giovedì 6 marzo 2008

"Siate ricercatori di luce"

Pubblichiamo, con grave ritardo, l'omelia tenuta dal vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, domenica scorsa, 2 marzo 2008, per la IV domenica di Quaresima.

Miei cari fedeli,
il simbolo della luce è il tema di questa quarta domenica di Quaresima. La luce esteriore e quella interiore, il vedere con gli occhi e l’essere illuminati interiormente, il passaggio dall’oscurità alla luce. Insieme a quello dell’acqua, il simbolo della luce è uno dei grandi simboli culturali e religiosi dell’umanità intera. Da sempre l’uomo avverte il bisogno della luce, è affascinato dalla luce. Perché la luce è vita, e la vita è vittoria sulle tenebre, è riscatto dall’oscurità. Noi siamo ricercatori di luce, siamo fatti per vivere e per camminare nella luce. Ma c’è un’oscurità che non possiamo sconfiggere con le sole nostre forze. La tenebra del male e del peccato è vinta solo da colui che è «la luce del mondo» (Gv 9, 5), da Gesù che, proprio nel brano evangelico di questa domenica, dona luce a chi vive nelle tenebre con gesti e parole che evocano il dinamismo sacramentale. Siamo invitati a renderci consto della grazia del nostro essere battezzati in Cristo Gesù; siamo invitato a gioire del dono della luce che vince ogni oscurità, che sconfigge ogni tenebra, anche quella, profonda, del male e del peccato. Il racconto evangelico, che ha un chiaro significato di iniziazione al battesimo e di catechesi battesimale, è molto vivace e coinvolgente: come per il cieco che si lava nella piscina di Siloe c’è la grazia della luce, così a noi è offerta la grazia di una vita luminosa grazie all’incontro sacramentale con Cristo, grazie all’amicizia con Lui. Il cieco del racconto evangelico non è solo una persona malata che viene guarita dalla sua cecità, ma è soprattutto la figura di chi accoglie la luce della fede. Perché la fede in Gesù Cristo è luce, perché credere in Lui, nel suo vangelo, è “vedere” in modo nuovo e, quindi, vivere in modo muovo.
2. Per capire il senso di questo “vedere” in modo nuovo, soffermiamoci innanzi tutto proprio sullo sguardo, e precisamente sulla diversità tra lo sguardo di Gesù e quello dei suoi discepoli su quel cieco che incontrano per strada. E’ impressionante la diversità dello sguardo. Vedendo quel cieco, i discepoli interrogano subito Gesù: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?» (Gv 9, 2). Domanda forse legittima, che può riguardare le cause della sofferenza. Siamo sempre alla ricerca di una spiegazione. Ma a ben vedere la domanda è sconcertante. Innanzi tutto perché prescinde da quella persona malata, dalla sua sofferenza di non vedente: lo sguardo dei discepoli quasi non si rivolge al malato ma subito si dirige alle possibili cause della malattia. E poi perché è una domanda triste, è rassegnata: si limita a chiedere spiegazioni. Con un aggravante: dalla domanda traspare un giudizio già deciso e molto drastico, in quanto l’interrogativo dei discepoli lega in modo automatico la malattia al peccato. Al loro Maestro, al loro Rabbì, prontamente interpellato, i discepoli concedono solo un’alternativa: se quella cecità è dovuta al peccato del cieco o al peccato dei suoi genitori. Lo sguardo di Gesù è totalmente diverso, è rivolto al cieco e ed è rivolto a Dio. Gesù infatti risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 3). E le opere di Dio che Gesù viene a manifestare sono luce e vita, anche per chi è cieco fin dalla nascita. Gesù risponde dunque alla domanda dei discepoli negando quel legame tra la malattia e il peccato e rifiutando uno sguardo colpevolizzante. Il suo sguardo non è di giudizio, non è di condanna ma è uno sguardo di attenzione, di premura, di carità: la malattia di quel cieco è l’occasione del manifestarsi dell’azione di Dio. Non è dunque il momento di sapere chi è il colpevole. Non è neppure il momento di cercar di capire il perché della sofferenza. Ora è il momento, ben più importante, di accogliere l’azione di Dio che si manifesta nel dono della vista e, più ancora, nel dono della luce della fede. Anche le reazioni dei conoscenti e dei genitori di quel cieco non sono entusiasmanti: a loro interessa solo di non avere problemi. Ma ancor più preoccupante è la reazione dei farisei. Se i discepoli si aspettano una spiegazione, i farisei, invece, non si aspettano nulla. Anzi non vogliono aspettarsi nulla, neppure da Dio e dalla sua azione. Presumevano di avere tutto e pretendevano di sapere tutto: sono allora costretti a negare i fatti, a far finta di non vedere che c’è un uomo pieno di gioia perché finalmente ci vede, pur di non smentire la loro presunzione e di non intaccare le loro regole.
3. Ma arriviamo finalmente alla professione di fede del cieco che esclama: «Io credo, Signore», prostrandosi innanzi a Gesù (Gv 9, 38). Siamo anche noi sospinti alla stessa professione di fede del cieco: Sì, io credo, noi crediamo. Nella vicenda del cieco scopriamo la nostra storia, la storia di ogni cristiano, di ogni battezzato illuminato dalla luce che è Cristo Signore. Ecco allora l’invito di Gesù: «chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12). E l’apostolo Paolo, come è stato proclamato nella seconda lettura, quasi commentando l’invito di Gesù, afferma: «Camminate come figli della luce e il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9). Questa esortazione molto concisa dell’apostolo Paolo sembra capace di dire, cari amici, ciò che la comunità cristiana ha fatto nel corso della storia e ciò deve continuare a fare oggi. Da quello sguardo nuovo – lo sguardo di Gesù sul cieco nato – deriva un cammino nuovo, il cammino dei figli della luce. Gesù ci dona il suo sguardo, la sua luce, il suo amore e noi siamo resi capaci di camminare sulla via della luce che è una via di bontà, di giustizia e di verità. Nel mutare dei tempi e delle stagioni, il Vangelo è e resta la luce e la speranza per tutti, in ogni luogo e in ogni tempo. “Ieri, oggi e sempre”: Cristo resta lo stesso, il suo mistero è inesauribile, per “ampiezza, altezza, lunghezza e profondità”. Ogni persona, ogni cultura può trovare in Cristo e nel suo Vangelo la “sapienza” (il Logos) che illumina la vita degli uomini e li dirige su strade di verità, di giustizia, di amore, di solidarietà, di convivenza nella pace. Fratelli e sorelle, ringraziamo con cuore davvero grato e riconoscente il Signore per il dono della luce battesimale. E chiediamogli di aiutarci ad essere “figli della luce”, anche per saper offrire ai nostri fratelli i buoni frutti della luce. Amen.
† Mons. Gianni Ambrosio,
Vescovo Piacenza-Bobbio

Si ringrazia Vittorio Ciani per la collaborazione