sabato 30 aprile 2011

Vicini e lontani/ Il vescovo Antonio Lanfranchi racconta il suo Wojtyla

Domani in Vaticano sarà beatificato Giovanni Paolo II. Tra le tante testimonianze abbiamo scelto questa bella intervista apparsa oggi, 30 aprile 2011, sul sito della Gazzetta di Modena, in cui il vescovo piacentino Antonio Lanfranchi, oggi arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, racconta il suo Wojtyla personale.

«Una volta mi si avvicinò e, mettendomi una mano sulle spalle, mi disse "Tu le hai buone, quelle che ci vogliono con i giovani". Di Giovanni Paolo II ho tanti ricordi, specie degli anni in cui, proprio con i giovani dell'Azione Cattolica, partecipai a tante udienze pubbliche e private». Monsignor Antonio Lanfranchi, vescovo di Modena racconta il "suo" Wojtyla e soprattutto l'incontro del 26 gennaio 2005, ultima udienza del Pontefice. «Accompagnavo in visita un gruppo della diocesi di Cesena-Sarsina. Festeggiavo il mio primo anno da vescovo e lo dissi al Santo Padre. Lui, già molto malato, non parlò. Ma ci volle con sè per una foto di gruppo e fece portare una poltrona per farmi sedere accanto a lui. Sembrava un padre contento di avere attorno la sua famiglia».

Anche Giovanni XXIII è beato, per Paolo VI è avviato il processo. Quali i punti di contatto e le differenze tra i tre pontefici?

«Credo che ci siano due i tratti fondamentali che li accomunano, il primo è la tensione alla santità, l'aver incarnato la vocazione di ogni cristiano. Il secondo è il grande desiderio di dialogo con l'uomo contemporaneo. Ricordo il discorso di Paolo VI al termine del Concilio: rivolgendosi ai cultori dell'umanesimo ateo sottolineò proprio questo interesse della Chiesa per l'uomo. Un passione che li ha uniti. Le differenze, invece, credo siano date dai tempi, dalle personalità, dalle culture. Lo Spirito, per chi legge cristianamente la storia, manda il Papa giusto al momento giusto. Con Giovanni XXIII c'è stata una nuova lettura della società; una sorta di rottura che Paolo VI ha ancorato nel cammino della Chiesa e che Wojtyla ha portato avanti. Ogni pontificato ha segnato la storia della Chiesa, dell'umanità e il loro rapporto».

Giovanni Paolo II è stato forse uno dei principali fautori della fine dell'egemonia comunista nell'Est. Più un grande Papa o un grande politico? O tutti e due insieme?

«Wojtyla è stato un grande uomo di fede e, intendendo la parola nella sua accezione più alta, anche un grande politico. Nell'enciclica "Redentor Hominis" è chiaro il concetto che la via della Chiesa sta nell'uomo. Per capire il suo messaggio bisogna unire antropologia e cristologia. C'è una visione dell'uomo mutuata da Cristo. Ricordiamo le sue parole "non abbiate paura di aprire le porte a Cristo". Per quello che riguarda la caduta del comunismo penso che Wojtyla sia stato non tanto contro, ma oltre il comunismo. Oltre tutto ciò che non rispetta la centralità dell'uomo. In questo senso sono due, secondo me, le idee guida del suo magistero: ancorare il presente di un popolo a tutta la sua tradizione e una visione immanenente dell'uomo. Credo che quello di Wojtyla non sia stato tanto un prendere di petto la politica ma piuttosto la fusione di questi due principi e la volontà di togliere alla Chiesa un complesso di sudditanza rispetto a certe culture».

Giovanni Paolo II è stato molto amato anche dai laici nonostante le posizioni forti e conservatrici su temi come aborto, omosessualità, eutanasia...

«La stima di cui godeva anche presso i non credenti era data dall'amore verso l'uomo che traspariva dal suo magistero. Non l'uomo in astratto, ma quello concreto che si incontra per strada. E a quest'uomo si rivolgeva con sincerità, franchezza e grande forza. Come non ricordare il suo grido in Sicilia contro la mafia!. Aveva la statura dell'uomo libero, proteso verso la sua verità».

È stato un grande trascinatore di giovani. Ma come vede oggi il loro rapporto con la Chiesa?

«Per i giovani aveva un fascino particolare forse perchè, con i suoi 25 anni di pontificato, è stato il Papa di un'intera generazione. Ricordo, durante una visita, che una ragazza desiderosa di avvicinarlo sfuggì al servizio d'ordine che reagì immediatamente. Bene lui redarguì le guardie del corpo ed abbracciò quella ragazza. Era una figura autorevole, paterna, sapeva andare al cuore offrendo la via per vivere i principi che trasmetteva. Poi ebbe l'intuizione straordinaria delle Giornate Mondiali della Gioventù. Per Benedetto XVI è stata una successione difficile, ma credo che Ratzinger non abbia deluso. È andato incontro ai giovani con la sua forza che è la parola».

Papa Wojtyla e Padre Pio: due grandi personalità acclamate a furor di popolo.

«Wojtyla adorava Padre Pio, erano persone di preghiera. Quello che li accomunava era l'unione di momenti di privatissima intensità spirituale e momenti di totale comunione con gli altri. Anche in questo entrambi erano "abitati" da Dio, suoi strumenti: San Pio con la Confessione, Giovanni Paolo con la Misericordia».

Che eredità lascia alla Chiesa e al mondo?

«Resta tutto un mondo, anche di fedi diverse, segnato dalla sua presenza. E resta una generazione di giovani che spero voglia trasmettere l'entusiasmo generato da lui ai propri figli. Fare incontrare insomma memoria e novità e consevare il patrimonio di fede che ci ha donato»