venerdì 9 novembre 2012

Nei Caduti c'è il volto di Dio

(fri) In cerca del senso della vita si trova la luce di Dio. Così incide sulla gavetta il soldato della guerra 15-18, così sperimenta Lev Tolstoj negli ultimi attimi della propria esistenza. Lo evidenzia il cappellano militare don Bruno Crotti nell'omelia per i Caduti nel giorno dedicato ai defunti, davanti al Famedio del cimitero urbano. «Tolstoj, ricco conte e filosofo - dice - si rivela un viandante inquieto in cerca di Dio e del senso della vita. A 82 anni scappa da casa, va a trovare, per la prima volta, la sorella monaca ortodossa. Rimane in monastero un giorno e mezzo interrogandosi su Dio e il senso della vita. Siamo nel novembre del 1910, fa molto freddo, e Tolstoj viene trovato morto in una stazioncina del treno».


«Siamo qui tra queste tombe - si domanda don Crotti - fra questa polvere, ma che senso ha la nostra esistenza, noi uomini siamo dei pellegrini o degli sventurati, siamo in cammino verso la luce o verso il buio del nulla? » «Cristo accende una luce di speranza e di vita nel tunnel della nostra esistenza - evidenzia il cappellano -. L'uomo non è uno sprovveduto, non è un viandante smarrito, l'uomo, anche se morto vivrà, lo ha garantito il Cristo. Siamo qui a ricordare i nostri Caduti che hanno dato la loro vita per la patria e meritano un particolare ricordo davanti a Dio. Un soldato della guerra del 15-18, ricordando i suoi commilitoni caduti incide su un pezzo di lamiera ricavato da una gavetta: "tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell'elmetto, tutti portavano l'insegna del supplizio nella croce della baionetta e nelle tasche il pane dell'ultima cena e nella gola il pianto dell'ultimo addio"».


03/11/2012 Libertà

Solidarietà per uscire dalla crisi


La cerimonia è quella di sempre con il picchetto del II° Reggimento Pontieri, le corone di alloro portate da agenti e militari in alta uniforme. L'altoparlante che diffonde in tutto il cimitero urbano i canti, le sacre scritture, l'omelia del cappellano militare don Bruno Crotti (si veda l'articolo a fianco). Il prefetto Antonino Puglisi, le autorità civili, religiose e militari, i labari delle associazioni combattentistiche e d'arma, la gente che passa e porta un fiore, una preghiera davanti alla tomba del proprio caro. Gesti e tradizioni che si ripetono sempre uguali ogni 2 novembre, come il corteo per la deposizione delle corone benedette sui sepolcri, tra gli altri, dei Ragazzi del Brentei, dei piacentini illustri, dei partigiani. E proprio davanti alla lapide che ricorda i partigiani fucilati nella Seconda Guerra Mondiale l'assessore Silvio Bisotti prende la parola per l'allocuzione ufficiale. All'ultimo momento sostituisce il sindaco Paolo Dosi, impegnato nella difficile trattativa con i facchini davanti al deposito Ikea. Un situazione triste e di tensione che si respira anche qui durante la commemorazione.

«Nel giorno in cui il ricordo e la preghiera di ciascuno sono rivolti ai propri cari defunti, a unirci con commossa partecipazione è la condivisione di una memoria collettiva scritta nella storia del nostro Paese - esordisce Bisotti -. E' un mosaico che ha il volto pulito dei giovani chiamati al fronte nella Grande Guerra, l'espressione fiera e dignitosa dei partigiani che hanno lottato per la libertà e la democrazia, lo sguardo carico di aspettative con cui sono partiti, per una missione all'estero, ragazzi come il caporal maggiore degli Alpini Tiziano Chierotti, ucciso pochi giorni fa in Afghanistan».

«Celebrare, oggi, l'omaggio ai Caduti, significa ripercorrere le tappe più dolorose del nostro cammino di popolo civile e consapevole dell'imprescindibile valore della pace - evidenzia Bisotti -. E domandarci ogni giorno se il nostro comportamento e le nostre scelte di cittadini - a cominciare da chi è impegnato in politica e nelle istituzioni - rendono onore al loro sacrificio».

Non può infatti esaurirsi nella solennità di una cerimonia «il doveroso tributo che spetta alle generazioni il cui coraggio, la cui etica dell'appartenenza a una comunità sono testimonianze di un'Italia nella quale vorremmo poter continuare a credere». Di quella stessa indomita tenacia, di quell'energia costruttiva e travolgente, «capace di sfidare la violenza brutale dell'ideologia nazifascista, fu interprete ciascuno dei 17 partigiani i cui nomi sono incisi nel marmo della lapide di fronte alla quale ci ritroviamo». «Oggi più che mai - prosegue - è necessario recuperare la straordinaria capacità di farsi carico del prossimo e di trascendere gli individualismi che rese possibile, in condizioni di indicibile difficoltà, disagio e miseria, la nascita del movimento di Liberazione. Le conseguenze della crisi economica ci chiamano ad essere partecipi dei problemi altrui, a contrastare ogni forma di indifferenza, a difendere i valori fondanti della nostra Repubblica dalla minaccia concreta di meccanismi che sembrano fagocitare, indiscriminatamente, le conquiste per le quali i nostri padri, i nostri nonni hanno dato se stessi. Penso in particolare al dramma del lavoro, alla mancanza di prospettive generata dalla disoccupazione, all'inaccettabile stillicidio degli incidenti dovuti alla mancata osservanza delle regole (come se sulla sicurezza si potesse risparmiare), allo sconforto che può trascinare in un baratro chi perde il proprio impiego. E', questa, una delle guerre forse più gravi nella società contemporanea, di fronte alla quale il ricordo di chi non c'è più, di chi è caduto con la consapevolezza di lottare per il bene comune si erge come un monito, come l'emblema di una solidarietà nella quale dobbiamo cercare la risposta più efficace, più incisiva alla crisi».

Federico Frighi

03/11/2012 Libertà