sabato 17 dicembre 2011

Ambrosio e la trottola, un vescovo tra la gente

Monsignor Eliseo Segalini, all'incontro tra i politici e il vescovo per gli auguri di Natale, ha ringraziato il presule per la sua disponibilità e il suo voler stare tra la gente e lo ha simpaticamente definito una trottola. Ecco la frase:
Lei al Macra ha detto una cosa molto bella. Dà la priorità ai beni relazionali. Eccellenza lei davvero è una trottola che gira da tutte le parti, in tutti gli angoli. Credo che non sarà una novità per nessuno averla vista sul territorio non soltanto nelle chiese, che sono il posto del vescovo, ma anche in tanti luoghi della diocesi.

Ambrosio ai politici: unità, speranza, responsabilità per far crescere il Paese


Vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro in cui ci scambiamo gli auguri di un buon Natale e di sereno anno nuovo. Nello stesso tempo è l’occasione per esprimere il mio ringraziamento personale e della comunità ecclesiale per il vostro servizio di amministratori, non facile già nei momenti più tranquilli ma certamente più difficile in questo periodo.

Come già negli anni scorsi, desidero offrire un piccolo dono. Quest’anno non abbiamo un’enciclica sociale come la Caritas in veritate di Benedetto XVI. Allora ho pensato di offrirvi un documento del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. A Reggio Calabria si è tenuta la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dal 14 al 17 ottobre 2010 con questo titolo: Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese. Poi il 22 febbraio 2011 è uscito il documento conclusivo intitolato Un cammino che continua…dopo Reggio Calabria. Questo è il piccolo dono che vi offro: si tratta di una riflessione sul nostro Paese e sul suo futuro. È un documento un po’ lungo. So che non avete molto tempo da dedicare alla lettura, allora ho pensato di proporvi tre parole – peraltro presenti nelle prime pagine - per suscitare il vostro interesse ad approfondire l’agenda di speranza per il futuro del Paese.

Al n. 3 di questo documento si legge che sono tre le parole capaci di conservare la memoria della 46a Settimana Sociale: unità, speranza, responsabilità. Effettivamente queste sono state le parole riassuntive e conclusive dei lavori. Credo che possiamo e dobbiamo farle nostre in questo momento difficile. Cosa hanno significato per la Settimana Sociale e cosa possono significare soprattutto per voi amministratori?

Parto dall’unità. La Settimana Sociale – con le relazioni, il confronto, il lavoro nei gruppi di studio e in assemblea – è stata l’occasione per una riflessione a molte voci dei cattolici italiani. Tutte le diocesi italiane vi hanno partecipato, insieme ai gruppi, ai movimenti, alle associazioni. È stato un momento importante di discernimento comunitario, di riflessione comune, di racconto di esperienze. Al termine di quelle giornate, la prima indicazione è stata questa: “Non va smarrito quel senso di unità nato dalla meraviglia provata quando nei momenti assembleari e nelle sessioni di studio ci siamo reciprocamente testimoniati la dedizione appassionata e le competenze personali, la vitalità delle Chiese locali e il loro faticoso e attivo sperare”. Il fatto dell’unità è stato molto arricchente non solo a livello personale ma anche a livello ecclesiale, in quanto è stato un modo per coinvolgere soggetti diversi per perseguire in modo concreto il cammino verso il bene comune.
Credo che questa via di unità sia fondamentale. L’esperienza dei cattolici a Reggio Calabria, che insieme hanno cercato e proposto un’agenda di speranza per l’Italia, è la via da percorrere. Sappiamo che le difficoltà possono spingerci a chiuderci in noi stessi, ma è una strada senza alcun sbocco, che non porta da nessuna parte. Ci si salva solo insieme, ci viene ripetuto dal Presidente della Repubblica: “io sono convinto, ha affermato il Presidente, che riusciremo tutti insieme a fare ciascuno la propria parte con senso di giustizia, ma anche con alto senso di responsabilità e spirito di sacrificio”. Se questo ci viene ricordato come invito e come ammonimento, è perché finora questa non è sempre stata la strada che abbiamo percorso. È facile pensare all’altro che non percorre questa strada. Ma dobbiamo pensare anche a noi stessi, alle nostre pratiche amministrative, al nostro modo di pensare la vita politica. Se non si percorre questa strada, risulterà difficile ‘salvarci’. Non penso solo alla crisi e alle sue conseguenze. Penso a quell’impegno a “promuovere anzitutto una cultura dell’uomo, della vita, della famiglia, fonte di uno sviluppo autentico”. Ecco la prima parola e il conseguente invito per dare risposte collettive ai nostri problemi con un più vivo senso di unità.

La seconda parola è la speranza. Troviamo nel nostro documento questa frase: “il lungo e ricco cammino di preparazione” ci ha aiutato a “diventare più consapevoli della forza della speranza”. Sì, posso anch’io testimoniare, insieme alle persone della nostra diocesi che erano a Reggio Calabria, che il clima di ascolto reciproco, di confronto costruttivo, senza conflitti e senza esasperazioni, ci ha resi più consapevoli della speranza. Credo che tutti dobbiamo favorire questa esperienza che ci apre alla speranza. La nostra storia italiana attesta che così è avvenuto nei momenti più difficili e delicati della nostra vicenda storica: la forza della speranza ha dato slancio a un popolo che, su posizioni diverse, ha saputo costruire la nostra Italia.
Qui mi permetto di suggerire due rapide considerazioni. La prima è nel nostro documento: “Ci siamo detti come stanno le cose e qual è la posta in gioco, abbiamo messo a fuoco le questioni cruciali e realisticamente prioritarie. Non ci si è nascosti di fronte ai dati della realtà”. È davvero importante questo realismo, che ci evita sia di far finta che i problemi non esistano sia di cadere in un certo disfattismo a causa delle polemiche da salotto che inducono al fatalismo e alla rassegnazione. Credo che sia sufficiente ricordare che la ‘commedia dell’arte’ è nata in Italia ed è diventata molto popolare, ricordando però che in questo caso ‘arte’ significava il ‘mestiere’, la professione di commediante: non a caso all’estero è stata chiamata ‘commedia italiana o all’italiana’.
La seconda considerazione è anch’essa molto presente nel documento. La riassumo così: proprio la situazione di crisi che viviamo deve aiutarci a uscir fuori dall’errore commesso non solo negli ultimi decenni ma da parecchio tempo, quello di non considerare l’uomo come un intero, ma di vederlo sempre e solo dal punto di vista dei suoi bisogni materiali, nella logica riduttiva del produttore/consumatore, anzi spesso solo come consumatore.

La terza parola è responsabilità. Anche in questo caso l’esperienza di Reggio Calabria ha favorito la presa di coscienza della responsabilità in riferimento a ogni ambito della vita, in particolare in riferimento alla vita civile e ai giovani. Il documento si sofferma su diversi aspetti in cui è necessario lavorare seriamente per il bene di tutti e di ciascuno pensando al futuro: questo deve essere l’intento di tutti. Anche qui mi chiedo se e come questa presa di coscienza possa valere per tutti i nostri cittadini, dai genitori agli amministratori, dalla scuola alla comunità ecclesiale. Nel travaglio del nostro tempo, responsabilità vuol dire che noi dobbiamo ricuperare sia un sano e salutare realismo – molte sono le illusione da abbandonare – sia uno slancio progettuale che faccia leva su verità degne dell’uomo. Va smascherata l’idea che più si ha e più si è felici, non è vero che più si consuma e più si è appagati. Responsabilità significa allora riscoprire altri beni, apprezzarli e valorizzarli. Penso ai beni relazionali nella famiglia, nei luoghi di lavoro, nella società civile: sono assai più preziosi di altri beni e concorrono decisamente ad aumentare la nostra felicità. Ma per accogliere e far valere questi altri e più preziosi beni, occorre il concorso di tutti, anche delle amministrazioni, nella loro gestione delle risorse e poi anche nella concezione stessa dell’amministrazione. Se si segue e si pratica un modello verticistico di vita sociale, si diffonde la ‘cultura del dovuto’: questa cultura, lo vediamo, non aiuta a formare una società civile responsabile.

Unità, speranza, responsabilità: sono tre parole semplici ma fondamentali per il bene comune, per far sì che il nostro Paese torni a crescere, per dare un futuro meno incerto alle generazioni più giovani. Siamo tutti chiamati in causa in quest’opera che è di amore verso il nostro Paese, verso i nostri concittadini, verso i nostri giovani. So che voi amministratori già state facendo parecchio in questa direzione e anche di questo vi ringrazio molto.

Concludo rinnovando a voi, alle vostre famiglie e ai vostri concittadini gli auguri più fervidi di buone feste natalizie. Vi assicuro anche l’accompagnamento della comunità ecclesiale, in particolare con il sostegno della preghiera.

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio