lunedì 2 febbraio 2009

Dopo 7 anni torna in Congo il primo prete nero di Piacenza

Piacenza - Dopo sette anni trascorsi nella parrocchia piacentina di San Giuseppe Operaio, è tornato nel suo paese natale don Alfred Bwidi Kitambala (53 anni) - più conosciuto come don Alfred -, il primo sacerdote di colore a svolgere le mansioni di “curato” nella diocesi di Piacenza-Bobbio. Don Alfred è tornato nella Repubblica Democratica del Congo, nella diocesi di Idiofa, 700 chilometri a ovest della capitale Kinsasha. Si occuperà di insegnare nel seminario diocesano. Ordinato in Congo nel 1983, successivamente venne inviato a Roma per studiare. Al termine dei corsi biblici si rese necessaria una parentesi in una parrocchia per fare un po’ di pratica pastorale. L’allora vescovo di Piacenza-Bobbio, Luciano Monari, diede il suo benestare e don Alfred arrivò in San Giuseppe Operaio. A Piacenza prese servizio nel novembre del 2001 come collaboratore del parroco don Giancarlo Conte che gli affidò la cura d’anime soprattutto della chiesa di San Bonico. «Per me don Giancarlo rimane un maestro - dice in occasione del saluto alla parrocchia -. La lettura che abbiamo letto l’altra domenica parlava della chiamata di Samuele da parte del profeta Elia. Samuele non conosceva il linguaggio di Dio ed Elia glielo insegnò. Per me don Giancarlo è stato come il profeta Elia. L’ho invitato in Congo, come tutti i parrocchiani che vorranno venire». «Piacenza mi rimarrà sempre nel cuore - continua -: ho sentito l’accoglienza e la fraternità del clero locale nei miei confronti, prima di tutto del vescovo Luciano e del vescovo Gianni». La situazione che si vive nel resto dell’Italia non è certo rosea e don Alfred è il primo ad ammetterlo. Tuttavia ci tiene ad evidenzioare come in Congo, all’est, si stia verificando una situazione tutto sommato simile all’Italia «con gli altri africani che premono per entrare in Congo». «Come uomo - è convinto don Alfred - penso che l’accoglienza vada bene però occorre stabilire delle regole che devono essere rispettate. L’immigrato non può imporre la sua mentalità ma deve rispettare i costumi di vita italiani con umiltà».
fri

Il testo integrale su Libertà del 2 febbraio 2009