lunedì 10 dicembre 2007

Dall'Africa al monastero di san Raimondo

Dopo l'ordinazione diaconale di Paolo Inzani, la diocesi di Piacenza-Bobbio vede la consacrazione di una nuova suora. Si tratta di di suor Maria Costanza N’Dione (25 anni), benedettina del monastero di clausura di San Raimondo. Ha preso i voti solenni l'8 dicembre alla presenza dell'amministratore diocesano monsignor Lino Ferrari, di cui riportiamo il testo integrale dell'omelia.

Sappiamo che il dogma dell’Immacolata Concezione è stato definito soltanto nel 1854, ma molte comunità cristiane già dal secolo VIII celebravano la festa del Concepimento Immacolato di Maria. Nel contesto dell’Avvento e nella prospettiva del Natale la Chiesa celebra in Maria l’amore di Dio che ci precede e opera senza nostro merito. In Maria l’umanità viene ricondotta all’integrità del progetto di Dio.
Abbiamo sentito nella prima lettura il richiamo al “primo peccato” che ha staccato l’uomo da Dio. Il “peccato” è scelta di autonomia da Dio, visto dall’uomo come avversario o come concorrente per la propria libertà e la propria realizzazione. Il peccato originale è consistito in questo prendere le distanze: “decido io come vivere, decido che cosa è bene e che cosa è male”. Adamo ed Eva cercano la realizzazione della loro vita lontano da Dio. Ricordate il racconto della Creazione; al termine di ogni giornata – raccontata dal Libro della Genesi – il Signore contempla quanto ha creato, e dice la Scrittura: «Vide che era cosa buona» (Gen 1, 4.10.12.18.21.25). Dopo la creazione dell’uomo e della donna, aggiunge: «Vide che era cosa molto buona» (Gen 1, 31). Il Signore ha fatto bene le cose, ha creato l’uomo come vertice del creato, come creatura capace di dialogare con Dio, e di vivere in armonia con tutto il creato. Il peccato ha rotto questo dialogo e questa armonia. Maria è la creatura che ci aiuta a capire quello che era il progetto di Dio. E le parole che l’angelo le rivolge esprimono questa pienezza di vita: «Rallegrati piena di grazia» (Lc 1, 28). È quasi il nome che Dio dà a Maria: «piena di grazia». E vuole dire: Dio ha posto in Lei quella bellezza che il peccato aveva deturpato.

Ieri sera il Vescovo mons. Luciano Monari celebrando in Cattedrale per l’Ordinazione del diacono Paolo Inzani, commentando questa espressione del Vangelo diceva: “quel piena di grazia ci richiama lo sguardo benevolo di Dio, che è una sguardo creativo, quando Dio guarda la creatura la rende bella”. Maria Immacolata è il segno della vittoria di Dio e del bene. Dunque segno di speranza, ci aiuta a capire che nonostante il male che vediamo nel mondo alla fine sarà il bene a vincere sul male, sarà la vita a vincere sulla morte.

Il catechismo della Chiesa Cattolica dice che il “peccato originale è lo stato di privazione della santità e della giustizia originale. È un peccato da noi contratto e non commesso”. Noi risentiamo di questo germe di male che portiamo dentro, e sentiamo però anche la nostalgia di quel bene a cui eravamo destinati; guardando a Maria Immacolata quella nostalgia si fa più forte: Immacolata, senza macchia, tutta pura.

Ho riletto alcune omelie di Paolo VI nella festa dell’Immacolata, e colpisce sempre la capacità di Paolo VI di esprimere i concetti con quella attenzione alle parole, veniva chiamato il “cesellatore delle parole”. Ma il suo pensiero manifesta anche un amore grande e profondo, biblicamente fondato, verso Maria SS. in una pagina inizia ricordando quel canto, che tante volte abbiamo ripetuto anche noi: “Tota pulchra es Maria”. E dice: “Basterebbe questo pensiero per inebriare i nostri spiriti che tanto più sono avidi di umana bellezza quanto più falsa più impudica più deforme e più dolente la sembianza umana ci è oggi presentata nella molteplice e quasi ossessionante visione dell’arte figurativa”.

Pensavo davvero a quante immagini o sculture del nostro tempo nell’arte contemporanea manifestano l’angoscia, la percezione di un uomo diviso in se stesso. Si ferma a questo pensiero chi vuole per restaurare la scienza della bellezza e per scoprirne i suoi trascendenti rapporti; e per il gaudio interiore e per il costume esteriore ritrova in Maria la più alta la più vera la più tipica figura dell’estetica spirituale umana.
Davanti ad una persona accogliente calibrata e generosa ci è forse capitato di esclamare: “che capolavoro, che bella persona!”.

E davanti a Maria proviamo questo senso, potremmo dire, di estasi di contemplazione: “come è riuscita bene, davvero come il Signore lo ha voluta lo ha progettata!”.

Maria è immagine della Chiesa. Guardando a Lei pensiamo a come è chiamata ad essere la Chiesa, che Dio continua a plasmare perché dia carne alla sua Parola, la renda visibile e credibile, come Maria ha concepito nel suo seno la Parola fatta carne.
Ma anche noi personalmente siamo chiamati in causa in questa festa di Maria. Ce lo ha ricordato san Paolo nella seconda lettura, nel brano della Lettera agli Efesini, dove Paolo benedice il Padre, perché ha guardato anche a noi con il suo sguardo di benevolenza e «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1, 3). E aggiunge Paolo: «In Lui – in Cristo – ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1, 4).
Ci colpisce questa espressione perché siamo consapevoli della nostra fragilità e del nostro peccato; eppure anche noi siamo chiamati alla santità. Siamo qui in una Comunità religiosa, tra poco parteciperemo a questo rito di consacrazione di professione solenne.

I consacrati sono il segno più evidente che la grazia opera, e che l’uomo può rispondere con l’«Eccomi» come Maria. È bello pensare che quell’”eccomi” è quasi il nome che Maria si dà, è come se dicesse: “Sono qui, o Signore, con un desiderio soltanto: di vivere tutta l’esistenza in una continua obbedienza a te, ciò che desidero e ciò che voglio Signore è che la mia vita sia un “sì” fedele senza cedimenti alla tua volontà”. E quell’”eccomi” di Maria è durato tutta la vita, anche nei momenti difficili, anche ai piedi della croce.
Per chi si consacra al Signore, Maria rimane il modello più grande a cui guardare. E la consacrazione è la scelta di Dio, per dire: Lui è il bene irrinunciabile per tutti.
I religiosi ci testimoniano già ciò che noi saremo, ci parlano delle realtà future. E la loro esistenza non è mai una fuga dal mondo, ma un vivere pienamente la loro vocazione nella Chiesa per il mondo. Allora vogliamo dire grazie al Signore per quanto povera nella vita, anche di queste sorelle e di tutti i consacrati; lo vogliamo anche esprimere a loro il nostro grazie per il dono che sono per noi con la loro testimonianza, per il dono che sono per la nostra Chiesa con la preghiera quotidiana, con l’offerta della loro vita.

E vogliamo raccogliere per noi soprattutto tre messaggi da questa Celebrazione.

Il primo, la grazia. La grazia di Dio ci previene sempre, non si basa sui nostri meriti. E questo deve fare nascere lo stupore e la gratitudine.
Secondo messaggio, la purezza. L’uomo si realizza non assecondando le passioni, non seguendo gli istinti, ma affidandosi al Signore, mantenendo il cuore unito a Lui e distaccato dalle cose.
Il terzo messaggio, la fedeltà. Il “per sempre eccomi”, quella parola che vogliamo fare
nostra guardando a Maria, chiedendo a Lei l’aiuto per assomigliarle di più.

Si ringrazia Vittorio Ciani per la collaborazione.