venerdì 25 marzo 2011

L'Unità d'Italia vista da Scalabrini

Nel 150° dell'Unità d'Italia si può festeggiare l'Italia unita rifacendosi alla società di oggi e rivivendo il passato solo come un ricordo sbiadito, oppure si può festeggiare andando a rivedere che cosa è veramente accaduto 150 anni fa. Se si sceglie la seconda opzione, chi è cattolico scopre che c'è poco da festeggiare visto che l'Unità d'Italia venne vista in chiave anticattolica. Lo dice il cardinale Velasio De Paolis a Piacenza per i 50 anni di sacerdozio. Spiega anche l'unità d'Italia secondo il beato Giovanni Battista Scalabrini. Un pensiero d'inizio 900 che oggi sembra essere addirittura troppo avanti rispetto al contesto storico attuale.


«La patria non è fatta solo dagli italiani ma da tutti coloro che sono in Italia. Il beato Giovanni Battista Scalabrini ha invitato all'accoglienza dei migranti facendoli sentire all'interno di una comunità, operando per la costruzione di una comunità unita nel rispetto reciproco, non contro qualcuno o qualche cosa». Il cardinale Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, lo dice a Piacenza dove si trova per celebrare i 50 anni da sacerdote, suoi e di altri cinque confratelli scalabriniani. Una riflessione a margine della festa dei Missionari di San Carlo nella cattedrale dove per trent'anni fu vescovo il fondatore della congregazione e dove oggi è sepolto il beato Scalabrini. Sua eminenza ci tiene a mettere tutti i puntini sulle "i". «Centocinquanta anni fa Roma non apparteneva ancora all'Italia - dice mentre ripone i paramenti nella sacrestia del Duomo -. Da studioso non posso non osservare come l'unità che si celebra oggi si sia compiuta all'insegna dell'anticattolicesimo. Non si mette in discussione il valore unità d'Italia, ma l'animus con cui la si è cercata, un animus che non è ancora superato. Purtroppo». «L'unità degli italiani poi - continua -oggi non ha più senso. Viviamo in una cultura che non è più nazionale ma sovranazionale. In Italia oggi abbiamo parecchi milioni di immigrati. Questa è una cosa positiva. Dobbiamo abituarci a convivere ricordando che il nazionalismo è una brutta malattia. Quante guerre abbiamo fatto in nome dei nazionalismi. Un conto sono i valori etnici, un conto è l'assolutizzazione dei valori etnici. Il nazionalismo è una piaga, l'amore per la patria e suoi valori no». La messa per il Cinquantesimo è stata celebrata nella cappella del Santissimo Sacramento, accanto al sepolcro del beato Scalabrini. Altare davanti al quale il vescovo degli emigranti era solito sdraiarsi prono a pregare. «Nel 1961 eravamo in dodici ad essere ordinati sacerdoti nella chiesa di San Carlo, in via Torta. Oggi siamo rimasti in sette» evidenzia il cardinale De Paolis. «Sono felice di celebrare questo cinquantesimo nel luogo in cui Scalabrini ha vissuto ed è stato glorificato da Giovanni Paolo II» dice mentre indossa la casula che venne data proprio a papa Wojtyla. Durante la consacrazione, utilizzerà poi il calice che usava lo stesso Scalabrini. Ci sono i compagni di ordinazione e una quindicina di sacerdoti tra cui il parroco del Duomo, monsignor Anselmo Galvani, quello di San Paolo, monsignor Bruno Perazzoli, e, naturalmente, il superiore padre Gaetano Parolin.
Oltre al cardinale De Paolis, hanno celebrato il cinquantesimo anniversario di ordinazione padre Giovanni Baggio (inviato in Argentina), padre Lino Celeghin, padre Ermete Nazzani, padre Angelo Risoli. Padre Risoli e padre Nazzani sono entrambi piacentini (una vita rispettivamente in America Latina e Canada, in Australia e Stati Uniti). Cinquantanni di sacerdozio anche per padre Amerio Ferrari (piacentino) e per padre Domenico Rodighiero, assenti perchè ancora in missione in Belgio e negli Stati Uniti. «Abbiamo bisogno della parola di Dio - dice il cardinale - senza siamo smarriti nel mondo. Nel nostro cinquantesimo vogliamo dirgli grazie». «Si parla oggi di nuova evangelizzazione, sottolineando che forse c'è stato un periodo in cui l'evangelizzazione è mancata, perchè l'evangelizzazione è sempre nuova. Ecco la grande notizia che il sacerdote è sempre chiamato ad annunciare al mondo».
Federico Frighi


19/03/2011 Libertà