sabato 24 gennaio 2009

Ambrosio: giornalisti comunicatori ed educatori

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa


Incontro con i giornalisti: intervento del Vescovo

Educazione e Comunicazione

Dico a tutti il mio grazie per la cortese presenza a questo incontro del Vescovo con i giornalisti e con gli operatori della comunicazione sociale nella ricorrenza del patrono, San Francesco di Sales. Per me è una felice occasione per rivedere persone di cui conosco ed apprezzo la professionalità e di cui mi onora l’amicizia ed anche per esprimere loro gratitudine per l’attenzione che riservano alla vita religiosa della città e della diocesi, e, in particolare, al Vescovo di questa Chiesa.
A questo nostro incontro è stato assegnato anche un titolo: educazione e comunicazione.
Posso confidarvi che mi sono preoccupato quando ho visto un simile titolo, molto vasto e impegnativo. Poi mi sono rincuorato leggendo il tema della 43ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Un tema anch’esso impegnativo: “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”. Questa seconda parte del tema non è lontana dal nostro argomento, l’educazione e la comunicazione, anzi la promozione della cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia può aiutarci a precisare il rapporto tra l’educazione e la comunicazione.
Credo che sia questa la vocazione di chi opera nella comunicazione: siete chiamati ad assumervi in prima persona la promozione di una cultura rispettosa, dialogante, amichevole, capace di infondere fiducia e speranza. Sviluppo solo due rapidi punti.

1. Non possiamo ignorare la situazione di crisi nella quale ci troviamo. Non mi riferisco solo alla crisi economica ma, più in generale, alla nostra epoca segnata, come è stato detto, dalle “passioni tristi”, un’espressione di Spinoza tornata in auge grazie al titolo di un recente libro di M. Benasayag e G. Schmit, intitolato appunto L’epoca delle passioni tristi. Gli autori suggeriscono la necessità di creare e ricreare i legami che possono essere chiamati, con buona ragione, vitali. È una strada da percorrere ricreando o rinnovando anche il legame tra educazione e comunicazione.
Ma è possibile ricreare e rinnovare questo legame? Credo di sì. Partendo dalla situazione di incertezza che riguarda tutti, anche la comunicazione e i giornalisti, vorrei sostenere che proprio oggi è necessario pensare a un nuovo legame tra educazione e comunicazione.

Tutti gli osservatori affermano che l’attuale crisi finanziaria-economica influenza in modo diretto i media e soprattutto la stampa. D’altronde questi osservatori dicono ciò che sta già avvenendo.
Se per esempio guardiamo agli Stati Uniti, lì il terremoto è già in atto. È avvenuto il collasso della Tribune Corp. (proprietaria di Los Angeles Times e Chicago Tribune). È poi in atto la crisi del New York Times, fondato nel 1851: è stata annunciata la possibilità di ipotecare la sede, il nuovo grattacielo di Renzo Piano a Manhattan, per raccogliere 225 milioni di dollari di liquidità. Possiamo continuare: la società MediaNews Corp., proprietaria di ventinove quotidiani, fra cui il Denver Post, è stata declassata dall’agenzia di rating Moody’s in quanto non più in grado di saldare i debiti. Insomma, negli USA la crisi dei media non risparmia nessuno, neanche le testate più solide e blasonate. L’editoria americana sta attraversan­do una crisi profonda: secondo alcuni studiosi sarebbe senza precedenti una simile crisi. Non sono pochi coloro che auspicano che il governo di Washington intervenga contro il fallimento dei giornali con offerte generose, come si pensa di fare per salvare le industrie dell’automobile. Ma sarebbe molto superficiale ritenere che la crisi dell’editoria sia dovuta solo alla difficile congiuntura economica: sono tanti i motivi della crisi, su cui tornerò più avanti.
Se Atene piange, Sparta non ride. Anche l’Europa manifesta non poche difficoltà. Pensiamo alla Francia. È noto il travaglio che da anni sta vivendo Le Monde. Prima vi è stata la lunga crisi della dirigenza del gruppo, poi quella riguardante i dipendenti. Nel 2008, stando alle dichiarazioni di Éric Fottorino, presidente della testata, e di David Guiraud, vice presidente e direttore generale, la perdita dovrebbe aggirarsi attorno ai 4,7 milioni di euro, che però – così dicono – dovrebbe essere in parte riassorbita dalle prospettive di guadagno nel 2009. Comunque il quotidiano ridurrà le pagine da 32-30 a 28-26 a partire da questi giorni, dal 20 gennaio, opterà per una gerarchizzazione delle notizie, cercherà di collegare meglio il giornale stampato con quello web.
La crisi di Le Monde ci fa comprendere che non è solo l’attuale congiuntura a mettere in difficoltà l’editoria: il tentativo di aprirsi sempre più al web – da parte di un quotidiano che per decenni ha rifiutato le foto come poco consone al giornalismo serio – è motivato da due ragioni: la diminuzione dei lettori del giornale (in particolare sotto la direzione di J-M. Colombani) e la diminuzione di introiti pubblicitari nel mondo della carta stampata.
È pure nota la lunga crisi di Liberation, che fra l’altro ha subito un duro colpo con la morte di Carlo Caracciolo, propostosi quale editore del rilancio.
Così in Spagna: i quotidiani iberici registrano una paurosa disaffezione dei lettori.

Non dissimili sono gli scenari riguardanti il nostro Paese, anche se è più difficile avere dati precisi in Italia (pensiamo solo al fenomeno delle copie-omaggio). Comunque da noi la situazione non è rosea: la diffusione sta calando, dapprima ha colpito i periodici poi anche i quotidiani.
Credo che sia da cercare col lanternino un gruppo edito­riale che da Torino a Milano a Ro­ma non vada predisponendo una riorganizzazione, con relativi ta­gli. Meno pubblicità, forse meno pagine, forse meno…tutto il resto.
Insomma, il 2009 sarà un anno difficile per i media, in particolare per i giornali. Le previsioni non sono rosee, anzi tendono verso il nero. L’editoria dovrà nel 2009 fare i conti con una riduzione degli investimenti pubblicitari e con un’ulteriore contrazione delle copie vendute. E neppure il web potrà correre in aiuto dei giornali di carta. Neppure il sito online con il maggior successo può compensare le perdite del suo corrispettivo cartaceo.

Ho fatto alcuni cenni alla situazione di crisi dei media, perché credo che da qui occorra partire per far sì che la situazione odierna sia vissuta come occasione per riflettere e per scegliere. La crisi può trasformarsi in opportunità per il bene della comunicazione e della vita sociale se si riconosce che è venuta meno la fiducia e dunque occorre ricuperarla.

Ciò significa due cose.
La prima: credo che tutti gli operatori della comunicazione debbono rendersi conto che svolgono un ruolo importante per la vita sociale, come informatori dell’opinione pubblica.
La seconda: credo che l’opinione pubblica deve avere la possibilità di poter riconoscere che gli operatori della comunicazione svolgono bene questo ruolo importante.
In definitiva, solo ritornando ai lettori – ai lettori non secondo il marketing, ma ai lettori in quanto cittadini che vivono nel nostro contesto sociale – si ricupera la fiducia: in un periodo di crisi il lettore ha ancora più bisogno di informazioni per comprendere ciò che sta avvenendo.

2. Riprendo il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Appare evidente la fiducia del Papa nei confronti delle possibilità dei media: egli ritiene che i media possano dare un grande aiuto nel favorire un clima di dialogo e di fiducia. Credo che il Papa consideri chi opera nei media anzitutto come un operatore culturale. La notizia è un bene pubblico e chi opera nella comunicazione svolge un servizio culturale, in quanto fornisce gli elementi di informazione, di conoscenza per la visione del mondo dei cittadini.
Dunque chi opera nella comunicazione non può non ragionare sul rapporto fra comunicazione ed educazione. Credo che questo ragionamento possa essere fatto soprattutto a livello locale. Ecco allora qualche ulteriore spunto per questo ragionamento.

Non è sufficiente la cosiddetta Media Education, ovvero l’educazione ai mass media: quanti corsi su questo argomento, certamente importante in quanto prepara alla recezione intelligente dei mass media. Ma occorre andare oltre e cercare una convergenza fra le istanze educative e la comunicazione: da questo punto di vista credo che siamo ancora poco disponibili e siamo anche poco preparati. Anche perché la linea dell’autonomia tra i due campi, quello comunicativo e quello educativo, è dominante, è la più seguita.
Se si vuole, questa autonomia è la visione illuminista e funzionalista dei rapporti sociali, che vorrebbe mantenere isolati e incomunicabili i vari campi della conoscenza e i diversi ambiti della vita.
Si dice: “gli affari sono affari”. Ogni ambito della vita risponde solo a se stesso, alle poche generiche regole stabilite all’interno del proprio ordine professionale. Prendendo a prestito il titolo del libro di Giorgio Bocca, potremmo dire: E’ la stampa, bellezza! (Feltrinelli 2008), sottintendendo che la stampa ha qualche regola stabilita dall’Ordine (in verità, Bocca, come sappiamo, denuncia proprio la crisi di etica della stampa).

Considerando il peso di questa corrente funzionalista, i due ambiti – la comunicazione e la educazione - sono destinati a ignorarsi, svolgendo ruoli sociali diversi e, spesso, in antitesi fra loro. Questa concezione è responsabile, per esempio, della totale separazione tra i corsi e i programmi della facoltà di Scienze della formazione e i corsi e i programmi della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Al limite vi è un mini-corso che può intitolarsi Etica della comunicazione, in cui si considerano alcune questioni che hanno rilevanza etica e pedagogica.
A me pare che la prospettiva di una convergenza sostanziale tra i due ambiti sia strategica per ricuperare quella fiducia che è a rischio, se a volte non è andata persa. Il cronista e l’opinionista non possono comunicare ‘a distanza’, non possono parlare o scrivere ‘da nessun luogo’, cioè irresponsabilmente, lasciando fuori dalla comunicazione il volto dell’altro o l’etica della responsabilità: si crea un clima di indifferenza e di cinismo che rovina la comunicazione, e dunque rovina la vita sociale.
Ciò che deve caratterizzare questa convergenza strategica è l’idea, forse alquanto utopica, della costruzione della comunità civile. Sarà anche utopica questa idea, ma se nessuno si impegna nel costruire la comunità civile, allora la comunità sarà poco civile e l’opinione pubblica sarà poco intelligente.
In altre parole, se si accetta l’idea di una convergenza tra comunicazione e educazione, allora si ci incammina verso questo obiettivo: favorire la diffusione di un’etica della responsabilità sociale per quel bene prezioso che è la notizia, l’informazione, l’opinione argomentata.
Allora non basta la lettura critica dei mezzi d'informazione. Si tratta invece di rivedere la logica della comunicazione, del sistema di comunicazione: deve prevalere la logica della responsabilità di ciò che si comunica e del modo in cui si comunica. Questa responsabilità non può non avere al suo centro le istanze educative.
Se il giornalismo è attuato con senso di responsabilità verso i lettori, allora la comunicazione e l’educazione non solo convergono ma si alleano. Occorre che il professionista riconosca il diritto del pubblico ad una informazione corretta e affidabile: questo riconoscimento obbliga il professionista a rispettare sia le regole tecniche di ricerca delle informazioni e delle notizie sia le norme etiche di diffusione della notizia, senza travisarla e senza enfatizzarla.
Si eviterebbero così tante polemiche che lacerano il tessuto comunitario, che non creano un clima di fiducia ma un clima di rissa, come i famosi polli di Renzo che s’ingegnavano a beccarsi, “come accade troppo sovente tra compagni di sventura”, annotava il Manzoni.

Concludo ricordando che ciò che può apparire utopia sta realizzandosi in alcuni Paesi dove si lavora parecchio sul tema della Educomunicazione: ci si rende conto che non basta la convergenza tra educazione e comunicazione, ma occorre arrivare ad una sorta di alleanza. Con questo convincimento: la società ha bisogno di professionisti della stampa e dei media con la mente aperta e attenta ai bisogni dei bambini, dei giovani e del mondo dell’educazione in generale.
Sono certo che tutti noi cerchiamo di avere e cerchiamo di favorire questa mente aperta e attenta alla crescita della società civile.

†Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

Piacenza, 24 gennaio 2009