mercoledì 4 marzo 2009

Crisi, il vescovo stanzia i primi 50mila euro del fondo di carità

Piacenza - Cinquantamila euro come primo aiuto contro la crisi. Lo stanziamento è stato deciso dal vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, e rappresenta il capitale iniziale di quello che dovrà essere il fondo anticrisi deciso dalla diocesi nell’ultimo consiglio pastorale tenutosi alla Bellotta di Pontenure. I soldi stanziati dal vescovo fanno parte del “forziere“ dell’8 per mille che, di fatto, rappresenta la principale fonte di entrata diocesana. È il primo passo del piano anticrisi che si concretizzerà in micro crediti da erogare alle famiglie bisognose. Al fondo dovranno arrivare anche i contributi di una sorta di colletta tra le parrocchie della diocesi. Non solo: verosimilmente anche il denaro messo a disposizione dalle fondazioni. La Caritas si sta muovendo proprio in questa direzione. L’obiettivo è quello offrire alle banche locali - quattro hanno dato la loro disponibilità - una garanzia concreta alla base dei micro crediti alle famiglie. Poiché è verosimile che, secondo le statistiche, il 30 per cento dei prestiti non venga restituito, ecco che il fondo serve proprio a tutelare chi i prestiti deve erogarli.
L’operazione si inserisce in uno scenario molto più ampio che riguarda gran parte delle diocesi italiane. A fine mese, tra il 23 e il 26 marzo, si riunirà il consiglio permanente della Cei per definire i dettagli del fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà voluto dallo stesso cardinale Angelo Bagnasco.
Assieme allo stanziamento del fondo è stato formato anche un comitato che dovrà accollarsi tutte le iniziative per la gestione degli aiuti anticrisi e il reperimento dei fondi. Una sorta di comitato di super saggi diocesani parallelo a quello civico coordinato dal Comune di Piacenza. La squadra è diretta, in questo caso, dal direttore della Caritas diocesana, Giuseppe Chiodaroli. Ne farebbero parte, tra gli altri, l’ex segretario della Cisl, Sandro Busca, l’ex comandante della polizia municipale Carlo Sartori, il professor Paolo Rizzi, sempre della Cattolica e l'economista Ettore Gotti Tedeschi.
fri

Il testo integrale su Libertà del 4 marzo 2009

Don Enzo e il kibbutz di Nomadelfia

Piacenza - La scomparsa di don Enzo Berté (al secolo don Luigi), 96 anni, apostolo di Nomadelfia e successore di don Zeno, ha lasciato orfani i tanti piacentini che ne hanno sentito parlare e i pochi che, avendolo conosciuto tanti anni fa, hanno la fortuna oggi di esserci ancora e di poter raccontare quell’incontro. Tra costoro c’è l’intera famiglia Gelmini, padre di Bergamo, madre di Modena, trapiantata a Piacenza nei primi anni Cinquanta e oggi, a tutti gli effetti, piacentini d’adozione. Tre dei quattro figli (Roberto, Gemma e Agnese) sono nati nelle case di Nomadelfia. Il quarto, Marco - forse il più conosciuto a Piacenza per essere stato assessore comunale nella prima amministrazione Reggi - pur non essendo venuto al mondo nella città della fraternità, ne ha colto i principi sin da piccolo. Già perché i genitori, Cesare e Ave, sono stati tra i fondatori laici di Nomadelfia, dove sono rimasti dal ’47 al ’57; nell’ex campo di concentramento di Fossoli, trasformato in cittadella della fraternità, si sono conosciuti e, nel 1951, sposati.
«Don Enzo per me non è stato solo un prete - ricorda commosso Cesare Gelmini - ma un prete fratello. È come se se ne fosse andato un componente della mia famiglia». Era stato lo stesso don Enzo a consigliare ai signori Gelmini di lasciare Nomadelfia per una vita più sicura dove avrebbero comunque potuto testimoniare i valori della città al resto del mondo. Gelmini arrivò a Piacenza dove trovò lavoro al Collegio Sant’Isidoro e, successivamente, all’Università Cattolica. Don Enzo, ogni qualvolta si trovava vicino a Piacenza, lo andava a trovare fermandosi a casa. «Nei primi anni Settanta - ricorda Cesare - venne con don Zeno. Si fermarono una settimana e visitarono la Cattolica e il Collegio Alberoni, dove don Enzo si era formato. Poi lo portai a Riva di Pontedellolio, nel cui cimitero riposano i suoi parenti. Il suo legame con Piacenza era molto stretto e molto sentito». «Che cosa mi ha lasciato? Lo spirito di vivere in una comunità di ispirazione cristiana, non una comunità religiosa ma di cristiani che creano una nuova società dove si accettano i figli di tutti, si vive tutti insieme e nessuno possiede nulla, in uno spirito di fraternità assoluta, come quello degli Atti degli Apostoli». Il figlio Marco ha scelto la strada della politica ed è a Roma in veste di coordinatore della segreteria dell’ex ministro Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista: «Ricordo Nomadelfia, le sue fattorie dove ogni famiglia aveva decine di bambini e i figli erano i figli di tutti. Giravamo in mezzo alle tartarughe, quando si pranzava la tv era vietata, si viveva la vera vita comunitaria. Quando sono andato in Palestina ho visto la stessa cosa nel kibbutz».
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Il testo integrale su Libertà del 4 marzo 2009

Migrantes: niente ronde, la sicurezza si fa con l'integrazione

Piacenza - Formazione giuridica per chi opera tra i migranti, affinchè il cammino dell’integrazione possa avvenire sotto il segno della legalità. Niente a che vedere con le misure di sicurezza: non è con le ronde che si raggiunge la coesione sociale.
A pensarla così è il direttore nazionale di Migrantes, padre Gianromano Gnesotto, tornato ieri nella sua Piacenza per presentare, assieme a padre Franco Visconti (direttore della Migrantes diocesana nonché superiore degli Scalabriniani) il primo corso di formazione giuridica per volontari che operano nel campo dell’immigrazione.
«È necessario conoscere e rispettare le regole - osserva padre Gnesotto - per riuscire ad intervenire. Non è con le ronde che si può raggiungere una coesione sociale. È l’esatto contrario: attraverso le azioni di coesione sociale, come effetto, si avrà la sicurezza». «Assistiamo invece oggi ad uno strabismo - evidenzia lo scalabriniano - che rovescia il punto di vista. Vanno invece investite forze e risorse che rafforzino la coesione e l’integrazione. E qui il cammino è molto più impegnativo. Si tratta di mettere in campo dei contenuti che rendono la vita degna di essere vissuta. Non si risolvono le cose con una semplice passeggiata».
Formazione, dunque, prima di tutto.
Così Piacenza diventa capofila per tutta la regione Emilia Romagna e l’Italia in generale. «Piacenza è la città del beato Scalabrini, il padre dei migranti - osserva Gnesotto -, un punto di riferimento sia pastorale sia dal punto di vista normativo, in particolare nella tutela dei diritti e nella promozione dei doveri dei migranti. Questo è proprio il nostro obiettivo: far conoscere ai volontari e a coloro che si occupano dell’accoglienza il quadro normativo attuale». Il corso, con la direzione scientifica della professoressa Paola Scevi (Cattolica di Piacenza e università di Bergamo), è organizzato dalla Migrantes nazionale e associazione Migrant’s Law. Si rivolge ai volontari di Migrantes Nazionale dell’Emilia Romagna, ai volontari delle Caritas e delle altre associazioni del settore. Si partirà sabato 7 marzo alla presenza del vescovo Gianni Ambrosio.

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Il testo integrale su Libertà del 3 marzo 2009