giovedì 17 gennaio 2013

Ousmane, il ragazzo che ha creduto nella libertà

In due anni è passato dall'inferno alla vita grazie - sostiene con forza - ad Allah e a Piacenza. E' la storia a lieto fine di Ousmane, 24 anni, originario della Guinea, in fuga dalle brame di potere del dittatore Dadis Camara, accusato di crimini contro l'umanità. Il 28 settembre 2009 fece sparare sulla folla che manifestava contro la sua rielezione. I morti furono 157, i feriti oltre milleduecento. Tra i manifestanti c'era anche Ousmane. Si salvò per miracolo ma venne identificato e condannato per il reato di turbativa dell'ordine pubblico. Doveva scappare.


La sua fuga durò un anno, attraverso il deserto fino alle coste della Libia. In Italia con le barche degli scafisti; in treno verso il Nord con destinazione Germania; stop a Bolzano per mancanza di soldi; la domanda di asilo politico grazie alla Caritas; tre mesi in un campo di "detenzione" di Gorizia, poi la destinazione Piacenza con il progetto Sprar del Governo italiano per dare accoglienza e strumenti di riscatto ai rifugiati. Oggi Ousmane ha un lavoro onesto, uno stipendio da 1.100 euro al mese, di cui 360 utilizzate per pagare il piccolo appartamento preso in affitto.

«Quando sono arrivato a Piacenza per la prima volta mi hanno messo a dormire in una camera dei frati di Santa Maria di Campagna. Una stanza da due, pulita, con un bagno; mi sembrava di essere in Paradiso» dice nel suo italiano quasi perfetto. Grazie all'adesione del Comune di Piacenza al progetto Sprar (gestito a livello locale dalla cooperativa l'Ippogrifo) Ousmane ha imparato l'italiano ed ha trovato un lavoro come esperto di quadri elettrici. Dopo nove mesi a 400 euro al mese presso un'azienda piacentina è stato assunto per un semestre di prova dalla Saie di via Portapuglia. Nel giugno del 2012 il titolare era talmente contento che gli ha offerto altri tre anni di contratto come apprendista. Ousmane è, come si dice, al settimo cielo. Oltretutto, appena arrivato a Piacenza, dopo una visita sanitaria gli è stato riscontrato il virus latente della tubercolosi. «Mi hanno curato e salvato per la seconda volta - non finisce di ringraziare -, oggi, grazie alle pastiglie, il virus è scomparso».

Rimangono intatte le immagini della fuga. «Mi hanno aiutato quelli della Rpg - racconta -, il partito di opposizione al quale ero iscritto, e la mia famiglia mi ha incoraggiato. Rischiavo la vita: dovevo partire». Ha attraversato il Sahara sui camion zeppi di grappoli di esseri umani in cerca di speranza. Il Mali, il Ciad poi la Libia dove ancora imperversava Gheddafi.

In tasca duemila euro da pagare agli scafisti: «Siamo partiti dalla spiaggia. Eravamo in trenta, anche donne e bambini, tutti sotto coperta». Il barcone era camuffato da peschereccio e sul ponte gli scafisti erano vestiti come pescatori. «Quando incontravano una motovedetta - racconta - un elicottero o un aereo militare facevano finta di pescare ed allungavano la strada gettando le reti. Ci abbiamo messo una settimana per arrivare in Italia».

Il trucco è riuscito ed Ousmane è approdato non a Lampedusa ma su una spiaggia della Sicilia. I volontari di un'associazione gli hanno dato qualche soldo ed ha preso il treno verso il Nord. «Volevo andare in Germania, dove è più facile ottenere lo status di rifugiato politico». Il viaggio si è fermato a Bolzano. La Caritas, la questura e il centro di "detenzione" di Gorizia. «Camerate da otto, senza riscaldamento, materassi inesistenti... » Una piccola Guantanamo insomma. Da cui Ousmane è uscito grazie allo stesso Stato italiano. «Mi hanno inviato a Piacenza, non l'avevo mai sentita nominare. Qui sono rinato. Devo ringraziare soprattutto Allah, io sono musulmano, che mi ha dato la forza di superare quei momenti. Poi l'Italia e il Comune di Piacenza che mi ha accolto».

Il desiderio per il 2013? «La salute e riuscire a mettere via dei soldi». Perchè Ousmane è sposato con Seynabou, 23 anni. La sente una volta alla settimana al telefono. Vorrebbe farla venire qui con Assane e Moustafha. Hanno 6 e 4 anni e solo i figli di Ousmane e Seynabou. «In Africa facciamo tutto presto - si giustifica - perchè i giovani si prendano cura dei vecchi».

Federico Frighi

29/12/2012 Liberta

Quel 28 settembre del 2009 fu un massacro in piena regola. Un bagno di sangue in cui persero la vita almeno 157 persone mentre 1.250 furono quelle ferite. Era la manifestazione organizzata dall'opposizione nello stadio di Conakry, capitale della Guinea, per protestare contro la giunta militare salita al potere nove mesi prima con un colpo di Stato. I manifestanti protestavano contro la ventilata candidatura del capo della giunta militare, il capitano Moussa Dadis Camara, alle presidenziali. Camara lesse alla radio un comunicato che dichiarava dissolte le istituzioni repubblicane e sospesa la Costituzione. La manifestazione era vietata e i guineani si aspettavano che le autorità chiudessero lo stadio per impedire di entrare. Invece l'esercito attese che lo stadio fosse pieno per entrare e sparare sulla folla. Una trappola. Ousmane si salvò ma fu condannato dal Tribunale per turbativa dell'ordine pubblico e disobbedienza civile. Nel dicembre 2009 Camara rimase ferito nel corso di un attentato ed si trova ora all'estero. Nello stesso dicembre la Corte penale internazionale lo accusò di crimini contro l'umanità.


29/12/2012 Libertà