domenica 28 ottobre 2007

Tonini prete da 70 anni

Il cardinale piacentino, oggi 92enne, venne ordinato

a Santimento dal vescovo Menzani il 18 aprile del 1937

"Tonini, prete da settant'anni"

Per l'anniversario gli auguri di Ratzinger e un convegno di bioetica


da Libertà, 18 aprile 2007


Oggi interviene a Melegnano ad un convegno di bioetica, domani presenterà
un libro a Cinisello Balsamo, ieri mattina, a Ravenna, ha parlato per oltre
un'ora ai microfoni di una troupe Rai. È la vita frenetica di un arzillo
92enne che da settant'anni esatti veste la talare e ne va fiero. Mai un
ripensamento, mai un “rospo ingoiato” o un “obbedisco” uscito tra i denti.
Il cardinale Ersilio Tonini non ha difficoltà a dire: «Sono nato prete
e nella mia vita sono stato fortunato: ho fatto quello che avevo sempre
desiderato sin da quando avevo sei anni». Questa mattina ricorrono i 70
anni esatti dal giorno dell'ordinazione di Tonini; due giorni fa, Benedetto
XVI° ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno. Il cardinal Tonini e
papa Ratzinger non hanno mancato di scambiarsi vicendevolmente gli auguri per questi due eventi da celebrare.

In realtà il cardinale piacentino, a quanto racconta la suora sua assistente,
non ha dato troppa pubblicità ai suoi settant'anni di sacerdozio che, a
Ravenna, sono stati celebrati ieri mattina con una cerimonia molto sobria
all'interno della comunità in cui Tonini vive. È tuttavia sufficiente una
telefonata da Piacenza perché la macchina dei ricordi del cardinale si
metta in moto e continui inesauribile con incredibile dovizia di particolari.
«Nel 1937 siamo stati ordinati sacerdoti in 24 dal vescovo Menzani - esordisce
il cardinale -, in 4 a Santimento il 18 aprile. Il vescovo, in quel periodo,
stava facendo la visita pastorale ed è stato per questo motivo che l'ordinazione
non si tenne in cattedrale. Di quei 24 siamo rimasti in due: io e monsignor
Luigi Molinari, che fece il parroco a Pianello».
«Di quella data ho un
ricordo splendido - dice Tonini - era il giorno in cui si arriva allo scopo
di tutta una vita, un sogno che si corona». Già, perché Ersilio Tonini
ha cominciato presto ad avere le idee chiare: «Ho iniziato a rendermene
conto a 6 anni: mio padre stava menando la polenta sul fuoco la sera, io,
che ero piccolino, mi infilai sotto il camino e gli chiesi, in dialetto,
se ci volevano molti soldi per studiare da prete. Mi rispose che ce ne
volevano tanti. Poi si confidò con mia madre la quale, un giorno, mi chiamò
e mi disse: “Sono desideri belli, però ora sei piccolo, poi si vedrà, adesso
pensa a fare il bravo a stare vicino al Signore, ma non rivelare a nessuno
il tuo desiderio sennò non saresti più libero». «Fu un suggerimento ottimo
- continua il cardinale -, se avessi cambiato parere sarei stato segnato
per la vita, se avessi reso pubblico il mio desiderio, qualcuno avrebbe
potuto tentare di convincermi a desistere». Tonini è un fiume in piena:
«Un giorno un contadino che aveva intuito qualche cosa mi disse: “Ragazzo
non vorrai mica fare il prete?! Perché, devi sapere, sono tutte favole
e i preti servono solo a mantenere la santa bottega”. Io non dissi nulla
e mi tenni tutto per me, con una gran voglia di guardarci dentro. Quando
arrivai al liceo mi buttai sulla filosofia e gli studi supportarono il
mio convincimento».
Settant'anni con la medesima “casacca” sono un primato
invidiabile: «I momenti belli sono stati tanti. Non mi sono mai pentito,
assolutamente. Quando ero chierichetto a Centovera e il parroco parlava
a messa mi chiedevo perché non potessi farlo anch'io». Siccome a San Damiano
era già tutto esaurito, tutte le domenica il piccolo Tonini andava a piedi
fino a Centovera per fare il chierichetto. «Rifarei la stessa scelta anche
ora, a distanza di settant'anni: era un desiderio per il quale sono nato,
non ho sognato altro che fare il prete».
«Nel mio paese - prosegue - quando
hanno saputo che il figlio di un contadino andava a fare la quarta elementare
a San Giorgio e la quinta a Carpaneto si sono meravigliati tutti, quando
hanno capito che volevo andare in seminario erano molto sorpresi. Nel mio
paese non era mai accaduta una cosa del genere». La scelta di fare il prete
sorprenderebbe oggi come allora, ma oggi, come allora, Tonini direbbe di
sì: «Oggi il problema è un altro: il clima familiare. A casa mia c'era
una grande serenità, mio padre non ha mai alzato la voce con mia madre.
Oggi c'è una tensione verso lo star bene, mia madre, invece, mi comunicò
lo stupore per essere al mondo». «Sono stato molto fortunato come uomo
e come sacerdote. Ho fatto tanto: lo studio a Roma, poi Piacenza e la guerra,
a Salsomaggiore, il Nuovo Giornale, la nomina a vescovo, insomma ti rendi
conto che c'è un'attenzione di Dio su di te».
Federico Frighi

Tonini, mangerei una mela transgenica

Il cardinale piacentino protagonista

di un convegno sugli organismi geneticamente modificati

"Mangerei una mela transgenica"

Tonini: la ricerca scientifica è un dovere e un dono


da Libertà, 18 marzo 2001


«Una mela transgenica? Se ho la garanzia degli scienziati che non ci
sono elementi inquinanti la mangerei volentieri». Il cardinale Ersilio
Tonini prende le difese degli organismi geneticamente modificati, chiama
applausi per gli scienziati ed i ricercatori, invita la gente ad informarsi
di più senza lasciarsi prendere dai pregiudizi. Nei giorni il cui il “popolo
di Seattle”, le divisioni anti globalizzazione manifestano, al Global Forum
di Napoli, l'ennesimo no a tutto ciò che sembra portare il pianeta Terra
fuori dalla sua natura, il cardinale interviene al fianco degli scienziati
per difendere i “cibi Frankestein”.
Lo fa dal pulpito profano del Teatro dei Filodrammatici, dove è stato
invitato dalla Famiglia Piasinteina a portare la sua opinione e quella
della Chiesa sui cosiddetti “ogm”: gli organismi geneticamente modificati.
Assieme al porporato anche due esperti del mondo scientifico: il professor
Gianfranco Piva, preside della facoltà di Agraria della Cattolica di Piacenza,
nonché direttore dell'istituto di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione,
ed il professor Francesco Salamini, direttore generale del Max-Planck Institut
di Colonia. A fare gli onori di casa il presidente della Famiglia, Danilo
Anelli, ed il coordinatore della serata Mauro Tagliaferri. «La ricerca
scientifica è un dono ed un dovere sacrosanto», non ha dubbi il cardinale
Tonini. «Non possiamo dimenticare - spiega - che nella visione cristiana
la conoscenza è un dono di Dio, un dovere ed una responsabilità. Nella
Bibbia sta scritto che l'uomo deve utilizzare la natura per scoprirne i
tesori, dunque ecco che ogni scoperta scientifica è un'esaltazione della
vita umana, della grandezza del dono di Dio». Tonini porta le parole di
Giovanni Paolo II: «Il Papa, nel discorso ai genetisti del 5 marzo 1984,
li invitava a procedere con il massimo fervore nella ricerca sul genoma
umano». Il perché, secondo il porporato, è semplice: «Un domani sarà possibile
eliminare per sempre quei morbi impietosi come l'Alzheimer ed il Parkinson
ed altre malattie oggi ritenute incurabili». Occorreranno però delle misure,
delle regolamentazioni della ricerca. «Questo non spetta agli scienziati
- dice il porporato - ma alle istituzioni. Il potere politico ha il dovere
sacrosanto di tutelare l'essere umano» sottolinea con forza. «L'uomo non
potrà mai utilizzare un suo simile come strumento di ricerca» mette bene
in chiaro, ed osserva che la ricerca deve avere dei significati e degli
scopi terapeutici. Può l'intelligenza umana modificare gli alimenti? Può
trasformare i cibi? «Se questo volesse dire garantire all'uomo una facilità
di accesso al necessario per vivere ed una cura più razionale dell'alimentazione
non ci vedrei nessun contrasto» fa sapere il cardinale. «Gli scontri nascono
quando la paura prende il sopravvento. Non condivido la sfiducia totale,
il gridare all'allarme, come se i prodotti della terra fossero i soli a
dare garanzie all'uomo». Nel campo dei cibi transgenici, secondo Tonini,
la Chiesa non dirà mai di no. «Chiederà, questo sì, molta serietà agli
scienziati; pretenderà che diano serie e precise garanzie all'essere umano.
Ma non ostacolerà mai la ricerca». Il porporato piacentino ricorda la nascita
della facoltà di Agraria, realizzata da padre Gemelli con i soldi del calmiere
del latte: «Nacque per la ricerca, con la benedizione della Chiesa e degli
agricoltori del posto». Ma anche la situazione drammatica che sta vivendo
l'Africa, «dove di fame si muore ed i bambini mangiano le formiche». «Io
sono vescovo - si mette una mano sul cuore - e questa gente, come tutte
le creature, ho il dovere di proteggerle. Con gli organismi geneticamente
modificati si potrà dare finalmente da mangiare a tutti e si potranno portare
cure a chi prima non ne ha mai assunte perché la sua dieta è sempre stata
poverissima, quasi inesistente».

Federico Frighi

Tonini su Marta e Milagros

Sulla vicenda delle gemelline siamesi peruviane

Tonini, i giornalisti hanno agito bene

da Libertà, 30 maggio 2000


L'obiettivo dell'opinione pubblica mondiale puntato sulle gemelline Marta
e Milagros sancisce la vittoria dell'uomo sui falsi idoli dello sport e
dello spettacolo. Con questa riflessione il cardinale Ersilio Tonini, a
margine del convegno alla Cattolica, è intervenuto in difesa dei mezzi
di comunicazione che «hanno illuminato a giorno» la vicenda delle gemelline
siamesi peruviane. Fallito il tentativo di salvare una delle piccole, il
dramma consumatosi all'ospedale di Palermo ha messo sotto accusa tv e giornalismo
per l'eccessiva pubblicità con cui, secondo alcuni (anche tra le alte sfere
della Chiesa cattolica), sarebbe stato trattato il caso di Marta e Milagros.
Diversamente ha dimostrato di pensarla il porporato: «Che il mondo intero
abbia trepidato per queste due creature e si sia intenerito di fronte al
loro caso significa che finalmente la nostra attenzione non si è fermata
solo su Schumacher, la formula uno o i prossimi campionati europei di calcio;
ma che c'è qualche cosa di più grande: il mondo intero che si ferma ad
ascoltare la storia di due bambini». «I bambini - ha continuato il porporato
- sono stati da sempre il tesoro e la misura del valore della società».
Tonini ha portato ad esempio le popolazioni latine: «I romani, che non
erano stupidi, avevano tradotto nel loro linguaggio questo grande valore:
i figli li hanno chiamati necessarii». « A prima vista sembrerebbe il contrario
- ha proseguito -: che i genitori siano necessari ai figli. Invece i romani
erano già arrivati alla conclusione che i figli erano irrinunciabili da
un punto di vista affettivo». Monsignor Tonini, da giornalista qual'è
(in passato è stato direttore del settimanale della diocesi piacentina
«Il nuovo Giornale» ed oggi scrive le sue riflessioni sul «Corriere della
sera"), ha difeso la categoria, vittima, secondo il porporato di un abbaglio
pilotato. «Il mondo giornalistico è stato deviato - ha detto Tonini -:
non ci hanno fatto sapere quale era la percentuale di riuscita dell'intervento
chirurgico sulle gemelline. Se ci avessero rivelato che c'era soltanto
il dieci per cento di probabilità che l'intervento riuscisse, allora sì
che c'era da chiedersi se fosse veramente valsa la pena di porre questa
sfida». Il dito è puntato verso gli uomini della scienza: «Gli scienziati
devono essere più precisi, sono loro che devono aiutare l'opinione pubblica
a dare un giudizio morale». E ancora: «Il fatto diventa valore quando l'intelligenza
lo misura». Un esempio: «Dell'animale si giudica solo il risultato di un'azione:
il cane che sbrana non ha consapevolezza di sbranare». Diverso è per l'uomo:
«Dell'azione umana non si riportano soltanto i dati di fatto: ci si interroga
se una data cosa era giusta o non era giusta». «E quale è la misura per
giudicare» si è chiesto Tonini «se non la dignità della persona umana».
La conclusione: «Se la risposta, anche della morale, è stata incerta è
perché non ci sono state date indicazioni scientifiche abbastanza sicure».
Montanelli ha altre opinioni Indro Montanelli non la pensa come il cardinale
Tonini, a proposito dell'interesse dei media sulla vicenda delle gemelline
siamesi. «Una storia sfruttata come uno spettacolo, quando non c'era nulla
da spettacolarizzare": non ha dubbi Montanelli nel bollare con un secco
«non mi è piaciuta per niente» la vicenda delle due gemelline siamesi Marta
e Milagros, morte durate l'operazione per tentare di separarle e consentire
a una di loro di sopravvivere. Montanelli, che esprime dubbi sulla decisione
di fare l' operazione, a margine di un convegno per ricordare il ventennale
dell' uccisione del giornalista Walter Tobagi, afferma che «aver messo
l'intervento sotto gli occhi di tutti puzza di esibizionismo», e dice di
essere «dalla parte del chirurgo che non ha voluto partecipare: i fatti
gli hanno dato ragione, anche se l'intervento fosse riuscito e si fosse
salvata una vita, mi domando che vita sarebbe stata». Per Montanelli infatti,
a prescindere dagli aspetti fisiologici dell' intervento, non si è pensato
a quelli morali e psicologici, perchè se Marta fosse sopravvissuta «avrebbe
sempre saputo che era viva grazie alla morte della sorella».

Federico Frighi

In clausura il nuovo millennio

Chiara, nel Duemila

festeggerà la clausura


da Libertà, 23 dicembre 1999




Cosa ci si può aspettare da una vita chiusa in un monastero, dietro le
grate della clausura? Lo abbiamo chiesto a Chiara, per la quale il nuovo
millennio si apre con l'ingresso in convento. Mentre il conto alla rovescia
scivola verso l'anno Duemila con il suo strascico di luci e party celebrativi,
Chiara, 25 anni, agente immobiliare, sceglie di entrare in clausura nel
monastero di San Lazzaro delle Carmelitane di Santa Teresa. Penitenza e
delusione per come va il mondo fuori dalla grata? Macché. San Giovanni
Bosco, a chi gli chiedeva che cosa fosse la santità, rispondeva: «Per noi
è soprattutto una grande allegria». Chiara, se provi a farle i complimenti
per la scelta coraggiosa, si mette a ridere. «Guardi che questa non è una
dimensione di sacrificio. Io, se devo dire la verità, mi sono sempre divertita
nella vita, e lo sta facendo anche adesso». Ammetterà però che la scelta
è coraggiosa. «Ci vuole del coraggio ad imparare la dimensione della rinuncia
ma a rispondere non ce ne vuole tanto. Io non ho scelto nulla. Lo spirito
soffia quando, come e dove vuole». Certo però uno deve anche saper rispondere.
«E' il Signore che ha scelto questo momento. Ti prende una grande gioia
alla quale non si può dire di no. Ho lasciato la mia famiglia in lacrime.
Volevano che entrassi in clausura con l'anno nuovo. Ma in questa cosa c'è
un amore talmente forte dentro, che ti porta a prendere il largo e ad affidarti.
E quindi vai. Perché quella è l'unica dimensione possibile». Come ha conosciuto
la clausura? «Premetto che non ho mai frequentato la vita ecclesiale. Sono
stata con mia madre a Lourdes e, mentre comperavamo dei dolcetti, mi è
capitato fra le mani un opuscolo che spiegava in modo simpatico la vita
delle claustrali». Per lei che cosa è il Duemila? «Penso che questo sia
un momento di passaggio, in cui la Chiesa ha bisogno di testimonianze forti.
E' l'anno in cui i figli si riconciliano con il Padre». In che senso?
«E' l'anno della speranza. Dei grandi colloqui fra gli uomini e le religioni.
Spero che il Duemila sia l'anno dell'unità». Che cosa sogna una suora
di clausura? «Il sogno più grande è che l'uomo torni ad essere uomo e
non abbia più grandi pretese. Che ritorni a fare la volontà di Dio in maniera
semplice senza pensare a grandi cose che lo portano lontano dalla natura
e da quello che dovrebbe essere». Come si sente di fronte al mondo che
ha appena lasciato di là dalla grata? «Mi sento un fiore di questo prato
variopinto che è il mondo. Ognuno ha la sua bellezza, sceglie di essere
quello che vuole o che può essere nel momento presente. Non giudico male
le persone che cercano di passare il Capodanno nella maniera più goliardica
possibile. L'ho fatto anch'io». E lei come lo passerà? «Io vivrò di
poco. Per me sono finite le grandi feste. Dopo il Te Deum passerò il Capodanno
a vegliare con le sorelle aspettando la benedizione del Santo Padre. Tutti
i ragazzi che hanno deciso di vivere questo passaggio di secolo in un altro
modo, li avrò di fronte, nell'eucarestia. Magari non lo sanno, ma il Signore
è lì anche per loro». Che cosa lascia nel Novecento? «La pretesa dell'uomo,
ed anche la mia, di volere fare tutto di propria volontà e testa senza
chiedere consiglio a Dio o alla propria coscienza». E che cosa porta con
sé della sua vita passata? «A livello personale vorrei portarmi qualche
cosa che non ho: non vorrei far ridere con una parola troppo grossa, ma
è la forza del martirio. Lo diceva monsignor Tonini: per la chiesa comincerà
il nuovo martirio che non è fisico ma psicologico. Mi auguro di avere la
forza di dare un nome e comunicare agli uomini la speranza che c'è nel
mio cuore. Dovesse costare tutto. Il vero miracolo non è che Dio faccia
la volontà degli uomini, ma che gli uomini facciano la volontà di Dio».
Grazie, Chiara, perché ci tiene con i piedi per terra e ci fa pensare.
«Sì, però tenga presente che questa è una dimensione di gioia, non di
privazione fine a se stessa. Le assicuro che passo gran parte del mio tempo
a ridere. Non so se ridevo più fuori o più qui dentro».

Federico Frighi



Tonini, salviamo la montagna

Due giorni di festa per Ersilio Tonini a Farini

Il cardinale: "Non isoliamo la montagna"

da Libertà, 20 giugno 2002


Eminenza, lo sa che se qualcuno si rompe una gamba a Farini lo si deve
portare in ambulanza sino a Piacenza dove c'è il posto di pronto soccorso
più vicino? «O perbacco! Neanche a Pontedellolio?» No, si deve fare un'ora
di strada sino a raggiungere la città. Il cardinale ci pensa un attimo
e ripete: «Quello che potrò fare per Farini lo farò certamente». Poi ricorda
un episodio in cui si trovava dall'altra parte: «La prima volta che venne
Alcide De Gasperi a Piacenza ebbi modo di accostarlo e gli consegnai un
articolo firmato da me ed intitolato “Ferriere, Comune mulattiera”». Anche
allora ci si lamentava dell'isolamento della montagna. «De Gasperi mi incitò
a continuare a denunciare la situazione. “Parlano dell'Italia come il giadino
d'Europa - disse - in realtà siamo la montagna d'Europa. Bisogna che se
ne parli perché è necessario che i parlamentari ne siano persuasi”». Fu
proprio da un incidente occorso ad una domestica di Ferriere, mentre accompagnava
il padrone in Liguria, che Tonini lanciò la campagna, assieme alle Acli,
per la mutua alle domestiche. Ebbene, se oggi le domestiche hanno la mutua,
lo si deve all'Alta Valnure. Per monsignor Tonini l'Alta Valnure non è
una scoperta. Piuttosto un ritorno. «Ho frequentato queste zone, Gambaro
in particolare, quando ero a Piacenza insegnante in seminario e direttore
de Il Nuovo Giornale. Ancora prima, studente a Roma, andavo a Cogno San
Bassano per un po' di vacanza presso il parroco. In quegli anni - era il
1948 - ci si trovava spesso con i sacerdoti della zona per incontri comunitari,
per passare un po' di tempo assieme». Nei ricordi del cardinale c'è una
gita alla sorgente del Nure assieme ai compagni di tonaca in cui Tonini
tenne scherzosamente una sorta di orazione solenne dedicata alle meraviglie
della natura ed alla nascita del torrente. In Alta Valnure ci si andava
anche per rilassarsi dalle quotidiane fatiche della cura d'anime. «In quei
tempi ci si preparava alle elezioni del '48 e c'era un grande fermento
che impegnava anche noi al settimanale diocesano». Erano i tempi degli
scambi vivaci tra comunisti e cattolici che vedevano l'allora don Tonini
paladino, ovviamente, dei secondi. «Lo stile, il linguaggio che si usava
tra me ed i comunisti era molto schietto ma molto sereno» ci tiene comunque
a precisare il porporato. Altra meta praticata era Brugneto «anche se lì
ero giovanissimo (andavo al ginnasio)». Ancora: «Era un posto ideale per
distrarsi, andavo nel Nure a pescare le trote, una mia grande passione».
L'Alta Valnure insomma è sempre stata per Ersilio Tonini, in quegli anni,
quello che oggi è la Valle d'Aosta per Carol Wojtyla: un piccolo angolo
di paradiso in terra. Il cardinale arriva a Farini ad un anno di distanza
dopo che per un malore dovette rinunciare all'invito di dodici mesi fa.
«Adesso, grazie a Dio, sto bene e ritorno in questi posti molto volentieri»
dice Tonini. Inaugurerà una via dedicata a don Anacleto Mazzoni. «Lo conoscevo
bene: quando entrai in seminario lui era agli ultimi anni. Ricordo i discorsetti
che faceva durante le feste, le poesie che componeva. Era stato parroco
a Rivergaro dove aveva fatto un gran bene. Era un prete dal cuore largo,
senza grandi fronzoli, concreto, intelligente ma vicino alle persone che
conosceva ad una ad una, sempre di buon umore, con quel senso dello humor
moderato che hanno tradizionalmente i piacentini».

Federico Frighi

Giuseppe De Carli racconta il Giubileo del Duemila



Intervista a Giuseppe De Carli, vaticanista del Tg1


"E' stato un trionfo di confessioni"


Il vaticanista De Carli racconta le sue dirette sul Giubileo




da Libertà, 12 gennaio 2001




Trecentosettantanove giorni di Giubileo, 57 dirette televisive, oltre 300 ore di trasmissione. Giuseppe De Carli è uno dei testimoni privilegiati di questo Anno Santo appena terminato. Da quattordici anni giornalista vaticanista del Tg1, responsabile dell'informazione religiosa del primo canale Rai, ha seguito passo dopo passo il grande Giubileo del Duemila raccontandolo alla gente perché si sapesse che cosa stava veramente accadendo, quale nuovo mattone si stava aggiungendo al palazzo della storia. Milanese di nascita, De Carli è di origine piacentina essendo il padre nato all'ombra del Gotico. Conserva ancora in città ed a Castelvetro Piacentino diversi parenti e l'altra sera è stato ospite del circolo “Il Carroccio”, dove ha presentato il suo “Breviario del nuovo millennio. Pensieri su un mondo che verrà”, edito dalla San Paolo, in cui ha raccolto le interviste andate in onda per tre anni, nell'edizione delle 13,30 del Tg1 del sabato, sotto la rubrica “Le parole del millennio”. Si è trattato di una sorta di preparazione a quell'Anno Santo che De Carli ha appena finito di raccontare. «Dal punto di vista umano, il Giubileo è stata un'avventura incredibile. Immaginavo la fatica, ma non l'intensità di ciò che ho provato. E' stato come entrare in un tunnel di emozioni da cui sono uscito solo il 7 gennaio con l'Angelus del Papa e l'ultima diretta. Da giornalista ho cercato di fermarmi sulla soglia di queste emozioni. Io, mi sono sempre detto, parlo a chi crede come a chi non crede. Durante le dirette qualche volta però mi è venuta la pelle d'oca». - Ad esempio? «Quando il Papa è entrato nel Santo Sepolcro; quando ha messo il biglietto con le richieste di perdono tra le pietre del muro del pianto, quando al Sinai ha cominciato a parlare di Mosè; quando a Tor Vergata ha invitato i giovani ad essere le “sentinelle dell'alba del millennio”. Quando avevo visto i primi programmi di questo Anno Santo li avevo considerati una sorta di parata di Giubilei particolari in contrasto con quello che doveva essere lo spirito di questo evento. Devo dire che sono stato smentito dai fatti e mi sono ricreduto». - Perché le scelte di una Chiesa considerate da molti anacronistiche si sono invece dimostrate azzeccate? «Innanzitutto perché la Chiesa ha dimostrato di parlare alle singole categorie, di avere qualcosa da dire ai politici come agli agricoltori come agli operatori ecologici, ai giovani come agli anziani, ai giornalisti come agli scienziati, ai laici come ai preti ed ai vescovi». - E poi? «E poi c'è tutto un aspetto del Giubileo che i media non hanno messo bene in evidenza. Non è l'acquisto delle indulgenze quello centrale, ma la riscoperta del sacramento della confessione. Nessuno di noi giornalisti se l'era immaginato all'inizio. Due milioni di giovani sono andati a Roma e mezzo milione si è confessato. Hanno dovuto triplicare il numero delle panche nella basilica vaticana, quintuplicare quello delle altre basiliche patriarcali. Ho visto preti stramazzare al suolo, svenuti, per la fatica di confessare senza sosta». - Che ruolo ha avuto la persona di Carol Woityla in questo Giubileo? «I grandi gesti del Papa sono stati fondamentali: il viaggio in Terra Santa, il culmine di tutto un Pontificato; la Giornata del perdono il 12 marzo. E' stato, quest'ultimo, l'atto più rivoluzionario di un Papa da duemila anni a questa parte. Quando mai un'istituzione, l'unica che ha attraversato tutta la storia da Cristo ad oggi, chiede perdono delle colpe commesse dai suoi figli, magari in nome di Cristo?». - Il Giubileo ha raggiunto il suo obiettivo? «Non lo so. La cosa certa è che ha dimostrato innanzi tutto la vitalità della Chiesa; ha dimostrato che in Occidente c'è un'istituzione più dinamica di tutte le altre. La politica non attrae più, la Chiesa invece aggrega; e su valori di fondo. Uno può dire che non è vero. La risposta è che c'è un Papa, vecchio, malandato, scosso dal morbo di Parkinson, che riesce ad attirare due milioni di giovani a Tor Vergata». - E il dialogo con le altre religioni? Questo Giubileo era partito bene. Poi, però ... «E' forse questo il lato con più ombre. Dopo il gesto del Papa con l'ebraismo e con l'Islam sulla spianata delle moschee, la visita ai campi profughi della Palestina, il muro del Pianto, le cose si sono un po' arenate. Ha contribuito il documento del cardinale Ratzinger, “Dominus Iesus”, sulla unicità della salvezza nella Chiesa cattolica. Ha irritato molto le altre religioni. Nella sostanza ha detto le cose del Concilio, ma forse la forma andava modificata. Nella lettera apostolica “Novo in eunte millennio”, che Woityla ha firmato il 6 di gennaio, c'è tutta una parte in cui si parla dell'impegno ecumenico di questo Papa quasi ottantenne che afferma che il futuro della chiesa sta nel dialogo con le altre culture religiose». - Non era facile riuscire a comunicare il contenuto di questo Giubileo. Che giudizio dai su quello che è passato alla gente? «E' stato un Giubileo che è riuscito a comunicare. Certo, ci sono state delle difficoltà. Non tutti bucano lo schermo come il cardinale Tonini che con quel suo volo scavato sembra quasi uno scoiattolo e viene ascoltato perché è credibile. Però la Chiesa ha un altro grandissimo comunicatore: il Papa. Che non rispettando le regole della comunicazione riesce a farsi capire da tutti, anche grazie alla sua corporeità malandata. La gente si identifica in questo Papa sofferente, tenace, determinato, e lo tocca come se fosse una reliquia. Io, in questi anni, ho avuto l'impressione di fare la cronaca non dell'attività di un Papa ma di quella di un santo». - Questo Papa non arriverà a 120 anni come Mosè. Chi sarà il suo successore? «Siamo a pochi giorni dal prossimo concistoro e Woityla, probabilmente domenica, rivelerà i nomi dei nuovi cardinali. In quel momento avremo il quadro completo di come sarà composto il sacro collegio che andrà al futuro conclave. Se, come pare, la grande maggioranza sarà di cardinali non italiani, saremo probabilmente avviati verso un nuovo papa latino-americano. Teniamo infatti conto che la metà dei cattolici del mondo si trovano in America Latina. Come la scelta profetica cadde su di un pontefice slavo nel momento di massimo attrito della Guerra Fredda, la prossima mossa potrebbe essere quella di andare verso un nuovo continente, diverso dall'Europa».


Federico Frighi

Santini, inseguendo il Papa viaggiatore

Intervista ad Alceste Santini, vaticanista l'Unità

Inseguendo il Papa viaggiatore

"Ha umanizzato la Chiesa confrontandosi coi poveri"


da Libertà, 4 marzo 2001


Alceste Santini, da quasi quarant'anni «vaticanista» de “l'Unità”, è stato l'unico giornalista che, nel periodo della Guerra Fredda, poteva permettersi di dialogare con Mosca e con il Vaticano nel medesimo tempo. Grande amico del braccio destro di Giovanni Paolo II, quel monsignor Agostino Casaroli di cui fu certo anche consigliere ed informatore privilegiato, ma nello stesso tempo uomo di fiducia di un sistema partitico che aveva ne “l'Unità” il suo organo di informazione ufficiale. Cose politiche e cose religiose, un connubio non facile: «Non è stato mai difficile parlare di un Papa su un giornale di partito - assicura -. Mi sono sempre posto di fronte al pontefice ne più ne meno di come un altro giornalista si pone di fronte alla cronaca, alla politica o ad altre questioni». Per molti altri, tuttavia, è una tentazione, quasi in odore di zolfo, in cui si cade sempre e regolarmente. Specie nell'imminenza di elezioni politiche delicate come quelle che stanno per arrivare. Quando un segretario di Stato come il cardinale Angelo Sodano convoca prima Rutelli e poi Berlusconi ed annuncia che seguiranno tutti i leader dei vari partiti politici che cosa significa? Che le consultazioni non si tengono più sul Quirinale ma sul Vaticano? «E' stata una vera e propria gaffe. Il cardinale Casaroli non ci sarebbe mai caduto. Lo stesso papa Wojtyla, durante il suo terzo viaggio in Brasile, nel '91, disse che spetta ai laici compiere, in piena libertà ed autonomia e responsabilità, le loro scelte sociali e politiche. Questo perché, per usare sue parole, “un'interferenza diretta da parte di ecclesiastici o religiosi nella prassi politica, o l'eventuale pretesa di imporre, in nome della Chiesa, una linea unica nelle questioni che Dio ha lasciato al libero dibattito degli uomini, costituirebbe un inaccettabile clericalismo”. La stessa cosa vale per quei fedeli laici che, nelle questioni temporali, pretendessero di agire, senza alcuna ragione o titolo, in nome della Chiesa, come suoi portavoce o sotto la protezione della gerarchia ecclesiastica».- Ciò non toglie che nel mondo politico odierno i voti dei cattolici sono sempre corteggiatissimi. Non le pare? «Questo Papa, sul piano delle scelte sociali ha riempito un vuoto lasciato da un mondo che è crollato, quello dell'est, che dapprima rappresentava una certa speranza, l'idea socialista, poi tradita nella sua realizzazione pratica. Una volta caduto quel mondo, i partiti ed i movimenti di ispirazione socialista sono rimasti disorientati. Il Papa ha riempito quel vuoto, sia per le cose che ha detto, sia per l'autorità morale che rappresenta. Un esempio per tutti: di fronte a Clinton, Wojtyla disse espressamente di non potere accettare il liberismo economico ed il mercato selvaggio, perché tende ad escludere larga parte dell'umanità fino ad eliminare i più deboli. Fu un'affermazione fortissima che la sinistra che noi oggi conosciamo in Europa, non dice». - E' un Papa più di destra o di sinistra? «Non lo classificherei né da una parte né dall'altra. Abbiamo un Papa che dice cose che vengono portate avanti da una sinistra impegnata che però oggi non è in grado di rilanciare queste idee fondamentali per offrire una prospettiva; ma abbiamo anche un Papa nelle questioni della vita di coppia, del matrimonio, nella sessualità, nella genetica rimane legato alla tradizione». - Lei ha seguito e raccontato la vita di papa Wojtyla per 92 viaggi che, come scrive nel suo libro, hanno cambiato la geografia del mondo. Chi è per lei Giovanni Paolo II? «E' un Papa che ha umanizzato la Chiesa confrontandosi con popoli e tradizioni diverse, favorendo la partecipazione e la collegialità. E' un uomo di grande preghiera e di spiritualità. Ha un atteggiamento interiore che lo spinge a relazionarsi con tutte le persone a prescindere dal loro modo di pensare. Ha detto lui stesso che frammenti di verità stanno in tutte le culture e le religioni. Sta ai cristiani a ricostruire l'unico grande mosaico». - Che cosa ha rappresentato il Giubileo del 2000? «Quello del 1950 fu celebrato nel segno del ritorno all'unica chiesa, escludendo ebrei, musulmani, protestanti, comunisti scomunicati. Il Giubileo appena concluso è stato all'insegna di un grande dialogo con tutte le categorie sociali e le religioni. A maggio, non a caso, ha convocato il concistoro straordinario con tutti i cardinali per analizzare i due grandi temi del futuro: quello della collegialità e quello dell'ecumenismo». - Giovanni Paolo II quale eredità lascerà al suo successore? «Il futuro Papa non potrà più rimanere dentro le mura del Vaticano, dovrà continuare questi viaggi, ad andare incontro alle genti. Ha dato una prima indicazione: il primo millennio è servito affinché il cristianesimo da Gerusalemme arrivasse a Roma, il secondo millennio perché si affermasse in America Latina ed Africa, il terzo millennio in Asia, dove vivono tre miliardi e mezzo di persone, di tradizioni culturali e religiose diverse, ma dove i cattolici sono poco più di 100 milioni». - Si dice che il prossimo Papa sarà un latino americano. Che cosa ne pensa? «E' possibile: il baricentro del cattolicesimo mondiale ormai si è spostato nell'America Latina, dove vive più della metà del miliardo e 40 milioni di cattolici presenti nel mondo. Fare un nome è molto difficile ed anche poco serio. E' da sei anni che ci proviamo ma questo Papa continua a regnare. Si può solo dire che il collegio cardinalizio è Wojtyliano, non c'è più un cardinale creato da Giovanni XXIII e ne sono rimasti solo una ventina fatti da Paolo VI. Il conclave, quando sarà il momento, valuterà la situazione politica mondiale e sceglierà la persona più adatta».
Federico Frighi

Alceste Santini su Giovanni Paolo II

«Nessun gesto di mea culpa supererà mai
quella carezza al muro del pianto»

Giovanni Paolo II raccontato da Alceste Santini.Il vaticanista dell’Unità venuto a Castelsangiovanni per presentare il suo ultimo libro sul pontefice

da Libertà, 4 marzo 2001

PIACENZA - E’ un Papa che comunica
attraverso dei segni, dei
gesti simbolici che hanno
poi trovato la loro summa
nel Giubileo del 2000».
Non era mai successo che
un pontefice parlasse direttamente
ai giornalisti, tenesse
improvvisate conferenze
stampa, abbracciasse Madre
Teresa di Calcutta e la rivolgesse
verso telecamere e fotografi
per portare la sua immagine
al mondo intero. Papa
Wojtyla è anche questo. A raccontarlo
è Alceste Santini,
«vaticanista» de l’Unità per
quasi quarant’anni, saggista,
collaboratore di riviste italiane
e straniere, con ben 92
viaggi papali all’attivo, tutti
con Giovanni Paolo II. La
«penna santa» del quotidiano
fondato da Antonio Gramsci
è stata ospite l’altra sera del
Centro culturale di Castelsangiovanni,
in un incontro
presentato dall’assessore alla
cultura, Alberto Caravaggi.
La presenza castellana di
Santini era legata sia alla presentazione
del suo nuovo libro
- “Con Giovanni Paolo II
per le vie del Mondo. La nuova
geografia del papato” (edizioni
Rubbetino) - sia alla veste
di consulente in vista della
creazione del museo dedicato
al monsignor Agostino
Casaroli.
Dell’ex segretario di Stato di
papa Wojtyla, Santini era amico
e consigliere e, nel 1993,
al cardinale piacentino, aveva
dedicato un libro intitolato
“Agostino Casaroli, uomo del
dialogo”.
Il gesto, dicevamo, più delle
parole, lo strumento principale
del Papa comunicatore.
«Gesti che gli hanno consentito
di mettere in discussione
persino il primato del vescovo
di Roma (il pontefice appunto,
ndr.), di sviluppare il
dialogo con ebrei, cristiani,
musulmani, quali figli di Abramo,
e di estenderlo alle
grandi religioni non cristiane,
induismo, buddismo, taoismo,
scintoismo». Santini ha
ricordato i gesti del perdono:
«L’Africa, l’isola di Gorè,
quando guardò l’oceano per
sette interminabili minuti, in
silenzio, e poi chiese perdono
per lo schiavismo; ma anche
davanti alla porta di Brandeburgo,
presente il cancelliere
Khol. “Putroppo”, disse, “sono
stati pochi ad opporsi al nazismo,
alla più grande follia
del XX secolo”. Un’altra volta
chiese perdono ad Auschwitz
che elevò a Golgota del mondo
contemporaneo; andò a pregare
sulla tomba di Lutero;
abbracciò il metalmeccanico
brasiliano in uno stadio circondato
dalla polizia».
L’elenco potrebbe continuare
a lungo. Santini, testimone,
di questi piccoli ma storici gesti
arriva al 12 marzo del 2000:
«In San Pietro pronunciò il
mea culpa della Chiesa; per le
crociate, l’inquisizione, l’antigiudaismo,
l’antisemitismo,
il caso Galilei, con una contestuale
revisione autocritica
della storia della Chiesa nei
due millenni trascorsi».
Un mea culpa che arriva da
lontano e che, come evidenzia
Santini, trova la sua consacrazione
poco dopo: «Il Papa
che cammina sulla spianata
delle moschee, fermandosi
davanti al muro del Pianto e
mettendo fra quelle pietre
millenarie la dichiarazione di
pentimento per quello che era
stato fatto agli ebrei. A mio
parere è stato questo il momento
più alto del pontificato
di Giovanni Paolo II. Il Papa
potrà ancora andare in tanti
altri posti, ma nessun gesto
supererà mai per importanza
quel biglietto e quella carezza
al muro del pianto».
Federico Frighi

Cives 2007-2008, tutto il programma



  1. 5 novembre “Essere uomini, amare la vita” Vito Mancuso, docente di teologia moderna e contemporanea (S.Raffaele di Milano).
  2. 9 novembre “Dove va il mondo?” , “Chi governa l’economia globale?”, Giacomo Vaciago, docente di politica economica (Cattolica).
  3. 14 novembre “Dove va l’uomo?” , “L’umano alla prova. L’identità personale tra dialettiche del desiderio ed etica del finito”, Luca Diotallevi, docente di sociologia (Roma Tre).
  4. 23 novembre “A sua Immagine” , “Rapporto tra fede, ragione e scienza nella cultura contemporanea”, Bruno Maggioni, biblista, docente di introduzione alla teologia (Cattolica).
  5. 30 novembre Lavori di gruppo
  6. 11 gennaio 2008 “Costruire la città”, “Un futuro sospeso tra incubo e speranza”, Luigi Fusco Girard, docente di economia ed estimo ambientale (Napoli Federico II).
  7. 18 gennaio 2008 “Costruire la macchina”, “Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, etica della produzione nel mondo globale”, Lucio Rossi, direttore Magneti & Superconduttori per il progetto Lhc-Cern Ginevra.
  8. 1 febbraio 2008 “Nulla si crea”, “La questione energetica e ambientale”, Stefano Consonni, docente al Politecnico di Milano e presidente del Leap.
  9. 8 febbraio 2008 “Poste in gioco”, “Tensioni e conflitti per il controllo di acqua e terra. Esperienze nell’Africa saheliano-sudanese”, Marina Bertoncin e Andrea Pase, docenti di geografia (Padova).
  10. 25 gennaio 2008 “Tolleranza e multiculturalità”, Younis Tawfik, scrittore e docente di letteratura araba (Genova).
  11. 15 febbraio 2008 “Decrescita felice”, Maurizio Pallante, saggista, consulente ministero ambiente
  12. 19 febbraio 2008 “Domanda di felicità e diritto positivo”, Luciano Eusebi, diritto penale (Cattolica).
  13. 29 febbraio 2008 “Laicità, tra scelte personali e testimonianza”, Paola Bignardi, già presidente dell’Azione cattolica
  14. 7 marzo 2008 Conclusione
Il corso si svolge alla Cattolica di Piacenza (dal 5 novembre) il venerdì sera dalle 20 alle 22. È prevista la partecipazione di una cinquantina di iscritti. Quattordici gli incontri. Iscrizioni entro il 7 novembre al Servizio formazione permanente della Cattolica (0523/599.488).