venerdì 28 settembre 2007

I 107 anni di suor Amalia

Religiosa dell’ordine di Sant’Anna ha festeggiato
nella casa madre tra parenti e sorelle
Amalia, suora sotto 7 papi
Ha compiuto 107 anni la più anziana di Piacenza


da Libertà, 17 agosto 2003

«Come sono arrivata a 107 anni? Semplice, non mi sono mai lamentata». Suor Anna Amalia Ramponi, religiosa delle Figlie di Sant'Anna, è la donna più vecchia di Piacenza. Ha tagliato il traguardo ieri nella casa madre sullo Stradone Farnese, circondata dalle consorelle e dai parenti venuti a trovarla da lontano. Come regalo nessun fiore ma una piantina. «Il fiore appassisce, la pianta se la curi cresce rigogliosa» dicono le religiose. Un po' come la storia di suor Anna Amalia. Tunica e velo nero, se ne sta comodamente seduta davanti ad un vassoio di pasticcini ma anche ad un cesto di cipolle, peperoni, aglio, centrioli e gorgonzola. Un gentile omaggio dei parenti. «Tutta roba sana - dice la suora - proveniente dalla campagna». «Sana come me. Io non sono mai stata male nella mia vita a parte una volta che ho mangiato un piatto di cozze e sono finita all'ospedale di Bari» racconta nei dettagli la sua avventura di una manciata di anni fa. «Ma neppure di quello mi sono mai lamentata. E' inutile chiedere. Sono andata avanti confidando nella volontà del Signore». Suor Anna Amalia abbracciò la vita religiosa nel 1918, anno della fine della prima guerra mondiale. Il suo lungo apostolato l'ha dedicato soprattutto ai bambini, insegnando nelle scuole distribuite per l'intera penisola, da Piacenza a Palermo, passando per le Puglie e la Calabria. Oggi vive in una stanzetta della casa madre delle suore di Sant'Anna sullo Stradone Farnese. Incontrarla è come trovarsi a tu per tu con la storia. Era il 1893 e Diesel aveva inventato solo 6 anni prima della sua nascita (1896) il motore che lo rese celebre, Alexander Fleming scoperse ben dopo il segreto della penicillina, e ben nove sono stati i papi che suor Amalia ha visto passare (sette da religiosa): da Leone XIII° a Pio X°, da Benedetto XV° a Giovanni Paolo II°. Quello che le è rimasto nel cuore è Giovanni XXIII°. «Fui ricevuta da Sua Santità e per me fu un grande onore». Soddisfatta della vita - «Sono contenta di quello che ho fatto» -, lucidissima ancora oggi, sfoglia i giornali, guarda la televisione, ma dei personaggi di oggi non ha una grande stima. Berlusconi? «Che cosa me ne faccio io di Berlusconi e degli altri politici? Io amo la gente che dice la verità come il papa o il vescovo». Quale vescovo? «Monsignor Monari, quello sì che è una persona buona, una persona vera».
Federico Frighi

PS. Suor Amalia è serenamente spirata il primo novembre del 2004, all'età di 108 anni, nella casa madre delle Figlie di Sant'Anna, sullo Stradone Farnese

Il cardinale di New York

Il cardinale americano Egan ha chiuso il convegno
dedicato al vescovo degli emigranti
Scalabrini plasmò la Grande Mela
«New York multietnica grazie a una sua intuizione»



da Libertà, 13 novembre 2005

«Se fosse vivo oggi Scalabrini sarebbe uno dei vescovi più ascoltati anche in un ipotetico conclave, poi bisognerebbe vedere la politica della chiesa». Il cardinale Edward Michael Egan, arcivescovo di New York, non si sottrae alla provocazione, si fa una grossa risata, poi torna serio e si dice convinto che il beato Giovanni Battista Scalabrini al giorno d'oggi sarebbe uno dei punti di riferimento per la Chiesa e la società civile. Poco prima aveva parlato al convegno sulla ecclesiologia di Scalabrini che ieri mattina, all'università Cattolica, ha vissuto la sua ultima giornata. «La sua è stata una visione profetica - è convinto Egan -, ci ha dato la risposta su come trattare il problema degli emigranti». Una risposta che, nel 1954, ha dato ufficialmente vita alla pastorale della Chiesa in un tale ambito.
«Abbiamo imparato molto non solo da Scalabrini ma anche da Augustine Corrigan vescovo di New York dal 1880 al 1905 - spiega il cardinale della “grande mela” -. Entrambi avevano diverse opinioni su come seguire gli emigranti. Per Scalabrini era meglio avere istituzioni a parte, specialmente per gli italiani che non volevano entrare nella chiesa americana. Per Corrigan, un irlandese, tutti invece dovevano stare nella stessa chiesa. Hanno preso una decisone salomonica: gli scalabriniani hanno servito tutte e due le parrocchie, quelle nazionali e quelle territoriali e gli emigranti sono stati lasciati liberi di scegliere dove andare». «Oggi il 99 per cento degli italiani emigrati negli Stati Uniti - tira le somme il cardinale - è cattolico e vive bene la propria fede. Corrigan in America e Scalabrini in Europa avevano visto bene».
Ogni domenica a New York si dice messa in 34 lingue diverse: «Io inizio in spagnolo, proseguo in inglese ed almeno una parola in italiano la devo dire sennò alla fine mi arrivano le proteste».
«Molti vescovi europei mi hanno chiesto se è possibile replicare da voi il modello americano, frutto, lo ripeto, della Provvidenza e delle intuizioni di Corrigan e Scalabrini. Non lo so. Noi siamo più aperti agli aggiustamenti, mentre da voi si avverte più il peso della tradizione. Il nostro modello adesso funziona, soprattutto nelle grandi città. L'aumento delle parrocchie e delle presenze è costante ogni domenica».
Secondo alcuni il metodo Corrigan-Scalabrini ha creato le basi per la moderna società multietnica a “stelle e strisce”.
«Gli Stati Uniti sono più religiosi dell'Europa - non ha paura a dirlo in Italia il cardinale di New York - la nostra gente, i cattolici, gli ortodossi, gli ebrei frequentano la loro chiese, qui in Europa non si è così tanto legati alla spiritualità. I due nuovi giudici della Corte suprema sono apertamente cattolici. In Europa non si vedono esempi così. La religione, in America, si vede e si sente sui vestiti. Qui no».
Oltre al cardinale Egan, ieri mattina hanno concluso i lavori del convegno Pedro Antonio Marchetti Fedalto, arcivescovo emerito di Curitiba, Velasio De Paolis, segretario del supremo tribunale della segnatura apostolica, Luciano Monari, vescovo di Piacenza-Bobbio, padre Isaia Birollo, superiore generale degli Scalabriniani, coordinati monsignor Saverio Xeres. Nella seconda sessione sono intervenuti gli studiosi Giuseppe Ignesti, Maria Campatelli, Giampaolo Romanato e Luciano Trincia, coordinati da monsignor Silvano Tomasi. A padre Gaetano Parolin le conclusioni sulla tre giorni scalabriniana.
Federico Frighi

Monari per San Vincenzo de'Paoli

Monari saluta i seminaristi nella festa di San Vincenzo
«La Chiesa non sia una setta»


da Libertà, 28 settembre 2007

«Comunione, conoscenza delle sacre scritture, amore per Cristo». Sono i tre pilastri necessari per diventare buoni sacerdoti. Li ha enunciati ieri mattina il vescovo Luciano Monari parlando alla festa di San Vincenzo de'Paoli. Si ricordava, nella chiesa di San Lazzaro, con una solenne celebrazione, il fondatore della congregazione che guida il Collegio Alberoni. Oltre a Monari, il vescovo Tito Solari (guida una diocesi in Colombia), il superiore dell'Alberoni, padre Mario Di Carlo, tanti sacerdoti ma soprattutto i seminaristi. È a loro che il vescovo Monari, in un simbolico congedo dalla diocesi piacentino-bobbiense, si è rivolto con passione e calore. Ha parlato della comunione dei preti con il vescovo, dei vescovi con il Papa. Poi dell'importanza della conoscenza di Gesù. «Non possiamo essere strumento del Signore - ha detto - se non conosciamo il Vangelo a memoria, con l'intelligenza e con il cuore». Il sacerdote deve essere innamorato di Dio come Dio è innamorato dell'uomo concreto, con le sue imperfezioni, con la sua oscurità. «La Chiesa non sia una setta o un gruppo particolare - ha continuato il vescovo - ma si muova con questo amore per l'uomo, quell'amore che ha mosso Gesù».
fed.fri.

Seminaristi in Madagascar

Per sei seminaristi del Collegio Alberoni
e due sacerdoti un mese di “stage”nelle Case della Carità
In Madagascar futuri preti a lezione dai poveri dell’isola
Don Basini:«Uscire dal proprio paese educa ad una visione universale della Chiesa»


da Libertà, 26 settembre 2007

Uno stage di solidarietà per i futuri preti della diocesi di Piacenza-Bobbio. Per la prima volta nel curriculum dei seminaristi del Collegio Alberoni compare un'esperienza di terzomondialità sul campo. Sarà “materia” di studi nei sei anni di preparazione al sacerdozio. Sei studenti piacentini, assieme a due sacerdoti, hanno vissuto per un mese nella zona più povera del Madagascar, lontano dalle spiagge turistiche del nord, a contatto con le Case della Carità ed i loro ospiti.
«Tutto è nato come un desiderio dei ragazzi di vivere un'esperienza missionaria - spiega don Giuseppe Basini, responsabile del pre-seminario e amministratore parrocchiale di Sant'Antonino, che ha accompagnato gli studenti assieme a don Gianmarco Guarnieri, parroco di San Savino -. Il vescovo Luciano Monari l'ha accolto e ha indicato il Magadagascar dove da 40 anni c'è una presenza di missionari di Reggio Emilia in modo particolare nelle Case della carità». Lo stesso vescovo Monari, prima di arrivare a Piacenza, era stato in Madagascar per predicare gli esercizi spirituali a sacerdoti e suore. Una settimana ad Antananarivo, la capitale, è poi in missione a Tongarivo, Ambositra, Fianarantosoa, nelle Case della Carità. Strutture che in Madagascar accolgono una trentina di persone, spesso disabili, e che si propongono di diventare una famiglia per chi non ce l'ha. In tutto e per tutto come avviene nel Vescovado di Piacenza, dove monsignor Monari ha aperto una struttura analoga.
Vita di preghiera e di servizio per i seminaristi Francesco Luppi (Piacenza), Giuseppe Piscina (Borgotaro), Alessandro Mazzoni (Piacenza), Paolo Inzani (San Giorgio), Valerio Picchioni (Perino), Matteo Bersani (Castelsangiovanni) - quest'ultimo autore delle foto a corredo dell'articolo -; e naturalmente anche per i due sacerdoti accompagnatori. Sveglia alle 5 del mattino, servizio a colazione, pranzo, cena, pulizie della casa, momenti di aggregazione, ma anche di conoscenza, come la visita al lebbrosario con i suoi oltre cento ospiti.
«Ciò che colpisce è la povertà molto diffusa - racconta don Basini -. La povertà del Madagascar è cruda, di sussistenza, che può sconfinare anche nella miseria e nell'indigenza». Perché volare fino in Africa quando i poveri sono dietro l'angolo? Don Giuseppe lo spiega così: «Uscire dal propro paese educa ad una visione universale dell'annuncio del Vangelo, a comprendere meglio le nostre povertà». Non solo: «Ad un sacerdote può venire chiesto un giorno di andare per il mondo ad annunciare il Vangelo. La Chiesa o è missionaria o non è Chiesa. Per un giovane è molto positivo fare questo tipo di esperienze».
Federico Frighi