domenica 23 settembre 2007

Monari e anziani

«Gli anziani sono una ricchezza, la città ha bisogno di loro»
In Sant’Ilario il convegno “Non è più come una volta”.L’intervento del vescovo


da Libertà, 24 ottobre 1999

«La città ha bisogno degli anziani:
la loro presenza rappacifica
gli animi competitivi e
ridimensiona i problemi». A
parlare così è il vescovo Luciano
Monari che ha colto l’occasione
di un convegno in Sant’Ilario
per lanciare indirettamente
un messaggio a Piacenza
ed ai piacentini: degli anziani
non si può fare a meno;
può sembrare paradossale ma
sono loro portatori di promesse
e di speranze per il futuro.
Monsignor Monari è intervenuto
ieri mattina al convegno
“Non è più come una volta”
nell’ambito di El ventaglio del
tiempo, l’iniziativa di Caritas,
Centro missionario diocesano
e Movimento laici America latina,
che si propone di far riflettere
intorno all’incontro
fra generazioni diverse, popoli
e culture.
«Il termine ebraico che indica
la storia, etimologicamente,
fa riferimento al succedersi
delle generazioni ed assume in
sé una prospettiva futura - ha
spiegato il presule -. Abbiamo
bisogno del recupero della memoria,
altrimenti si rischia di
rimanere schiacciati dal presente
».
Un esempio significativo proviene
della cultura ebraica:
«Nella rito con cui ogni famiglia
ebraica celebra la Pasqua,
ad un certo punto della cena,
il più giovane della casa deve
domandare per quale motivo
si fa festa. Allora il più anziano
prende la parola e comincia
a raccontare la storia del popolo
d’Israele».
Il vescovo si è rivolto quindi
alla comunità perché il ruolo
della famiglia venga rispettato
anche nell’insegnamento
della dottrina cristiana: «Oltre
a quella scuola della parrocchia
che è il catechismo, si deve
riscoprire il racconto dell’anziano
come strumento educativo
all’interno della famiglia
». Il presule si è poi soffermato
sulla città come «luogo
in cui è materializzata la
memoria delle generazioni: case,
strade, palazzi, sono una
ricchezza che portiamo dietro
dal passato». Ma la città e le
sue strutture non sono nate come
mezzo per rispondere a bisogni
come la semplice mobilità
delle persone, ha evidenziato
monsignor Monari. «Sono
nate per essere luoghi di incontro
e di socializzazione. Gli
anziani nella città hanno una
presenza pacificante e ridimensionatrice,
essendo per
molti aspetti usciti dalla competitività,
dalla carriera, dall’arrivismo
». Lo aveva già detto
il Manzoni nella battaglia di
Maclodio: «Quando gli italiani
si facevano guerra tra di loro -
ha ricordato Monari - il Manzoni
si chiedeva come mai i vegliardi
non tentavano con le loro
parole di placare le turbe
cruente».
L’importanza dell’anziano risale
ad ancora prima: «La storia
della salvezza è cominciata
con un uomo che aveva 75 anni:
Abramo. L’anziano è diventato
portatore di promesse e di
speranze».
Della figura dell’anziano e
dei suoi diversi aspetti a contatto
con la società di oggi ha
parlato Stefano Mistura, direttore
del dipartimento di salute
mentale dell’Azienda Usl di
Piacenza. Mistura ha evidenziato,
in particolare, come il
vissuto temporale degli anziani
sia completamente diverso
da quello degli adulti. «L’anziano
ha una grande ricchezza:
il tempo per la riflessione».
Tale risorsa, in realtà, non viene
sfruttata sufficientemente
dalla società. «Il frenetico modo
di vivere odierno rifiuta la
riflessione perché sinonimo di
lentezza». L’analisi di Mistura
ha poi preso in considerazione
l’aspetto del tempo, della corporeità,
della consapevolezza
di essere anziano, della pericolosità
del declino, della speranza
di vita aumentata che
supera oggi, per le donne, gli
ottanta anni. «Se nell’adolescente
l’atteggiamento verso il
futuro è improntato alla potenza,
nella vecchiaia si prospetta
il declino, tanto prolungato
quanto più è alta la speranza
di vita».
I lavori erano stati aperti dal
sindaco di Piacenza, Gianguido
Guidotti, che ha portato il
saluto della pubblica amministrazione.
Presente tra il pub
blico anche il neo assessore ai
servizi sociali, Anna Braghieri.
In chiusura l’intervento di
Anna Marzi, presidente dell’associazione
di volontariato
“Emmaus”, di Reggio Emilia,
che ha parlato dell’esperienza
della propria realtà a contatto
con gli anziani. Il tema dell’incontro
generazionale verrà
nuovamente affrontato sabato
prossimo 30 ottobre con la manifestazione
“C’era un volta... i
giochi di una volta”.
Momenti di narrativa e gioco
tra nonni e nipoti che avranno
luogo in piazza Cavalli a partire
dalle 15,30. A palazzo Gotico,
intanto, continua sino al 31
ottobre la mostra El ventaglio
del tiempo, un percorso in cui
si sviluppa l’incontro generazione
fra bambini ed anziani
nelle varie culture del mondo.
Visto l’interesse della rassegna
e per dare un’ulteriore opportunità
alle scuole di utilizzarla
come strumento educativo
e didattico, è probabile che
la chiusura venga prorogata.
Federico Frighi

Monari in Albania










Ieri incontro con la comunità cattolica di Jubani,piccolo centro vicino a Scutari,
dove il vescovo di Piacenza ha inaugurato un centro di accoglienza
Monari in Albania nel nome di Scalabrini

Festa nella casa delle suore divenuta punto di riferimento.
Cresima per ottanta albanesi


da Libertà, 11 luglio 1999

JUBANI
- Ogni mattina alle sei Zef il pastore lascia il gregge nel
piazzale ed entra in chiesa. Con tutta la forza che ha, tira le corde
e le campane suonano a festa. Quanto basta per svegliare il villaggio.
Poi esce, raduna le pecore e riprende la sua strada. Inizia
così, ogni giorno dell’anno, la vita a Jubani. Quello di ieri, pur
mantenendo il tradizionale canovaccio, ha fatto segnare sul calendario
qualche cosa di speciale: la visita di un vescovo italiano.
Monsignor Luciano Monari è giunto qui, nel nord dell’Albania,
a 10 chilometri dalla città di Scutari, in questo villaggio di
povere case sparse fra la montagna e il mare, in una piana verde
coltivata a mais, granoturco, angurie ed alberi da frutta.
Sono le uniche risorse del
paese da quando le industrie
del regime comunista hanno
smesso di funzionare ed il vicino
scalo merci ferroviario è
stato abbandonato. Un viaggio
pastorale, quello del vescovo,
per inaugurare la casa che le
suore missionarie scalabriniane
hanno ultimato nel ’97 e dedicato
al Beato Giovanni Battista
Scalabrini. «Un viaggio - aveva
detto il vescovo prima della
partenza - che ha qualche cosa
del pellegrinaggio essendo
un incontro con esperienze di
carità e di fede che ci possono
arricchire».
Uno stuolo di almeno una
ventina di chierichetti ha accolto
monsignor Monari assieme
al parroco locale, don Michelangelo
(un bresciano trapiantato
quaggiù e divenuto segretario
dell’ex vescovo di Scutari),
monsignor Anselmo Galvani,
parroco della cattedrale
di Piacenza, don Giuseppe Basini,
segretario personale del
vescovo, nella grande chiesa ad
un’unica navata dedicata a
Santa Veneranda e recentemente
innalzata di fianco alla
missione delle scalabriniane
grazie ai soldi degli italiani ed
al lavoro degli albanesi. Cinquantacinque
minuti di messa
solenne alle sette del mattino,
fra canti e letture nella lingua
del posto parzialmente tradotta,
hanno aperto questa giornata
così uguale e così diversa
a tante altre per la piccola comunità
in maggioranza cattolica.
In chiesa ci sono venuti in
più di trecento. Le donne vestite
con il costume catonaro, caratteristico
della gente contadina,
e con il riza, copricapo di
origini ottomane.
«Non parlo la vostra lingua -
ha detto monsignor Monari durante
l’omelia - ma capisco una
cosa: che noi e voi siamo una
sola grande comunità unita
dall’amore di Cristo». Piacenza
e Jubani unite come si conviene
ad un gemellaggio, pur
simbolico come questo, che si
rispetti. Grazie alle suore scalabriniane.
La loro casa, realizzata
dai volontari piacentini
assieme ai muratori albanesi,
è divenuta il punto di riferimento
del paese. Le quattro religiose,
suor Federica Gallina,
suor Lina Guzzo, suor Albina
Bianchin e suor Benedetta Salerno,
inviate dalla provincia italiana,
a Jubani sono impegnate
nell’educazione, nella catechesi
e nella promozione di
bambini, giovani e donne nell’ambito
di un progetto in collaborazione
con la Caritas diocesana
di Piacenza-Bobbio e
con il sostegno anche della Caritas
diocesana di Como.
Ieri era la loro festa e di tutta
la congregazione, rappresentata
dalla superiora provinciale
suor Ermelinda Pettenon, dalla
consigliera generale suor
Bruna Birollo e dalla responsabile
del progetto Italia-Albania
suor Assunta Zonta. «An
che se non sono Scalabrini,
nella mia figura di vescovo cerco
di portare la sua santità e il
suo insegnamento», ha detto
monsignor Monari prima del
taglio del nastro e della benedizione
dei locali della missione.
«Eccellenza, le spettava di
diritto l’onore di essere oggi in
Albania per gioire con noi e
per tutto quello che la diocesi
di Piacenza-Bobbio ha saputo
generosamente investire per
offrire a Jubani dei servizi capaci
di aiutare la crescita umana
di questi cari fratelli»,
ha risposto la superiora provinciale.
Oggi, terminata l’emergenza
Kosovo, le suore possono
tornare a dedicarsi quasi
a tempo pieno agli albanesi.
Ottanta sono quelli che il vescovo
Monari fra ieri pomeriggio
e questa mattina ha cresimato
nella piccola chiesa di
Stajka Un’altra cinquantina
quelli che hanno allestito a Jubani
uno spettacolo di musiche
e canti nel nuovo prefabbricato,
ancora in via di completamento,
donato dai piacentini.
Federico Frighi

Lanfranchi Colonia

«Si va avanti e si scalda il cuore»
Il vescovo piacentino Lanfranchi è uno dei 43 presuli scelti dalla Cei

da Libertà, 20 agosto 2005

Anche il vescovo piacentino

Antonio Lanfranchi, che attualmente
regge la diocesi di
Cesena-Sarsina, è uno dei 43
presuli designati dalla Conferenza
episcopale italiana a tenere
le catechesi per i giovani
connazionali a Colonia.
Ieri mattina ha tenuto la riflessione
sul Vangelo a Kerpen,
nella chiesa di Santa Maria
Konigin, mentre il 17 agosto
aveva esordito a Essen, nella
chiesa di San Joseph. «La celebrazione
della Giornata
mondiale della gioventù - ha
osservato Lanfranchi - sta raggiungendo
il suo punto più culminante.
Più andiamo avanti
più ci sentiamo scaldare il cuore
». Il presule piacentino (originario
di Grondone di Ferriere)
ha centrato la riflessione di
ieri sul significato dell’adorazione.
«La vera adorazione di
Dio - ha detto - porta l’uomo a
superare la falsa concezione di
essere lui il padrone della sua
vita». Dipende, secondo Lanfranchi,
dell’uso che fa della
sua libertà. «L’uomo è giustamente
geloso della sua libertà
- ha ammesso - anche se tante
volte spinge la sua concezione
sino al punto di avere la pretesa
di essere “libertà che si autoprogetta”,
e non semplicemente
“libertà donata”. In altre
parole ha la pretesa di determinare
lui stesso il senso e
la verità della vita. È vero ciò
che io ritengo vero; è falso ciò
che io ritengo falso; è buono
ciò che io ritengo buono».
In tutto sono 43 i vescovi italiani
che da mercoledì a ieri
hanno tenuto le catechesi in
diversi centri della Germania
per preparare i giovani alla
giornata clou di domani. I vescovi
italiani risiedono nella
struttura del Bundesfinanzakademie,
a Brhul, vicino
Bonn, a quasi quindici chilometri
da Colonia. Sono presenti
sino a domani 105 alti
prelati italiani dei quali 95 ospitati
nell’edificio sede dell’Alta
Scuola Accademica delle
finanze. Fondata il 15 gennaio
del 1951 dal primo ministro tedesco
delle finanze Fritz
Schaeffer l’Akkademie è la più
antica e prestigiosa istituzione
per l’aggiornamento professionale
a livello nazionale.
Dispone di 165 camere singole
di cui tre predisposte all’accoglienza
delle persone disabili.
Ospitati nella Bundesfinanzakademie
ci sono anche altri
due vescovi delle diocesi emiliano
romagnole: Carlo Caffarra,
di Bologna, e Adriano
Caprioli, di Reggio Emilia-
Guastalla. A questi va aggiunto
naturalmente monsignor
Luciano Monari. Presente
anche monsignor Dante Lanfranconi,
vescovo della diocesi
di Cremona.
fed.fri.

Monari Brasile 2006

Il vescovo: «Rimarremo sempre in Brasile»
Di ritorno dalla visita glissa sul suo trasferimento:«Là non arrivano i giornali italiani»


da Libertà, 23 luglio 2006

«Nonostante il continuo calo di
preti nella diocesi di Piacenza-
Bobbio, continueranno le nostre
missioni in Brasile dove proseguiremo
ad inviare sacerdoti».
Ad assicurarlo è il vescovo Luciano
Monari di ritorno ieri mattina
dal Sudamerica dove, con una
delegazione diocesana, ha appena
concluso la tradizionale visita
delle missioni piacentine. Attualmente
in Brasile ci sono 5 preti
diocesani inviati fidei donum e tre
missionari laici a Picos, a Boavista,
a Rio. Nel 2007 ricorrerà il 40°
anniversario della prima missione
piacentina in Brasile. Il vescovo
ha voluto incontrare i giornalisti
nel suo studio al primo piano
della curia. Leggermente abbronzato,
un po’ stanco per i fusi orari,
ha voluto rassicurare tutti.
Con il ritorno in Italia di don
Giuseppe Frazzani si temeva
per la sopravvivenza delle missioni.
«Sono contento della nostra
presenza in Brasile - esordisce -
perché i nostri sacerdoti dialogano
bene con i vescovi del posto e
lavorano altrettanto bene riuscendo
a far camminare con le
proprie gambe le diocesi locali. È
un lavoro bello e saggio».
«Il futuro del Brasile è difficile
anche per la presenza delle sette
religiose che proliferano in modo
incredibile - continua Monari -
ma credo che il numero dei preti
aumenterà anche se occorrerà
molto tempo per rendere solida la
struttura della chiesa brasiliana
».
Tuttavia l’esperienza sudamericana
- è questo il nodo principale
- sta dando molto alla Chiesa piacentina.
«Come stimolo a non
chiudersi in se stessa - sottolinea
Monari - come stimolo alla missionarietà
a non considerare la fede
come un prodotto da consumare
interiormente ma come un dono
da trasmettere. La fede è un dono
che rimane tale solo se viene
donato. Se uno lo trasforma in
possesso e lo tiene per sé lo riduce
». Ancora: «Dobbiamo poi imparare
dai brasiliani a vivere anche
con pochi preti, magari con
nuove figure pastorali e con la
suddivisione delle nostre parrocchie
in piccole comunità di preghiera
». È questa la strada che indica
il vescovo. A Picos Monari
ha inaugurato la radio diocesana,
finanziata anche con gli aiuti della
Chiesa piacentina. «È uno strumento
importante per la comunicazione
- sottolinea il vescovo - in
una zona vasta come quella». A
Fortaleza doveva incontrare tutti
i missionari ma il fallimento della
compagnia aerea Varig ha di
fatto annullato i voli e così alcuni
sacerdoti piacentini non hanno
potuto vedere il vescovo. Quella
appena conclusa sarà verosimilmente
l'ultima visita di Monari in Brasile da vescovo
di Piacenza-Bobbio. da tempo si parla insistentemente
di una sua promozione verso Genova o un altro incarico
importante. Pungolato dai giornalisti, ha glissato
con diplomazia: "In Brasile, dove eravamo noi,
non arrivano i giornali italiani".
Federico Frighi

Monari Pasqua 2007

Sei battesimi nella notte di Pasqua
Il vescovo:«Scegliamo davvero.È in gioco la nostra vita»


da Libertà, 10 aprile 2007

Nicola, macellaio originario del
Camerun, Mariella, impiegata
proveniente dall’Equador, Eric
e Gabriel, studenti di 23 e 17 anni
nati in Perù, Arta, badante
albanese. Sono i cinque adulti
battezzati dal vescovo Luciano
Monari - con loro c’era anche
un bambino - nella notte di Pasqua,
cinque persone che hanno
scelto di diventare cattoliche
provenendo da esperienze diverse,
come il protestantesimo
o l’islam moderato dei Balcani.
Per la Chiesa cattolica piacentina,
quello di sabato sera in cattedrale
è stato il clou delle celebrazioni
della Pasqua 2007 (terminate
con la messa festiva in
duomo e nella concattedrale di
Bobbio), ed è per questo che il
vescovo ha voluto un segno forte
per tutta la comunità cristiano-
cattolica locale. Nella notte
in cui la Chiesa celebra la resurrezione
del Cristo, cinque persone
ricevono i sacramenti dell’iniziazione
cristiana (battesimo,
comunione e cresima) dopo
un cammino durato oltre un anno.
«Vorrei che la Pasqua fosse
vissuta non solo come festa che
parla di un evento misterioso
lontano da noi, ma come una opportunità
concreta che ci viene
offerta dalla grazia di Dio» dice
Monari nella notte della veglia.
«Siamo così abituati ai nostri
vecchi modelli di vita che non
immaginiamo neppure che si
possa mutarli - osserva il vescovo
nel passo più laico del suo intervento
-. Sappiamo e riconosciamo
anche apertamente che
sono modelli fasulli, avvilenti».
«Un cantante o una top model
che si drogano - continua il presule
- o un ricco che si fa di cocaina
sono evidentemente persone
infelici che cercano di anestetizzare
con la droga la propria
infelicità, ma nonostante
questo ce li propongono come
dei modelli invidiati. Invidiati
per che cosa? Perché sono ammirati
da tutti? Sappiamo che si
tratta di un mondo falso, e però
facciamo fatica a staccarcene, a
immaginare di costruire un
mondo dove si viva per dei valori
autentici».
«La Pasqua è occasione di questo:
ci viene dato un modello» evidenzia
Monari. A prima vista
«non è un modello gradevolissimo
- riconosce il vescovo - perché
il suo logo, il suo simbolo, è
il volto umiliato del Crocefisso.
Eppure, quel volto parla di un amore
che rigenera, che dà speranza,
che assume senza sconti
tutta la fatica di vivere, ma trasforma
questa fatica di vivere
in amore generoso».
Accanto a sé ha il vicario generale
monsignor Lino Ferrari
e quello episcopale monsignor
Giuseppe Busani. È proprio
Busani, assieme alla scalabriniana
suor Zoya, ad aver seguito
in prima persona il cammino
dei cinque nuovi battezzati.
«Sono persone che hanno compiuto
un cammino di preparazione
individuale lungo un anno
- spiegherà poi la religiosa -
nelle loro parrocchie, seguiti da
un accompagnatore ed hanno
preso parte anche a momenti
comuni». È il cosiddetto catecumenato:
il percorso che l’adulto
deve fare per far parte della comunità
cattolica. In tempi di
proselitismo dilagante da parte
di sette o pseudo tali, la Chiesa
piacentina risponde così, con
un cammino e una proposta forte
ed onerosa, mirata a formare
cristiani praticanti, motivati e
convinti. È questione di scelte.
Lo ribadisce Monari dal pulpito
la notte di Pasqua: «Tocca a noi
scegliere, ma scegliamo davvero!
Non basta deplorare i cattivi
modelli, o dire parole carine su
Gesù Cristo. È in gioco la nostra
vita: si tratta di perderla o di
salvarla, di renderla degna dell’uomo
o di buttarla via come
un rifiuto». Parole che suonano
come una sveglia per i cattolici
piacentini e che non possono essere
lette non tenendo conto delle
esortazioni di papa Benedetto
XVI e della Cei (di cui Monari è
vice presidente) sull’unità della
famiglia.
Negli ultimi sette anni sono
stati oltre cinquanta i nuovi fedeli
della comunità cattolica
piacentina. Soprattutto stranieri
che, arrivati in Italia, hanno
sentito il bisogno di seguire un
percorso di fede con tappe ben
definite. L’ingresso avviene nell’Avvento,
dopo aver esaminato
il candidato, le vere motivazioni
che lo spingono a diventare cattolico.
Dopo alcuni mesi in parrocchia
la seconda tappa si celebra
in Duomo con il vescovo
Monari che ti chiama con nome
e cognome e che ti inserisce sul
“libro della vita”. Da catecumeni
si diventa “eletti” il mercoledì
delle ceneri. Nel periodo
quaresimale altri riti vengono
vissuti nelle parrocchie; poi la
consegna del Padre Nostro e del
Credo, la terza e quarta domenica
di quaresima; gli “scrutini”,
preghiere contro il maligno,
una sorta di esorcismo mirato
a scacciare il peccato originale.
Uno di questi “scrutini” -
il terzo - avviene in cattedrale,
alla fonte battesimale. In ottobre,
novembre e marzo si esce
dal mondo di tutti i giorni rifugiandosi
nei ritiri spirituali. Il
cammino non finisce con la Pasqua.
Continuerà con il quarto
sacramento: quello della confessione.
Un cammino così strutturato
è iniziato nel 2001, quando suor
Zoya ha accompagnato in Duomo
nove albanesi e un’italiana.
Prima i nuovi cattolici adulti,
venivano battezzati e poco più.
«Siamo in un mondo che sta
cambiando - spiega la scalabriniana
- e ci sono sempre più adulti
che richiedono di diventare
cattolici, molti stranieri, alcuni
italiani. In Francia, dove i
fenomeni migratori sono arrivati
prima, il cammino d’iniziazione
è attivo da oltre vent’anni
e la durata della formazione è
più lunga (due o tre anni)».
Federico Frighi

Monari scorta

Dopo le minacce a monsignor Bagnasco le misure di protezione potrebbero aumentare
“Angeli custodi” per il vescovo
Agenti in borghese ad ogni uscita pubblica di Monari


da Libertà, 11 aprile 2007

Due “angeli custodi”, a volte tre, vegliano sul
vescovo Luciano Monari durante ogni sua uscita
pubblica piacentina. Sono le misure di protezione
disposte dalla questura di viale Malta
per garantire la sicurezza del capo della diocesi
di Piacenza-Bobbio. Da quando il presule è
stato nominato vice presidente della Cei (la
Conferenza episcopale italiana) per il Nord Italia
la sua posizione è divenuta ben più istituzionale
di quanto potesse essere quella di
un vescovo di Piacenza-Bobbio, sia pur conosciuto
e stimato, però sempre titolare di una
chiesa di “provincia”. Ecco dunque spiegata
l’attenzione della questura per monsignor Monari,
attenzione che potrebbe aumentare in
queste ore in seguito alle minacce, anche di
morte, ricevute pubblicamente dal presidente
della Cei, l’arcivescovo Angelo Bagnasco.
Monsignor Monari, nelle
sua veste di vice presidente
della Cei, è intervenuto più
volte, anche su Avvenire, il
quotidiano dei vescovi, ribadendo
il messaggio della
Chiesa italiana sul valore e
sull’unità della famiglia. A
differenza dell’arcivescovo
Angelo Bagnasco, tuttavia,
la sua posizione più defilata
sul palcoscenico mediatico
nazionale, ha fatto sì che non
venisse toccato direttamente
dalle contestazioni. Tuttavia,
poiché è meglio essere previdenti,
la figura di Monari è
entrata a far parte di una sorta
di programma di protezione
della questura, voluto dal
precedente questore Piero
Innocenti e perfezionato dall’attuale
Michele Rosato. Una
rete discreta e silenziosa operata
dal personale della Digos
in borghese che sorveglia
il vescovo in tutte le sue uscite
pubbliche. Non solo quelle
tra le vie della città (come la
processione della domenica
delle palme), ma anche le celebrazioni
all’interno delle
chiese, come la messa di Pasqua
in cattedrale o, la meno
nota commemorazione dei
martiri cristiani, nella basilica
di Sant’Antonino. Due, a
volte tre, agenti in borghese
controllano l’esterno e l’interno
dei luoghi sacri con una
particolare attenzione per la
figura del presule, confondendosi
tra i fedeli. Come si apprende
da una fonte vicina alle
forze dell’ordine, si tratta di
provvedimenti assolutamente
preventivi che, almeno a
Piacenza, non sono motivati
da manifestazioni evidenti come
le scritte minacciose apparse
sui muri di Genova subito
dopo la prima presa di
posizione del neo presidente
della Cei sui Dico, accostati
ad esempi estremi come la pedofilia
e l’incesto. Da «Bagnasco
vergogna» si è passati al
ben più inquietante «Bagnasco
a morte» corredato da una
stella a cinque punte, simbolo
delle Brigate Rosse. «Da
noi al momento non ci sono
stati segnali del genere - conferma
il segretario di Monari,
don Giuseppe Basini - a
differenza di monsignor Bagnasco
cui va tutta la nostra
solidarietà: le contestazioni
di questi giorni sono espressione
di un clima di intolleranza
nei confronti della
Chiesa cattolica». L’attenzione
nei confronti del vescovo
diocesano, a Piacenza, come
fa sapere don Basini, è sempre
stata alta e i vari questori
che si sono succeduti in passato
hanno sempre trattato
con un occhio di riguardo i
vescovi. Anche monsignor
Antonio Mazza, predecessore
di Monari, almeno nelle celebrazioni
più importanti, poteva
contare sulla presenza
vigile delle forze dell’ordine.
Federico Frighi

Monari viaggi

.«VICINO AI PIACENTINI NEL MONDO»..
In luglio Brasile, poi Londra e nel ’99 l’Africa
Il vescovo è atteso da un’altra serie di viaggi. In elenco ci sono anche New York e Parigi


da Libertà, 18 aprile 1998

Quello in Croazia è il quarto viaggio oltre
confine del vescovo Monari in poco più
di due anni di episcopato. Prima sono venuti
la Terra Santa, nel settembre ’95, poi
il Brasile, nel luglio ’96, e il Canada, nell’ottobre
’97. Un modo per essere vicino ai
piacentini nel mondo. I singoli viaggi hanno
poi ulteriori motivazioni. Se il pellegrinaggio
in Terra Santa significava condurre
la diocesi in un ritorno alle origini
della cristianità, il viaggio in Brasile era
dettato dall’esigenza di visitare le missioni
piacentine. In Canada invece c’era una
numerosa comunità di concittadini. E la
Croazia? «I soldi mandati dai piacentini
sono espressione della condivisione e dell’amicizia
verso una Chiesa più sfortunata
della nostra - spiega il vescovo -. Sarebbe
una cosa bella che tutti coloro che hanno
aiutato questa gente venissero qui. Poiché
questo non è possibile tenta di farlo il
vescovo a nome della diocesi». Dopo il
viaggio in Croazia monsignor Monari tornerà
di nuovo in Brasile nel mese di luglio
per vedere come sta andando la nuova missione
aperta a Roraima, la cui zona è devastata
da un furioso incendio. In ottobre
toccherà ai piacentini di Londra. L’anno
prossimo un nuovo continente: l’Africa e,
se sarà possibile, New York e Parigi.

Monari in Croazia

Insieme al vescovo nella città croata in cui è stato ristrutturato un ospizio grazie ai piacentini
Viaggio ad Ogulin con dono
Il centro, 20mila abitanti, solo sfiorato dalla guerra


da Libertà, 18 aprile 1998

Ogulin (Croazia) - Ecco come
sono state utilizzate le offerte dei
piacentini per le popolazioni della
ex Jugoslavia. Dei 300 milioni
raccolti dalla Caritas diocesana
durante il conflitto nei Balcani,
150 sono qui, ad Ogulin, nel cuore
della Croazia, in una casa di
riposo per anziani ricavata in un
vecchio ospedale austro-ungarico.
Il resto è servito per affrontare
la prima fase, quella dell’emergenza.
Ad inaugurare la
struttura, questa mattina, sarà
proprio il vescovo Luciano Monari.
La sua presenza sta a testimoniare
l’importanza di un’iniziativa
che viene a suggellare il
gemellaggio d’amicizia fra la
Chiesa di Piacenza-Bobbio e
quella di Rijeka, la diocesi in cui
si trova la cittadina di Ogulin.
La delegazione piacentina, composta,
oltre che dal vescovo, dal
direttore della Caritas don
Giampiero Franceschini e da
due volontari dell’ente di via
San Giovanni, Angelo Ghillani e
Giuseppe Curallo, ha fatto tappa
nella tarda mattinata di ieri a
Rijeka (5 ore d’auto da Piacenza,
tutte sotto una pioggia battente).
Qui ha reso omaggio al vescovo
emerito della diocesi croata,
monsignor Josic Pavlisic: un arzillo
prelato ottantaduenne - «di
29 giorni più giovane del cardinale
Casaroli», come ha ricordato
in un perfetto italiano - ordinato
vescovo nel 1952 grazie all’intervento
del cardinale Oddi,
allora «facente nunzio» per i territori
comunisti della Jugoslavia.
Gli agganci con Piacenza si cominciano
ad intravedere. Si faranno
palesi una volta arrivati
ad Ogulin, dove l’accoglienza del
parroco, don Tomislav, e del direttore
della Caritas di Rijeka,
don Milan - «come la vostra
squadra di calcio - scherza -, ma
in croato vuol dire Marco» - è calorosa.
Ventimila abitanti nel
territorio comunale, poco più di
ottomila nel capoluogo, Ogulin è
una cittadina circondata dai boschi
a 800 metri di altezza nel
cuore della Croazia. A due ore di
macchina c’è Rijeka, a poco meno
c’è Slunj (gemellata con Castelsangiovanni).
I chilometri sono pochi, ma circa
lo stesso tempo occorre per
raggiungere la frontiera con la
Bosnia, su una stradaccia tutta a
curve e buche.
Anche per questo ad Ogulin la
guerra è arrivata solo di striscio.
Qualche granata nei dintorni
ma roba da nulla rispetto alle distruzioni
della non lontana Krajna,
la zona croata autoproclamatasi
repubblica serba e liberata
dalle forze governative nell’agosto
del 1995. La casa di riposo
ripristinata dalla Caritas
verrà inaugurata questa mattina
nel corso di una solenne cerimonia
alla presenza delle autorità
civili, militari e religiose
croate. A tagliare il nastro sarà
monsignor Monari che in seguito
celebrerà, nella cappella dell’ospizio,
una santa Messa. Il ritorno
a Piacenza della delegazione
diocesana è previsto per la
tarda serata di oggi.
Federico Frighi

Monari in Croazia 2









Inaugurata ieri la casa di riposo di Ogulin.
Era un fatiscente ospedale austro-ungarico
Un pezzo di Piacenza in Croazia
Anche molti arredi provengono dalla nostra città


da Libertà, 19 aprile 1998

Ogulin (Croazia) - E’ un pezzo di
Piacenza nel cuore della Croazia
la casa di riposo per anziani inaugurata
ieri mattina dal vescovo
Luciano Monari. Non ci sono
solo i 150 milioni raccolti dalla Caritas
diocesana in questo, sino a
poco tempo fa, fatiscente ospedale
di epoca austro-ungarica e, oggi,
quasi completamente ripristinato.
I lunghi corridoi bianchi, le
stanze spaziose e funzionali, le attrezzature
mediche ne fanno una
struttura di elevata qualità in un
paese appena uscito dal conflitto
dei Balcani e alle prese con il ritorno
ad una vita normale. Tutto
ciò grazie anche all’aiuto dei piacentini.
I non più arzilli vecchietti
croati riposeranno sulle vecchie
ma lussuose poltrone del Grande
albergo Roma, dismesse dopo il
rinnovo dell’hotel; dormiranno
con lenzuola, cuscini e piumoni di
una ditta di Sabbioneta, in provincia
di Mantova, condotta da una
famiglia di piacentini. Avranno
poi a disposizione attrezzature
sanitarie donate dalle cliniche Lodigiani
e San Giacomo e dall’Azienda
Usl. Molti i singoli privati
che hanno voluto collaborare concretamente
con arredi e oggetti
non più usati per vari motivi, ma
ancora in ottimo stato: vestiti per
gli anziani, biancheria, armadietti
e, nei locali della direzione, perfino
il salotto di don Giampiero
Franceschini, il direttore della
Caritas. Alla cerimonia di inaugurazione
nei locali della casa di
riposo erano presenti le più alte
autorità civili, militari e religiose
del decanato di Ogulin.
Poco meno di due ore fra saluti,
ringraziamenti e santa Messa
concelebrata da monsignor Monari,
il parroco locale don Tomislav
Sporcic, il direttore della Caritas
di Rijeka, don Milan Spehar,
e il priore del convento francescano,
padre Peter Runge. Tre le lingue
ufficiali: l’italiano, il croato e
il tedesco. Alla realizzazione della
casa di riposo hanno contribuito
anche alcune Caritas austriache
(Klagenfurt) e germaniche (Konistain),
la città di Ogulin e la regione
di Karlovac. «Questa opera
viene dal Signore e per questo
dobbiamo ringraziarlo perché ci
ha usato come strumenti della
sua bontà», ha detto il vescovo. E
infine un auspicio che più che una
speranza è una certezza. Poi la
Messa nella nuova cappella della
casa di riposo con il tabernacolo e
una patena d’argento portate da
Piacenza. Per il momento la struttura,
collegata direttamente all’ospedale
di Ogulin, non potrà dare
il benvenuto a nessuno dei suoi ospiti.
Gli anziani provenienti da
diverse zone della regione dovranno
aspettare la nuova regolamentazione
delle case di riposo in
via di approvazione dal governo
croato. La casa è composta da due
piani più un sottotetto abitabile e
da un contiguo edificio delle medesime
dimensioni. La prima fase
della ristrutturazione ha interessato
il pian terreno e il primo piano
dove sono stati ricavati posti
letto per 38 anziani. All’intervento
ha partecipato finanziariamente
anche la Caritas Italiana che,
su garanzia di quella di Piacenza,
ha versato altri 150 milioni. La Caritas
di Rijeka, a cui la direzione
dell’ospedale ha dato in usufrutto
l’edificio per 90 anni, provvederà
realizzare nei prossimi anni seconda
e la terza fase della ristrutturazione:
il ripristino del sottotetto,
che garantirà altri posti letto,
e della casa attigua.
Federico Frighi

Monari ad limina 2










Conclusa la visita ad limina del vescovo Luciano Monari al Santo Padre.
Ricevuto anche monsignor Lanfranchi
Quindici minuti a tu per tu con il Papa
Un colloquio cordiale sulla situazione della diocesi piacentina


da Libertà, 27 gennaio 2007

Un faccia a faccia durato quindici
minuti. Che cosa si siano detti lo
sanno solo loro, papa Joseph Ratzinger
e il vescovo Luciano Monari.
Di certo l’incontro di ieri
mattina tra il presule della diocesi
di Piacenza-Bobbio e il Santo
Padre è stato all’insegna della cordialità.
«Il Papa è una persona che
mette a tuo agio» ha detto un vescovo
all’uscita «senza far pesare
la sua autorità». Il colloquio rappresenta
l’atto finale della visita
ad limina che monsignor Monari
ha fatto assieme ai presuli dell’Emilia
Romagna. Ieri mattina si è
trovato nell’anticamera della Biblioteca
privata del Palazzo Apostolico
assieme ai vescovi di Parma,
Silvio Cesare Bonicelli, di
Reggio Emilia, Adriano Caprioli
con il suo ausilare Lorenzo Ghizzoni,
di Ravenna, Giuseppe Verucchi
e di Cesena-Sarsina, il piacentino
Antonio Lanfranchi. All’orario
stabilito, verso le 11 e 30, il
maestro di camera ha introdotto
Monari nella Biblioteca. Ad attenderlo,
in piedi, con la veste bianca,
Benedetto XVI. Il vescovo era
in abito da cerimonia, la talare nera
con la fascia viola in vita, lo
zucchetto (sempre viola) sul capo,
la croce pettorale in evidenza. Sulla
scrivania di Ratzinger l’atlante
papale aperto sul Nord Italia. Nonostante
la sua infallibilità, non si
può pretendere che un uomo di fede
che viene dalla Baviera e che si
è sempre occupato dell’interpretazione
dei testi sacri, conosca a menadito
dove si trovano tutte le diocesi
italiane. I vescovi, prima di
essere ricevuti dal Papa, devono
presentare una relazione sullo stato
della propria. È così che inizia
il colloquio, con Benedetto XVI
che dimostra di essere bene informato
sui vari aspetti locali legati
all’evangelizzazione e alla pastorale.
Il colloquio con Monari deve
essere stato anche l’occasione di
vedere di persona quel volto e quel
vescovo che in molti vorrebbero
alla presidenza della Cei per il dopo
Ruini. E visto che, la nomina italiana,
unico caso nel mondo ecclesiastico,
è di competenza papale,
ecco che i quindici minuti di ieri
mattina sono destinati, in un
modo o nell’altro, a lasciare il segno.
Federico Frighi

Monari e i giornalisti

.IL PRESULE AI GIORNALISTI .
«I media ci aiutino
a cercare la verità»


da Libertà, 28 gennaio 2007

(fed.fri.) «Ai giornalisti chiediamo che sappiano
riconoscere e proporci i fatti rilevanti, che
ci aiutino ad interpretarli, con un’interpretazione
aperta che accetti di essere corretta all’insorgere
di nuovi elementi». Così il vescovo
Luciano Monari si è rivolto, ieri mattina
nella cappella della curia, agli operatori della
comunicazione in occasione del patrono San Francesco di Sales.
Il vescovo, partendo dalla lettera agli ebrei, ha ricordato
il compito dei mass media: «Tenere aperto il nostro cuore alla
ricerca della verità. I giornali non ci possono dare le risposte
ma possono aiutare il nostro desiderio di conoscenza: con
onestà, senza alterare i dati, senza nasconderne alcuni, con intelligenza,
cercando di capire quali sono utili e quali inutili.
Così ci aiutano a mantenere lo sguardo aperto verso il futuro».
Nel corso della giornata è stata ricordata la figura di monsignor
Gianfranco Ciatti, direttore di Radio Città Nuova, recentemente
scomparso. In una pubblicazione è stata diffusa
l’omelia del vescovo per i funerali ed il messaggio del Papa per
la giornata delle comunicazioni sociali

Monari ad limina

I retroscena dell’udienza privata del vescovo.«L’ho trovato sereno,contento
e con molta voglia di fare»
Il Papa esalta la fama dell’Alberoni
Benedetto XVI invitato a Piacenza.Monari:«È più una speranza»


da Libertà, 28 gennaio 2007

Benedetto XVI non ha avuto bisogno dell’atlante
papale che tiene aperto sulla scrivania
durante le visite ad limina. Piacenza la conosceva
già, almeno per sentito dire. A non avere
confini e ad arrivare sin nelle stanze del
Palazzo Apostolico è la fama del Collegio Alberoni.
«Abbiamo iniziato il nostro colloquio
parlando di quello e dei cardinali piacentini»
ha raccontato ieri mattina il vescovo Luciano
Monari, reduce dal faccia a faccia con papa
Ratzinger avvenuto nella tarda mattinata di
venerdì. Quindici minuti da soli nella Biblioteca
privata del Santo Padre nell’ambito della
visita ad limina apostolorum - che i vescovi
devono fare ogni cinque anni - con i presuli
dell’Emilia Romagna. L’esordio sull’Alberoni,
il congedo l’invito a Piacenza, che molto
difficilmente Benedetto XVI potrà onorare.
«L’avevo già invitato prima a
venire a Piacenza - sorride il vescovo
-, l’hanno invitato tanti
altri in tante altre diocesi, ma
non credo che si muoverà così
tanto come Giovanni Paolo II».
Monsignor Luciano Monari,
ieri mattina, ha celebrato, poco
dopo le dodici, la messa per il
patrono dei giornalisti, San
Francesco di Sales. A Piacenza
era appena tornato, nella notte,
dopo un lungo viaggio in auto
dal Vaticano assieme al vescovo
di Fidenza, Maurizio Galli.
«È stato un momento bello, in
amicizia e semplicità» ricorda
Monari il suo quarto d’ora con
il Papa. Quando il maestro di
camera lo ha chiamato e di
fronte a Benedetto XVI lo ha
presentato - “sua eccellenza Luciano
Monari, vescovo di Piacenza
e Bobbio” - anche ad un
presule vice presidente della
Cei, abituato a parlare di fronte
alle folle, il sangue ha cominciato
a scorrere veloce nelle vene.
«Un po’ emozionato lo ero anch’io
» confessa Monari. Ma siccome
Ratzinger - dicono - è uno
che ti mette a tuo agio e non fa
pesare il proprio ruolo, il colloquio
è iniziato e proseguito nel
segno della cordialità. «Abbiamo
parlato per un quarto d’ora
- prosegue Monari - così come
prevede il protocollo: del collegio
Alberoni e della sua ricca
tradizione, dei suoi cardinali,
dei problemi della diocesi di
Piacenza, del calo delle vocazioni,
dela questione della famiglia
(un argomento sul quale
Benedetto XVI insiste molto
con i vescovi, ndr.), del futuro
della comunità cattolica di Piacenza-
Bobbio». Aspetti squisitamente
pastorali, nient’altro,
neppure della Conferenza episcopale
italiana che Monari
rappresenta per il Nord Italia e
della quale è in corso il toto-successore
del cardinal Ruini, con
proprio il vescovo di Piacenza-
Bobbio tra i papabili. «Un quarto
d’ora, compreso il momento
delle foto ufficiali, passa presto
» dice il vescovo. «È un momento
importante - prosegue il
presule -, con la visita ad limina
si ritrova così soprattutto il
senso della comunione. La
Chiesa è fondamentalmente una
comunione, un legame che
passa attraverso i vescovi. La
Chiesa di Roma ha questo compito
di collegamento tra tutta la
cattolicità. L’incontro con il vescovo
di Roma (il Papa, ndr.) è
come ritrovare il senso della
nostra universalità: noi di Piacenza-
Bobbio siamo una piccola
Chiesa ma facciamo parte di
un’unica grande comunità,
quella della Chiesa cattolica».
«Il rapporto con il Papa ci dà
questa ricchezza e gioia - continua
Monari -. Benedetto XV?
L’ho trovato sereno, contento e
con molta voglia di fare».
Federico Frighi

Monari e internet

Battesimo on-line per il nuovo sito realizzato dalla diocesi di Piacenza-Bobbio
Con internet il vescovo predica in salotto


da Libertà, 2 marzo 2007

Nella camera da letto, nello studio, in salotto,
ovunque, in casa, ci sia un collegamento
internet da ieri c’è anche il vescovo
Luciano Monari con le sue omelie. Da ieri
è infatti attivo il rinnovato sito della diocesi
di Piacenza-Bobbio. Un sito nuovo di
zecca all’indirizzo www.diocesipiacenzabobbio.
org. che non ha nulla da invidiare a
quelli delle grandi diocesi italiane, da Milano
a Bologna. Un sito multimediale il cui
fiore all’occhiello sono le omelie, i commenti
biblici e gli interventi in generale
del vescovo Luciano Monari. È ancora in
fase sperimentale, ma basta avere un pc e si
possono scaricare audio e video del presule.
Nella home page, basta un clic, e parte il
video di monsignor Monari sulla Quaresima
2007 registrato nel suo studio personale.
Due minuti e 27 secondi in cui spiega il
significato del periodo liturgico. Cliccando
su “vedi il vescovo”, in menu ci sono le prediche
in occasione del mercoledì delle Ceneri
e della veglia per la vita. Dalla Curia
fanno sapere che siamo ancora in fase di
test e che la presentazione del sito verrà
fatta a breve in via ufficiale, magari con la
presenza dello stesso Monari. L’annuncio
della nuova iniziativa mediatica era però
stato dato alla fine di gennaio, in occasione
del convegno per San Francesco di Sales,
patrono dei giornalisti. Puntuali come
guardie svizzere, ieri sulla rete delle reti,
gli autori hanno dato il via al progetto. La
realizzazione è stata curata dal Servizio
multimedia per la pastorale, diretto da don
Riccardo Lisoni, assieme al Servizio
informatico della Curia, la cui responsabile
è Valentina Carenzi che curerà
anche l’aggiornamento ordinario.
Oltre ai filmati ed all’audio
delle omelie, si possono scaricare
anche gli scritti. Non solo: selezionando
la casella vescovo, appare il
volto sorridente di Monari con la sua biografia.
Gli si può anche mandare una mail
all’indirizzo lmonari@diocesipiacenzabobbio.
org. Molteplici le informazioni che,
navigando sul sito, si possono ottenere: dall’intero annuario diocesano on line con gli
indirizzi di preti, vescovi e cardinali, ai collegamenti con le parrocchie on line,
dagli appuntamenti
diocesani, dai documenti della diocesi
all’intera modulistica alla liturgia del
giorno con le letture e la Parola.
Federico Frighi

Monari e la Sindone 2

Siamo saliti sul vecchio pullman del “Centro Manfredini”in viaggio verso il capoluogo piemontese
In coda dal mattino per vedere il sudario di Cristo
La visita dura un’ora - Un filmato illustra come è stato possibile “scoprire”il volto di Gesù


da Libertà, 26 aprile 1998

L’unico stridore nel pellegrinaggio
computerizzato di fine
millennio è il vecchio pullman
del “Centro Manfredini” di via
Beati. A metà fra lo scuolabus e
le corriere che giravano per la
provincia nei primi anni ’70, lo
sgangherato torpedone blu,
guidato dal prete in persona
(don Angelo Bortolotti), alla fine
ce l’ha fatta e, sbuffando, è
arrivato pure lui a Torino.Neppure
troppo indietro rispetto ai
nove pullman granturismo affittati
dalla diocesi. Per il resto
l’ostensione di fine millennio è
tutta proiettata verso il futuro.
Prima di tutto l’accesso limitato
e a numero chiuso: 50 mila
persone al giorno. Non una di
più. Senza il tagliando bianco
(è gratuito) non c’è verso di entrare.
Si prenota attraverso un
numero verde oppure “navigando”
in Internet. Addio anche
alle lunghe code massacranti
sotto il sole o la pioggia
di Torino. Stavolta c’è un tunnel
formato da gazebo bianchi
che corre in mezzo ai freschi
giardini reali e ogni tanto anche
panchine di legno su cui riposare.
Ti metti in fila e scopri
un’altra novità: non ci sono
giapponesi. I visitatori sono
quasi tutti italiani e in maggioranza
pellegrini. Vengono
da ogni parte d’Italia. Il gruppo
che precede i piacentini è di
un comune del torinese, Torsello,
distante dal capoluogo
piemontese come Rivergaro lo
è da Piacenza. Sono arrivati in
500 e ritorneranno nelle loro
case rigorosamente a piedi. «
Per fare penitenza», dice il prete
che li guida. La coda procede
veloce fra pannelli appesi che
raffigurano le ostensioni svoltesi
a Torino negli anni passati
(dalla prima, nel 1578, a quella
del 1978) e cartelli che invitano
al silenzio e al raccoglimento.
Tra le barriere di controllo. All’ultima
se non si ha il codice
giusto non si passa. Il percorso
didattico ha il suo culmine nella
sale di prelettura, dove un
filmato mostra il lenzuolo della
Sindone a grandezza naturale
e ne illustra i segni impressi in
negativo. Poi l’ingresso in duomo
da una porta laterale dopo
aver visto i ponteggi attorno alla
cupola ancora sotto restauro
in seguito al furioso incendio
dell’11 aprile scorso. Nella penombra
spunta la teca illuminata.
La Sindone, un telo rettangolare
di 4 metri e mezzo
per uno e dieci, è lì, racchiusa
in un sarcofago di vetro da quasi
quattro tonnellate. Stavolta
l’hanno realizzato anti-tutto:
furto, incendio, terremoto,
bombe. Intorno alla teca tutto
un drappeggio di velluti viola,
il colore della liturgia. A gruppi
di 50 ci si ferma per circa
due minuti. Giusto il tempo per
uno preghiera e un’emozione.
Alla fine si esce nel cortile del
palazzo reale: un’ora di visita è
terminata l’ostensione più veloce
del millennio.
f.fr

Monari e la Sindone

In cinquecento hanno partecipato ieri al viaggio verso il Duomo di Torino organizzato dalla nostra diocesi per l’ostensione di fine millennio
Anche i piacentini “stregati” dalla Sindone
Guidati dal vescovo Monari hanno sostato in preghiera davanti al sacro lenzuolo


da Liberta, 26 aprile 1998

Commozione, incredulità, lacrime
sui volti della gente all’uscita
dal duomo di Torino.
Potenza della Sindone, il lenzuolo
in cui la tradizione, ma
non la scienza, vuole avvolto il
corpo di Gesù morto in croce.
Al pellegrinaggio organizzato
dalla diocesi per l’ostensione
di fine millennio era tutto esaurito
già da tempo: dieci pullman,
oltre cinquecento persone
provenienti per lo più da
Piacenza, Vigolzone e Borgonovo.
Molti quelli che sono dovuti
rimanere a casa.
Primo dei piacentini ad entrare
nella cappella della Sindone
è stato il vescovo Luciano
Monari, accompagnato dal segretario
don Giuseppe Basini.
«La Sindone è un aiuto a contemplare
e a guardare il Cristo
- ha detto il vescovo nell’omelia
officiata nella chiesa di Santa
Giulia all’arrivo del pellegrinaggio
-. Su quel telo si possono
vedere i segni della sofferenza
di Cristo che sono i nostri peccati
». Per monsignor Monari si
è trattato del battesimo dell’ostensione.
Mai era stato a Torino
a vedere il “sacro lenzuolo”.
Chi ci è già stato nel 1978 è
invece l’avvocato Andrea Losi
che nel tempo ha maturato
sempre più la convinzione dell’autenticità
della Sindone. Il
principe del foro si augura che
la scienza riesca a provare
quello che la Chiesa non è ancora
riuscita a definire. «Per
me - ammette Losi - è veramente
il sudario di Cristo. È un fatto
straordinario». Profondamente
commossa la moglie,
Bianca Luppi: «Qui c’è stato avvolto
il Salvatore», dice sottovoce.
C’era già stato anche nel
’78 ma è voluto ritornare. Pierino
Monticelli, 60 anni: «È
sempre impressionante vederla
- rivela -. Quello è il corpo di
uno che ha le stesse ferite di
Gesù». Per Paola Brandini è invece
la prima volta. «Sono emozionata
- balbetta la signora
-. È un momento indescrivibile
». Non trova le parole neppure
Laura Raimondi che alla fine
commenta: «La Sindone fa
venire in mente le sofferenze
del mondo». «Ho ripensato alla
passione del Signore e al Venerdì
Santo», rivela a caldo
un’altra signora, Piera Corona,
mentre è ancora in duomo.
«Papà, posso toccarla?».
A fare l’improponibile domanda
è Carlo Braghieri, 7 anni,
che lunedì dovrà portare alla
maestra una dettagliata relazione.
Scontata la risposta.
L’ultima ostensione del millennio
ha raccolto consensi anche
per l’organizzazione- «Nel ’78
arrivavi direttamente davanti
alla Sindome senza alcuna preparazione
- ricorda Luigi Rizzi,
51 anni, di Gropparello - Oggi
c’è che ti aiuta a capire».
Tutti escono dal duomo soddisfatti,
compresi i più anziani.
«È tutta un’altra cosa rispetto
alla ostensione del ’78 - inizia il
suo monologo Carla Cella -. Allora
aspettammo due ore sotto
il sole e in mezzo alla polvere».
L’unico neo nell’organizzazione
lo trova Magda Pagani, «Avrei
voluto avere più tempo a
disposizione e una maggiore
possibilità di raccoglimento».
E come darle torto. I famosi due
minuti davanti alla Sindone in
realtà erano cumulativi: una
sosta in compagnia di una cinquantina
di persone fra spintoni
e raffiche di scatti di macchine
fotografiche senza flash.
Federico Frighi