martedì 25 marzo 2008

Ambrosio, anche il vescovo fa Pasquetta

Un lunedì di Pasquetta dedicato a coloro che la gita fuori porta, pur volendo, non possono proprio farla. L’ha trascorso così il vescovo Gianni Ambrosio, visitando due case che rischiano, ogni giorno che passa, di essere dimenticate dalla città: quella circondariale, il carcere delle Novate, con i detenuti, assieme ai quali ha celebrato la messa. Quella dedicata a don Giuseppe Venturini, la Pellegrina, con i malati di Aids, assieme ai quali ha pranzato e chiacchierato da amico ad amici. «Il lunedì di Pasqua è un giorno in cui si va volentieri in vacanza, io sono andato a trovare persone che, in vacanza, non possono andarci» riflette a voce alta monsignor Ambrosio.
Alla Pellegrina era la prima volta.
«È un’opera segno del Sinodo, come gesto concreto di carità, di attenzione alle situazioni più difficili, di emergenza, che la Chiesa diocesana ha voluto allora e che continua a portare avanti anche oggi» evidenzia il vescovo.
Un luogo che pone degli interrogativi. «Da un lato ho avuto un’impressione di grande ospitalità - racconta don Gianni -, di grande affetto che mi hanno mostrato questi ragazzi e ragazze. Ho pranzato con loro, abbiamo fatto una foto assieme, mi hanno chiesto di andare presto a trovarli».
Da un lato l’accoglienza e l’amicizia. Dall’altro? «Dall’altro il cuore gonfio; vedere queste situazioni di estrema difficoltà fa piangere il cuore. Sono situazioni difficili, con molti punti interrogativi, misteri della vicenda umana».
«Questa casa - è convinto monsignor Ambrosio - ci insegna il rispetto che dobbiamo all’uomo in qualsiasi situazione venga a trovarsi. Non solo: anche la necessità di una educazione che sappia davvero superare ostacoli e difficoltà derivanti dai pregiudizi. Questa amicizia che hanno chiesto anche a me e a don Giorgio così come ai tanti volontari che seguono la casa, è il segno del desiderio di avere una mano amica che ti aiuti a tirarti su. Alla fine questa mano amica è la società nel suo insieme. Questo è davvero un insegnamento che ognuno di noi deve raccogliere. Sono segni importanti, che valgono per tutti e devono valere in particolar modo per i giovani». La Pellegrina chiede insomma di non venire dimenticata da Piacenza.
Gli amici, è vero, ci sono. «Tutte le domeniche i ragazzi hanno il pranzo offerto e preparato da gruppi familiari - osserva il vescovo - che lo portano in silenzio, senza rumore, senza comunicarlo in giro. Una volta al mese le parrocchie, a turno, vanno alla Pellegrina per una celebrazione eucaristica e passano là la serata. Con un poco di fatica, mi è stato detto - c’era più entusiasmo qualche anno fa -, però sono ancora sette-otto le parrocchie che incontrano i ragazzi. Anche questa è una cosa meritevole di essere sottolineata. Dobbiamo sentire questa casa come un aiuto da dare a questi fratelli che, per un verso o per l’altro, hanno inciampato in una realtà quanto mai dolorosa e triste».
La mattinata di Pasquetta era iniziata in carcere, ad incontrare per la messa un secondo gruppo di detenuti che la settimana passata (mercoledì scorso) non avevano potuto partecipare alla celebrazione per motivi di spazio.
Infine la visita alle Scalabriniane. Un’altra casa che merita di essere sostenuta. «Era il cinquantesimo della morte di madre Lucia, co-fondatrice delle Scalabriniane - ricorda monsignor Ambrosio - colei che ha riportato l’attenzione della congregazione verso gli immigrati in Italia. Mentre all’inizio erano sorte per aiutare i nostri italiani che andavano all’estero, lei capì che era il momento di aiutare coloro che venivano in Italia. Una scelta davvero strategica».
Federico Frighi

Il testo integrale su Libertà di oggi, 25 marzo 2008

Ambrosio: il mondo è troppo lento, la Pasqua ci invita a correre

Pubblichiamo ampi stralci dell'omelia di monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, pronunciata il giorno della Pasqua del 2008 nel duomo di Piacenza.

La Pasqua, con l’annuncio della Resurrezione, è la festa per eccellenza del Cristianesimo, il principio di ogni festa cristiana, il cuore della nostra fede. Nell’augurio pasquale c’è il mistero di Gesù Cristo, morto e risorto, il riconosimento della fedeltà di Dio padre per il suo figlio Gesù Cristo e di tutti noi. Abbiamo urgente bisogno di lasciarci sorprendere dall’annuncio pasquale (come dice l’evangelista giovanni usando il verbo "correre") senza arrenderci all’evidenza della morte, senza cadere sotto il peso del male, dell’ingiustizia, delle cose che non vanno. Bisogna correre per andare incontro al Signore risorto, per vivere veramente la Pasqua nella sua dimensione di vita nuova e di speranza vera. Appena Maria di Magdala giunge al sepolcro vede che la lastra pesate è stata ribaltata. Subito corre per gridare la sua tristezza, lo hanno portato via. Anche Pietro e Giovanni corrono insieme verso il Sepolcro, una corsa che esprime bene l’ansia di vita nuova. Anche noi riprendiamo a correre. La nostra andatura è diventata troppo lenta, troppo pesante. In ogni ambito emerge la paura di rischiare, in ogni settore domina la pigrizia di un realismo triste che che non fa sperare più nulla. Siamo rassegnati a tutto e il peggio ci sembra inesorabile. La nostra cultura è attraversata da fredde correnti di indifferenza, di disistima, di disimpegno. Biosgna uscire da ogni cenacolo dalle porte chiuse. La Pasqua è anche fretta, l’amore fa correre veloci. È giunto il momento in cui scoprire nel crocifisso il Risorto, di sentire la sua presenza, di vivere alla luce della speranza, è giunto il momento della fede, della fede cristiana, per cui non bastano più gli occhi di sempre, quelli carnali, ma servono gli occhi della fede. È giunto il momento in cui far valere per noi, per l’umanità intera, quel lievito nuovo che fa fermentare tutta la Pasqua. A noi cristiani del terzo millennio è rivolto il monito di Paolo: «Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tuttaa la pasta? Togliete via il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. È davvero giunto il momento in cui è necessario questo lievito nuovo, fatto di amore e di verità per l’uomo, rischiosamente esposto alle varie tentazioni che invitano a deturpare l’umano, a ridurlo a semplice cosa. L’apostolo Paolo conclude il suo invito dicendo: Cristo nostra Pasqua è stato immolato. Sono parole in cui l’apostolo, con grande semplicità, dice che in Cristo, nostra Pasqua, tutta la nostra realtà umana è stata radicalmente trasformata; quanto è accaduto in lui è destinato ad accadere in ogni uomo. Il lievito nuovo della Pasqua, rende nuova la Pasqua, rende nuova la pasta, la storia umana, quella vecchia, fatta di peccato, è destinata alla corruzione. Quella nuova non conosce come suo destino ultimo la corruzione per la presenza del Cristo risorto. La parola definitiva sulla nostra esistenza è stata pronunciata: sarà vita per sempre.