domenica 14 giugno 2009

Sacro Cuore/ Ambrosio: nella Missione avviciniamo i lontani

Carissimi confratelli,

desidero innanzitutto ringraziarvi per la vostra partecipazione alla “festa del Sacro Cuore”, che è pure festa della fraternità sacerdotale nella nostra diocesi di Piacenza-Bobbio. Desidero poi ringraziarvi per l’accoglienza sempre molto ospitale che mi riservate in occasione delle celebrazioni o delle visite nelle parrocchie. Questi incontri sono per me un’occasione di vicinanza a voi e di condivisione delle vostre fatiche pastorali. Sono pure un motivo di gioia nel vedere il vostro generoso servizio dell’annuncio del Vangelo agli uomini, alle donne, ai giovani che vivono nella nostra realtà diocesana. Vedo infatti la vostra attenzione alla vita della gente e il vostro impegno nel rispettare e rinnovare le tradizioni cristiane del nostro popolo: ringrazio per il vostro servizio che non si sofferma più di tanto sui risultati, ma va ben oltre, essendo spesso vissuto come un atto di amore gratuito e generoso verso il popolo che ci è affidato.

Spero che lo spirito di fraternità e di amicizia possa crescere e far parte del nostro essere sacerdoti che formano il presbiterio diocesano insieme e attorno al Vescovo con le visite che farò a voi e alle unità pastorali a partire dal prossimo autunno.

1. La Missione popolare e l’Anno sacerdotale

Nella riflessione presentata lo scorso anno, sono partito da due fatti importanti che si richiamano e si intrecciano: il Concilio Vaticano II e il Sinodo Diocesano di Piacenza-Bobbio (1987-1991). Questi due eventi sono stati il punto fermo attorno a cui ho raccolto le impressioni dei primi mesi del mio ministero episcopale nella nostra amata Chiesa di Piacenza-Bobbio.

Anche quest’anno la riflessione che vi propongo ruota attorno a due punti. Ma dopo un anno e qualche mese di ministero episcopale, non si tratta più di fatti che riguardano il passato, ma di proposte che riguardano il prossimo futuro e che dovranno diventare esperienze che segnano il cammino della nostra comunità ecclesiale. Le evidenzio subito.

La prima proposta è la Missione popolare diocesana (MPD) che sta coinvolgendo e coinvolgerà la nostra Chiesa nei prossimi anni.

La seconda è l’Anno sacerdotale proclamato da Benedetto XVI in occasione dei 150 anni della morte del santo Curato d’Ars. Verrà aperto dal Santo Padre il 19 giugno prossimo, solennità del Sacro Cuore di Gesù e giornata di santificazione sacerdotale e si concluderà fra un anno con un “Incontro Mondiale Sacerdotale” in Piazza San Pietro. Tra gli obiettivi indicati dal Papa vi è quello di “far percepire sempre più l’importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea”. Rendiamo grazie al Signore per il dono di quattro ordinazioni sacerdotali proprio nell’apertura dell’Anno sacerdotale : accogliamo con gioia nel nostro presbiterio questi sacerdoti che verranno ordinati sabato prossimo.

Le osservazioni che vi propongo ruotano attorno a questi due progetti che si richiamano e trovano il loro punto di convergenza attorno all’idea della missione, quella popolare diocesana e quella del sacerdote nella Chiesa e nella società. Credo che sia opportuno tenere insieme questi aspetti dell’unica ed essenziale missione, connaturale all’essere cristiano. Con il popolo che ci è affidato, vogliamo riscoprire che la missione fa parte del DNA del cristiano. Così siamo sospinti, in quanto pastori delle nostre comunità, a comunicare a tutti la fede, la speranza, la carità perché fiorisca la vita cristiana nelle case dei nostri fedeli, nelle nostre comunità, nell’impegno dei cristiani in tutti gli ambiti dell’umana esistenza.

2. Il cammino verso la MPD

Come sappiamo, la MDP era già stata annunciata da mons. Luciano Monari ed affidata al nostro don Luigi Mosconi per l’ispirazione e la progettazione (don Luigi mi ha inviato i saluti da estendere a tutti). Ora, dopo un’ulteriore fase di valutazione e di verifica, stiamo entrando nel vivo della missione. Nei mesi scorsi – aprile e maggio – si sono svolti gli incontri nei sette Vicariati con i sacerdoti e con gli operatori pastorali per la presentazione della MPD da parte di don Luigi Mosconi e di mons. Giuseppe Busani, vicario della pastorale, che hanno incontrato anche gli Uffici pastorali, la Consulta delle aggregazioni laicali e quella dei giovani.

Credo di poter dire – anche in base alle considerazioni di don Luigi e di don Giuseppe – che si sta superando l’iniziale momento di problematicità, forse anche di paura. Ritengo che le difficoltà siano comprensibili per tanti motivi. Ritengo tuttavia che non sia più il caso di soffermarsi sulle difficoltà: le abbiamo prese in considerazione, con molta libertà, durante le riunioni dei Consigli presbiterale e pastorale e nei vari incontri nei Vicariati e nei diversi uffici.

Ciò non significa che gli interrogativi siano scomparsi. Come adattare la proposta di don Luigi Mosconi alla nostra realtà piacentina-bobbiese? Saremo capaci di portare avanti un’iniziativa di così grande coinvolgimento? Come risponderà la gente? Come combinare la MPD con la pastorale ordinaria? Cosa comporta essere missionari? Anche solo l’accenno a questi interrogativi lascia intendere che è una grande sfida mettere in stato di missione tutta la diocesi.

Ma è cresciuta la disponibilità a lasciarsi coinvolgere in questa sfida. Si va diffondendo con gradualità un ‘sì’ cordiale e convinto alla proposta, anche perché la proposta stessa si sta chiarendo soprattutto a livello di motivazioni, suscitando dunque attenzione e interesse. Forse con Pascal possiamo dire che, oltre ad ascoltare la voce della ragione che pone davanti ai nostri occhi le difficoltà, stiamo anche ascoltando la voce del cuore che pure manifesta le sue buoni ragioni per non lasciarci paralizzare dagli interrogativi e dalle difficoltà. E le ragioni del cuore sono poi quelle più vitali e decisive, ci ricorda Pascal (B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, pagg. 58-59).

Sono molto lieto di questo nostro cammino di maturazione che arriva a riconoscere che la MPD è un’opportunità per la nostra Chiesa, in quanto rappresenta un prezioso servizio al Vangelo di Gesù. È provvidenziale avvertire, all’inizio di questo millennio, non solo il dovere, ma anche la consapevolezza gioiosa di consegnare alle generazioni future la ‘vita’ che ci ha generati alla fede e alla vocazione. Siamo così comunicatori e testimoni di Gesù, all’interno di quella lunga storia di cristiani che hanno esperimentato la ricchezza e la bellezza dell’e­sistenza cristiana nella vita quotidiana. Per cui sono convinto che tutti voi parteciperete alla MPD con apertura, con speranza, con creatività. Spero anche, cammin facendo, con gioia. Ciascuno parteciperà secondo le proprie possibilità e secondo il proprio carisma, ma tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo di simpatia, di preghiera, di azione a questa avventura diocesana della missione popolare.

Ancora una volta, mi permetto di sottolineare – è stata, questa, una sottolineatura che ho espresso in varie occasioni, anche per superare le perplessità di molti – che la MDP non deve essere vista come un evento a sé stante che si aggiunge alle fatiche pastorali ordinarie: deve invece essere intesa e vissuta come un evento straordinario per realizzare la missione di sempre e rivitalizzare così la nostra pastorale ordinaria. Lo straordinario sta nel fatto che tutte le parrocchie e le unità pastorali – con le associazioni e i movimenti, con i religiosi e le religiose – sono chiamate a fare questo cammino insieme e che in questo cammino bisogna cercare di coinvolgere il numero più alto di persone, non solo i battezzati che frequentano abitualmente la Chiesa, ma anche coloro che la frequentano di meno o non la frequentano affatto.

3. La conversione pastorale

Il cammino che ci ha portato ad accogliere la proposta della MPD come una sfida impegnativa, ma propizia, anzi provvidenziale, non è certo concluso. Possiamo dire che stiamo rendendoci conto dell’urgenza della cosiddetta ‘conversione pastorale’, anche se l’espressione è forse troppo forte o troppo impegnativa. Infatti la conversione, nella tradizione cristiana, riguarda le persone che, per la grazia di Dio, passano dalla tenebre alla luce, dal peccato alla vita nuova: indica il ritorno a Dio nel senso di un mutamento radicale dei rapporti con Lui, con una trasformazione interiore che coinvolge tutta la persona.

Ma l’espressione, come sappiamo, è stata usata volutamente nei documenti degli Orientamenti pastorali della Cei per il decennio che stiamo concludendo. Merita di essere ripresa qui, pur sapendo che non la si usa in senso proprio: se la conversione è il ritorno a Dio della persona che si lascia trasformare interiormente, così la ‘conversione pastorale’ è il ritorno della pastorale alla sua missione fondamentale, al suo compito primario. La pastorale deve essere missionaria, e cioè deve accordare ogni preminenza al comunicare il Vangelo. È, questa, la condizione di base dell’agire pastorale: la Chiesa è il popolo di Dio inviato dal Signore Gesù nel mondo ad annunciare a tutte le genti il Vangelo di salvezza, a farne trasparire la bellezza e la forza. In questa prospettiva la MPD si presenta come stimolo a questa esigenza di conversione pastorale.

Penso, ad esempio, ai fedeli che dovranno essere coinvolti, motivandoli e preparandoli perché possano essere missionari. Ho potuto constatare con gioia che molti fedeli laici stanno accogliendo con simpatia e con entusiasmo la proposta di coinvolgersi nella MPD. Scoprire che in molti fedeli vi è il desiderio di una ripresa più decisa, più consapevole dell’essenziale dimensione missionaria della vita cristiana è già un segno molto significativo che il cammino della missione è percorribile. Lo Spirito è già all’opera nella nostra Chiesa e le nostre comunità cristiane sono attente alla voce dello Spirito e quindi, grazie a questa attenzione, sono anch’esse all’opera nella missione.

Annunciare e testimoniare Gesù Cristo, cioè essere missionari, non vuol dire dimostrare le nostre capacità, fossero anche straordinarie, ma vuol dire prima di tutto lasciar trasparire attraverso di noi, che siamo come “vasi di creta” (2Cor 4,7), la vita di Dio, il suo amore, la sua misericordia. Noi siamo annunciatori e testimoni di un’opera che non è nostra, ma è dello Spirito del Signore: quest’opera non cresce per merito nostro, ma per l’azione dello Spirito. Voglio immaginare insieme a voi la carica di rinnovamento per la pastorale ordinaria se la missione venisse assunta da tutti – laici e presbiteri – con entusiasmo e slancio creativo.

Penso poi al linguaggio della nostra predicazione, in particolare all’omelia, che deve permettere di assimilare, di vivere, di esprimere e di trasmettere la verità della fede di sempre nei linguaggi della vita di oggi.

Penso alle nostre celebrazioni che devono lasciar trasparire il mistero pasquale, il grande mistero della fede, aprendo la nostra mente e il nostro cuore alla comprensione gioiosa del dono inestimabile che è la salvezza ottenutaci dal sacrificio di Cristo. Quante persone che non appartengono alla comunità eucaristica hanno accesso al momento più intimo e più dinamico della vita della Chiesa: pensiamo alle celebrazioni dei funerali, dei matrimoni. Sono momenti decisamente importanti in cui la Chiesa offre la parola di Dio e manifesta il suo volto a chi non frequenta regolarmente.

Penso all’impegno di carità che deve mostrarsi nell’interazione tra amore di Dio e amore del prossimo.

Potremmo continuare con le esemplificazioni, ma possono essere sufficienti questi cenni per aiutarci a comprendere il senso della MPD e la ragione della sua urgenza.

In un contesto in cui non è facile trasmettere la fede da una generazione all’altra, siamo sospinti a riconoscere che proprio il Vangelo di Gesù deve essere comunicato a tutti, invitando tutti a lasciarsi coinvolgere nell’opera di evangelizzazione e diventarne soggetti.

La nostra Chiesa piacentina-bobbiese è dunque chiamata a mettersi in ascolto di Dio e a fidarsi di Dio, scoprendo il suo disegno di amore e le sue chiamate anche all’interno degli avvenimenti della vita quotidiana, letti con spirito di fede.

Questo ascolto di Dio sollecita la nostra attenzione alle persone e alle famiglie, con un preciso orientamento dinamico: non basta cioè attendere la gente, ma occorre andare a loro e soprattutto entrare nella loro vita concreta e quotidiana, comprese le case in cui abitano, i luoghi in cui lavorano, i linguaggi che adoperano, l’atmosfera culturale che respirano (Convegno ecclesiale di Verona).

4. Con gli occhi di Cristo….

Siamo sospinti, anche grazie al senso della MPD e alle ragioni della sua urgenza, a vedere noi stessi e il nostro impegno pastorale “con gli occhi Cristo”. L’espressione è di Benedetto XVI nel n. 18 dell’enciclica Deus caritas est: “Imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate […]. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. Qui si mostra l’interazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Lettera di Giovanni parla con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere in lui l’immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente « pio » e compiere i miei « doveri religiosi », allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto « corretto », ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi — pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta — hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento”.

5. …vedere l’altro

Vedere noi stessi e gli altri verso cui si attua il nostro impegno pastorale “con gli occhi di Cristo”, vuol dire intrecciare la MPD e l’Anno sacerdotale. Con gli occhi di Cristo siamo invitati a prestare grande attenzione all’altro, a chi ha bisogno di essere raggiunto dal Vangelo, a chi cerca di nuovo Dio dopo un periodo di indifferenza, a chi si è allontanato dalla Chiesa per i motivi più diversi, a chi frequenta la Chiesa, ma ha bisogno di un più coerente stile di vita cristiana.

Credo che sia molto importante per noi renderci conto dell’attesa di speranza del cuore umano e del grande servizio che offriamo a tutti mostrando le prospettive di senso che emergono dal “sì” della fede cristiana al “ ‘sì’ estremo di Dio all’uomo” (Deus caritas est). Anche l’uomo di oggi – come l’uomo di sempre, ma oggi con particolare intensità – ha bisogno di amare e di essere amato. Possiamo donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno, ci dice Benedetto XVI. Possiamo aiutarlo ad incontrare il volto agapico del Padre.

Questo è il mandato missionario di Gesù, che non può lasciarci tranquilli davanti alle attese degli uomini e delle donne del nostro tempo, alle famiglie di oggi, ai ragazzi e ai giovani di oggi.

Senza la luce della fede, l’esperienza umana appare oscura. Le grandi questioni del bene e del vero non possono neppure essere sfiorate. Sono convinto che vi è una domanda precisa che emerge dal basso, dal vissuto del nostro popolo ed è rivolta alla Chiesa tutta e ai sacerdoti in particolare: come ritrovare la fiducia e la speranza, come affrontare oggi le questioni vitali del bene e del vero, come esser di aiuto ai figli perché amino la vita, come organizzare la nostra società perché sia società umana.

La “disputa sull’humanum”, come diceva Giovanni Paolo II, caratterizza il nostro tempo e ci interpella profondamente. Possono esserci polemiche anche aspre, come in ogni disputa, ma la questione sull’humanum apre varchi importanti per una crescita della sensibilità educativa, morale, sociale e spirituale. Allora attraverso la prossimità all’esistenza delle persone nelle loro esperienze quotidiane, possiamo condividere la sapienza che viene dall’alto e illumina il legame tra le generazioni, i rapporti tra uomo e donna, l’esigenza di socialità, l’impegno per le situazioni di bisogno. Nella grande tradizione di pensiero e di prassi cristiana, possiamo non solo illuminare, ma dare senso pieno a queste esperienze umane fondamentali, aprendole alla novità del Vangelo della Pasqua e alla speranza del Risorto.

6. …vedere la nostra pastorale

Vedendo noi stessi e il nostro impegno pastorale “con gli occhi Cristo”, siamo invitati a riflettere sulle nostre attività pastorali. Siamo consapevoli che la maggior parte delle attività pastorali ordinarie già si pongono in un’ottica missionaria. Tuttavia, in vista della MPD, siamo invitati ad una riflessione attenta e forse a una certa sospensione di alcune attività pastorali. Non certo trascurando, abbandonando o anche solo sottovalutando la pastorale ordinaria, ma cercando di rinnovarla dal suo interno. Nella storia della salvezza si può osservare una legge costante: l’interruzione parziale e limitata del compito libera lo spazio del dono. Il ripensamento del nostro modo di fare pastorale può diventare uno spazio lasciato all’opera dello Spirito Santo, al suo soffio creativo. Spesso l’ansia per il raccolto, spegne l’entusiasmo della semina. La fissazione sui nostri schemi può mortificare la novità suscitata dallo Spirito, tagliando le ali all’ispirazione.

Non possiamo dimenticare che, nel postconcilio, l’azione pastorale ha aggiunto molte cose nuove da fare, certamente importanti, ma senza ripensare nella sua interezza e globalità il servizio al Vangelo. Così noi sacerdoti siamo spesso affaticati da un lavoro che ci toglie la pacatezza e la serenità per pregare, per ascoltare, per pensare, per guidare la comunità.

La MPD e l’Anno sacerdotale possono sollecitarci a ripensare il nostro ministero non nel senso propriamente teologico, ma nel senso concreto che riguarda le forme del suo esercizio. Per esempio, se, come si dice, è finita la parrocchia autonoma, dovrebbe pure essere finito il tempo del parroco isolato. In verità, chi conosce la storia della parrocchia sa che la parrocchia non è mai stata autonoma. Semmai è un certo modo di vivere e di pensare del parroco che ha favorito l’autonomia della parrocchia.

Comunque, dobbiamo sempre più pensare noi stessi dentro il nostro presbiterio e dentro la realtà pastorale in cui operiamo, nella parrocchia, nell’unità pastorale, nella diocesi. Non possiamo ritenere valido solo ciò che viene realizzato da noi o dalla nostra parrocchia; al contrario occorre ritenere importante ciò che possiamo costruire insieme come unità pastorale, come vicariato, come comunità diocesana.

Questo vuol dire che occorre impostare il lavoro pastorale tenendo conto di questo orizzonte più ampio. So bene quanto sia forte il senso di appartenenza al proprio campanile: questo legame non dobbiamo disprezzarlo, anzi lo dobbiamo apprezzare. Ma dobbiamo allargare il nostro orizzonte, anche per non soccombere alla tentazione sempre incombente dell’individualismo e dell’isolamento, e anche dell’autorealizzazione con dedizione anche generosa, ma quasi priva di fede.

Possiamo allargare il nostro orizzonte, avviando, ad esempio, la collaborazione soprattutto nel mondo dei giovani e promuovendo iniziative per formare i loro animatori a livello diocesano e vicariale. Già si sta operando in questa direzione, ma credo che occorra fare di più e in modo più organico.

Se anche grazie alla MPD e all’Anno sacerdotale si arrivasse alla convinzione che il parroco dovrà essere sempre meno l’uomo del fare direttamente e personalmente e sempre più l’uomo della comunione, noi potremmo rendere grazie a Dio. Perché in questo modo l’esercizio del ministero sacerdotale metterebbe in maggior risalto la “presidenza della comunione”, per usare un’espressione teologica. Il ministero del presbitero, più che inglobare e spesso assorbire ogni ministero, diventa suscitatore di vocazioni, di ministeri, di servizi, di carismi.

7. Verso la corresponsabilità dei laici

Prendendo spunto da una recente affermazione di Benedetto XVI, direi che, partendo dalla MPD e dall’Anno sacerdotale, il nostro impegno di presbiteri dovrebbe essere questo: favorire il passaggio dalla collaborazione alla corresponsabilità dei fedeli laici, coinvolgendo tutti nella stessa missione. Benedetto XVI, in occasione dell’apertura del Convegno Ecclesiale della diocesi di Roma che aveva per tema “Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale” e che si è tenuto a san Giovanni in Laterano il 26 maggio 2009, ha affermato che i laici non possono più essere considerati “collaboratori”, ma devono essere visti come “corresponsabili” della missione della Chiesa.

Il Papa, richiamando il Concilio Vaticano II che ha voluto “un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”, ha infatti invitato a riconoscere i laici “realmente ‘corresponsabili’ dell’essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato”. Da qui la necessità di una formazione più attenta alla visione della Chiesa, di una migliore impostazione pastorale capace di promuovere la corresponsabilità dei membri del Popolo di Dio.

Per questo, a partire dai diversi carismi, devono nascere nuove e diverse figure di ministeri, di servizi per far emergere il volto missionario delle nostre parrocchie, sia in vista di servizi pastorali/missionari sia in vista di una crescita complessiva di spiritualità e di gratuità. Le due finalità devono essere realizzate insieme: senza servizi pastorali/missionari non c’è Chiesa; senza gratuità e spiritualità non c’è ministero, spontaneo e riconosciuto, nella Chiesa.

Questa è la sfida più difficile della MPD che deve favorire la crescita di un’autentica coscienza ecclesiale. Questa è la sfida più difficile per il futuro della nostra Chiesa, la cura e la formazione di un laicato responsabile, che ha a cuore la missione della Chiesa e sa offrire una vasta e significativa testimonianza nel mondo.

8. Alla scuola del Vangelo

Abbiamo bisogno di ritrovare lo slancio missionario per la nostra attività pastorale. Ma abbiamo anche bisogno di ritrovare il baricentro della nostra vita cristiana e sacerdotale. Finora non ho fatto alcun cenno all’educazione, ma è facile comprendere quanto essa sia profondamente in gioco. Per diventare missionari con stile evangelico, è necessario lasciarci plasmare dallo ‘stile educativo’ di Gesù: occorre diventare tutti discepoli, presbiteri e laici insieme. Tutti siamo responsabili del ‘tesoro’ che è a noi affidato per essere a tutti comunicato. La coscienza stessa della comunità cristiana deve sentirsi fortemente interpellata nei confronti sia dell’educazione alla fede delle generazioni più giovani sia dell’acquisizione dei comportamenti e degli stili di vita che lasciano trasparire la fede. Dobbiamo perciò dedicare tempo per la formazione dei missionari e, insieme, per la formazione di noi stessi come presbiteri missionari: ci poniamo tutti alla scuola del Vangelo per riscoprire di nuovo la novità del Vangelo, per imparare lo stile evangelico, per vivere la spiritualità del discepolo-missionario, per confrontarci non solo a livello pastorale, ma anche a livello spirituale, interiore.

Siamo in primis noi sacerdoti ad avere bisogno di questa scuola del Vangelo. Desidero citare un testo di J. Ratzinger che un sacerdote mi ha gentilmente passato. Scriveva l’allora cardinal Ratzinger: “l’apostasia dell’età moderna si fonda sulla caduta della verifica della fede nella vita dei cristiani. Qui sta la grande responsabilità dei cristiani di oggi. Essi dovrebbero essere dei punti di riferimento come di persone che sanno di Dio, dimostrare nella loro vita la fede come verità per diventare così dei segnavia per gli altri” (Guardare Cristo, Jaca Book, Milano 2005, p. 31).

Aiutando i nostri cristiani a diventare “punti di riferimento come di persone che sanno di Dio”, noi sacerdoti ci disponiamo ad accogliere in noi lo Spirito che ci illumina e ci sospinge all’autoeducazione per vivere una fede luminosa nel nostro modo di pensare e nello stile di vita.

Per questo vi invito alla preghiera, personale e comunitaria. Così come vi invito a partecipare a quelle iniziative che stiamo predisponendo per una sincera e vissuta comunione presbiterale. In particolare, come verrà indicato, vi sarà un pellegrinaggio ad Ars per cogliere nella figura del santo Giovanni alcuni aspetti fondamentali del ministero sacerdotale. Vorrei in modo particolare rivolgervi una preghiera: in questo Anno sacerdotale ogni sacerdote partecipi a un corso di Esercizi spirituali, preferibilmente a quello che organizzeremo in diocesi.

Così vivremo la MPD come risposta alla chiamata del Signore a essere annunciatori e testimoni della sua opera di salvezza. È necessario vivere in comunione, essere in sintonia, lavorare insieme: lo esige l’azione pastorale e il nostro ministero sacerdotale. Lo esige pure la nostra vita spirituale, il nostro senso di appartenenza al presbiterio e alla Chiesa, il nostro stile di vita, il nostro vissuto relazionale, la nostra quotidiana fatica pastorale: i legami di amicizia e i rapporti di fraternità e di collaborazione sono decisivi per la nostra vita di fede in Gesù Cristo e per il nostro ministero. Anche per questi motivi farò volentieri visita a voi sacerdoti là dove svolgete il vostro ministero, incontrando voi e i vostri collaboratori/corresponsabili e anche, se già sarà presente, il gruppo dei missionari della unità pastorale.

+ Gianni Ambrosio