltori del posto». Ma anche la situazione drammatica che sta vivendo
l'Africa, «dove di fame si muore ed i bambini mangiano le formiche». «Io
sono vescovo - si mette una mano sul cuore - e questa gente, come tutte
le creature, ho il dovere di proteggerle. Con gli organismi geneticamente
modificati si potrà dare finalmente da mangiare a tutti e si potranno portare
cure a chi prima non ne ha mai assunte perché la sua dieta è sempre stata
poverissima, quasi inesistente».

Federico Frighi

Tonini su Marta e Milagros

Sulla vicenda delle gemelline siamesi peruviane

Tonini, i giornalisti hanno agito bene

da Libertà, 30 maggio 2000


L'obiettivo dell'opinione pubblica mondiale puntato sulle gemelline Marta
e Milagros sancisce la vittoria dell'uomo sui falsi idoli dello sport e
dello spettacolo. Con questa riflessione il cardinale Ersilio Tonini, a
margine del convegno alla Cattolica, è intervenuto in difesa dei mezzi
di comunicazione che «hanno illuminato a giorno» la vicenda delle gemelline
siamesi peruviane. Fallito il tentativo di salvare una delle piccole, il
dramma consumatosi all'ospedale di Palermo ha messo sotto accusa tv e giornalismo
per l'eccessiva pubblicità con cui, secondo alcuni (anche tra le alte sfere
della Chiesa cattolica), sarebbe stato trattato il caso di Marta e Milagros.
Diversamente ha dimostrato di pensarla il porporato: «Che il mondo intero
abbia trepidato per queste due creature e si sia intenerito di fronte al
loro caso significa che finalmente la nostra attenzione non si è fermata
solo su Schumacher, la formula uno o i prossimi campionati europei di calcio;
ma che c'è qualche cosa di più grande: il mondo intero che si ferma ad
ascoltare la storia di due bambini». «I bambini - ha continuato il porporato
- sono stati da sempre il tesoro e la misura del valore della società».
Tonini ha portato ad esempio le popolazioni latine: «I romani, che non
erano stupidi, avevano tradotto nel loro linguaggio questo grande valore:
i figli li hanno chiamati necessarii». « A prima vista sembrerebbe il contrario
- ha proseguito -: che i genitori siano necessari ai figli. Invece i romani
erano già arrivati alla conclusione che i figli erano irrinunciabili da
un punto di vista affettivo». Monsignor Tonini, da giornalista qual'è
(in passato è stato direttore del settimanale della diocesi piacentina
«Il nuovo Giornale» ed oggi scrive le sue riflessioni sul «Corriere della
sera"), ha difeso la categoria, vittima, secondo il porporato di un abbaglio
pilotato. «Il mondo giornalistico è stato deviato - ha detto Tonini -:
non ci hanno fatto sapere quale era la percentuale di riuscita dell'intervento
chirurgico sulle gemelline. Se ci avessero rivelato che c'era soltanto
il dieci per cento di probabilità che l'intervento riuscisse, allora sì
che c'era da chiedersi se fosse veramente valsa la pena di porre questa
sfida». Il dito è puntato verso gli uomini della scienza: «Gli scienziati
devono essere più precisi, sono loro che devono aiutare l'opinione pubblica
a dare un giudizio morale». E ancora: «Il fatto diventa valore quando l'intelligenza
lo misura». Un esempio: «Dell'animale si giudica solo il risultato di un'azione:
il cane che sbrana non ha consapevolezza di sbranare». Diverso è per l'uomo:
«Dell'azione umana non si riportano soltanto i dati di fatto: ci si interroga
se una data cosa era giusta o non era giusta». «E quale è la misura per
giudicare» si è chiesto Tonini «se non la dignità della persona umana».
La conclusione: «Se la risposta, anche della morale, è stata incerta è
perché non ci sono state date indicazioni scientifiche abbastanza sicure».
Montanelli ha altre opinioni Indro Montanelli non la pensa come il cardinale
Tonini, a proposito dell'interesse dei media sulla vicenda delle gemelline
siamesi. «Una storia sfruttata come uno spettacolo, quando non c'era nulla
da spettacolarizzare": non ha dubbi Montanelli nel bollare con un secco
«non mi è piaciuta per niente» la vicenda delle due gemelline siamesi Marta
e Milagros, morte durate l'operazione per tentare di separarle e consentire
a una di loro di sopravvivere. Montanelli, che esprime dubbi sulla decisione
di fare l' operazione, a margine di un convegno per ricordare il ventennale
dell' uccisione del giornalista Walter Tobagi, afferma che «aver messo
l'intervento sotto gli occhi di tutti puzza di esibizionismo», e dice di
essere «dalla parte del chirurgo che non ha voluto partecipare: i fatti
gli hanno dato ragione, anche se l'intervento fosse riuscito e si fosse
salvata una vita, mi domando che vita sarebbe stata». Per Montanelli infatti,
a prescindere dagli aspetti fisiologici dell' intervento, non si è pensato
a quelli morali e psicologici, perchè se Marta fosse sopravvissuta «avrebbe
sempre saputo che era viva grazie alla morte della sorella».

Federico Frighi

In clausura il nuovo millennio

Chiara, nel Duemila

festeggerà la clausura


da Libertà, 23 dicembre 1999




Cosa ci si può aspettare da una vita chiusa in un monastero, dietro le
grate della clausura? Lo abbiamo chiesto a Chiara, per la quale il nuovo
millennio si apre con l'ingresso in convento. Mentre il conto alla rovescia
scivola verso l'anno Duemila con il suo strascico di luci e party celebrativi,
Chiara, 25 anni, agente immobiliare, sceglie di entrare in clausura nel
monastero di San Lazzaro delle Carmelitane di Santa Teresa. Penitenza e
delusione per come va il mondo fuori dalla grata? Macché. San Giovanni
Bosco, a chi gli chiedeva che cosa fosse la santità, rispondeva: «Per noi
è soprattutto una grande allegria». Chiara, se provi a farle i complimenti
per la scelta coraggiosa, si mette a ridere. «Guardi che questa non è una
dimensione di sacrificio. Io, se devo dire la verità, mi sono sempre divertita
nella vita, e lo sta facendo anche adesso». Ammetterà però che la scelta
è coraggiosa. «Ci vuole del coraggio ad imparare la dimensione della rinuncia
ma a rispondere non ce ne vuole tanto. Io non ho scelto nulla. Lo spirito
soffia quando, come e dove vuole». Certo però uno deve anche saper rispondere.
«E' il Signore che ha scelto questo momento. Ti prende una grande gioia
alla quale non si può dire di no. Ho lasciato la mia famiglia in lacrime.
Volevano che entrassi in clausura con l'anno nuovo. Ma in questa cosa c'è
un amore talmente forte dentro, che ti porta a prendere il largo e ad affidarti.
E quindi vai. Perché quella è l'unica dimensione possibile». Come ha conosciuto
la clausura? «Premetto che non ho mai frequentato la vita ecclesiale. Sono
stata con mia madre a Lourdes e, mentre comperavamo dei dolcetti, mi è
capitato fra le mani un opuscolo che spiegava in modo simpatico la vita
delle claustrali». Per lei che cosa è il Duemila? «Penso che questo sia
un momento di passaggio, in cui la Chiesa ha bisogno di testimonianze forti.
E' l'anno in cui i figli si riconciliano con il Padre». In che senso?
«E' l'anno della speranza. Dei grandi colloqui fra gli uomini e le religioni.
Spero che il Duemila sia l'anno dell'unità». Che cosa sogna una suora
di clausura? «Il sogno più grande è che l'uomo torni ad essere uomo e
non abbia più grandi pretese. Che ritorni a fare la volontà di Dio in maniera
semplice senza pensare a grandi cose che lo portano lontano dalla natura
e da quello che dovrebbe essere». Come si sente di fronte al mondo che
ha appena lasciato di là dalla grata? «Mi sento un fiore di questo prato
variopinto che è il mondo. Ognuno ha la sua bellezza, sceglie di essere
quello che vuole o che può essere nel momento presente. Non giudico male
le persone che cercano di passare il Capodanno nella maniera più goliardica
possibile. L'ho fatto anch'io». E lei come lo passerà? «Io vivrò di
poco. Per me sono finite le grandi feste. Dopo il Te Deum passerò il Capodanno
a vegliare con le sorelle aspettando la benedizione del Santo Padre. Tutti
i ragazzi che hanno deciso di vivere questo passaggio di secolo in un altro
modo, li avrò di fronte, nell'eucarestia. Magari non lo sanno, ma il Signore
è lì anche per loro». Che cosa lascia nel Novecento? «La pretesa dell'uomo,
ed anche la mia, di volere fare tutto di propria volontà e testa senza
chiedere consiglio a Dio o alla propria coscienza». E che cosa porta con
sé della sua vita passata? «A livello personale vorrei portarmi qualche
cosa che non ho: non vorrei far ridere con una parola troppo grossa, ma
è la forza del martirio. Lo diceva monsignor Tonini: per la chiesa comincerà
il nuovo martirio che non è fisico ma psicologico. Mi auguro di avere la
forza di dare un nome e comunicare agli uomini la speranza che c'è nel
mio cuore. Dovesse costare tutto. Il vero miracolo non è che Dio faccia
la volontà degli uomini, ma che gli uomini facciano la volontà di Dio».
Grazie, Chiara, perché ci tiene con i piedi per terra e ci fa pensare.
«Sì, però tenga presente che questa è una dimensione di gioia, non di
privazione fine a se stessa. Le assicuro che passo gran parte del mio tempo
a ridere. Non so se ridevo più fuori o più qui dentro».

Federico Frighi



Tonini, salviamo la montagna

Due giorni di festa per Ersilio Tonini a Farini

Il cardinale: "Non isoliamo la montagna"

da Libertà, 20 giugno 2002


Eminenza, lo sa che se qualcuno si rompe una gamba a Farini lo si deve
portare in ambulanza sino a Piacenza dove c'è il posto di pronto soccorso
più vicino? «O perbacco! Neanche a Pontedellolio?» No, si deve fare un'ora
di strada sino a raggiungere la città. Il cardinale ci pensa un attimo
e ripete: «Quello che potrò fare per Farini lo farò certamente». Poi ricorda
un episodio in cui si trovava dall'altra parte: «La prima volta che venne
Alcide De Gasperi a Piacenza ebbi modo di accostarlo e gli consegnai un
articolo firmato da me ed intitolato “Ferriere, Comune mulattiera”». Anche
allora ci si lamentava dell'isolamento della montagna. «De Gasperi mi incitò
a continuare a denunciare la situazione. “Parlano dell'Italia come il giadino
d'Europa - disse - in realtà siamo la montagna d'Europa. Bisogna che se
ne parli perché è necessario che i parlamentari ne siano persuasi”». Fu
proprio da un incidente occorso ad una domestica di Ferriere, mentre accompagnava
il padrone in Liguria, che Tonini lanciò la campagna, assieme alle Acli,
per la mutua alle domestiche. Ebbene, se oggi le domestiche hanno la mutua,
lo si deve all'Alta Valnure. Per monsignor Tonini l'Alta Valnure non è
una scoperta. Piuttosto un ritorno. «Ho frequentato queste zone, Gambaro
in particolare, quando ero a Piacenza insegnante in seminario e direttore
de Il Nuovo Giornale. Ancora prima, studente a Roma, andavo a Cogno San
Bassano per un po' di vacanza presso il parroco. In quegli anni - era il
1948 - ci si trovava spesso con i sacerdoti della zona per incontri comunitari,
per passare un po' di tempo assieme». Nei ricordi del cardinale c'è una
gita alla sorgente del Nure assieme ai compagni di tonaca in cui Tonini
tenne scherzosamente una sorta di orazione solenne dedicata alle meraviglie
della natura ed alla nascita del torrente. In Alta Valnure ci si andava
anche per rilassarsi dalle quotidiane fatiche della cura d'anime. «In quei
tempi ci si preparava alle elezioni del '48 e c'era un grande fermento
che impegnava anche noi al settimanale diocesano». Erano i tempi degli
scambi vivaci tra comunisti e cattolici che vedevano l'allora don Tonini
paladino, ovviamente, dei secondi. «Lo stile, il linguaggio che si usava
tra me ed i comunisti era molto schietto ma molto sereno» ci tiene comunque
a precisare il porporato. Altra meta praticata era Brugneto «anche se lì
ero giovanissimo (andavo al ginnasio)». Ancora: «Era un posto ideale per
distrarsi, andavo nel Nure a pescare le trote, una mia grande passione».
L'Alta Valnure insomma è sempre stata per Ersilio Tonini, in quegli anni,
quello che oggi è la Valle d'Aosta per Carol Wojtyla: un piccolo angolo
di paradiso in terra. Il cardinale arriva a Farini ad un anno di distanza
dopo che per un malore dovette rinunciare all'invito di dodici mesi fa.
«Adesso, grazie a Dio, sto bene e ritorno in questi posti molto volentieri»
dice Tonini. Inaugurerà una via dedicata a don Anacleto Mazzoni. «Lo conoscevo
bene: quando entrai in seminario lui era agli ultimi anni. Ricordo i discorsetti
che faceva durante le feste, le poesie che componeva. Era stato parroco
a Rivergaro dove aveva fatto un gran bene. Era un prete dal cuore largo,
senza grandi fronzoli, concreto, intelligente ma vicino alle persone che
conosceva ad una ad una, sempre di buon umore, con quel senso dello humor
moderato che hanno tradizionalmente i piacentini».

Federico Frighi

Giuseppe De Carli racconta il Giubileo del Duemila



Intervista a Giuseppe De Carli, vaticanista del Tg1


"E' stato un trionfo di confessioni"


Il vaticanista De Carli racconta le sue dirette sul Giubileo




da Libertà, 12 gennaio 2001




Trecentosettantanove giorni di Giubileo, 57 dirette televisive, oltre 300 ore di trasmissione. Giuseppe De Carli è uno dei testimoni privilegiati di questo Anno Santo appena terminato. Da quattordici anni giornalista vaticanista del Tg1, responsabile dell'informazione religiosa del primo canale Rai, ha seguito passo dopo passo il grande Giubileo del Duemila raccontandolo alla gente perché si sapesse che cosa stava veramente accadendo, quale nuovo mattone si stava aggiungendo al palazzo della storia. Milanese di nascita, De Carli è di origine piacentina essendo il padre nato all'ombra del Gotico. Conserva ancora in città ed a Castelvetro Piacentino diversi parenti e l'altra sera è stato ospite del circolo “Il Carroccio”, dove ha presentato il suo “Breviario del nuovo millennio. Pensieri su un mondo che verrà”, edito dalla San Paolo, in cui ha raccolto le interviste andate in onda per tre anni, nell'edizione delle 13,30 del Tg1 del sabato, sotto la rubrica “Le parole del millennio”. Si è trattato di una sorta di preparazione a quell'Anno Santo che De Carli ha appena finito di raccontare. «Dal punto di vista umano, il Giubileo è stata un'avventura incredibile. Immaginavo la fatica, ma non l'intensità di ciò che ho provato. E' stato come entrare in un tunnel di emozioni da cui sono uscito solo il 7 gennaio con l'Angelus del Papa e l'ultima diretta. Da giornalista ho cercato di fermarmi sulla soglia di queste emozioni. Io, mi sono sempre detto, parlo a chi crede come a chi non crede. Durante le dirette qualche volta però mi è venuta la pelle d'oca». - Ad esempio? «Quando il Papa è entrato nel Santo Sepolcro; quando ha messo il biglietto con le richieste di perdono tra le pietre del muro del pianto, quando al Sinai ha cominciato a parlare di Mosè; quando a Tor Vergata ha invitato i giovani ad essere le “sentinelle dell'alba del millennio”. Quando avevo visto i primi programmi di questo Anno Santo li avevo considerati una sorta di parata di Giubilei particolari in contrasto con quello che doveva essere lo spirito di questo evento. Devo dire che sono stato smentito dai fatti e mi sono ricreduto». - Perché le scelte di una Chiesa considerate da molti anacronistiche si sono invece dimostrate azzeccate? «Innanzitutto perché la Chiesa ha dimostrato di parlare alle singole categorie, di avere qualcosa da dire ai politici come agli agricoltori come agli operatori ecologici, ai giovani come agli anziani, ai giornalisti come agli scienziati, ai laici come ai preti ed ai vescovi». - E poi? «E poi c'è tutto un aspetto del Giubileo che i media non hanno messo bene in evidenza. Non è l'acquisto delle indulgenze quello centrale, ma la riscoperta del sacramento della confessione. Nessuno di noi giornalisti se l'era immaginato all'inizio. Due milioni di giovani sono andati a Roma e mezzo milione si è confessato. Hanno dovuto triplicare il numero delle panche nella basilica vaticana, quintuplicare quello delle altre basiliche patriarcali. Ho visto preti stramazzare al suolo, svenuti, per la fatica di confessare senza sosta». - Che ruolo ha avuto la persona di Carol Woityla in questo Giubileo? «I grandi gesti del Papa sono stati fondamentali: il viaggio in Terra Santa, il culmine di tutto un Pontificato; la Giornata del perdono il 12 marzo. E' stato, quest'ultimo, l'atto più rivoluzionario di un Papa da duemila anni a questa parte. Quando mai un'istituzione, l'unica che ha attraversato tutta la storia da Cristo ad oggi, chiede perdono delle colpe commesse dai suoi figli, magari in nome di Cristo?». - Il Giubileo ha raggiunto il suo obiettivo? «Non lo so. La cosa certa è che ha dimostrato innanzi tutto la vitalità della Chiesa; ha dimostrato che in Occidente c'è un'istituzione più dinamica di tutte le altre. La politica non attrae più, la Chiesa invece aggrega; e su valori di fondo. Uno può dire che non è vero. La risposta è che c'è un Papa, vecchio, malandato, scosso dal morbo di Parkinson, che riesce ad attirare due milioni di giovani a Tor Vergata». - E il dialogo con le altre religioni? Questo Giubileo era partito bene. Poi, però ... «E' forse questo il lato con più ombre. Dopo il gesto del Papa con l'ebraismo e con l'Islam sulla spianata delle moschee, la visita ai campi profughi della Palestina, il muro del Pianto, le cose si sono un po' arenate. Ha contribuito il documento del cardinale Ratzinger, “Dominus Iesus”, sulla unicità della salvezza nella Chiesa cattolica. Ha irritato molto le altre religioni. Nella sostanza ha detto le cose del Concilio, ma forse la forma andava modificata. Nella lettera apostolica “Novo in eunte millennio”, che Woityla ha firmato il 6 di gennaio, c'è tutta una parte in cui si parla dell'impegno ecumenico di questo Papa quasi ottantenne che afferma che il futuro della chiesa sta nel dialogo con le altre culture religiose». - Non era facile riuscire a comunicare il contenuto di questo Giubileo. Che giudizio dai su quello che è passato alla gente? «E' stato un Giubileo che è riuscito a comunicare. Certo, ci sono state delle difficoltà. Non tutti bucano lo schermo come il cardinale Tonini che con quel suo volo scavato sembra quasi uno scoiattolo e viene ascoltato perché è credibile. Però la Chiesa ha un altro grandissimo comunicatore: il Papa. Che non rispettando le regole della comunicazione riesce a farsi capire da tutti, anche grazie alla sua corporeità malandata. La gente si identifica in questo Papa sofferente, tenace, determinato, e lo tocca come se fosse una reliquia. Io, in questi anni, ho avuto l'impressione di fare la cronaca non dell'attività di un Papa ma di quella di un santo». - Questo Papa non arriverà a 120 anni come Mosè. Chi sarà il suo successore? «Siamo a pochi giorni dal prossimo concistoro e Woityla, probabilmente domenica, rivelerà i nomi dei nuovi cardinali. In quel momento avremo il quadro completo di come sarà composto il sacro collegio che andrà al futuro conclave. Se, come pare, la grande maggioranza sarà di cardinali non italiani, saremo probabilmente avviati verso un nuovo papa latino-americano. Teniamo infatti conto che la metà dei cattolici del mondo si trovano in America Latina. Come la scelta profetica cadde su di un pontefice slavo nel momento di massimo attrito della Guerra Fredda, la prossima mossa potrebbe essere quella di andare verso un nuovo continente, diverso dall'Europa».


Federico Frighi

Santini, inseguendo il Papa viaggiatore

Intervista ad Alceste Santini, vaticanista l'Unità

Inseguendo il Papa viaggiatore

"Ha umanizzato la Chiesa confrontandosi coi poveri"


da Libertà, 4 marzo 2001


Alceste Santini, da quasi quarant'anni «vaticanista» de “l'Unità”, è stato l'unico giornalista che, nel periodo della Guerra Fredda, poteva permettersi di dialogare con Mosca e con il Vaticano nel medesimo tempo. Grande amico del braccio destro di Giovanni Paolo II, quel monsignor Agostino Casaroli di cui fu certo anche consigliere ed informatore privilegiato, ma nello stesso tempo uomo di fiducia di un sistema partitico che aveva ne “l'Unità” il suo organo di informazione ufficiale. Cose politiche e cose religiose, un connubio non facile: «Non è stato mai difficile parlare di un Papa su un giornale di partito - assicura -. Mi sono sempre posto di fronte al pontefice ne più ne meno di come un altro giornalista si pone di fronte alla cronaca, alla politica o ad altre questioni». Per molti altri, tuttavia, è una tentazione, quasi in odore di zolfo, in cui si cade sempre e regolarmente. Specie nell'imminenza di elezioni politiche delicate come quelle che stanno per arrivare. Quando un segretario di Stato come il cardinale Angelo Sodano convoca prima Rutelli e poi Berlusconi ed annuncia che seguiranno tutti i leader dei vari partiti politici che cosa significa? Che le consultazioni non si tengono più sul Quirinale ma sul Vaticano? «E' stata una vera e propria gaffe. Il cardinale Casaroli non ci sarebbe mai caduto. Lo stesso papa Wojtyla, durante il suo terzo viaggio in Brasile, nel '91, disse che spetta ai laici compiere, in piena libertà ed autonomia e responsabilità, le loro scelte sociali e politiche. Questo perché, per usare sue parole, “un'interferenza diretta da parte di ecclesiastici o religiosi nella prassi politica, o l'eventuale pretesa di imporre, in nome della Chiesa, una linea unica nelle questioni che Dio ha lasciato al libero dibattito degli uomini, costituirebbe un inaccettabile clericalismo”. La stessa cosa vale per quei fedeli laici che, nelle questioni temporali, pretendessero di agire, senza alcuna ragione o titolo, in nome della Chiesa, come suoi portavoce o sotto la protezione della gerarchia ecclesiastica».- Ciò non toglie che nel mondo politico odierno i voti dei cattolici sono sempre corteggiatissimi. Non le pare? «Questo Papa, sul piano delle scelte sociali ha riempito un vuoto lasciato da un mondo che è crollato, quello dell'est, che dapprima rappresentava una certa speranza, l'idea socialista, poi tradita nella sua realizzazione pratica. Una volta caduto quel mondo, i partiti ed i movimenti di ispirazione socialista sono rimasti disorientati. Il Papa ha riempito quel vuoto, sia per le cose che ha detto, sia per l'autorità morale che rappresenta. Un esempio per tutti: di fronte a Clinton, Wojtyla disse espressamente di non potere accettare il liberismo economico ed il mercato selvaggio, perché tende ad escludere larga parte dell'umanità fino ad eliminare i più deboli. Fu un'affermazione fortissima che la sinistra che noi oggi conosciamo in Europa, non dice». - E' un Papa più di destra o di sinistra? «Non lo classificherei né da una parte né dall'altra. Abbiamo un Papa che dice cose che vengono portate avanti da una sinistra impegnata che però oggi non è in grado di rilanciare queste idee fondamentali per offrire una prospettiva; ma abbiamo anche un Papa nelle questioni della vita di coppia, del matrimonio, nella sessualità, nella genetica rimane legato alla tradizione». - Lei ha seguito e raccontato la vita di papa Wojtyla per 92 viaggi che, come scrive nel suo libro, hanno cambiato la geografia del mondo. Chi è per lei Giovanni Paolo II? «E' un Papa che ha umanizzato la Chiesa confrontandosi con popoli e tradizioni diverse, favorendo la partecipazione e la collegialità. E' un uomo di grande preghiera e di spiritualità. Ha un atteggiamento interiore che lo spinge a relazionarsi con tutte le persone a prescindere dal loro modo di pensare. Ha detto lui stesso che frammenti di verità stanno in tutte le culture e le religioni. Sta ai cristiani a ricostruire l'unico grande mosaico». - Che cosa ha rappresentato il Giubileo del 2000? «Quello del 1950 fu celebrato nel segno del ritorno all'unica chiesa, escludendo ebrei, musulmani, protestanti, comunisti scomunicati. Il Giubileo appena concluso è stato all'insegna di un grande dialogo con tutte le categorie sociali e le religioni. A maggio, non a caso, ha convocato il concistoro straordinario con tutti i cardinali per analizzare i due grandi temi del futuro: quello della collegialità e quello dell'ecumenismo». - Giovanni Paolo II quale eredità lascerà al suo successore? «Il futuro Papa non potrà più rimanere dentro le mura del Vaticano, dovrà continuare questi viaggi, ad andare incontro alle genti. Ha dato una prima indicazione: il primo millennio è servito affinché il cristianesimo da Gerusalemme arrivasse a Roma, il secondo millennio perché si affermasse in America Latina ed Africa, il terzo millennio in Asia, dove vivono tre miliardi e mezzo di persone, di tradizioni culturali e religiose diverse, ma dove i cattolici sono poco più di 100 milioni». - Si dice che il prossimo Papa sarà un latino americano. Che cosa ne pensa? «E' possibile: il baricentro del cattolicesimo mondiale ormai si è spostato nell'America Latina, dove vive più della metà del miliardo e 40 milioni di cattolici presenti nel mondo. Fare un nome è molto difficile ed anche poco serio. E' da sei anni che ci proviamo ma questo Papa continua a regnare. Si può solo dire che il collegio cardinalizio è Wojtyliano, non c'è più un cardinale creato da Giovanni XXIII e ne sono rimasti solo una ventina fatti da Paolo VI. Il conclave, quando sarà il momento, valuterà la situazione politica mondiale e sceglierà la persona più adatta».
Federico Frighi

Alceste Santini su Giovanni Paolo II

«Nessun gesto di mea culpa supererà mai
quella carezza al muro del pianto»

Giovanni Paolo II raccontato da Alceste Santini.Il vaticanista dell’Unità venuto a Castelsangiovanni per presentare il suo ultimo libro sul pontefice

da Libertà, 4 marzo 2001

PIACENZA - E’ un Papa che comunica
attraverso dei segni, dei
gesti simbolici che hanno
poi trovato la loro summa
nel Giubileo del 2000».
Non era mai successo che
un pontefice parlasse direttamente
ai giornalisti, tenesse
improvvisate conferenze
stampa, abbracciasse Madre
Teresa di Calcutta e la rivolgesse
verso telecamere e fotografi
per portare la sua immagine
al mondo intero. Papa
Wojtyla è anche questo. A raccontarlo
è Alceste Santini,
«vaticanista» de l’Unità per
quasi quarant’anni, saggista,
collaboratore di riviste italiane
e straniere, con ben 92
viaggi papali all’attivo, tutti
con Giovanni Paolo II. La
«penna santa» del quotidiano
fondato da Antonio Gramsci
è stata ospite l’altra sera del
Centro culturale di Castelsangiovanni,
in un incontro
presentato dall’assessore alla
cultura, Alberto Caravaggi.
La presenza castellana di
Santini era legata sia alla presentazione
del suo nuovo libro
- “Con Giovanni Paolo II
per le vie del Mondo. La nuova
geografia del papato” (edizioni
Rubbetino) - sia alla veste
di consulente in vista della
creazione del museo dedicato
al monsignor Agostino
Casaroli.
Dell’ex segretario di Stato di
papa Wojtyla, Santini era amico
e consigliere e, nel 1993,
al cardinale piacentino, aveva
dedicato un libro intitolato
“Agostino Casaroli, uomo del
dialogo”.
Il gesto, dicevamo, più delle
parole, lo strumento principale
del Papa comunicatore.
«Gesti che gli hanno consentito
di mettere in discussione
persino il primato del vescovo
di Roma (il pontefice appunto,
ndr.), di sviluppare il
dialogo con ebrei, cristiani,
musulmani, quali figli di Abramo,
e di estenderlo alle
grandi religioni non cristiane,
induismo, buddismo, taoismo,
scintoismo». Santini ha
ricordato i gesti del perdono:
«L’Africa, l’isola di Gorè,
quando guardò l’oceano per
sette interminabili minuti, in
silenzio, e poi chiese perdono
per lo schiavismo; ma anche
davanti alla porta di Brandeburgo,
presente il cancelliere
Khol. “Putroppo”, disse, “sono
stati pochi ad opporsi al nazismo,
alla più grande follia
del XX secolo”. Un’altra volta
chiese perdono ad Auschwitz
che elevò a Golgota del mondo
contemporaneo; andò a pregare
sulla tomba di Lutero;
abbracciò il metalmeccanico
brasiliano in uno stadio circondato
dalla polizia».
L’elenco potrebbe continuare
a lungo. Santini, testimone,
di questi piccoli ma storici gesti
arriva al 12 marzo del 2000:
«In San Pietro pronunciò il
mea culpa della Chiesa; per le
crociate, l’inquisizione, l’antigiudaismo,
l’antisemitismo,
il caso Galilei, con una contestuale
revisione autocritica
della storia della Chiesa nei
due millenni trascorsi».
Un mea culpa che arriva da
lontano e che, come evidenzia
Santini, trova la sua consacrazione
poco dopo: «Il Papa
che cammina sulla spianata
delle moschee, fermandosi
davanti al muro del Pianto e
mettendo fra quelle pietre
millenarie la dichiarazione di
pentimento per quello che era
stato fatto agli ebrei. A mio
parere è stato questo il momento
più alto del pontificato
di Giovanni Paolo II. Il Papa
potrà ancora andare in tanti
altri posti, ma nessun gesto
supererà mai per importanza
quel biglietto e quella carezza
al muro del pianto».
Federico Frighi

Cives 2007-2008, tutto il programma



  1. 5 novembre “Essere uomini, amare la vita” Vito Mancuso, docente di teologia moderna e contemporanea (S.Raffaele di Milano).
  2. 9 novembre “Dove va il mondo?” , “Chi governa l’economia globale?”, Giacomo Vaciago, docente di politica economica (Cattolica).
  3. 14 novembre “Dove va l’uomo?” , “L’umano alla prova. L’identità personale tra dialettiche del desiderio ed etica del finito”, Luca Diotallevi, docente di sociologia (Roma Tre).
  4. 23 novembre “A sua Immagine” , “Rapporto tra fede, ragione e scienza nella cultura contemporanea”, Bruno Maggioni, biblista, docente di introduzione alla teologia (Cattolica).
  5. 30 novembre Lavori di gruppo
  6. 11 gennaio 2008 “Costruire la città”, “Un futuro sospeso tra incubo e speranza”, Luigi Fusco Girard, docente di economia ed estimo ambientale (Napoli Federico II).
  7. 18 gennaio 2008 “Costruire la macchina”, “Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, etica della produzione nel mondo globale”, Lucio Rossi, direttore Magneti & Superconduttori per il progetto Lhc-Cern Ginevra.
  8. 1 febbraio 2008 “Nulla si crea”, “La questione energetica e ambientale”, Stefano Consonni, docente al Politecnico di Milano e presidente del Leap.
  9. 8 febbraio 2008 “Poste in gioco”, “Tensioni e conflitti per il controllo di acqua e terra. Esperienze nell’Africa saheliano-sudanese”, Marina Bertoncin e Andrea Pase, docenti di geografia (Padova).
  10. 25 gennaio 2008 “Tolleranza e multiculturalità”, Younis Tawfik, scrittore e docente di letteratura araba (Genova).
  11. 15 febbraio 2008 “Decrescita felice”, Maurizio Pallante, saggista, consulente ministero ambiente
  12. 19 febbraio 2008 “Domanda di felicità e diritto positivo”, Luciano Eusebi, diritto penale (Cattolica).
  13. 29 febbraio 2008 “Laicità, tra scelte personali e testimonianza”, Paola Bignardi, già presidente dell’Azione cattolica
  14. 7 marzo 2008 Conclusione
Il corso si svolge alla Cattolica di Piacenza (dal 5 novembre) il venerdì sera dalle 20 alle 22. È prevista la partecipazione di una cinquantina di iscritti. Quattordici gli incontri. Iscrizioni entro il 7 novembre al Servizio formazione permanente della Cattolica (0523/599.488).

sabato 27 ottobre 2007

Cives, uno sguardo intorno all'uomo


Parte Cives, uno sguardo intorno all'uomo

da Libertà, 26 ottobre 2007

Piacenza - Torna Cives, lo spazio di formazione civica dell’Università Cattolica e della diocesi di Piacenza-Bobbio, voluto dal vescovo Luciano Monari. Quest’anno giunge alla settima edizione ed ha come tema un passo del Salmo 8: «... Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? ...». Un tema biblico - a differenza di quello dello scorso anno sulla partecipazione dei cittadini - affrontato con un’attenzione particolare al rapporto dell’uomo con l’assoluto e tutto ciò che lo circonda. «Siamo arrivati alla settima edizione di un’iniziativa - ha spiegato Giovanni Groppi, del comitato scientifico di Cives - nata come scommessa per proporre anche a Piacenza uno spazio libero di approfondimento sui temi che più interpellano la nostra comunità sociale ed ecclesiale. Quest’anno è stato scelto il tema dell’uomo e di quello che gli sta attorno, con la natura, con il creato, con l’assoluto, le proprie attività, l’ambiente, il territorio. Puntualizzando soprattutto anche le novità e le piste di approfondimento e di scelta che si pongono all’uomo di oggi». «Abbiamo individuato alcune parole guida - ha spiegato Groppi - che possono essere la tolleranza e la multiculturalità, la decrescita felice, l’impegno come laici nella società». La presentazione del corso si è tenuta ieri mattina nel palazzo della Curia. Assieme a Groppi era presente anche Paolo Rizzi, sempre del comitato scientifico. «Ogni anno - ha sottolineato Rizzi - scegliamo un’immagine artistica che possa ben rappresentare il tema del corso. Per questa edizione abbiamo pensato alla volta stellata di Van Gogh, in cui il paesaggio, in un abbraccio di colori e aureole, viene utilizzato come pretesto per approfondire il complesso rapporto tra natura, mondo e uomini». Il corso si svolge alla Cattolica (dal 5 novembre) il venerdì sera dalle 20 alle 22. È prevista la partecipazione di una cinquantina di iscritti. Quattordici gli incontri. Tra i relatori, scrittori, teologi, scienziati, docenti. Iscrizioni entro il 7 novembre al Servizio formazione permanente della Cattolica (0523/599.488).

Cento giorni senza Monari, il successore non si vede


da Libertà, 27 ottobre 2007

Cento giorni fa veniva annunciato il trasferimento del vescovo Luciano Monari a Brescia. Piacenza-Bobbio, di fatto, non aveva più un vescovo titolare. Ad oggi dalla Santa Sede, non è stato ancora annunciato il successore. Giovedì, in Vaticano, si è tenuta l’assemblea plenaria della Congregazione per i vescovi. Si sarebbe dovuto trattare anche della “provvista” piacentina. Dai sacri corridoi, al momento, poco trapela. A quanto si è appreso, l’assistente generale della Cattolica, monsignor Gianni Ambrosio - favorito per Piacenza prima dell’entrata in campo dell’ausiliare di Milano Erminio De Scalzi - preferirebbe la candidatura ad una diocesi invece di quella all’Azione Cattolica nazionale. Si vedrà.

venerdì 26 ottobre 2007

Oggi prete, celebra i funerali del suo ex datore di lavoro

Nella basilica di Sant'Eufemia l'addio commosso
all'imprenditore Battisti morto a 88 anni
Celebra i funerali del datore di lavoro
All'altare l'ex dipendente Luigi Lazzarini, oggi prete

da Libertà, 26 ottobre 2007

Piacenza - All’altare della basilica di Sant’Eufemia c’erano tre sacerdoti. Uno di loro, con il ragionier Ugo Battisti, aveva un rapporto particolare. Prima di divenire “dipendente” di Nostro Signore è stato dipendente della Grandi Magazzini Battisti. Per 25 lunghi anni, prima di andare in pensione e di entrare in seminario. Don Luigi Lazzarini, oggi curato a Pianello, ieri mattina ha dato l’ultimo saluto al suo ex principale, lo storico imprenditore piacentino nel settore dell’abbigliamento morto martedì a 88 anni, assieme a tanti altri ex colleghi, in una Sant’Eufemia gremita. Nonostante il ragionier Battisti avesse dato disposizione ai familiari che le esequie venissero celebrate in forma strettamente riservata. La notizia della morte dello storico imprenditore, ieri l’altro, ha fatto lo stesso il giro della città, a dimostrazione di quanto il legame tra i Battisti e Piacenza sia ancora saldo. «Ho vissuto questo momento - dice don Luigi al termine della messa - con grande serenità, in un clima di speranza cristiana». È una storia nella storia quella di don Luigi Lazzarini, 66 anni, prete da nove, ordinato a Bedonia dal vescovo Luciano Monari. Ieri mattina era all’altare di Sant’Eufemia con il parroco monsignor Pietro Casella e don Mauro Stabellini, davanti alla bara ornata di fiori del suo ex principale, il ragionier Ugo Battisti. Luigi Lazzarini, senza il “don” davanti, era stato assunto alla Grandi Magazzini Battisti nel maggio del 1966. Alle dipendenze dell’azienda di via San Bartolomeo era rimasto fino al 31 gennaio del 1991, prima che la Battisti divenisse una società per azioni e si trasferisse nel moderno magazzino dei Dossarelli di Le Mose. Una volta andato in pensione, Lazzarini decide di mettere in pratica quello che pensava da sempre.«Ho lavorato prima nel magazzino interno - racconta - poi come commesso viaggiatore esterno. Del ragionier Ugo ho un bellissimo ricordo: era un uomo molto educato, molto attento alle persone, quasi timido, aveva sempre quel tratto fine e delicato, un gran signore». «Non ho mai ricevuto un rimprovero - ricorda - e pensare che in quel periodo (negli anni Settanta, ndr) c’era un movimento sindacale che si svegliava e prendeva certe posizioni nei confronti dei padroni». Ma alla Battisti, continua don Luigi, l’atmosfera era più rilassata: «L’obiettivo dei sindacati era la categoria degli imprenditori, non le singole persone. Nei riguardi del ragionier Battisti c’è sempre stata la massima stima e simpatia, ha dato lavoro a tanti. In quell’epoca eravamo più di settanta». Del suo vecchio principale ricorda la generosità: «Ai piccoli commercianti riforniva merce a credito lunghissimo; ha aiutato tanta gente». Quasi certamente la figura del ragionier Battisti ha accompagnato il commesso viaggiatore Luigi Lazzarini nella scelta della vita. «Ho fatto il cammino del diaconato permanente sotto il vescovo Antonio Mazza, a Monari ho chiesto se potevo fare un passo in avanti e lui ha detto di sì. Così, dopo il corso di teologia aperto anche ai laici al Collegio Alberoni, un anno e mezzo di preparazione a Bedonia con monsignor Lino Ferrari, sono stato ordinato sacerdote il 3 ottobre del ’98 nel santuario di Bedonia». «Sono profondamente convinto che la nostra esistenza sia composta da tante tessere, una sorta di mosaico - ci pensa su don Luigi -. Alla Battisti il mio lavoro mi piaceva, i padroni mi volevanio bene, poi mi sono chiesto che senso avesse la mia vita».
Federico Frighi

Venezia, la maratona parte con Africa Mission


Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo a ExpoSport e Venice Marathon
AL VIA L’AVVENTURA VENETA


Piacenza - Si è inaugurata ieri nel cuore del Parco San Giuliano di Mestre, la fiera ExpoSport legata alla Maratona di Venezia: protagonista dell’angolo della solidarietà, l’associazione piacentina Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo, presente con lo stand realizzato dagli studenti del liceo artistico Cassinari (foto a fianco).
La manifestazione, che ogni anno accoglie migliaia di visitatori, permetterà all’organizzazione fondata da don Vittorione, ormai partner “sociale” consolidato di Venice Marathon, di promuovere l’iniziativa “Run for Water, Run for Life” – “Corri per l’acqua, corri per la vita”.
E’ infatti in corso la campagna di raccolta fondi per la realizzazione di nuove strutture idriche nella più arida regione ugandese, il Karamoja: fino a sabato 3 novembre, sarà possibile donare 1 euro mandando un sms al numero
48583
da telefoni cellulari Tim, Vodavone, Wind e Tre, nonché da telefoni fissi Telecom Italia abilitati all’invio di messaggi. Con una chiamata allo stesso numero, sempre dal fisso Telecom Italia, si potranno donare ben 2 euro.
Presso lo stand di Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo ad ExpoSport, nonché alla partenza e al traguardo della maratona, che si correrà domenica 28 ottobre, con un’offerta sarà possibile avere i “braccialetti dell’amicizia” realizzati da una comunità di persone disabili a Kampala, capitale dell’Uganda, nonché le magliette colorate dal logo “Run for Water, Run for Life”.
I giornalisti interessati a contattare gli operatori piacentini di Cooperazione e Sviluppo presenti a Venezia possono chiedere ulteriori informazioni alla sede di via Talamoni 1/f a Piacenza (0523-499424) o telefonare ai seguenti numeri: 3392431754 – 3204784987 – 3204785085.

giovedì 25 ottobre 2007

La lettera di congedo dell'arcivescovo Piero Marini


Città del Vaticano, 1° ottobre 2007

Reverendissimo Signore,

Nel lasciare la direzione dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice sento il dovere di ringraziare anzitutto la Divina Provvidenza per la singolare esperienza liturgica che mi ha concesso di vivere per quasi 21 anni a servizio del Successore dell’Apostolo Pietro, dopo i 22 anni, non meno straordinari, trascorsi nei vari organismi della Curia Romana che hanno guidato l’attuazione della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II.

Quelli al servizio diretto del Papa sono stati gli anni centrali e più impegnativi della mia vita umana e sacerdotale: dai 45 anni appena compiuti quando tutti gli orizzonti mi erano aperti, a poco prima dei 66.

Gettando uno sguardo sul cammino percorso, ringrazio il Signore che mi ha chiamato a vivere un ministero particolare nella Chiesa di Dio. Anzitutto per essere stato al servizio immediato del Successore di Pietro nella celebrazione dei Santi Misteri: prima, del Servo di Dio Giovanni Paolo II per ben 18 anni e successivamente dell’attuale Pontefice Benedetto XVI per i primi intensi due anni e mezzo di inizio del Pontificato. È stata una esperienza ecclesiale che mi ha permesso di sperimentare la presenza nella Chiesa di oggi dell’ombra di Pietro: Egli infatti nei Suoi Successori continua ad annunciare la parola evangelica e a celebrare i Sacramenti nella Chiesa di Roma e nelle diverse comunità dei fedeli sparse in tutto il mondo. È stata una esperienza ecclesiale unica e irripetibile, basta pensare agli 80 viaggi internazionali da me compiuti due volte, senza contare i viaggi in Italia. Nessuna esperienza liturgica del nostro tempo è paragonabile per la varietà degli eventi salvifici commemorati, per la diversità dei luoghi della celebrazione, per la molteplicità delle situazioni e delle soluzioni, per il numero delle persone incontrate, per la composizione delle assemblee, per la diversità delle tradizioni e delle radici culturali, a quella vissuta in questi anni di servizio alla cattedra di Pietro.

Insieme con il Successore di Pietro, in questi anni ho imparato ad amare la liturgia della Chiesa, che ritengo con la fede, il dono più grande ricevuto che dà un senso al mio vivere umano e sacerdotale in questo mondo.

La provvidenza mi chiama tuttavia a guardare avanti. In questo sguardo, che appartiene ormai alla mia anzianità, mi consola la prospettiva di continuare ad occuparmi della celebrazione dei Santi Misteri nella Chiesa. Ogni volta che celebro infatti sento che il mio essere è in comunione con la vita: ogni volta la luce del Risorto illumina e riscalda il cuore, gli occhi lo riconoscono e brillano nella gioia e nella pace dello Spirito Santo.

Al termine di questi pensieri suggeriti dal cuore, desidero ringraziare i due Sommi Pontefici che ho avuto la grazia di servire come Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Anzitutto il Servo di Dio Giovanni Paolo II, il quale mi ha nominato a 43 anni Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino, due anni dopo mi ha affidato la responsabilità delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie e nel 1998 mi ha imposto le mani nella Ordinazione episcopale.

Lo ringrazio per aver sempre favorito lo sviluppo dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche: ne ha stabilito l’autonomia giuridica, ha promosso e dato la Sua approvazione all’aggiornamento delle celebrazioni della liturgia papale, e infine, a Roma, e soprattutto nelle innumerevoli comunità visitate in tutto il mondo, ha accolto e approvato con convinzione le proposte di adattamento alle diverse culture nello spirito del Concilio Vaticano II. Durante il suo Pontificato le celebrazioni papali sono così diventate per le Chiese particolari un punto di riferimento sicuro per riconoscere il volto della liturgia quale l’ha voluta il Concilio. In realtà Giovanni Paolo II non era un esperto di liturgia in senso tecnico, ma si è affidato al Suo Maestro e con il Suo entusiasmo pastorale per l’evangelizzazione è diventato nella Chiesa l’interprete più autorevole e l’esecutore più tenace della liturgia del Vaticano II. Per questo sento il dovere di dire grazie a Lui che celebra ora nella Comunione dei Santi la Liturgia della Gerusalemme celeste.

Un filiale e particolare ringraziamento rivolgo anche al Papa Benedetto XVI che, appena eletto, mi ha voluto confermare come Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie. In verità per me non è stata una esperienza del tutto nuova perché ero già stato Suo cerimoniere agli inizi del cardinalato. Anche per questo fin dal primo momento mi sono sentito accolto da Papa Benedetto come un figlio. In lui ho potuto conoscere, con mia viva soddisfazione, non solo un Professore ma un Papa esperto in liturgia. Non potrò mai dimenticare l’emozione avuta nel trovarmi solo con lui nella Cappella Sistina subito dopo la Sua elezione, l’emozione provata durante lo svolgimento dei Riti di Inizio del Suo ministero petrino. Essi mi rimangono fissati nella memoria e nel cuore perché ritengo siano l’icona più completa e più riuscita che la liturgia ha dato della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Grazie, Papa Benedetto, per aver approvato tali riti e per averli celebrati con il popolo Santo di Dio. Grazie infine per avermi dato, al termine del mio servizio di Maestro, un nuovo incarico che mi permette di continuare ad occuparmi da vicino delle celebrazioni dell’Eucaristia nella Chiesa di Dio. Sarà per me più facile continuare a sentire la Sua vicinanza amica e paterna.

Desidero ringraziare infine tutte le persone che in questi anni mi hanno aiutato a svolgere meglio il mio servizio nelle celebrazioni liturgiche pontificie: il personale dell’Ufficio, i Cerimonieri pontifici, i Consultori, il personale di vari enti della Santa Sede e tanti altri collaboratori in Roma, nelle diocesi italiane e nelle chiese particolari del mondo intero. Senza di essi non mi sarebbe stato possibile vivere la meravigliosa esperienza ecclesiale nelle celebrazioni pontificie.

A tutti un grazie di cuore per l’aiuto e per la testimonianza di fede ricevuta.


† Piero Marini

De Scalzi sempre più vicino a Piacenza

da Libertà, 25 ottobre 2007

Salgono le quotazioni di monsignor Erminio De Scalzi come successore del vescovo Luciano Monari alla guida della diocesi di Piacenza-Bobbio. A quanto si è appreso, ieri ci sarebbe stata una riunione decisiva in Vaticano alla Congregazione per i vescovi, guidata dal cardinale Giovanni Battista Re. Mancherebbe solo un “timbro” per il via libera a monsignor De Scalzi come nuovo vescovo di Piacenza. L’annuncio della nomina da parte di Benedetto XVI sarebbe quindi imminente. Se tutto va secondo le previsioni i giorni giusti potrebbero essere lunedì o martedì della settimana prossima. Diversamente, si dovrà attendere la settimana tra lunedì 5 e domenica 11 novembre, poiché occorre lasciar passare le festività di Ognissanti e del giorno dei Morti, durante le quali è decisamente improbabile l’annuncio di nomine. Se il nome di De Scalzi dovesse essere quello giusto, trattandosi di un prelato già vescovo, non occorrerebbe nessuna cerimonia di consacrazione e dunque si potrebbe parlare di un’entrata nella diocesi di Piacenza-Bobbio e relativa “presa di possesso” attorno all’8 dicembre. Nato a Saronno, arcidiocesi di Milano, il 6 settembre 1940, monsignor Erminio De Scalzi ha quindi 67 anni. Ordinato presbitero il 27 giugno 1964, è stato eletto alla chiesa titolare di Arbano e nominato ausiliare di Milano l’11 maggio 1999. È stato consacrato vescovo il 19 giugno 1999 dal cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini assieme al cardinale Attilio Nicora e al vescovo Giovanni Giudici. Di Martini è stato anche il segretario personale. Attualmente è l’abate della basilica di Sant’Ambrogio e vescovo ausiliare per la zona 1 di Milano, il cuore della città. Il nome di De Scalzi è uscito nelle ultime settimane dopo che il principale candidato per Piacenza-Bobbio, monsignor Gianni Ambrosio, è stato dirottato nella terna per il posto di assistente nazionale dell’Azione Cattolica dal cardinale Tarcisio Bertone.

Cotrebbia, cambia il parroco

Comunicato della Cancelleria vescovile



L’Amministratore Apostolico, cui sono concesse dalla Santa Sede le facoltà del vescovo diocesano, in data 17 ottobre ha nominato:

Il M.R. Pierluigi Dallavalle, Amministratore parrocchiale della parrocchia di San Pietro Apostolo in Cotrebbia Nuova, Comune di Calendasco, Provincia di Piacenza, dichiarata vacante in seguito alla scadenza del mandato dell’ultimo titolare M. R. Fontanella don Giuseppe. Mantiene i precedenti incarichi.

Con atto proprio nella rispettiva data l’Amministratore Apostolico ha nominato il M. R. Musso don Emanuele Massimo vicario parrocchiale della parrocchia di Sant’Antonino martire in Borgo Val di Taro, Provincia di Parma.
Piacenza, dalla Curia Vescovile,

19 ottobre 2007-10-19

il Cancelliere Vescovile
don Mario Poggi

mercoledì 24 ottobre 2007

Matrimonio, la riforma di Busani

Avviso ai naviganti: questo è un testo del 2004

che inserisco nell'archivio del blog


Il rito del matrimonio parla piacentino


da Libertà, 25 maggio 2004


Non più «ti prendo come mia sposa» ma «accolgo te come mia sposa». Parla piacentino la “riforma” del rito del matrimonio cattolico che sarà operativa dal prossimo autunno. “Padre” della piccola rivoluzione è monsignor Giuseppe Busani, sacerdote della diocesi di Piacenza-Bobbio prestato nel '97 a Roma dove è divenuto direttore dell'Ufficio Liturgico nazionale della Conferenza Episcopale Italiana. Dallo scorso febbraio monsignor Busani è anche vicario episcopale del vescovo Luciano Monari con la delega per la pastorale. «La parola chiave è adattamento del rito del matrimonio - precisa monsignor Busani dal suo studio romano -; è lasciato alle varie conferenze episcopali il compito di tradurre il testo latino e la possibilità di adattarlo alle mutate realtà nazionali». Ed è proprio quello che la Cei ha fatto con il matrimonio. Una riforma che si presenta come il fiore all'occhiello dei sette anni di Busani a Roma. Il monsignore tra un mese lascierà ufficialmente l'incarico alle dirette dipendenze del cardinale Ruini - il suo sostituto è già stato nominato - per rientrare a tempo pieno nella diocesi piacentina.
«Se tutto va bene il rito nuovo sarà stampato alla fine di autunno ed entrerà in vigore con il prossimo avvento: a fine novembre od inizio dicembre». Una fatica durata sette anni di lavoro. Busani ha coordinato le proposte dei vari studiosi di pastorale matrimoniale e biblisti italiani. La prima bozza di documento è poi passata al vaglio dei vescovi che hanno presentato i vari emendamenti. Infine è arrivato il benestare del Vaticano. «E' stato il frutto di un grande dialogo che ha coinvolto a vari livelli la Chiesa italiana» spiega Busani. Ma perché la necessità di adattare il momento del sì? «Per un'attenzione rispettosa della situazione di fede e di vita di coloro che chiedono il matrimonio - evidenzia -. Attualmente in Italia il numero dei battezzati è ancora maggioritario ma, se da un lato sono una minoranza coloro che fanno un cammino di fede e di preparazione al sacramento, dall'altro tutti hanno diritto al matrimonio cattolico». Il vecchio rito poi, secondo Busani, non risultava totalmente espressivo del percorso seguito dai cosiddetti “praticanti”, per i quali è stato particolarmente arricchito. Prima di tutto nel rinnovamento del linguaggio. “Accolgo e non prendo”. «Oggi prendere nell'accezione comune significa comperare, rapire, afferrare, dà l'idea del possesso. Accolgo fa invece percepire che siamo davanti ad un'altra persona la quale deve essere vista come un dono, un dono che proviene da Dio». Subito dopo è la volta della promessa che non è più frutto solo della volontà del singolo ma della grazia del Signore. Con il secondo capitolo della “riformina” «viene data la possibilità del matrimonio anche a coloro che non hanno seguito un percorso di chiesa: non c'è la comunione ma solo la liturgia della Parola. E' un matrimonio in vista dell'eucarestia, non a caso agli sposi viene consegnata la Bibbia». La scelta di questo rito viene fatta insieme da sposi e sacerdoti. E' il rito tipico, ad esempio, tra cristiani e protestanti. Il terzo capitolo prevede il matrimonio tra battezzati e non battezzati. Ad esempio con ebrei, musulmani, induisti. «La caratteristica è l'essenzialità. La liturgia della parola è più sobria».

Federico Frighi

Diocesi, monsignor Ferrari si presenta

Diocesi, nominato il reggente
Monsignor Ferrari nuovo amministratore

da Libertà, 24 ottobre 2007

Monsignor Lino Ferrari è il nuovo amministratore della diocesi di Piacenza-Bobbio. Lo ha eletto ieri mattina il collegio dei consultori riunitosi nel salone degli affreschi al primo piano della Curia. Monsignor Ferrari, 60 anni, ex vicario generale - assume le funzioni di reggente dopo la partenza del vescovo Luciano Monari. Rimarrà in carica durante la vacanza della diocesi, fino alla presa di possesso del nuovo vescovo diocesano e potrà svolgere solo funzioni di ordinaria amministrazione. Per governare la Chiesa piacentino-bobbiense si avvarrà del collegio dei consultori: dieci sacerdoti (compreso monsignor Ferrari) che rappresentano una sorta di parlamentino provvisorio. Tutti gli altri organi - il consiglio presbiterale e quello pastorale -, con la decadenza di monsignor Monari da vescovo prima e da amministratore apostolico poi, sono considerati sciolti. Il collegio dei consultori è attualmente composto da monsignor Lino Ferrari, monsignor Giuseppe Busani, monsignor Aldo Maggi, monsignor Gianni Vincini, monsignor Giuseppe Illica, don Gianrico Fornasari, don Piero Lezoli, don Luigi Bavagnoli, don Silvio Pasquali, don Giuseppe Rigolli.Appena eletto, ieri mattina, l’amministratore diocesano monsignor Ferrari - come prevede il codice di diritto canonico - ha emesso nella cappella vescovile la professione di fede. Dell’avvenuta elezione il cancelliere vescovile don Mario Poggi ha dato comunicazione al cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, a monsignor Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, a monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, a monsignor Benito Cocchi, arcivescovo e metropolita di Modena, sotto la cui giurisdizione dipende la diocesi di Piacenza-Bobbio. Successivamente è stata data comunicazione anche al prefetto di Piacenza, Alberto Ardia. Infine, con un comunicato stampa, è stata informata la comunità diocesana. «Ho accolto questa nomina con un po’ di trepidazione - confessa monsignor Ferrari davanti ai microfoni - per me è un’esperienza nuova, quello che mi dà conforto è la presenza dei miei collaboratori, soprattutto di monsignor Busani, con il quale abbiamo condiviso in questi anni la vicinanza al vescovo Monari». Ferrari non nasconde affatto il peso della responsabilità in un momento come questo: «Rivivo un po’ quell’ansia (credo sia naturale) che provavo, appena nominato vicario, quando il vescovo si assentava per una settimana per predicare gli esercizi spirituali o per andare alla Cei. Poi mi sono abituato». Oggi la situazione è però decisamente cambiata: «Allora lui c’era e potevo raggiungerlo per telefono. Oggi non c’è e la responsabilità è sulle mie spalle. Accetto comunque serenamente questo incarico con spirito di servizio». «A ciascuno dei figli della nostra Chiesa piacentino-bobbiese - continua - chiedo il conforto della preghiera; per tutti assicuro il ricordo nella celebrazione dell’eucaristia». Don Lino, anche da amministratore diocesano, non cambierà le proprie abitudini: «Al mattino in Curia per ricevere i laici e i sacerdoti e per coordinare gli uffici. Di pomeriggio e nelle giornate festive nei vari punti della diocesi per le celebrazioni».La prima uscita ufficiale da capo provvisorio della diocesi sarà domenica mattina ad Agazzano per la festa delle famiglie; al pomeriggio accompagnerà l’ingresso del nuovo parroco di Metti, don Franco Cattivelli. Il lavoro quotidiano dell’amministratore diocesano è finalizzato all’arrivo del nuovo vescovo. «Prepariamoci all’arrivo del nuovo pastore - esorta - non tanto con il totovescovo ma chiedendoci che cosa dobbiamo cambiare per essere davvero una buona famiglia quando sarà il momento di accoglierlo». Sui tempi, monsignor Ferrari non si sbilancia: «Speravamo che l’annuncio venisse dato in questi giorni. Il nostro auspicio è che il nuovo pastore possa arrivare entro Natale».

Federico Frighi

Il profilo di monsignor Lino Ferrari

Dalla Val Taro ai vertici della Chiesa piacentina

da Libertà, 24 ottobre 2007

Monsignor Lino Ferrari è originario di Albareto (Parma) dove è nato il 18 dicembre 1947; ha completato i suoi studi al Collegio Alberoni ed è stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1971 a Bedonia. Subito ha iniziato il proprio servizio pastorale come curato nella parrocchia cittadina del Preziosissimo Sangue; il 1° ottobre 1977 è stato nominato direttore spirituale del seminario di Bedonia e curato nella parrocchia dello stesso centro; nel 1981 gli è stato affidato l’incarico di pro-rettore del seminario di Bedonia; cappellano di Sua Santità il 16 giugno 1994 (con il titolo di monsignore), il 30 giugno 1997 come parroco in solido è stato chiamato alla guida della parrocchia cittadina di Nostra Signora di Lourdes. Nel 1999 il vescovo Luciano Monari gli ha affidato anche la responsabilità del Centro Diocesano Vocazionale e il 23 gennaio 2004, sempre monsignor Monari, lo ha nominato vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio in sostituzione di monsignor Antonio Lanfranchi, eletto vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina. Dal 21 dicembre 2004 è canonico della cattedrale. Sacerdote umile, pacato, è stato docente di religione alle scuole medie inferiori. A Bedonia ha ristrutturato il seminario vescovile rendendolo un punto di riferimento per le popolazioni non solo della Valtaro che, pur essendo in provincia di Parma, è diocesi di Piacenza-Bobbio.

I poteri dell'amministratore diocesano


Dall'ordinarietà agli archivi segreti
La nomina di monsignor Lino Ferrari


da Libertà, 24 ottobre 2007


Che cosa può fare l’amministratore diocesano? Lo spiega il cancelliere della diocesi di Piacenza-Bobbio, don Mario Poggi. «Assume la potestà ordinaria e propria sulla diocesi dal momento dell’accettazione della sua elezione - fa sapere -. Da tale potestà è da ritenersi escluso tutto ciò che non gli compete per la natura delle cose o per disposizione del diritto».«Appena eletto, deve emettere la professione di fede davanti al collegio dei consultori. Dell’avvenuta elezione viene data comunicazione alla Santa Sede, alla nunziatura apostolica in Italia, alla presidenza della Conferenza episcopale italiana, al metropolita. Dal momento in cui ha assunto la guida della diocesi, l’amministratore è tenuto a tutti gli obblighi del vescovo diocesano, in particolare deve osservare la legge della residenza in diocesi ed applicare ogni domenica e nei giorni di precetto la messa per il popolo». «Nel periodo in cui regge la diocesi è membro della Conferenza episcopale italiana con voto deliberativo, ad eccezione delle dichiarazioni dottrinali».Ancora: «Un noto brocardo giuridico recita “sede vacante nihil innovetur”, pertanto tale principio sembra guidare l’operato dell’amministratore diocesano, il quale deve garantire la gestione ordinaria della diocesi, senza compiere atti che potrebbero rivelarsi pregiudizievoli per la diocesi stessa e per il vescovo diocesano. Pertanto l’amministratore diocesano può confermare o istituire i presbiteri che siano stati legittimamente eletti o presentati per una parrocchia. Solo dopo un anno di sede vacante può nominare i parroci, ma non può affidare parrocchie ad un istituto religioso o società di vita apostolica. Può amministrare la cresima e può concedere ad un altro presbitero la facoltà di amministrarla. L’amministratore diocesano può rimuovere, per giusta causa, i vicari parrocchiali». «I limiti della potestà dell’amministratore diocesano si ravvisano nell’obbligo di custodire con particolare diligenza i documenti della Curia diocesana, senza modificarne, distruggerne o sottrarne alcuno. Con la stessa diligenza vigili affinché nessun altro possa manomettere gli archivi della Curia. Soltanto in caso di vera necessità può aver accesso all’archivio segreto della Curia. Con il consenso del collegio dei consultori può concedere le lettere dimissorie per l’ordinazione di diaconi e presbiteri, se queste non furono negate dal vescovo diocesano. Non può concedere l’escardinazione e l’incardinazione e nemmeno concedere la licenza ad un chierico di trasferirsi in un’altra diocesi, a meno che non sia trascorso un anno dalla vacanza della sede e abbia il consenso del Collegio dei consultori. Non può convocare un Sinodo diocesano. Non può rimuovere il vicario giudiziale, ma può rimuovere il cancelliere della Curia soltanto con il consenso del collegio dei consultori. Non può conferire canonicati sia nel Capitolo cattedrale sia in quello collegiale. La cessazione dell’ufficio dell’amministratore diocesano si verifica con la presa di possesso da parte del nuovo vescovo».

martedì 23 ottobre 2007

Monsignor Lino Ferrari amministratore diocesano


Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa



Mons. Lino Ferrari da oggi
Amministratore diocesano
della diocesi di Piacenza-Bobbio


Questa mattina, alle ore 10, nella sala degli Affreschi di Palazzo Vescovile, si è riunito il Collegio dei Consultori per eleggere l’Amministratore Diocesano essendo da ieri scaduto il mandato di Amministratore Apostolico affidato dal Papa a mons. Luciano Monari ed essendo, di conseguenza, la diocesi “vacante”. La scelta è caduta sul vicario generale mons. Lino Ferrari che resterà in carica fino all’ingresso (e presa di possesso) del nuovo Vescovo.
Il Collegio dei Consultori, che tra i compiti ha anche quello provvedere alla nomina dell’Amministratore diocesano nel caso la Santa Sede non abbia provveduto alla nomina di un Amministratore Apostolico, è composto da mons. Lino Ferrari, mons. Giuseppe Busani, mons. Aldo Maggi, mons. Gianni Vincini, mons. Giuseppe Illica, don Gianrico Fornasari, don Piero Lezoli, don Luigi Bavagnoli, don Silvio Pasquali, don Giuseppe Rigolli.
Appena eletto, alla presenza del Collegio dei Consultori, l’Amministratore diocesano mons. Lino Ferrari – come prevede il Codice - ha emesso nella cappella vescovile la professione di fede. Dell’avvenuta elezione il cancelliere vescovile don Mario Poggi ha dato comunicazione alla Congregazione dei Vescovi, alla Nunziatura Apostolica in Italia, alla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, al Metropolita. E’ stata data comunicazione anche alla Prefettura di Piacenza. Ora, con questo comunicato, viene informata la Comunità diocesana.

NOTA BIOGRAFICA. Mons. Lino Ferrari è originario di Albareto (Parma) dove è nato il 18 dicembre 1947; ha completato i suoi studi al Collegio Alberoni ed è stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1971 a Bedonia. Subito ha iniziato il proprio servizio pastorale come curato nella parrocchia cittadina del Preziosissimo Sangue; il 1° ottobre 1977 è stato nominato direttore spirituale del Seminario di Bedonia e curato nella parrocchia dello stesso centro; nel 1981 gli è stato affidato l’incarico di pro-rettore del seminario di Bedonia; cappellano di S. Santità il 16 giugno 1994 (con il titolo di monsignore), il 30 giugno 1997 come parroco in solido è stato chiamato alla guida della parrocchia cittadina di N.S. di Lourdes. Nel 1999 il Vescovo gli ha affidato anche la responsabilità del Centro Diocesano Vocazionale e il 23 gennaio 2004, sempre mons. Monari, lo ha nominato Vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio in sostituzione di mons. Antonio Lanfranchi, eletto vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina. Dal 21 dicembre 2004 è canonico della cattedrale.

UN PRIMO COMMENTO. Mons. Lino Ferrari, al termine della riunione del Collegio dei Consultori, ha così commentato la sua elezione ad Amministratore Diocesano:

“Per i miei Confratelli sacerdoti è il primo pensiero, dopo aver ricevuto l’incarico di Amministratore Diocesano, che accetto serenamente in spirito di servizio
“Il Vescovo Luciano, che abbiamo salutato con affetto e gratitudine, nell’omelia di domenica ci ha confidato: ‘Il mio primo impegno, quello che mi sta più a cuore, è stato per la comunione del Presbiterio’. Un impegno che ho condiviso e che mi auguro manifesti i suoi frutti in questo periodo di attesa del nuovo Pastore. Un tempo prezioso, inoltre, anche se speriamo breve, per crescere nell’unità come comunità diocesana in tutte le sue componenti.
“A ciascuno dei figli della nostra Chiesa piacentino-bobbiese chiedo il conforto della preghiera; per tutti assicuro il ricordo nella celebrazione dell’Eucaristia”.


I COMPITI DELL’AMMINISTRATORE DIOCESANO. Da un articolo del cancelliere vescovile don Mario Poggi, pubblicato da “Il Nuovo Giornale” il 19 ottobre scorso, riprendiamo il passaggio che precisa i compiti dell’Amministratore Diocesano:

“L’Amministratore diocesano assume la potestà ordinaria e propria sulla diocesi dal momento dell’accettazione della sua elezione. Da tale potestà è da ritenersi escluso tutto ciò che non gli compete per la natura delle cose o per disposizione del diritto.
Appena eletto, l’Amministratore deve emettere la professione di fede davanti al Collegio dei consultori. Dell’avvenuta elezione viene data comunicazione alla Santa Sede, alla Nunziatura Apostolica in Italia, alla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, al Metropolita.
Dal momento in cui ha assunto la guida della diocesi, l’Amministratore è tenuto a tutti gli obblighi del vescovo diocesano, in particolare deve osservare la legge della residenza in diocesi ed applicare ogni domenica e nei giorni di precetto la Messa per il popolo. Nel periodo in cui regge la diocesi è membro della Conferenza Episcopale Italiana con voto deliberativo, ad eccezione delle dichiarazioni dottrinali.
Un noto brocardo giuridico recita “sede vacante nihil innovetur”, pertanto tale principio sembra guidare l’operato dell’Amministratore diocesano, il quale deve garantire la gestione ordinaria della diocesi, senza compiere atti che potrebbero rivelarsi pregiudizievoli per la diocesi stessa e per il vescovo diocesano. Pertanto l’Amministratore diocesano può confermare o istituire i presbiteri che siano stati legittimamente eletti o presentati per una parrocchia. Solo dopo un anno di sede vacante può nominare i parroci, ma non può affidare parrocchie ad un Istituto religioso o Società di vita apostolica. Può amministrare la Cresima e può concedere ad un altro presbitero la facoltà di amministrarla.
L’Amministratore diocesano può rimuovere, per giusta causa, i vicari parrocchiali.
I limiti della potestà dell’Amministratore diocesano si ravvisano nell’obbligo di custodire con particolare diligenza i documenti della Curia diocesana, senza modificarne, distruggerne o sottrarne alcuno. Con la stessa diligenza vigili affinché nessun altro possa manomettere gli archivi della Curia. Soltanto in caso di vera necessità può aver accesso all’Archivio segreto della Curia.
Con il consenso del Collegio dei consultori può concedere le lettere dimissorie per l’ordinazione di diaconi e presbiteri, se queste non furono negate dal Vescovo diocesano. Non può concedere l’escardinazione e l’incardinazione e nemmeno concedere la licenza ad un chierico di trasferirsi in un’altra diocesi, a meno che non sia trascorso un anno dalla vacanza della sede e abbia il consenso del Collegio dei consultori. Non può convocare un Sinodo diocesano. Non può rimuovere il vicario giudiziale, ma può rimuovere il Cancelliere della Curia soltanto con il consenso del Collegio dei consultori. Non può conferire canonicati sia nel Capitolo cattedrale sia in quello collegiale.
La cessazione dell’ufficio dell’Amministratore diocesano si verifica con la presa di possesso canonico della diocesi da parte del nuovo Vescovo, ovviamente si applica la normativa dettata dal Codice di Diritto Canonico in merito alle cause della cessazione di ogni ufficio ecclesiastico”.

Da oggi la diocesi è sede vacante

Scaduto il mandato di Monari, per il successore si avvicina il giorno dell'annuncio.
De Scalzi favorito
Da oggi la diocesi "sede vacante"
Amministratore, si vota per la nomina di don Ferrari

da Libertà, 23 ottobre 2007

Questa mattina nel salone al primo piano della Curia il collegio dei consultori, sotto la presidenza del membro più anziano - don Gianrico Fornasar - nomina l’amministratore pro tempore della diocesi di Piacenza-Bobbio. Salvo colpi di scena, sarà l’ex vicario generale, monsignor Lino Ferrari. Guiderà la diocesi fino all’entrata del nuovo vescovo. Da ieri, con la scadenza del mandato di amministratore apostolico ricoperto da monsignor Luciano Monari, la Chiesa piacentina è ufficialmente sede vacante. Intanto sembra superato l’“ingorgo istituzionale” destinato a far slittare di qualche giorno l’annuncio del nuovo vescovo inizialmente previsto per giovedì prossimo.
Per l’elezione dell’amministratore diocesano, i componenti del collegio dei consultori si ritroveranno in Curia questa mattina alle 10 in punto. Il consiglio è formato da dieci sacerdoti ed è presieduto da don Gianrico Fornasari, parroco di Groppallo, con i suoi 72 anni il più anziano dei consultori. Voteranno, a scrutinio segreto, monsignor Lino Ferrari (ex vicario generale), monsignor Giuseppe Busani (ex vicario episcopale per la pastorale), monsignor Giovanni Vincini (parroco di Fiorenzuola), monsignor Aldo Maggi (ex vicario episcopale e parroco di Santa Maria Assunta, a Bobbio), don Piero Lezoli (ex vicario episcopale e rettore del santuario della Madonna di San Marco, a Bedonia), don Luigi Bavagnoli (rettore del seminario urbano), monsignor Giuseppe Illica (parroco di Castelsangiovanni), don Silvio Pasquali (vicario parrocchiale di San Lazzaro), don Giuseppe Rigolli (parroco di Castellarquato). Intanto appaiono più chiari i retroscena del probabile rinvio dell’annuncio del nuovo vescovo. Monsignor Gianni Ambrosio, assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica, fino a due settimane fa era effettivamente il più papabile per la diocesi di Piacenza-Bobbio. La virata verso altri lidi sarebbe opera del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, conterraneo di Ambrosio (entrambi provenienti dalla diocesi di Vercelli) e suo grande estimatore. I nuovi lidi sarebbero lontani da Piacenza: in particolare Roma, in via Conciliazione, dove Ambrosio è il candidato di Bertone per il posto di assistente nazionale dell’Azione Cattolica. Nuovamente “scoperta” la sede di Piacenza-Bobbio, occorreva un altro candidato che rispettasse le indicazioni emerse dalle consultazioni diocesane chiusesi lo scorso 22 settembre. Il successore di Monari doveva essere un vescovo non di prima nomina o comunque una persona esperta anche da un punto di vista del governo pastorale di una diocesi. Ecco riprendere dunque quota il nome di monsignor Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare di Milano, abate di Sant’Ambrogio, “martiniano” della prima ora, sulla medesima linea del vescovo Monari. Un nome che circolava sin dalla fine di agosto. De Scalzi, 67 anni, viene ritenuto un vescovo concreto e di polso, l’ultimo dei fedelissimi al cardinale Carlo Maria Martini, oggi sotto la guida del cardinale Dionigi Tettamanzi. A monsignor De Scalzi, come scrivevamo ieri, sarebbero state prospettate le diocesi di Parma e quella di Piacenza-Bobbio. La sua preferenza sarebbe andata per quest’ultima.Naturalmente il condizionale è sempre d’obbligo. Soprattutto perché, se la nomina - come pare - è già stata decisa, a ieri mattina nessuna comunicazione, neppure informale, è arrivata alla Curia di Piacenza. I colpi di scena, quando c’è di mezzo il segreto pontificio, sono sempre dietro l’angolo.
Federico Frighi