lunedì 31 marzo 2008

"Non essere incredulo ma credente"

Ecco l'omelia "Non essere più incredulo ma credente" pronunciata dal vescovo di Piacenza-Bobbio Gianni Ambrosio in occasione della ricorrenza della Madonna del Popolo domenica 30 marzo 2008.

Cari fratelli e sorelle,
oggi la liturgia celebra ancora il grande giorno di Pasqua. In verità, la liturgia cristiana celebra sempre la Pasqua. Non vi sarebbe alcuna celebrazione cristiana senza la Pasqua. E non vi sarebbe neppure il Vangelo senza la risurrezione di Gesù. Come potrebbe esserci un «lieto annuncio» senza il Risorto? Ogni celebrazione cristiana proclama che Gesù è il vivente. Egli è la fonte della vita. Egli è la parola di vita che non viene messa a tacere con la morte ma risuona ancora più potente proprio a partire dall'evento della morte. La fede nella risurrezione è sempre il cuore della celebrazione cristiana, memoriale di una persona viva che si fa presente in mezzo a noi per farci rinascere in Dio ed entrare nella vita stessa di Dio. Celebrando il Cristo morto e risorto, il cristiano trova il volto e il nome per la speranza dell'uomo: il volto di Cristo nostra Pasqua, speranza di vita, di vittoria sul potere del male, di perdono, di riconciliazione.
La Parola del Signore proclamata in questa Celebrazione ci invita a incontrare il Risorto così come l'hanno incontrato gli Apostoli, per passare anche noi, come loro, dall'esitazione e dal dubbio alla professione di fede piena, alla ‘beatitudine’ della fede di coloro che credono senza dover passare attraverso il ‘vedere’ e il ‘toccare’. Soffermiamoci innanzi tutto su un’espressione piuttosto curiosa che troviamo all’inizio del brano evangelico: «La sera di quel giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli (…) venne Gesù» (Gv 20, 19). “Il primo giorno dopo il sabato”: quest’espressione dell'evangelista Giovanni troverà più tardi il suo senso pieno, quando il “primo giorno dopo il sabato” verrà chiamato dai cristiani dies domini o dies dominmicus, e cioè giorno del Signore, perché è il giorno – “il primo dopo il sabato” ‑ in cui il Signore ha manifestato la sua gloria vincendo la morte: ogni domenica ricorda e celebra la Pasqua del Signore. Ma il giorno del Signore è anche il giorno dei discepoli del Signore, della comunità cristiana, il giorno in cui la comunità credente, radunata in assemblea Eucaristica, rende lode al suo Signore, ascoltandone la Parola, sperimentandone la presenza, accogliendo il dono della sua pace e del suo Spirito.
Anche noi, allora, come l’apostolo Tommaso, possiamo dire: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20, 28). È la sua professione di fede, semplice e profonda. Fede in Gesù, Signore e Dio, ma anche, potremmo dire, fede nel nostro rapporto vitale con Lui. Tommaso, con quel ‘mio’ Signore, dice che ormai la sua esistenza è inseparabile dal rapporto con il Signore. Quella di Tommaso sia anche la nostra professione di fede. È la fede della Chiesa, invitata oggi ad imparare sempre di nuovo a dire a Gesù: «Mio Signore e mio Dio», professando la fede nel Signore e riconoscendo di essere legati definitivamente con il Signore. Egli, il vivente, è con noi e in noi e noi siamo in Lui. Ma il cammino che l'apostolo Tommaso ha percorso per arrivare alla gioiosa professione di fede è stato faticoso. Tommaso si mostra incredulo, chiuso in se stesso, rinchiuso nel limitato orizzonte del ‘vedere’ e del ‘toccare’: egli teme l'avventura della fede che è fiducia, disponibilità, apertura senza condizioni e senza riserve. L'esito della storia di Tommaso, dubbioso e povero di fede, è confortante per tutti noi che procediamo a tentoni nel cammino spesso incerto della fede. Gesù, infatti, manifesta la sua premurosa e paziente attenzione nei confronti di Tommaso e così la sua incredulità si trasformerà in fede limpida e gioiosa che esclama: «Mio Signore e mio Dio».
Questa gioia della fede nel Signore risorto trasforma l’esistenza di san Tommaso e degli altri apostoli e discepoli di Gesù. E trasforma anche la nostra esistenza che diventa testimonianza, missione. Gesù dice ai discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 21). Li manda nel mondo a continuare la sua opera con la forza del suo Spirito per vincere il male, per perdonare i peccati, per annunciare e testimoniare la risurrezione, per offrire la pace. Gesù affida ai discepoli e, attraverso ai discepoli, affida a noi la sua opera, affida alla nostra Chiesa di Piacenza-Bobbio la sua missione. Un compito stupendo, un compito affascinante.
Desidero infine ricordare tre circostanze che si inseriscono molto bene nella gioiosa professione di fede Pasquale e nella missione che ci è affidata. La prima circostanza è la festa che celebriamo qui in Cattedrale in onore di Maria Santissima, che riconosciamo e veneriamo come Madonna del Popolo. Un titolo molto vero, molto profondo: Maria viene dal popolo di Dio e, diventata la Madre del Signore Gesù, accompagna il cammino della Chiesa, come Madre del nuovo popolo di Dio. Preghiamo Maria che ha accolto la Parola di Dio e l’ha vissuta nell’obbedienza perché ci aiuti a professare e a testimoniare la fede Pasquale. Le altre due circostanze sono un segno di questa fede Pasquale che diventa vita Pasquale. Sono stati celebrati in questi giorni i dieci anni della Casa della Carità voluta dal mio caro predecessore mons. Luciano Monari con l’intento di essere un piccolo segno di quello che la Chiesa, le comunità cristiane, tutti i cristiani debbono diventare: capaci di accogliere, di accogliere tutti. Infine l’ultima circostanza: sono qui con noi tanti amici della parrocchia di san Gregorio Magno della diocesi di Salerno, con il loro parroco e con il gruppo folcloristico. Molti piacentini, attraverso la Caritas, diedero loro una mano in occasione del terremoto. E da allora l’amicizia non è venuta meno: li ringraziamo di cuore per la loro presenza. Anche questo è un segno di quella Pasqua che ci rende creature nuove, animate dallo Spirito di amore e di pace. Amen.
† Mons. Gianni Ambrosio,
Vescovo Piacenza-Bobbio

Si ringrazia Vittorio Ciani per la collaborazione.