domenica 20 marzo 2011

In Sant'Antonino i martiri del nostro tempo

Prosegue nella basilica di S. Antonino a Piacenza, la mostra fotografica “Beati i perseguitati per causa mia”, iniziativa promossa con la collaborazione della rivista “Mondo e missione” e costituita da una galleria di 12 storie di martirio del nostro tempo, fra cui la piacentina suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata originaria di Rezzanello, uccisa a Mogadiscio nel settembre del 2006.

La mostra si può visitare fino a giovedì 24 marzo tutti i giorni, dalle ore 10 alle 12 e dalle 16 alle 18. L’iniziativa è promossa dal Centro missionario diocesano, dalla Caritas diocesana e da Il Nuovo Giornale in preparazione alla Giornata dei missionari martiri, che si celebra in tutto il mondo il 24 marzo, giorno dell’uccisione del vescovo di San Salvador Oscar Romero, avvenuta nel 1980.

Martedì prossimo 22 marzo, alle ore 20.45, nella basilica di Sant’Antonino è in programma l’incontro sul tema “Algeria 1996: la strage dei monaci di Tibhirine”. Interviene padre Jean-Marie Lassausse, oggi missionario a Tibhirine, dove nel ‘96 morirono i 7 trappisti; padre Laussausse è autore del libro “Il giardiniere di Tibhirine”. Lo intervisterà la giornalista di “Mondo e Missione” Anna Pozzi, curatrice della versione italiana del libro.
Padre Lassausse, prete della Mission de France, ingegnere agricolo, continua a coltivare, insieme ai due operai dei monaci, i campi del monastero e al contempo cerca di mantenere vive e feconde le relazioni con la popolazione.

IL 24 MARZO IN CATTEDRALE.
I missionari martiri saranno ricordati giovedì 24 alle ore 21 nella preghiera durante il Quaresimale in Cattedrale.

Ambrosio: figli d'Italia è dono di Dio

Il vescovo Gianni Ambrosio è un piemontese e l'unità d'Italia la sente forse più d'altri. Così, nella messa per i 150 anni, ha tenuto una sorta di lezione di alta educazione civica: buoni cittadini si può essere se si osservano certe regole d'oro ma anche e soprattutto se ci si ricorda che la cittadinanza, l'appartenere ad un popolo con una storia e un volto comune, è una grazia di Dio.


«Nelle Sacre Scritture di oggi troviamo la lode e la gratitudine per i doni di Dio; tra questi anche la grazia di appartenere ad un popolo che ha una storia, un destino, un volto comune». Così il vescovo Gianni Ambrosio parla ai piacentini nella messa (ieri pomeriggio), in San Francesco, per i 150 anni dell'unità d'Italia. «In mezzo a tutte le difficoltà rendiamo grazie a Dio - dice il presule - per la nostra Italia, di cui siamo figli, e da cui deriva la nostra identità umana civile e religiosa. Siamo consapevoli, al di là di ogni retorica, che tutto questo è un dono». Ad ascoltare, nelle prime file, il sindaco Roberto Reggi (in fascia tricolore), l'assessore provinciale Paolo Passoni (in fascia azzurra), il prefetto Antonino Puglisi, il questore Calogero Germanà, il comandante provinciale dell'Arma, colonnello Paolo Rota Gelpi. Poi assessori e consiglieri comunali, rappresentanti delle forze armate e della società civile. Accanto al vescovo, il vicario episcopale per la città, monsignor Luigi Chiesa, e il parroco di San Francesco, don Giuseppe Frazzani.
«Siamo convinti, al di là di ogni presunzione e di ogni mancanza di memoria - ribadisce Ambrosio -, che essere figli di questa nostra Italia è una responsabilità bella, ma grande ed anche esigente. Con questa celebrazione invochiamo la grazia di essere più consapevoli del nostro essere figli dell'Italia, riconoscendo l'identità plurale e variegata, all'interno della grande famiglia dell'Europa e naturalmente di Dio». Il Vangelo si chiude con la regola d'oro: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi fatelo a loro". «E' la regola d'oro che ci tiene fuori - si augura il vescovo - da quell'individualismo ingannevole, dalla polemica estenuante, distruttrice e ci impegna per la vita buona che tutti desideriamo, per quel bene comune che dobbiamo perseguire per vivere bene».
fed. fri.


18/03/2011 Libertà

Don Illica: preti tra la gente, non dietro alla scrivania

E' stato molto chiaro il nuovo vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio, monsignor Giuseppe Illica. Di preti ce ne sono pochi e quei pochi non stiano dietro ad una scrivania ma tra la gente ad annunciare e a testimoniare il Vangelo. Di seguito l'articolo dell'ingresso di monsignor Illica in Curia.

Meno sacerdoti amministratori ma più impegnati tra la gente come evangelizzatori, naturalmente con un maggiore coinvolgimento dei laici. Se avesse Photoshop, il programma più famoso di elaborazione immagini, don Giuseppe Illica modificherebbe così la fotografia della Chiesa piacentina.
Lo dice a riflettori spenti nel giorno del suo insediamento in Curia come vicario generale. Ieri mattina la cerimonia pubblica alla presenza del personale degli uffici del Vescovado - d'ora in poi saranno alle sue dipendenze dirette - e del clero di Curia, nonchè dei vicari episcopali e, naturalmente, del vescovo Gianni Ambrosio.
Il presule rivela sorridente che con don Giuseppe c'è stata «una lunga trattativa» prima dell'accettazione del suo nuovo ruolo; del quale poi tratteggia gli aspetti fondamentali. «Il numero 475 del codice di diritto Canonico dice che il vicario generale ha il compito di aiutare il vescovo nel governo della diocesi. Punto - evidenzia Ambrosio -. Il resto lo lascia alla sensibilità nostra e al soffio dello Spirito Santo». «Noi siamo tutti di aiuto all'opera buona di Dio - prosegue - e dobbiamo aiutarci perchè questo sia davvero un cammino comune. A tutti è chiesto di evangelizzare, dunque di dare la buona notizia: al vescovo, ai sacerdoti e ai laici».
«Un altro compito - continua - è quello di santificare». Il che vuol dire «dare una mano allo Spirito Santo attraverso i sacramenti, la liturgia, la celebrazione della Parola del Signore». Infine «le linee di indirizzo per una direzione di marcia comune con un'unità attorno al vescovo e uno spirito comunitario con i vicari episcopali, la mano lunga del vescovo nei diversi ambiti». Una penna a sfera di pregio come dono del presule e della Curia poi la cerimonia termina. Senza rinfresco. Siamo in Quaresima.
A riflettori spenti, nel pomeriggio, don Illica riflette sul ruolo della Chiesa nella società di oggi. Aveva parlato pubblicamente dell'attenzione ai poveri: «Mi viene da dire che non è mai sufficiente perchè i poveri continuano ad esserci, però noi non è che dobbiamo risolvere i problemi, dobbiamo dare dei segni di un amore verso i poveri. Io penso che questa attenzione nella chiesa di oggi ci sia». Ancora: «Sono d'accordissimo con chi parla di una Chiesa con una maggiore responsabilità dei laici. Penso che siano pronti. Ci vuole solo un po' di coraggio, per il resto la preparazione c'è». Parliamo di tempi difficili per la Chiesa di oggi. Ci ferma: «I tempi sono sempre stati difficili, io ho sempre sentito i preti lamentarsi, così come la gente. Non c'è mai un tempo facile o un tempo difficile, c'è il tempo che ci è dato di vivere, noi abbiamo questo e dobbiamo affrontarlo».
L'esperienza della missione in Brasile offre una prospettiva nuova. «Investire sui laici è la testimonianza e l'insegnamento più forte che ci può dare la chiesa brasiliana - è convinto don Illica -, la missione popolare deve poi aiutarci ad aprire delle strade». «Noi preti siamo ormai pochi - ammette - e secondo me dovremmo concentrare il nostro lavoro sull'evengelizzazione, lasciando perdere tante cose, tipo gli aspetti amministrativi che ci stanno occupando troppo tempo, rispetto al numero che siamo. Penso che sarebbe un bel risultato se riuscissimo a dedicarci completamente, direi quasi esclusivamente, alla formazione cristiana dei laici e all'evangelizzazione». Nessun programma: «Che vicario sarò? Personalmente mi propongo di non stare troppo dietro ad una scrivania. Andrò a trovare i parroci. Per il resto non chiedetemi che cosa farò perchè devo imparare giorno dopo giorno. Come ho trovato la Curia? In Curia tutti fanno il loro dovere e lo sanno fare bene. Chi deve imparare, lo ripeto, sono io».
Federico Frighi


15/03/2011 Libertà