sabato 28 giugno 2008

Don Bosini: la droga emergenza dimenticata

Piacenza - «Quella della droga è un’emergenza dimenticata. L’abbiamo visto a Piacenza nella giornata mondiale. Ce ne siamo ricordati solo noi». Don Giorgio Bosini è abituato ad ingoiare rospi e, uno più uno meno... per il sacerdote presidente de La Ricerca e, dallo scorso anno, anche economo diocesano, non fa tanta differenza. Lo dice. Poi tira dritto. «Abbiamo approfittato di questa occasione per un momento di aggregazione dei volontari - osserva - visto che l’oggetto del nostro servizio è in primis la tossicodipendenza e tutto ciò che è correlato. Almeno tra da di noi abbiamo voluto ricordarlo». «Questa è la giornata mondiale della droga indetta dall’Onu - chiosa - spiace che le istituzioni, prese da centomila altre cose, non abbiano detto nulla. È da tempo che se il privato non si muove ... e questo conferma e fotografa una situazione in cui il problema droga sembra non essere più un’emergenza». «Non c’è più allarme, non c’è più attenzione - continua -, anche la legalizzazione indirettamente afferma che non è più un problema». Invece lo è ancora, eccome, è sicuro don Bosini: «Sono ad esempio aumentati i morti, il 6 per cento in più. Senza voler fare del catastrofismo, la droga fa male, punto». «Mi preoccupa il fatto che le istituzioni - evidenzia -, i genitori, la scuola, non avvertano più questa spia che ti dice che c’è qualche cosa che non va. Mentre prima era più marcata dal punto di vista del disagio, oggi assistiamo ad una droga più ricreazionale, del divertimento, dello sballo. Ci si preoccupa perché poi viene alzata la “paletta” quando c’è un incidente stradale, quando avvengono morti violente e incomprensibili. Tutto questo, molto spesso, è effetto di sostanze o di cocktail micidiali». Cambiano gli orizzonti de La Ricerca: «Ci stiamo muovendo molto nel campo della prevenzione, nelle scuole, nell’aiutare gli insegnanti a saper leggere il vero problema dei ragazzi». Ma la droga - cocaina - dilaga nel mondo dei quarantenni e della gente affermata, in funzione di prestazioni, di immagine, di altro.Ecco che sul versante della cura anche le metodologie si stanno adeguando. «Le comunità tradizionali oggi sono quasi vuote - fa notare don Bosini - occorre invece mettere in moto degli altri tipi di azioni. Con un quarantenne in carriera non puoi fare il medesimo lavoro che facevi con un ventenne. Occorrono interventi mirati, ripetuti, limitati nel tempo. Magari alcune settimane di full immersion, cose che in America facevano già 20 anni fa. Cure ad eclissi, in modo che la persona, quando viene agganciata, percepisca il bello dello star bene senza bisogno di sostanze. Le comunità oggi devono cambiare, sennò diventano piccoli manicomi o luoghi per malati cronici».
Federico Frighi

da Libertà, 27 giugno 2008

lunedì 23 giugno 2008

Sant'Antonino 2008, il programma

Nove giorni di iniziative per fare festa in onore del patrono di Piacenza: Sant’Antonino. Il calendario è stato messo a punto dai volontari della basilica, coordinati dall’amministratore don Giuseppe Basini, e fa da contorno alla celebrazione solenne del 4 luglio durante la quale verrà conferito l’Antonino d’oro 2008 alla professoressa Dina Bergamini nonché alla kermesse della grande fiera.
  • Celebrazioni religiose Giovedì 3 luglio alle 18 primi vespri e messa con il vescovo Antonio Lanfranchi. Venerdì 4 luglio lodi alle 6 e 30, messe alle 7, alle 8, alle 9. Alle 10 concerto della Banda Ponchielli da piazzale Genova a piazza Sant’Antonino; alle 10 e 55 benedizione della città con la reliquia del santo. Alle 11 messa solenne con il vescovo Gianni Ambrosio e consegna dell’Antonino d’oro. Alle 18 secondi vespri e messa vespertina con il vicario monsignor Lino Ferrari.
  • Musiche popolari Venerdì 27 giugno nei chiostri della basilica di Sant’Antonino, alle ore 21, Sandro Ballerini intratterrà il pubblico con musica e canti popolari piacentini.
  • L’organo Giani Sabato 28 giugno alle ore 21 nella basilica concerto di giovani organisti coordinati dal maestro Enrico Viccardi. Si esibiranno Simone Quaroni di Pavia e Luca Pollastri di Fidenza sul prestigioso organo Giani. Musiche di Bach e Mendelsshon.
  • Concerto di flauti Domenica 29 giugno Ensamble di flauti dolci alle ore 21 e 15.
  • Brass band Lunedì 30 giugno alle 21 e 15 in piazza Sant’Antonino è in programma la serata “Piacenza Brass Band”, “Sogno di un viaggio musicale tra le sfumature e i colori degli strumenti in ottone”.
  • Il vescovo e i giovani Martedì 1° luglio alle ore 20 e 30, nella basilica, il vescovo Gianni Ambrosio incontrerà i giovani. Alle 21 e 15 in piazza Sant’Antonino il gruppo Gospel delle New Sisters si esibirà con il “Concerto per la vita” a favore di Africa Mission.
  • Guida e visite Mercoledì 2 luglio alle ore 20 e 30 nella chiesa di Sant’Antonino verrà presentata la guida artistica della basilica. Inoltre venerdì 4 luglio sono previste visite guidate alla basilica e al museo capitolare alle ore 16, 17 e 20 e 30.
  • Coro Farnesiano Mercoledì 2 luglio, alle 21 e 15, sarà il Coro Polifonico Farnesiano, diretto dal maestro Mario Pigazzini, l’interprete di Polifonie nel Chiostro.
  • Chiesa e Islam Giovedì 3 luglio alle ore 21 in basilica si terrà un incontro sul tema “Cristianesimo e Islam: un dialogo possibile?” Interviene padre Francesco Rapacioli, missionario Pime in Bangladesh. Conduce Enrico Garlaschelli. Interverrà anche l’Antonino d’Oro Dina Bergamini.
  • Foto nei chiostri Ritorna anche quest’anno la mostra fotografica a cura di Carlo Mistraletti. La mostra “Antonino d’oro e dintorni. L’esposizione, nei chiostri della Basilica, sarà visitabile da venerdì 4 a venerdì 18 luglio (orari: 8.30-11.30 e 16 e 30-18 e 30).
  • Gli arazzi Sabato 5 luglio alle ore 21 nella Basilica di S. Antonino è in programma “Ierofanie: da Piacenza a Roma” dell’artista rumeno Camilian Demetrescu: illustrazione dei grandi arazzi del ciclo esposto ora in Vaticano nello studio di Papa Benedetto XVI.

sabato 21 giugno 2008

Salviamo la tela dell'Immacolata

Piacenza - Chi ama l’arte può salvare l’arte. L’appello arriva dalla basilica di Santa Maria di Campagna, scrigno del Pordenone e del suo ciclo pittorico ma non solo. «Abbiamo diverse tele preziose che rischiano di non poter essere consegnate ai posteri» osserva fra’ Gloriano Pazzini, superiore e rettore di basilica e convento. La più bisognosa di cure è un dipinto su tela che rappresenta la Beata Vergine Immacolata Concezione datata intorno al 1700, di ignoto pittore di scuola emiliana. «È nel corridoio nel nostro convento ed ha urgente bisogno di cura» sottolinea frate Gloriano il quale, per questi due ultimi fine settimana di giugno che ancora rimangono, invita i piacentini nei chiostri del convento. «Alcuni amici ci hanno donato opere artistiche dal valore non alto ma che possono andare dai 5 ai 500 euro - spiega -. Noi le abbiamo messe in mostra affinché qualche appassionato possa portarle a casa in cambio di un’offerta». Il ricavato di tale mostra benefica verrà utilizzato per il restauro dell’Immacolata Concezione. Il convento, oggi e domani (ma anche sabato 28 e domenica 29 giugno) rimarrà dunque aperto al pubblico. Con i seguenti orari: il sabato dalle 14 alle 20, la domenica dalle 10 alle 20.
f.fr.

da Libertà, 21 giugno 2008

giovedì 19 giugno 2008

Nuovi incarichi per i diaconi

Nomine nel clero: comunicato della Cancelleria vescovile


Con Atto proprio dell’Ordinario diocesano in data 6 giugno 2008 è stato conferito al diacono permanente Pierluigi Nocilli l’incarico di collaboratore nel servizio pastorale presso la Casa di Riposo Vittorio Emanuele in Piacenza.

Con Atto proprio dell’ordinario diocesano in data 6 giugno 2008 è stato conferito al diacono permanente Roberto Pignataro l’incarico di collaboratore nel servizio pastorale nelle parrocchie della Unità Pastorale n. 3 del Vicariato Val Tidone.

Piacenza, dalla Curia vescovile 18 giugno 2008

Il Cancelliere Vescovile
don Mario Poggi

mercoledì 18 giugno 2008

Una targa per Giovanni Paolo II

Piacenza - Una nuova targa commemorativa della visita di Giovanni Paolo II a Piacenza vent’anni fa, in particolare, in Santa Maria di Campagna. Sarà scoperta sabato prossimo dopo la messa delle 18 e 30 dal vescovo Gianni Ambrosio, dal sindaco Roberto Reggi e dal guardiano e rettore del convento di Santa Maria di Campagna, padre Gloriano Pazzini. «Nel 1988, come tutti piacentini ricorderanno, vi è stata la visita pastorale di papa Giovanni Paolo II°- ricorda il padre guardiano e rettore - che è venuto anche nel nostro santuario, ha sostato in preghiera e si è complimentato per la bellezza della basilica». L’anno successivo, nel 1989, il Comune di Piacenza (proprietario dei muri della basilica), ha posto una lapide a ricordo dell’evento. «Purtroppo - spiega padre Pazzini - venne messa in un posto poco visibile, nel corridoio dei confessionali degli uomini». Oggi si è pensato ad un luogo più degno: alla destra del presbiterio, ovvero dell’altare. Alla realizzazione della nuova lapide ha pensato il Comune che ha finanziato l’intera iniziativa. Il testo sarà lo stesso di 20 anni fa: «Sua Santità Giovanni Paolo II, compiendo, quale successore di Pietro, la visita pastorale a Piacenza volle benignamente sostare in filiale, ammirata contemplazione presso l’altare della santissima Annunciata in questo santuario principe della città e diocesi il 5 giugno 1988. La Municipalità piacentina, curatrice e sollecita del sacro edificio, gioiosamente partecipe del memorabile incontro, nella persona del sindaco Angelo Tansini e degli altri pubblici amministratori, a perenne felice ricordo del fasto evento, per grato animo progettò e pose col plauso di tutta la comunità civile ed ecclesiale. 5 giugno del 1989.»
fed.fri.

Il testo integrale su Libertà di oggi, 18 giugno 2008

lunedì 16 giugno 2008

Morto don Natale Balletti

PIACENZA - E' morto ieri all'ospedale di Pavia don Natale Balletti, parroco di San
Pietro Casasco e amministratore parrocchiale di Monteforte nel Comune di
Menconico, provincia di Pavia e diocesi di Piacenza-Bobbio.
I funerali si terranno domani, martedì 17 giugno, alle ore 15,30, nella
chiesa parrocchiale di San Pietro Casasco e saranno presieduti dal vicario
generale mons. Lino Ferrari, essendo il Vescovo, in questi giorni, impegnato
a Mazara del Vallo con la predicazione degli esercizi spirituali ai
sacerdoti di questa diocesi.
Don Natale Balletti era nato il 25 dicembre 1919 a Vaccarezza ed era stato
ordinato sacerdote il 26 giugno 1942. Parroco della parrocchia del Comune
pavese di Menconico, nel 1967 è stato nominato parroco di San Pietro Casasco
e nel dicembre del 1992, come amministratore parrocchiale, gli è stata
affidata anche la parrocchia di Monteforte. Nel passato è stato anche
insegnante di religione nelle scuole pubbliche di Milano.

domenica 15 giugno 2008

Ambrosio: don Paolo Inzani dono per la nostra Chiesa

Piacenza - È il primo ed anche l’unico seminarista che viene ordinato sacerdote nella diocesi di Piacenza-Bobbio nell’anno del Signore 2008. Non solo: è anche il primo sacerdote ordinato dal vescovo Gianni Ambrosio. Ancora: ha 29 anni e rappresenta un soffio di gioventù nell’attempato clero piacentino. Con queste credenziali - alle quali si assommano quelle morali e spirituali - Paolo Inzani, di Lugagnano, da ieri pomeriggio è sacerdote della chiesa di Piacenza-Bobbio. Lo ha ordinato monsignor Ambrosio di fronte ad una cattedrale gremita di prebiteri, parenti, amici, compagni di scuola e di seminario di don Paolo. A presentarlo il superiore del Collegio Alberoni, padre Mario Di Carlo. Poi il vicario generale, monsignor Lino Ferrari, che si rivolge al vescovo Ambrosio con la formula rituale: «Reverendissimo padre, la santa Chiesa di Dio che è in Piacenza-Bobbio chiede che questo nostro fratello sia ordinato presbitero». Il vescovo lo interroga: «Sei certo che ne sia degno?» «Dalle informazioni raccolte presso il popolo cristiano - risponde il vicario - e secondo il giudizio di coloro che ne hanno curato la formazione, posso attestare che ne è degno». «Con l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo nostro Salvatore - conclude Ambrosio - noi scegliamo questo nostro fratello per l’ordine del presbiterato». Nell’omelia il vescovo definisce un dono il sacerdozio ricevuto da don Paolo. «Un dono che, come tale, chiede solo di essere ricevuto, prima che capito» sottolinea il presule. Invita il giovane sacerdote ad aprire la mente e il cuore allo sguardo di Dio, «uno sguardo non interessato né generico ma appassionato e di amore».
f.fr.

Il testo integrale su Libertà di oggi 15 giugno 2008

Dina Bergamini: dedico il mio Antonino alla gente di montagna

Piacenza - Ha il sapore della gente di montagna l’Antonino d’oro 2008, «della dignità di una povertà felice». Così la professoressa in pensione, Dina Bergamini - madre, insegnante e catechista - “colora” il riconoscimento che ieri, in via ufficiale (durante il Consiglio pastorale diocesano alla Bellotta), il capitolo della basilica di Sant’Antonino le ha tributato. «Più che un omaggio a me - ci tiene a sottolineare - è un riconoscimento al mio ruolo di maestra e direttrice didattica prima, di catechista poi, alla gente della mia montagna. Nessun merito mio, solo quello della mia gente». L’Antonino d’oro del 2008 è un fiume in piena già al telefono e ricorda alla perfezione la passione con con cui il suo predecessore, il missionario don Luigi Mosconi, parlò dal pulpito lo scorso 4 luglio. Ringrazia gli amici - «quel poco che sono, lo devo a ciascuno di loro» -, ma, soprattutto, s’inchina alla montagna: «La montagna e il mio paese Grondone mi hanno insegnato la dignità della povertà felice. Io sono stata felice nella povertà della mia infanzia; eravamo tutti uguali. Quello che aveva uno avevamo tutti, non c’era il problema del grembiulino griffato o del telefonino. Se una madre faceva la ciambella per il figlio, faceva la ciambella per tutti». Valori che la professoressa non ha dimenticato e che ha cercato di incrementare: «Ho provato a incidere sulla cultura del mio paese per non subirla. Mi sono laureata che già facevo la direttrice didattica per fa capire ai ragazzi che non si smette mai di imparare». La scelta della professoressa Bergamini come Antonino d’oro 2008, si deve leggere, come ha spiegato il capitolo della basilica nella motivazione del premio, come «un atto di profonda stima e gratitudine a una donna che ha saputo esprimere un felice intreccio educativo nell’ambito familiare, scolastico (pubblico e privato) e parrocchiale». La sfida educativa, dunque, la strada indicata alla Chiesa da papa Benedetto XVI per i prossimi anni e fatta propria dalla Cei e dal vescovo Gianni Ambrosio nel programma pastorale del prossimo anno. Una sfida che, secondo la professoressa, si può vincere. Come? «I ragazzi di oggi, come quelli di allora, hanno bisogno di essere valorizzati nelle potenzialità che hanno. Prima di tutto ascoltiamoli con umiltà senza giudicarli, facciamoli sentire protagonisti e responsabili nel percorso di vita. Attraverso l’assunzione di responsabilità imparano l’educazione all’impegno e alla fatica. Sentendosi parte di un progetto che, per una come cristiana come me, è riconducibile alla provvidenza divina».
Federico Frighi

Il testo integrale su Libertà di oggi, 15 giugno 2008

sabato 14 giugno 2008

L'Antonino d'oro a Dina Bergamini

COMUNICATO STAMPA DIOCESI DI PIACENZA-BOBBIO

Lo ha annunciato don Giuseppe Basini al Consiglio Pastorale Diocesano

L’Antonino d’oro 2008
alla prof. Dina Bergamini



Questa mattina don Giuseppe Basini, in rappresentanza dei Canonici della basilica di Sant’Antonino, ha comunicato ufficialmente al Consiglio pastorale diocesano, riunito alla Bellotta di Pontenure, la scelta dell’Antonino d’oro 2008. Perché questa sede per tale annuncio? Occorre tener presente – sintetizziamo – che il Consiglio pastorale rappresenta l’intera diocesi; che ha al proprio interno una larga componente di laici (e l’onorificenza quest’anno viene assegnata ad una laica) ed infine lo scorso anno il vescovo mons. Monari ha introdotto la consuetudine dell’annuncio ufficiale direttamente alla diocesoi. Nel 2007, trattandosi di un sacerdote (don Luigi Mosconi), l’annuncio è stato dato, nella festa del Sacro Cuore, ai sacerdoti; quest’anno ad un organismo rappresentativo con i laici.
Don Basini, nel corso del suo intervento, ha pure osservato che “l’Antonino d’Oro, onorificienza legata alla figura del nostro patrono diocesano... dal 1986 viene assegnata a un piacentino ecclesiastico o laico che si è distinto nel campo sociale o della cultura o dell’imprenditoria, dell’arte... . Nel corso di questi 22 anni, solo una volta è stata premiata una donna, esattamente 10 anni fa (1998) Adelia Firetti, fondatrice dell’ Istituto Secolare delle missionarie Scalabriniane.
“Quest’anno, per la prima volta, viene premiata una donna madre di famiglia, insegnante e catechista. Quindi - ha detto don Basini - ci sembrava significativo comunicarlo nel contesto del Consiglio Pastorale Diocesano, l’organismo di partecipazione ecclesiale più rappresentativo a livello diocesano, e alla presenza del vescovo Gianni, visto che l’anno scorso il vescovo Luciano comunicò l’Antonino d’Oro 2007 nella persona di don Luigi Mosconi durante la festa del Sacro Cuore, tradizionalmente dedicata all’incontro dei sacerdoti diocesani”.

Di seguito il testo ufficiale del comunicato dei Canonici di Sant’Antonino:


***


I canonici del capitolo della Basilica di Sant’Antonino martire in Piacenza, sotto la presidenza del prevosto monsignor Gabriele Zancani, hanno unanimamente deciso di assegnare il premio Antonino d’oro 2008 alla prof.ssa DINA BERGAMINI, nata a Grondone di Ferriere (PC) il 12 gennaio 1932. Cresciuta in una famiglia profondamente cristiana, ottiene il diploma di maturità magistrale nel luglio 1950 presso il Collegio delle Suore Gianelline di Bobbio (PC). Nel 1953, pur potendo scegliere altri sedi scolastiche in città o in collina, inizia la sua esperienza di insegnante a Grondone con una pluriclasse di 28 bambini. Vi rimane per 21 anni, profondamente legata alla sua terra e alla sua gente. Nel 1974, presso la Facoltà di Magistero di Parma, consegue la laurea in pedagogia. Sempre in quell’anno, vince il concorso direttivo e sceglie la Direzione didattica di Ferriere, dove rimane per 20 anni. Nel settembre 1994 è l’hanno del collocamento a riposo. Inizia un periodo decennale di volontariato presso la Scuola Elementare di Padre Gherardo “Casa del Fanciullo”, per otto anni di coordinatrice pedagogica della FISM, e di catechista nella parrocchia cittadina di San Vittore (Besurica).
Significativa è anche la sua produzione di testi didattici per la scuola dell’infanzia e di ricerca sulla tradizione culturale e religiosa della val Nure. La singolarità della sua testimonianza non va ricercata primariamente nei traguardi da lei raggiunti, seppur molto significativi, ma nella sintesi armonica di tre dimensioni educative - quella di madre, d’insegnante e di catechista - che in lei si è compiuta. L’onorificienza conferita, vuole essere quindi un atto di profonda stima e gratitudine a una donna che ha saputo esprimere un felice intreccio educativo nell’ambito familiare, scolastico (pubblico e privato) e parrocchiale. Un riconoscimento ispirato anche a quello che Giovanni Paolo II ha mirabilmente definito il “genio femminile”: Quanto ancora deve essere detto e scritto circa il debito enorme dell’uomo verso la donna in ogni settore del progresso sociale e culturale! Nell’intento di contribuire a colmare questa lacuna, vorrei farmi voce della Chiesa e rendere omaggio al molteplice, immenso, anche se spesso silenzioso, contributo delle donne in ogni ambito dell’umana esistenza” (1995)
Siamo convinti che la testimonianza della prof.ssa Dina Bergamini può aiutare tutti a ritrovare con urgenza la forza, il desiderio e la competenza del compito di educare. Più volte il Santo Padre Benedetto XVI è tornato sul tema dell’ “emergenza educativa”; anche la nostra comunità diocesana sarà impegnata nell’anno pastorale 2008-2009 sul tema: “La comunità cristiana difronte alle sfide educative”. Come ha affermato il nostro vescovo Gianni in un suo recente intervento: “Anche se le condizioni sociali sono sfavorevoli per l’opera educativa, a livello culturale ci si rende conto, sia pur con fatica, che è del tutto illusoria l’idea di uno sviluppo della persona e della società, per semplice evoluzione. Cresce la presa di coscienza dell’insufficienza dello spontaneismo, della flessibilità adattiva, della semplice autorealizzazione.
È certamente vero che la paideia è difficile da attuare in una società complessa e differenziata, ma è altrettanto vero che senza un rinnovato e forte impegno educativo diventerà difficile per tutti, in particolare per i giovani, trovare un senso e un significato alla vita. Non dimenticando che, senza educazione, non é possibile un progetto di vita e non è possibile neppure una società libera e democratica”.
Pur conoscendo la ritrosia che contraddistingue le persone vissute in montagna a ricevere riconoscimenti pubblici e a lasciarsi raggiungere dalla luce dei riflettori, in questo caso il capitolo dei canonici ha valutato opportuno insistere perchè una figlia della nostra chiesa e della nostra terra piacentina, che senza clamori e nella quotidianetà ha speso le sue energie migliori nell’ambito dell’educazione e continua a farlo senza risparmiarsi, accettasse di essere premiata con l’assegnazione dell’Antonino d’oro 2008 figurando così, d’ora in poi, nell’elenco dei concittadini degni di tale onorificienza.

Il premio Antonino d’oro, giunto alla 22^ edizione, viene annualmente sponsorizzato e patrocinato dalla Famiglia Piasinteina. Verrà consegnato personalmente dal vescovo Gianni Ambrosio alla prof.ssa DINA BERGAMINI, venerdì 4 luglio p.v. nella Basilica Sant’Antonino in Piacenza a conclusione della solenne celebrazione eucaristica delle ore 11.00.


Per il Capitolo dei Canonici di Sant’Antonino

Il canonico segretario
don Giuseppe Basini



Piacenza, 14 giungo 2008

Ambrosio: pastorale più pratica

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa

Riunione del Consiglio Pastorale Diocesano



Si è riunito questa mattina, alla Bellotta di Pontenure, il Consiglio Pastorale Diocesano: all’ordine del giorno interventi, del Vescovo e di esponenti del settore della Pastorale, finalizzati alla stesura delle linee programmatiche per l’anno 2008’-09 che verranno rese note nel prossimo convegno delle Pianazze, previsto per i giorni 5, 6 e 7 settembre prossimo. E’ stata l’ultima seduta dell’anno pastorale 2007 / ‘08 che ormai sta per concludersi.
Ha presieduto i lavori il vescovo mons. Gianni Ambrosio che ha introdotto la seduta con una meditazione su: “La figura di Gesù educatore”. Mons. Ambrosio ha confidato di essere rimasto affascinato fin dai tempi del liceo dalla pedagogia di Gesù, argomento che ha avuto modo in seguito di approfondire anche con l’apporto di studiosi.
Nel suo intervento il Vescovo si è soffermato sul metodo pedagogico seguito da Gesù e in questo ha fatto esplicito riferimento ad alcuni passi dei Vangeli quali la guarigione del paralitico nella piscina e il colloquio con la samaritana. Riferimenti, quindi, concreti dai quali ha derivato il metodo seguito da Gesù nell’insegnamento: costante riferimento all’esperienza avendo sempre lo sguardo al progetto di Dio; un quadro di riferimento attento a ciò che sta all’inizio, ma anche alla conclusione, alla pienezza del tempo, alla salvezza. E Gesù continua la sua opera nella storia, anche con noi.
E’ stata poi la volta di mons. Giuseppe Busani, vicario episcopale per la pastorale, che, illustrando le linee pastorali del prossimo anno, dedicate al tema dell’educazione, ha evidenziato come queste si inseriscano nel cammino proposto negli ultimi anni, a partire dal 2005, sull’iniziazione cristiana. Mons. Busani si è pure soffermato sulle pratiche dell’educare cristiano analizzando poi alcune proposte di percorso: le sfide e le emergenze educative nella situazione locale; il riferimento fondativo nello stile di Gesù; le figure di educatori e forme educative; il luogo educativo: l’oratorio e il suo progetto.
Sono argomenti, questi ultimi, su cui si sono soffermati i relatori seguenti: il prof. Pier Paolo Triani, segretario del Consiglio pastorale, e don Paolo Camminati, impegnato, tra l’altro, sul fronte degli oratori diocesani.
Triani in particolare ha parlato della nozione di sfida, delle sue caratteristiche e dei suoi rischi, passando poi ad analizzare il contesto attuale: il compito permanente dell’educare di fronte alle trasformazioni. Particolare attenzione è andata anche alla realtà locale: la sfida della fiducia reciproca e del patto comune, la sfida del sostegno educativo, le relazioni tra adulti e giovani, come affrontare il futuro, il ruolo del gruppo e della partecipazione, l’attuale società davanti ai concetti di dono e di consumo, le sfide della fragilità e della trascendenza.
E’ stata poi la volta di don Paolo Camminati che si è soffermato sull’oratorio e il suo progetto. Negli ultimi anni la diocesi di Piacenza-Bobbio si è impegnata a recuperare, come modello formativo, l’oratorio. Don Camminati ha esaminato il ruolo “dei tempi e dei luoghi educativi” facendo riferimento, in questo, anche alla sua esperienza maturata nell’ambito della pastorale giovanile. In merito ha proposto al Consiglio un documento che presenta i diversi aspetti organizzativi e formativi di una struttura, da un lato antica e dall’altro inserita nelle dinamiche sociali attuali, come l’oratorio.
Su questi temi si è sviluppato un ampio dibattito in cui singoli consiglieri hanno portato il loro contributo: ad esempio, negli interventi precedenti, era emerso più volte l’opportunità di recuperare, studiare e proporre figure di educatori e metodi educativi del nostro tempo, con particolare attenzione alla realtà piacentina. A questo proposito non sono mancate proposte da parte di singoli operatori diocesani, tra cui quelli della comunicazione. A tutti, comunque, ha risposto in chiusura il Vescovo che ha sottolineato la necessità che le linee programmatiche del prossimo anno, qualunque sia la formula con la quale verranno proposte, si inseriscano nella tradizione (in questo caso il lavoro svolto per l’iniziazione cristiana) e non si limitino ad enunciati teorici, ma siano il frutto di un impegno corale. Quindi importante è, a questo proposito, anche la fase preparatoria. Non è da sottovalutare, inoltre, anche il ruolo dei testimoni e degli educatori del nostro tempo: il loro contributo è da recuperare e da riproporre alle singole comunità. Ovviamente dovranno essere presentati come figure vive, in grado di parlare ancora ai contemporanei. Più che alla forma, mons. Ambrosio ha fatto riferimento alla sostanza delle proposte il cui fine è di scuotere la nostra comunità in un contesto di collaborazione e sempre tenendo conto che si appartiene alla Chiesa che è al servizio del mondo secondo l’insegnamento del Vangelo.
Al termine, come precisiamo a parte, don Giuseppe Basini, a nome del Capitolo di Sant’Antonino, ha dato lettura di un comunicato dei Canonici sull’attribuzione dell’Antonino d’oro 2008.

venerdì 13 giugno 2008

Cellulari e internet, per i preti dovere morale essere reperibili

Piacenza - Troppo antiquati o troppo riservati? Una cosa è certa: gli uffici di Curia fanno fatica a rintracciare certi sacerdoti. Così ieri il vicario monsignor Lino Ferrari, ha pregato i preti di rendersi più reperibili. «È un dovere morale - ha detto - per un sacerdote essere reperibile, facendo ricorso ai vari strumenti che mette oggi a disposizione la tecnologia». Insomma, se il telefono non funziona, c’è il cellulare o la mail per rispondere alla segreteria del vescovo. La diocesi ha dato poi disponibilità alla Prefettura ad accogliere rifugiati politici per 30/90 giorni; i parroci - tuttavia - per accogliere in parrocchia in modo permanente persone estranee, devono richiedere l’autorizzazione del vescovo. Al termine della messa nella cappella del seminario (concelebrata dal vescovo Luigi Ferrando) il vicario generale ha consegnato ad Ambrosio il dono della comunità: un pastorale, simbolo del suo ruolo Pastore.

da Libertà, 13 giugno 2008

Ambrosio ai preti: giochiamo tutti la stessa partita

Piacenza - «Preti e comunità piacentina devono essere una cosa sola affinché la chiesa di Piacenza-Bobbio continui ad essere ciò che è sempre stata: una chiesa di popolo». È questo, in estrema sintesi, il messaggio che il vescovo Gianni Ambrosio ha voluto consegnare al clero riunito nel seminario di via Scalabrini per la festa del Sacro Cuore. Era, quello di ieri, il primo incontro del vescovo con il clero a quattro mesi circa dalla sua presa di possesso. Di fronte a circa 150 sacerdoti, Ambrosio fa riferimento alla Cei, al Concilio Vaticano II e al sinodo che lo accompagnano nei 50 minuti di relazione. Due note di metodo: «Bisogna cercare di capire come funzionano le cose prima di dichiarare come le cose dovrebbero funzionare». Poi: «Cerchiamo di non separare mai “ciò che Dio ha unito”, e cioè, nel caso nostro, noi preti dal nostro popolo. Il prete è un uomo sinfonico, con uno sguardo veramente cattolico e con una azione che crea coralità». Ambrosio riflette sulle sue visite, le sue processioni, le sue messe, i suoi incontri: «Ho visto delle belle comunità eucaristiche e parrocchiali. La nostra Chiesa piacentina-bobbiese è una “Chiesa di popolo”». Insiste «sull’esemplarità di comportamenti e di forme di vita cristiana, senza mai trasformare questa esemplarità in esclusività e in selettività»; sulla parrocchia «per la sua capacità di accoglienza e allo stesso tempo per la sua capacità di rappresentare la grammatica di base dell’esperienza cristiana ed ecclesiale». Alcune note critiche: «Ho visto numerosi castelli, molto belli ma anche ben recintati. Mi pare che sia necessario un impegno serio nella direzione della comunione. Noi preti non possiamo correre fino allo sfinimento e in ordine sparso senza mai - o quasi mai - incontrarci e cercare di pensare insieme e di lavorare insieme. Cosa offriamo al popolo di Dio di cui siamo responsabili davanti a Dio e alla nostra coscienza se ciascuno di noi gioca la sua partita?» Due slogan: «Meno solitudine del prete nella sua parrocchia, ma più collaborazione e più corresponsabilità; meno solitudine del prete ma più amicizia e più comunione tra preti». Due raccomandazioni al clero diocesano dopo altrettanti fatti che hanno reso triste monsignor Ambrosio. «Ci sono lupi piuttosto rapaci in giro. E’ facile cadere nella trappola se si è soli, se non ci si confida» dice riferendosi ad un fatto di cronaca nera che qualche settimana fa ha avuto come protagonista un anziano sacerdote. Poi il seminario: «Due seminaristi hanno interrotto il loro cammino. Credo che per rilanciare la pastorale delle vocazioni come pure la pastorale giovanile, occorre che il nostro presbiterio manifesti la gioia dello stare insieme». Per questo - secondo Ambrosio - è necessario riscoprire la pastorale d’ambiente, più vicina alla società e alla cultura.
Federico Frighi

Da Libertà, 13 giugno 2008

giovedì 12 giugno 2008

Ambrosio: la chiesa deve essere popolare

Festa del Sacro Cuore, 12 giugno 2008

Relazione del vescovo mons. Gianni Ambrosio
ai sacerdoti della diocesi diPiacenza-Bobbio

Carissimi confratelli,

vi ringrazio della vostra partecipazione a questa “festa del Sacro Cuore”, che è pure festa della fraternità sacerdotale qui nella nostra diocesi di Piacenza-Bobbio. Abbiamo con noi il vescovo monsignor Luigi Ferrando: la sua presenza qui, nella comunione del nostro presbiterio, dopo molti anni di forzata assenza, è per noi tutti motivo di gioia e di gratitudine al Signore: un figlio di questa nostra Chiesa che lo ha generato alla fede è successore degli Apostoli nel lontano Brasile, che visiterò presto, incontrando i nostri sacerdoti e lo stesso vescovo Ferrando.
Oltre al ringraziamento per la vostra partecipazione a questo incontro, vi debbo ringraziare per la vostra accoglienza. Con grande sincerità dico che è stata un’accoglienza davvero amichevole e fraterna, ben al di là di ogni mia aspettativa. Se il ringraziamento è rivolto a tutti voi, come pure a tutta la popolazione, è in particolar modo rivolto a chi più da vicino ha dovuto occuparsi degli aspetti organizzativi della mia ordinazione episcopale e poi della mia progressiva introduzione in questa Chiesa che amo di tutto cuore, perché il Signore mi ha inviato per servirla come vescovo e poi perché la vedo accogliente e sensibile, e con dimostrazioni di affetto per il vescovo sia da parte del presbiterio come da parte della popolazione. Con l’aiuto del Signore, spero di essere in grado di corrispondere a questa vostra accoglienza, a mia volta accogliendo tutti voi come amici e fratelli.
E’ la mia prima volta, come ha messo in risalto il Vicario generale nella lettera di invito, che io partecipo a questa festa. Mons. Ferrari ha anche scritto che in questo incontro io dirò “che cosa mi sta maggiormente a cuore per la vita della nostra diocesi”.
Confesso di essermi un po’ preoccupato nel leggere qualche giorno fa una indicazione così impegnativa. Dico subito che ridimensiono di parecchio l’indicazione. Innanzi tutto perché non ho avuto a disposizione il tempo necessario per una riflessione così impegnata. In secondo luogo, devo dire che ho dovuto finora affrontare – anzi spesso solo tentare di capire – alcuni problemi concreti o questioni pratiche. Infine ho cercato di venire incontro alle richieste di colloquio e ai molteplici inviti che mi avete rivolto e di cui vi ringrazio. Per quanto posso sono lieto di corrispondere agli inviti per essere vicino a voi e per essere presente nella vita delle nostre parrocchie. Ma questo riduce la possibilità di uno sguardo più ampio o di un confronto più disteso sulla nostra realtà pastorale.

Per cui oggi intendo limitarmi ad esprimere ad alta voce alcune mie impressioni. Direi che la riflessione non è altro che una “glossa” a queste impressioni, un commento più o meno ragionato ai diversi stimoli che l’esperienza mi ha offerto in questi primi mesi – quasi quattro mesi – di pastore di questa Chiesa. E poiché il ruolo di glossa alle impressioni risulterebbe troppo limitato, volentieri cederò la parola all’episcopato italiano che ha precisato i contenuti e gli indirizzi che intende imprimere alla nostra azione ecclesiale in Italia: sono del tutto convinto della bontà di questi contenuti e di questi indirizzi.
D’altronde le mie impressioni di questi mesi si sono sempre confrontate con gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana – in particolare con il documento dal titolo suggestivo “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” –, in quanto la riflessione della Cei appare capace di rileggere il passato recente del cattolicesimo italiano e di fornire motivazioni lucide a sostegno delle istanze che vengono proposte per il presente e per il futuro della nostra Chiesa.

Due brevi note di metodo, prima di mettere in luce alcuni punti della pastorale con le sue molte potenzialità e con alcuni suoi nodi critici.
La prima nota di metodo è la seguente. Avendo avuto la fortuna – devo dire la grazia – di passare un po’ di anni all’estero per studio e per insegnamento, ho appreso una cosa che ritengo importante: bisogna lasciarci istruire dalla realtà, altrimenti si cade nella retorica o peggio nella demagogia, nell’utopismo ideologico, che sono le malattie gravissime che affliggono il nostro contesto italiano. Bisogna cercare di capire come funzionano le cose prima di dichiarare come le cose dovrebbero funzionare: occorre prima di tutto chinarsi sulla realtà per capirla se si vuole poi agire su di essa. Questa nota di metodo deve ovviamente valere anche – e, direi, soprattutto - per la nostra realtà ecclesiale: ecco perché ho cercato e cerco di osservare e di ascoltare per inserirmi con grande rispetto in una tradizione ricca e originale, come è quella della nostra chiesa locale.

La seconda nota di metodo consiste nel cercar di non separare mai ‘ciò che Dio ha unito’, e cioè, nel caso nostro, noi preti dal nostro popolo: le distinzioni sono utili e doverose ma le separazioni sono dannose. Siamo un’unica realtà, quella di un popolo in cammino.
La Chiesa non esiste per se stessa ma per aprire nel mondo un varco per Dio. La Chiesa c’è perché il vangelo di Gesù possa giungere all’uomo, essere annunciato a ogni persona. .
Nella missione della Chiesa vi è la missione del prete che, come la Chiesa, non esiste per se stesso ma per suscitare nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio, per dire la ‘parola buona’ capace di dare senso, spessore e verità alle parole e alle esperienze umane, per annunciare la ‘vita nuova’ dei figli del Padre. Per questo il prete non è mai solo e non lavora mai da solo: è dentro un progetto di salvezza che è di Dio e che coinvolge quella realtà davvero straordinaria che è la Chiesa voluta da Gesù per continuare la sua stessa ‘opera’, la sua stessa missione, in tutto il mondo, sino alla fine dei secoli (Mt 28, 18 ss.). Siamo i suoi inviati, i suoi messaggeri, siamo pastori solo nel suo nome, per il bene del gregge e in virtù del suo Spirito, a cui dobbiamo rimanere fedeli.
Tutto questo, dicevo, in quella realtà straordinaria che è la Chiesa, costituita non dal singolo prete ma da tutti i preti, dai religiosi e dalle religiose, dai diaconi, dai vari ministeri, dai fedeli laici, dalle famiglie, dalle associazioni, dai gruppi, dai movimenti, nella parrocchia, nell’unità pastorale, nei vicariati, nella diocesi. Insomma, più che un uomo ‘separato’, il prete è un uomo sinfonico, con uno sguardo veramente ‘cattolico’ e con una azione che crea coralità.

1. Il Concilio e il Sinodo diocesano: l’esigenza di un’identità cristiana più consapevole

Partirei da due fatti che costituiscono il punto fermo attorno a cui raccogliere le mie impressioni sparse: essi sono il Concilio Vaticano II e il Sinodo diocesano di Piacenza-Bobbio (1987-1991). Credo che da questi due eventi emerga l’esigenza di un’identità cristiana maggiormente consapevole e matura e, su questo sfondo, emergano alcune caratteristiche della figura e della missione del prete nel nostro contesto.
I due eventi si richiamano e si intrecciano: le istanze del Concilio diventano per la nostra Chiesa piacentina-bobbiese lo stimolo per un ripensamento pastorale ma, ancor prima, per una verifica della identità cristiana e della missione pastorale ecclesiale.
Si potrebbe dire che il tema dell’ “aggiornamento” – per far ricorso al famoso termine del beato Giovanni XXIII - diviene nel Sinodo diocesano l’imperativo dell’impegno ecclesiale-pastorale, declinato attraverso quei temi e quei contenuti che lo avevano già reso protagonista della riflessione conciliare. Così all’ordine del giorno della nostra Chiesa diventano i temi dell’evangelizzazione, della celebrazione liturgica, della vita comunitaria, dei beni al servizio della comunione che erano già centrali nell’assise conciliare.
A partire da questi temi all’ordine del giorno vengono ripensate nel Sinodo le modalità e le strutture su cui poggia l’azione pastorale della nostra Chiesa.
Prima di riferirmi ad alcuni di questi temi, anticipo l’impressione generale di questa recezione conciliare nel Sinodo diocesano e poi nella prassi pastorale successiva.
Mi pare che emerga con evidenza l’esigenza di vivere in un modo più consapevole e rinnovato l’identità cristiana. La pastorale vuole venire incontro a questa esigenza favorendo un’identità più matura.
Se questo è l’intento di fondo, comune peraltro a ogni realtà diocesana, mi pare di poter dire che la strategia adottata nella nostra diocesi è stata prudente e saggia. Non sono state del tutto abbandonate le forme tradizionali, con un rigetto radicale, a volte anche quasi manicheo, come altrove a volte è avvenuto. D’altra parte queste forme tradizionali non sono state semplicemente confermate per principio. Piuttosto sono state rilette, riviste, riconsiderate nella loro origine e, se possibile, recuperate nella loro specificità, facendo tesoro di tutti quei temi legati alla tradizione ma anche aperti alla novità, come peraltro la stessa riflessione conciliare aveva già ben evidenziato.
A me pare – ripeto che si tratta solo di una mia impressione, bisognosa di confronto – che questa linea sia ricca di potenzialità.
A partire da questa impostazione, che mi pare buona non solo nelle intenzioni ma anche nella sua attuazione, e cioè nella prassi pastorale successiva al Sinodo, ritengo proficuo sottolineare alcune ‘riscoperte’, in riferimento soprattutto alla nostra vita e al nostro impegno di pastori.

2. Riscoprire il tesoro nascosto, ovvero il primato del Vangelo

Credo che anche la nostra chiesa di sant’Antonino e di san Colombano sia invitata a prendere coscienza del tesoro che ha a sua disposizione e che le è stato affidato per comunicarlo e farlo fruttificare. Non arriveremo mai a prendere coscienza in modo dovuto di questo tesoro che è Cristo stesso. Ma pur con i nostri limiti, credo che possiamo fare qualcosa per renderci più consapevoli di questo tesoro e così presentare un cristianesimo più affascinante per il suo stile più evangelico.
Credo che sia necessario partire da qui per rendere praticabile – e non retorico – il progetto di evangelizzazione e di rievangelizzazione. Occorre aiutare la nostra Chiesa a confrontarsi meglio con l’evento da cui ha avuto origine e con le conseguenze di questo evento: vivere con maggior consapevolezza la memoria delle nostre origini riscoprendo le ragioni e le radici della fede in Cristo Gesù è la base per comunicare il vangelo e viverlo gioiosamente.
E’ pieno di fascino questo impegno, che è personale e comunitario, ed è pure nello stesso tempo ‘spirituale’ – nel senso cristiano, lasciarci condurre dallo Spirito – e culturale, nel senso che ci invita a studiare e ad approfondire i contenuti della nostra fede in Cristo Gesù.
Si tratta di far sì che questa fede approfondita e rinnovata qualifichi e ridisegni i modi e le figure della vita ecclesiale, dalla liturgia alla catechesi, dai momenti di vita comune ai gesti di carità. Se la Chiesa piacentina-bobbiese è stata invitata dal Sinodo a rivedere se stessa – la sua identità, la sua azione pastorale - alla luce del primato dato al Vangelo di Dio che è Gesù Cristo, questo è pure l’invito serio e pressante della nostra Chiesa italiana.
Dicono i vescovi:
«La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. Egli è “la grande sorpresa di Dio”, colui che è all’origine della nostra fede e che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo sulle sue tracce (cf. 1Pt 2,21). Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo. Solo seguendo l’itinerario della missione dell’Inviato – dal seno del Padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per l’abbassamento e l’umiliazione del Messia –, sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario conforme a quello del Servo, di cui essa stessa è serva. La Chiesa, come ha detto il Concilio, “mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito”. Questa è la missione della Chiesa nella storia e al cuore dell’umanità. Perciò essa medita anzitutto e sempre “sul mistero di Cristo, fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale » (CVMC, 10).

3. Riscoprirsi popolo di Dio, comunità di salvati

Debbo confessare che ho visto delle belle comunità eucaristiche e parrocchiali: è una ricchezza grande della nostra Chiesa e di questo ringrazio il Signore e ringrazio tutti voi.
Mi permetto di citare ancora i vescovi italiani perché ci offrono un’indicazione preziosa per la nostra pastorale: “Se un anello fondamentale per la comunicazione del vangelo è la comunità fedele al «giorno del Signore», la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cf. 1Pt 3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana » (CVMC, 48).
Se noi ci riscopriamo popolo di Dio e facciamo esperienza della salvezza di Dio celebrando i misteri di Dio, credo che ci aiutiamo a passare da una fede vissuta in modo privato ed individuale ad una fede capace di esprimersi in modo pubblico e comunitario, ad una fede capace cioè di testimonianza, di missionarietà.
Insisterei parecchio sulla figura di ‘Chiesa di popolo’: preferisco questa espressione rispetto ad altre che potrebbero generare confusione. Sono davvero lieto di constatare, attraverso molteplici segni, che la nostra Chiesa piacentina-bobbiese è una ‘Chiesa di popolo’.
Mi pare che il carattere di popolarità e di capillarità che hanno contraddistinto il passato del nostro cattolicesimo sia in parte anche il volto presente della nostra realtà cristiana. E di questo dobbiamo ringraziare il Signore e tutti coloro che non si sono lasciati sedurre dal miraggio di forme più o meno elitarie.
Anche gli orientamenti della Chiesa italiana si muovono nella direzione di una Chiesa che sa mantenere il carattere di ‘Chiesa di popolo’, affermando al contempo l’esigenza di una testimonianza ecclesiale di qualità. Mi pare molto interessante questa prospettiva e meritevole di essere verificata: si tratta di garantire il volto di una Chiesa che sa non solo mantenere ma rinnovare il proprio carattere ‘popolare’ come elemento di un percorso di rinnovamento.
Ciò significa la capacità di puntare sull’esemplarità di comportamenti e di forme di vita cristiana, senza mai trasformare questa esemplarità in esclusività e in selettività. Ciò significa pure che la nostra Chiesa non si stancherà mai di fare dell’accoglienza la propria virtù, la propria attenzione missionaria, il modo più ovvio per l’apertura e il dialogo.
Per questo la parrocchia, per la sua capacità di accoglienza e allo stesso tempo per la sua capacità di rappresentare la grammatica di base dell’esperienza cristiana ed ecclesiale, rimane l’interlocutrice privilegiata del percorso di aggiornamento e di ripensamento dell’azione pastorale.
Occorre subito aggiungere – e lo faccio con tutto il rispetto dovuto - che è necessario che la parrocchia sia davvero parrocchia, capace di presentare un cammino di esperienza ecclesiale e di crescita nell’esperienza cristiana, capace di una testimonianza seria e di qualità. Insomma, non tutte quelle realtà che oggi noi, nella nostra diocesi, chiamiamo ‘parrocchia’, sono davvero tali. Per cui ritengo utile, al di là del titolo di parrocchia, su cui non intendo soffermarmi, vedere dove poter effettivamente realizzare la parrocchia nell’unità pastorale, cioè realizzare una realtà istituzionale accogliente ma anche capace di offrire itinerari di introduzione e di crescita nell’esperienza cristiana. Credo che sia necessaria una selezione del nostro impegno pastorale, troppo esposto alla dispersione. Credo che sia utile anche una ‘diversificazione’ dell’‘offerta’ pastorale nell’unità pastorale, per cui non si debba fare tutto da parte di tutti.

4. Riscoprire la bellezza della dimensione comunitaria

Insisto molto sulla dimensione comunitaria, in quanto la ritengo ‘strumento’ di maturazione della nostra Chiesa e della nostra vita presbiterale, ma soprattutto perché ritengo che la comunione del presbiterio sia la realizzazione di base della Chiesa-comunione che siamo chiamati a edificare con la grazia dello Spirito Santo.
Credo che anche rispetto alle esigenze di azioni pastorali innovative, pure utili, la dimensione comunionale e comunitaria sia più decisiva. Mi pare che oggi l’importante non sia la novità o la tradizione, l’importante è la vita ecclesiale coerente e dinamica: questo è possibile precisamente là ove c’è la dimensione comunitaria: essa è un’energia che opera una trasformazione profonda e radicale della figura di Chiesa e della sua testimonianza nella storia.
I vescovi italiani ci ricordano che i cristiani, per essere capaci di testimonianza, non possono non vivere questa dimensione di comunione, esplicitandola come collaborazione, come sostegno reciproco, come condivisione, come pastorale integrata.
Credo che oggi, in un mondo che esalta il singolo, ma lo abbandona anche nella sua solitudine, dobbiamo saper fare comunione per esperimentare insieme il dono di salvezza che è l’incontro nello Spirito con Gesù Cristo e il Padre che Lui ci ha rivelato. Solo così si testimonia in modo pubblico e visibile la salvezza ricevuta.
Questo vale anche per noi sacerdoti. Ma prima di dire qualcosa su questo, permettetemi una breve considerazione. Andando in giro per le celebrazioni del sacramento della confermazione o per incontri, osservo attentamente il territorio, e cerco di immedesimarmi in esso: è il nostro habitat che, tra l’altro, è molto bello e molto vario.
La domanda che spesso mi pongo è la seguente: come questo territorio ci segni nell’animo, anche nel nostro modo di essere cristiani e preti. Sono convinto – senza essere un romantico tedesco – che ogni luogo ha il suo Geist, il suo ‘spirito’, uno spirito che influisce parecchio nel nostro stile di vita e anche nel modo di pensare.
La risposta che mi è venuta in mente, osservando i numerosi castelli e le numerose vallatem, è la seguente: lo ‘ spirito’ del luogo non sembra favorire una grande apertura verso la vita comunitaria a largo raggio, visto che le diverse valli, soprattutto nel passato, non consentivano – e anche oggi non consentono - una facile comunicazione e soprattutto visto che questi numerosi castelli sono molto belli ma anche ben recintati.
Non so quanto valga una risposta così impressionistica e dunque quanto mai superficiale. Ma al di là del territorio e della mia interpretazione, mi pare che sia necessario un impegno serio nella direzione della comunione, da desiderare e da testimoniare. Mi pare che noi preti non possiamo correre fino allo sfinimento e in ordine sparso senza mai – o quasi mai - incontrarci e cercare di pensare insieme e di lavorare insieme. Se è buona la partecipazione al ritiro mensile - ringrazio coloro che vi partecipano e chiederei a tutti di partecipare -, dobbiamo comunque convincerci che non possiamo affrontare da soli le sfide pastorali e culturali del nostro tempo. Non possiamo essere pastori secondo il nostro punto di vista quasi dimenticando che siamo pastori secondo il cuore di Cristo e della sua Chiesa. Cosa offriamo al popolo di Dio di cui siamo responsabili davanti a Dio e alla nostra coscienza se ciascuno di noi gioca la sua partita?
Se posso far ricorso a slogan, ne propongo due.
Il primo è questo. Meno solitudine del prete nella sua parrocchia, ma più collaborazione e più corresponsabilità all’interno della parrocchia e nell’unità pastorale sia con i fedeli laici sia con gli altri parroci.
La parrocchia non è ‘nostra’, non è un nostro possedimento, non è una nostra proprietà. Non siamo padroni, ma pastori posti al servizio di un popolo che è del Signore e che appartiene al Signore.
Non sono nostri i beni materiali della parrocchia: per questo li dobbiamo gestire con trasparenza e con onestà insieme con gli organi di partecipazione previsti e insieme con gli organi diocesani, anch’essi previsti. Oggi in particolare dobbiamo prestare la massima attenzione a questo aspetto, anche solo per evitare guai seri con la normative odierne. So che non è una motivazione teologica, ma pragmatica: consideriamola però attentamente. I rischi incombono.
Il secondo slogan è questo. Meno solitudine del prete ma più amicizia e più comunione tra preti, nell’unità pastorale innanzi tutto e poi nella stessa diocesi.
E’ una grazia grande la comunione sacerdotale, un dono prezioso e vitale che ci costituisce preti e ci fa vivere come preti. Siamo diventati preti per la preghiera e l’imposizione delle mani del Vescovo e dei presbiteri che hanno concelebrato con lui. La nostra identità è quella di essere consacrati nella comunione e di essere inviati per una missione di comunione. Questa è la nostra identità di presbiteri. Questa è l’identità e la missione della Chiesa nel mondo: “siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale” (Lumen Gentium, 1).
Siamo chiamati a corrispondere alla preghiera di Gesù: “Ut unum sint”. “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che, per la loro parola, crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21).
Per corrispondere alla preghiera di Gesù, occorre desiderare ciò che lui ha desiderato, l’unità, la comunione. Per questo ci uniamo alla sua preghiera, facendola nostra, sapendo che la comunione è il dono di Dio al suo popolo ed è anche il segno perché il mondo creda che Gesù è stato mandato dal Padre.
So bene ciò che capitò “lungo la via”, come ci è raccontato dal vangelo: “per la via avevano discusso tra loro su chi fosse il più grande”, e questo proprio dopo il secondo annuncio della passione. Così capitò con i dodici, così capita con tutti noi. Ma so anche che possiamo accogliere l’invito di Gesù a sostare in casa, ai suoi piedi: “Quando fu in casa, disse loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via”….Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: Se uno di voi vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mt 9, 33-36). Dobbiamo trovare le occasioni perché anche per noi ci sia una ‘casa’ ove sostare insieme per ascoltare insieme Gesù.
Credo che questo possa essere il modo concreto per venire incontro alla preghiera di Gesù e al suo desiderio di unità e di comunione.
Ma – pensiamoci bene - questo è anche il nostro desiderio: perché abbiamo bisogno di ritrovare stima reciproca, perché desideriamo un più vivo senso di appartenenza alla nostra Chiesa, perché auspichiamo legami di amicizia sincera, di comunione concreta, perché vediamo i limiti delle chiesuole e soprattutto sperimentiamo la tristezza della solitudine.
Anche per questo ho insistito sulla opportunità di riprendere gli esercizi spirituali per noi preti nella nostra diocesi: hanno la funzione della ‘casa’ con Gesù rispetto alla logica troppo umana di quando si cammina lungo la ‘via’, discutendo, sgomitando, lavorando in spirito di competizione o di rivalità. Così pure mi pare che si debba cercare di dare attuazione al documento sulla Formazione permanente del clero.
Mi permetto di concludere su questo aspetto che mi sta particolarmente a cuore con un accenno a fatti recenti.
Il primo: ci sono lupi piuttosto rapaci in giro. E’ facile cadere nella trappola se si è soli, se non ci si confida, se non si ha l’appoggio dei confratelli. Soli si è indifesi, soli si è a rischio.
Il secondo fatto riguarda i due seminaristi che hanno purtroppo interrotto il loro cammino lasciando il seminario. Credo che per rilanciare la pastorale delle vocazioni come pure la pastorale giovanile - oggi come ieri, sono i giovani che Gesù di preferenza sceglie e chiama ad essere sacerdoti secondo il suo cuore, ai quali si rivolge come ai «suoi amici» (Gv 5, 9-15) –, occorre che il nostro presbiterio manifesti la gioia dello stare insieme, del lavorare insieme sotto la guida di colui che è il Principe dei Pastori (1 Pt 5,4).
Certamente è tutto il popolo cristiano che deve preparare, a cominciare dalle sue famiglie esemplari, il buon terreno dove la semente possa germinare e produrre. È tutto il popolo cristiano che deve manifestare la sua attesa e la sua stima verso il sacerdote, il religioso, la religiosa, creando il clima favorevole all’aprirsi dei giovani a Dio. È tutto il popolo cristiano che deve domandare a Dio umilmente ciò che Dio solo può dare, pregando, secondo il comando del Maestro, perché Egli mandi operai nella sua messe (Mt 9, 38). Tutto il popolo cristiano, certo, ma primi fra tutti gli stessi sacerdoti, il presbiterio: l’avvenire della nostra Chiesa è come sospeso all’esempio, al fervore, alla fedeltà, all’amicizia dei - e tra i - presbiteri.

5. Riscoprire la valenza culturale della pastorale (e viceversa)

L’esigenza di una riappropriazione più consapevole e matura della nostra identità cristiana, sollecitata dal Concilio e dal nostro Sinodo, non ha origini soltanto interne al contesto ecclesiale. In realtà è anche la conseguenza di una constatazione preoccupata: in questi ultimi decenni è venuto meno quel legame tra cultura generale e visione cristiana dell’uomo, della vita e della società, che invece era patrimonio comune della storia italiana, fino ad un passato anche recente. La Chiesa italiana prende atto di questa situazione affermando che:
« Già nell’ormai lontano 1975 Paolo VI ammoniva la Chiesa tutta a riconoscere come la rottura tra Vangelo e cultura fosse senz’altro il dramma per eccellenza della nostra epoca. I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono loro dalla storia, e se si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo » (CVMC, 50).
Il rinnovamento richiesto è allora pastorale e culturale insieme. In verità, è sempre avvenuto così. La pastorale riguarda l’azione della Chiesa, dal modo di dire la fede, a come celebrarla e testimoniarla nella carità e nella comunione, ma riguarda anche la cultura perché tocca le mentalità, il modo di pensare individuale e collettivo. La Chiesa italiana è molta lucida al riguardo:
« Se comunicare il Vangelo è e resta il compito primario della Chiesa, guardando al prossimo decennio, alla luce del contesto socio-culturale di cui abbiamo offerto qualche lineamento, intravediamo alcune decisioni di fondo capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale. In particolare: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera ». (CVMC, 44)
Gli strumenti individuati per realizzare questo rinnovamento sia culturale che pastorale sono molteplici e vanno dalla fede adulta e pensata (n 50), al discernimento comunitario (n 44), alla scelta missionaria.
Mi soffermerei qualche istante su questa scelta missionaria. L’atteggiamento missionario proposto si traduce qui in una rinnovata attenzione alla formazione o educazione:
«Detto questo, non possiamo tacere come in non poche comunità questo lavoro formativo e di aiuto al discernimento dei giovani e degli adulti sia carente o addirittura assente; è necessario allora maturare una decisione coraggiosa a cambiare le cose. Se ciò non avverrà, mostreremo di essere ben poco realisti e di non tener conto di quanto viene chiesto ogni giorno al cristiano comune negli ambienti che caratterizzano la sua vita di famiglia, di lavoro, di scuola. Alle risorse, a volte limitate di una realtà parrocchiale, verrà in aiuto la sinergia tra più parrocchie, nonché la relazione tra le comunità cristiane e le varie aggregazioni ecclesiali presenti nel territorio; senza parlare delle associazioni professionali di ispirazione cristiana e dei vari centri e istituti culturali cattolici, chiamati anch’essi a prendere sul serio il loro compito di stimolo e di elaborazione di una fede adulta e pensata a partire dall’ascolto intelligente delle Scritture e della Tradizione » (CVMC, 50).
Più radicalmente ancora, questa attenzione missionaria ci chiede di farci carico in modo positivo del problema dell’annuncio e della trasmissione della fede alle nuove generazioni:
«Va detto però che ora abbiamo tutti una grande responsabilità: se non sapremo trasmettere alle nuove generazioni l’amore per la vita interiore, per l’ascolto perseverante della parola di Dio, per l’assiduità con il Signore nella preghiera, per una ordinata vita sacramentale nutrita di Eucaristia e Riconciliazione, per la capacità di “lavorare su se stessi” attraverso l’arte della lotta spirituale, rischieremo di non rispondere adeguatamente a una sete di senso che pure si è manifestata. Non solo: se non sapremo trasmettere loro un’attenzione a tutto campo verso tutto ciò che è umano – la storia, le tradizioni culturali, religiose e artistiche del passato e del presente –, saremo corresponsabili dello smarrirsi del loro entusiasmo, dell’isterilirsi della loro ricerca di autenticità, dello svuotarsi del loro anelito alla vera libertà ». (CVMC, 51)
Sono convinto che la nostra Chiesa piacentina-bobbiese ha lavorato e lavora parecchio in questa direzione, con un impegno che rende possibile e visibile la presenza cristiana, anche attraverso le associazioni e i gruppi, o attraverso l’insegnamento della religione cattolica.
Ma credo che per l’educazione e la formazione dei ragazzi e dei giovani – è ciò che sta a cuore a tutti noi -, occorra riscoprire il valore di quella che si chiamava ‘pastorale d’ambiente’, come ‘luogo’ o ‘ambito che permette alla fede cristiana di abitare in un modo più profondo e più intimo la società e la cultura. Non è un doppione dell’organizzazione di base della chiesa locale, quanto invece un servizio a questa, uno stimolo a ripensare le ragioni del credere, un richiamo alla capacità di trasmettere i valori. Mi pare che la pastorale d’ambiente – si tratterà insieme di precisarla meglio – favorisca in concreto l’istanza missionaria della fede soprattutto in riferimento ai giovani, un’istanza ineludibile nella stessa misura dell’istanza comunionale e comunitario.
Una simile pastorale d’ambiente è uno stimolo a far crescere e a rendere visibile il carattere per così dire ‘estroverso’ della Chiesa, il suo essere ‘per’ gli uomini, come Cristo che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”.
Cari confratelli, la missione di Gesù continua. Egli rimane sempre con noi (Mt 28, 20b.), i cieli e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno (Mt 24, 35).
Gesù, il Pastore Buono, continua a chiamare chi vuole collaborare con Lui a compiere la sua stessa missione, in virtù del sacramento del battesimo e, per noi sacerdoti, anche in virtù dell’ordinazione sacerdotale. Tutti siamo chiamati a cooperare all’attuazione del disegno di Dio (Rm 12, 4-7; 1 Cor 12, 4 ss.), tutti dobbiamo avvicinarci con fiducia a Cristo, alla sua vita, alle sue parole, per riscoprire la volontà di Dio su di noi, e mettere a servizio degli altri, della Chiesa, dell’umanità, i doni che abbiamo ricevuto (1 Pt 4, 10 ss.).
†Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

Assemblea di CL con monsignor Inzoli

Assemblea pubblica con Mons. Inzoli proposta da Comunione e Liberazione e Fondazione AVSI sul testo di Giussani. Venerdì 13 alle 21 in S. Ilario.

PIACENZA - Mons. Mauro Inzoli, , presidente nazionale del Banco Alimentare, dopo aver presentato a Piacenza lo scorso marzo il libro di don Luigi Giussani in un affollato incontro pubblico insieme al vescovo Gianni Ambrosio, torna nella nostra città per una assemblea con ancora a tema le pagine del medesimo testo del fondatore di Comunione e Liberazione.
In questi ultimi mesi, infatti, “Si può vivere così” (riedito da Rizzoli nel 2007) è stato il testo di riferimento per gli aderenti a CL nei loro incontri periodici di “scuola di comunità”. L’assemblea indetta per questo venerdì sera è anzitutto l’occasione per condividere con Mons. Inzoli il lavoro svolto in questo periodo ed approfondirlo con domande e testimonianze. Può anche essere, d’altronde, l’occasione di un approfondimento sulle pagine del libro di don Giussani per quanti hanno avuto l’occasione di ascoltare lo scorso marzo la presentazione pubblica del testo. L’assemblea di venerdì 13 (alle 21 in S. Ilario) è infatti aperta a tutti ed ha a tema in particolare il capitolo che don Giussani dedica alla “libertà”.
Che cos’è la libertà? La libertà è fare ciò che si vuole, o la soddisfazione di un desiderio? Cosa vuol dire che la libertà è incompiuta, se non è in rapporto con il Mistero, con l’infinito? Se la libertà è un’esperienza personale, in che senso implica come fattore decisivo la comunità? Con un taglio sempre molto esistenziale, don Giussani, attraverso queste ed altre domande, trascina la riflessione del lettore alla comprensione di questa esperienza così condivisa, e allo stesso tempo così difficile da definire e da vivere adeguatamente, che è la libertà.
Per ciascun uomo che sia interessato a sé, al proprio destino ed alla verità della proprio esperienza, l’incontro con Mons. Inzoli può essere un’occasione particolare, meditando su una di quelle antiche parole cristiane (come libertà, fede, obbedienza, speranza, carità…) di cui si perde troppo facilmente il valore e la profondità, e che invece comprese adeguatamente testimoniano la radicale “umanità” di una fede cristiana che si cerchi di vivere non dando per scontato nulla, e prendendo sul serio le esigenze ed i desideri del proprio cuore.

Per San Pietro 80mila euro dalla Cei

PIACENZA - Per il campanile di San Pietro qualche cosa si muove. La torre campanaria della chiesa del centro storico è in pessime condizioni di salute ed a rischio sgretolamento tanto che il parroco, don Giuseppe Frazzani, più volte (l’ultima da queste colonne) aveva lanciato una sorta di appello affinché non si lasciasse andare un’opera architettonica non solo di alto valore artistico ma anche spirituale, essendo quello di via Carducci il San Pietro piacentino, l’unico tempio locale dedicato all’apostolo padre della Chiesa. L’Ufficio per i beni culturali ecclesiastici della diocesi di Piacenza-Bobbio, diretto da don Giuseppe Lusignani, in seguito ad una serie di sopralluoghi e verifiche tecniche ha stabilito in 240mila euro la cifra necessaria per rifare il maquillage al campanile. La buona notizia è che la diocesi di Piacenza-Bobbio, attraverso i finanziamenti della Conferenza episcopale italiana, si farà carico del 33 per cento della spesa. In pratica quasi 80mila euro. I rimanenti 160mila sarebbero a carico della comunità locale. «Siamo sulla buona strada spiega il parroco - don Giuseppe Frazzani - anche grazie ad un gruppo di parrocchiani che si sta muovendo con grande generosità». In pratica una mini cordata di fedelissimi a San Pietro ma anche di coloro che abitano nelle due parrocchie vicine rette sempre da don Frazzani e dai suoi collaboratori don Simon Pierre Ntomb Ngue e don Gilberto Felipe Da Silva: San Francesco e Santa Maria in Gariverto. Si parla di uno sponsor di una certa importanza che si sarebbe mosso per il campanile. «Ancora è prematuro fare qualsiasi nome - osserva il professor Francesco Mastrantonio, referente del consiglio parrocchiale di San Pietro - tuttavia è vero che qualche cosa si sta muovendo. Contiamo sulla generosità dei parrocchiani ma anche sull’estate Sanpietrina appena iniziata. A settembre penso che tireremo le somme e ci prepareremo allo sprint finale per il nostro campanile».

Estate Sanpietrina, ecco il programma

Giugno
Giovedì 12 , alle ore 21, nella chiesa di San Pietro (via Carducci) concerto vocale e strumentale del Coro Vallongina diretto dal maestro don Roberto Scotti: “Dal ‘600 al ‘700”. Sarà presente il vescovo di Piacenza-Bobbio, monsignor Gianni Ambrosio.
Mercoledì 18, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) commedia dialettale rappresentata dalla Compagnia Filodrammatica Turris.
Martedì 24, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) commedia dialettale rappresentata dalla Compagnia Filodrammatica I Soliti di Podenzano.
Sabato 28, alle ore 19, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23): Festa del patrono con cena e animazione dei bambini.
Luglio
Mercoledì 9, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) Marilena Massarini in concerto.
Mercoledì 16, alle ore 21, nel teatro-cortile San Pietro (via Roma, 23) concerto musicale con Sabrina Lamberti; all’armonica Emilio Perazzi; alla chitarra Gianni Casaroli; presenta Domenico Grassi.
Mercoledì 23, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) Maurizio Sesenna in concerto.
Mercoledì 30, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) Mario Casella in concerto.
Agosto
Giovedì 7, alle ore 21, nell’oratorio di San Cristoforo (via Angelo Genocchi) concerto degli allievi della Master Class di clarinetto del maestro Piero Tagliaferri.
Mercoledì 27, alle ore 21, nel teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) Adriano Vignola in concerto.
Settembre
Venerdì 12, alle ore 21, sempre teatro-cortile di San Pietro (via Roma, 23) Festival dei Bambini.

In Santa Maria di Campagna si ricorda padre Magnani

PIACENZA - Domenica prossima verrà celebrato, come ogni anno dal 2006, l’anniversario della morte di Padre Antonino Magnani da parte dell’Associazione che porta il suo nome. Padre Magnani è un frate francescano nato a Piacenza (in via Taverna 137) che ha speso la sua vita in terre di missione. Il decesso (1976) è avvenuto in seguito alla vita di stenti e disagi, che ha aggravato la sua malattia cardiaca, in Papua Nuova Guinea dove ha voluto ritornare appena dopo la sostituzione di una valvola cardiaca nonostante i medici lo sconsigliassero. Per interpretazione del suo testamento spirituale, sulla base di una vita tutta dedicata ai bambini e al sostegno delle popolazioni più povere, è stata fondata, nel 1999, l’Associazione Padre Antonino Magnani che da quasi 10 anni si occupa di adozioni a distanza in Kenya e India dove opera in collaborazione con le suore Figlie di S.Anna. In questo decennio l’associazione, ora presieduta da Mario Peretti e divenuta di gestione laica, è sempre stata presieduta dal suo fondatore Padre Osvaldo Maggiolini e ha sede nel convento dei Frati Minori di S.Maria di Campagna. Le famiglie che adottano bambini sono circa 250 ed i progetti di sostegno, oltre a quelli già terminati negli anni, sono ora una decina. I progetti di sostegno sono altrettanto importanti per contribuire allo studio di ragazzi e ragazze che nel loro luogo d’origine potranno creare un futuro per loro e per il loro paese. Con queste azioni si salvano inoltre molti giovani e bambini dalla fame, dal reclutamento in bande armate e dalla prostituzione. Quest’anno le celebrazioni del 15 giugno avranno il seguente programma: alle 10 e 15 partenza della staffetta podistica( da piazza S.Antonino) del gruppo “Pace e solidarietà”, appena tornata dagli Stati Uniti, con effige di padre Antonino e deposizione di fiori sotto la targa della casa natale. La staffetta percorrerà le vie del centro fino a viale Malta e Barriera Torino per raggiungere via Taverna 137. Alle 11 messa solenne nella Basilica di S.Maria di Campagna, con intervento della corale, celebrata dal superire provinciale dei Frati Minori Padre Bartolini. Alle 21 concerto vocale e strumentale nella Basilica di S.Maria di Campagna. Al concerto partecipano il Coro Gospel New Sisters e il Quartetto di chitarre classiche Exsacorde. Il concerto - si augurano gli organizzatori - può dare visibilità e memoria all’associazione con il fine di far nascere il desiderio di adottare bambini a distanza o sostenerli per creare loro un futuro e quindi il vostro supporto sarà essenziale.

martedì 10 giugno 2008

La messa riparatrice del vescovo Lanfranchi

Il testo dell’omelia di mons. Antonio Lanfranchi, vescovo di Cesena-Sarsina, alla messa di riparazione del 6 giugno 2008, dopo che due persone erano state sorprese a consumare un rapporto sessuale in un confessionale della cattedrale durante una celebrazione eucaristica.

Domenica mattina questa nostra Cattedrale è stata profanata. Tutti noi ci siamo sentiti feriti profondamente: molti come credenti, oserei dire, tutti o quasi tutti, come cittadini di questa città e come uomini e donne che vedono lesi i principi più sacri su cui è costruita la convivenza umana e la nostra civiltà.
Molti si sono chiesti: “Come è possibile arrivare a tanto squallore morale?”.
Personalmente non conosco i protagonisti dell’inqualificabile gesto; vorrei portarli nel cuore, come porto nel cuore ogni cesenate al di là della sua fede e di quello che egli riesce ad esprimere nella sua vita; se li incontrerò, vorrò ascoltarli, porrò domande vorrò capire e, se mi è possibile, parlare loro di quel Dio che se conoscessero nel suo amore forse non avrebbero compiuto quel gesto.
Non posso però esimermi dal pronunciarmi sulla gravità di quello che è accaduto.
La profanazione di questo luogo sacro, centro della comunità cristiana cesenate, ma anche cuore di tutta la città, è avvenuta nel momento in cui si compiva l’azione più sacra per la Chiesa cattolica: la celebrazione dell’Eucaristia.
Dire “Eucaristia” vuol dire memoria dell’atto d’amore più alto nella storia, che solo il Figlio di Dio poteva compiere in quella radicalità: il dono totale di sé, espresso nella gratuità dell’amore per tutti.
A questo atto di amore compiuto a favore di tutta l’umanità e offerto nel segno discreto e fragile del pane, fa da contrasto come sfida oltraggiosa, spero non cosciente, un altro atto di amore, se così si vuole chiamare, dove tutto è ridotto a sfogo dei propri istinti, incuranti di tutto e di tutti.
Dalla sublimità dell’amore allo svilimento, per me allo sfregio, della sessualità umana.
L’Eucaristia – ci ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est – ci attira all’atto oblativo di Gesù.
Nell’Eucaristia l’amore di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. E’ a partire da lì che il cristiano impara a definire l’amore; è a partire dallo sguardo su Gesù - eucaristia che trova la strada del suo vivere e del suo amare.
Due giovani che si amano e che si incamminano sulla strada del matrimonio guardano all’Eucaristia per integrare l’eros nell’agape, l’attrazione, la passione, nel dono di sé, perché il loro amarsi non riguardi due funzioni, ma sia espressione di tutta la loro persona e abbia un riflesso positivo su tutti.
Così possiamo dire di due sposi.
Dall’Eucaristia accolta la comunità cristiana cerca la luce e la forza per amare la sua città, per costruirla sui valori della fraternità, dell’amore e della verità, con quella discrezione che impara dal pane eucaristico.
Ma anche chi non crede sa che guardare l’amore di Cristo può essere per lui la via per vivere in pienezza la sua umanità.
Per questo la ferita è anche a livello umano.
I valori più alti della sessualità sono oggi sviliti come appartenenti ad un’altra cultura, ad un mondo non in linea con il progresso.
Non sono qui a sminuire la responsabilità personale di quanto è avvenuto: è un gesto compiuto da due persone, che dovranno rispondere alla giustizia. Ma sarebbe ingenuo non pensare che il fatto affonda le sue radici in un contesto, in una mentalità strisciante, che può diventare, se già non lo è, cultura, dove la regola del vivere civile, oltre che personale, è non avere regole, dove la libertà è sganciata dalla responsabilità e dal rispetto verso se stessi e verso gli altri per affermarsi come auto-determinazione sganciata dai valori: il bene è fare quello che mi sento e dove mi sento, libero da ogni imposizione e da ogni rispetto. So che sto radicalizzando, ma quando un modo di concepire la vita diventa mentalità, non si sa dove porta.
Progresso questo o non piuttosto epigoni di una cultura in decadenza o in declino? La storia dovrebbe insegnarci.
Mi sia concesso, nel clima pensoso e sacro di una celebrazione, porre a me stesso ma a tutti qualche domanda: Uomo, dove stai andando? A che punto ti trovi con la tua umanità? Cesena, dove stai andando? Dove va l’uomo quando Dio muore?
Faccio mie le parole di Nietzsche, sia pure inquadrandole in una prospettiva diversa:
“Dio è morto. …Non è il nostro un eterno precipitare? Non stiamo forse vagando attraverso un eterno nulla? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venir notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina?”.
Si fa più freddo quando muore la sensibilità verso gli altri; viene notte quando l’uomo non vede al di là del suo istinto.
Non serve una celebrazione di riparazione se ci si limita ad una condanna formale che non porta a interrogarsi, a cambiare rotta se è il caso, se da una parte ci si scandalizza, ma dall’altra si vive dello scandalo, ripercorrendolo e scandagliandolo con curiosità pruriginosa.
Una celebrazione liturgica apre sempre, se la si coglie nel suo vero significato, alla speranza. E’ quanto mi auguro che avvenga per tutti noi.
Dio è morto, gridava il folle uomo di Nietzsche. Gesù, il Figlio di Dio è morto ed è risorto, ci dice il mistero che stiamo celebrando, ed ha il potere di chiamare a vita nuova, alla pienezza della vita, chiunque si affida a Lui.
Benedetto XVI ci ricorda: “Chi segue Cristo non perde nulla della sua umanità, assolutamente nulla. Acquista tutto.” . Anche oggi è Lui la via per vivere in pienezza la nostra umanità.

sabato 7 giugno 2008

Oratori, si pensa al modello piacentino

Piacenza - Distanti anni luce dall’oratorio lombardo-ambrosiano concepito con l’appartamento del curato nell’edificio destinato ai ragazzi, distanti anni luce dai super centri parrocchiali di Milano, Lodi e Brescia nonché dalle strutture salesiane, anche a Piacenza qualche cosa si muove. Santissima Trinità, Santi Angeli a Borgotrebbia, San Lazzaro, San Vittore sono alcune delle realtà cattoliche che nel territorio comunale stanno tentando di creare un modello piacentino di oratorio. Volontari tenuti insieme da una fede salda (come alla Santissima Trinità), professionisti dell’educazione con il ruolo di coordinatori (come a San Vittore, Besurica). Una cosa è certa: il prete, causa il drastico calo delle vocazioni, risulta sempre più impegnato nella gestione delle altre attività parrocchiali. «Siamo in una fase di costruzione - spiega don Paolo Camminati, responsabile del Servizio diocesano per la pastorale giovanile -, noi abbiamo una tradizione diversa da quella lombarda. La crisi che si è avvertita in tanti settori della pastorale si è sentita anche nell’oratorio».«Fare un oratorio oggi è molto difficile - osserva don Giancarlo Conte, parroco di San Giuseppe Operaio -; con i bambini, perché le loro giornate sono molto piene. Sono felici quando vengono, ad esempio, per le feste di compleanno o, ancora, prima o dopo dottrina, ma tornare a come era una volta è difficile». La Svizzera degli oratori, a Piacenza, si trova alla Santissima Trinità. Qui hanno un oratorio estivo ed uno invernale. Su tutto un patto tra generazioni: è gestito da 40 adulti e 40 ragazzi che danno la loro disponibilità una volta ogni 40 giorni, dalle 14 alle 16 per i compiti, dalle 16 alle 18 e 30 per i ragazzini, dalle 18 e 30 in poi per i ragazzi grandi, universitari e lavoratori. «Funziona - evidenzia don Massimo Cassola -, è un posto dove l’educatore che sta lì lo fa per amore di Gesù Cristo, restituisce quello che ha ricevuto». Ci sono le play-station, i calcioballilla, i giochi da tavolo. «Dobbiamo avere il coraggio di seminare nelle famiglie per raccogliere tra vent’anni - dice la sua -. I giovani ci sono se ci sono famiglie cristiane»Alla Besurica, in San Vittore, don Franco Capelli ricorre ad un educatore, regolarmente stipendiato, con il compito di coordinare i volontari: «Abbiamo cercato di vedere l’oratorio come un momento educativo e abbiamo investito risorse importanti». In centro storico è difficile trovare gli animatori. Ne sa qualche cosa don Gianmarco Guarnieri: «Non abbiamo le forze e i ragazzi sono tutti occupati con la scuola. Il nostro oratorio sta diventando un segno di aggregazione per le famiglie». «Gestire un oratorio non è facile - ammette don Pietro Cesena -, significa aprirsi alle persone e, a volte, è troppo oneroso. Se uno vuole fare il pisolino non può aprire un oratorio. Il progetto fondamentale è l’accoglienza. Da noi ai Santi Angeli l’oratorio è un centro sociale, espressione della comunità parrocchiale».
Federico Frighi

da Libertà, 7 giugno 2008

Ambrosio: l'oratorio servizio per il bene comune

Piacenza - «Sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa. Quelle domeniche da solo in un cortile, a passeggiar, ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar». È il vescovo Gianni Ambrosio, durante la conferenza stampa di ieri nell’aula del consiglio comunale, a citare Azzurroil celeberrimo pezzo di Paolo Conte, cantato da Adriano Celentano. Naturalmente nella strofa che più gli è “amica”, per far comprendere l’universalità dell’oratorio, la sua funzione di aggregatore sociale che «fa parte di quel bene comune, interesse di tutti». «Mettere a disposizione dei giovani un punto di riferimento come l’oratorio - è convinto il vescovo - penso davvero sia un servizio importante per tutta la cittadinanza, soprattutto per il compito educativo che oggi più che mai dobbiamo assolvere». La questione educativa è uno degli obiettivi della Cei per i prossimi anni e sarà il tema del programma pastorale della diocesi di Piacenza-Bobbio per i prossimi dodici mesi nonché della lettera pastorale che lo stesso vescovo sta predisponendo. «Oggi assistiamo in tutto il paese ad una debolezza del sistema educativo - osserva il sindaco Roberto Reggi -. Con questo protocollo che rinnoviamo, dopo tre anni di sperimentazione positiva, riconosciamo negli oratori un luogo educativo primario, un luogo che dà un aiuto all’educazione ed alle famiglie per sostenere la crescita dei nostri ragazzi. Se vogliamo, questa è un’attività pre-politica per la costruzione del cittadino di domani». Un aiuto che non è solo un’erogazione fine a se stessa ma legata alla presentazione di un progetto. «In questo modo possiamo contare su un’attività sinergica tra Comune e parrocchie» sottolinea l’assessore Giovanni Castagnetti. Tecnicamente, il protocollo d’intesa tra Comune di Piacenza e diocesi di Piacenza-Bobbio, prevede l’erogazione di 20mila euro all’anno per i prossimi tre anni ai quei progetti che verranno giudicati idonei da un apposito gruppo tecnico.
F.Fr.

Il testo integrale su Libertà del 7 giugno 2008

Progetti per gli oratori, 14 le parrocchie coinvolte

Piacenza - Nell’ambito del Protocollo d’intesa nel triennio 2005-2007 firmato tra il sindaco Roberto Reggi e il vescovo Luciano Monari, sono stati approvati ed hanno ricevuto un contributo, 30 progetti presentati dalle chiese cittadine. Le parrocchie finora coinvolte sono state 14, alcune in aggregazione con altre: San Vittore; San Lazzaro, Nostra Signora di Lourdes, Santi Angeli e Duomo; San Giovanni in Canale; Santa Franca; Sacra Famiglia; San Giuseppe Operaio; San Savino; Preziosissimo Sangue; Santa Maria in Gariverto, San Pietro e San Francesco; San Carlo. Aggregazione giovanile, formazione degli animatori, prevenzione del disagio, sostegno ai genitori, integrazione i temi finora affrontati dai vari progetti. Il contributo da parte del Comune è stato di 15mila euro per il 2005, 20mila per il 2006 e il 2007.
F.Fr.

Il testo integrale su Libertà del 7 giugno 2008

giovedì 5 giugno 2008

Piacenza scommette sugli oratori

Piacenza - Alleanza tra Comune e diocesi di Piacenza-Bobbio nella sfida educativa. L’amministrazione pubblica finanzierà i progetti degli oratori parrocchiali mirati (quest’anno) all’integrazione ed alla multiculturalità. Il protocollo d’intesa verrà firmato venerdì mattina in municipio tra il sindaco Roberto Reggi e il vescovo Gianni Ambrosio. È il secondo accordo del genere che viene siglato tra le parti. Il primo vide protagonisti, nel 2005, sempre il sindaco Reggi, con l’allora vescovo Luciano Monari. Il Comune si impegnava per tre anni a finanziare i progetti delle parrocchie con15mila euro nel primo anno e 20mila nei rimanenti due. L’accordo era scaduto ed occorreva riproporne uno nuovo. Un’iniziativa non scontata vista la ristrettezza economica delle casse pubbliche. Il nuovo accordo prevede sempre 20mila euro annui, con rinnovo tacito fino al 2010.«Il Comune riconosce pubblicamente il ruolo importante che hanno gli oratori e i centri di aggregazione parrocchiale - evidenzia don Paolo Camminati, responsabile della pastorale giovanile della diocesi -. Questo è un grande risultato. L’auspicio per il futuro è che ci sia anche una concreta collaborazione». Il finanziamento del Comune viene erogato solo ai progetti delle parrocchie che perverranno in municipio entro il 9 giugno. Sarà un tavolo tecnico con rappresentanti, tra l’altro, della pastorale giovanile e dell’Associazione oratori, a scegliere. «Quello del progetto - spiega don Camminati - è un modo per responsabilizzare le parrocchie; di solito, ogni anno, ne vengono presentati una decina». A Piacenza gli oratori sono quelli della Santissima Trinità, di Nostra Signora di Lourdes, San Lazzaro, San Vittore, Santa Franca, Ivaccari, San Giuseppe Operaio, Borgotrebbia, San Pietro, Santa Maria in Gariverto, Sacra Famiglia, Sant’Antonio. Non tutti funzionano, alcuni sono aperti solo in determinati periodi dell’anno. «Il protocollo speriamo sia di buon auspicio - si augura don Camminati - perché anche la Regione Emilia-Romagna emetta una legge ad hoc dopo che nel 2003 la legge quadro nazionale ha riconosciuto l’importanza degli oratori». Magari di buon auspicio anche per un coinvolgimento diretto della Provincia di Piacenza per quelle parrocchie della diocesi che stanno facendo un buon lavoro nelle vallate. La diocesi di Piacenza-Bobbio ha già siglato in proposito un protocollo analogo con la Provincia di Parma. L’amministrazione provinciale della città ducale ha deciso di sostenere tutti gli oratori del territorio parmense compresi quelli che si trovano in provincia ma sotto la giurisdizione delle diocesi di Fidenza e Piacenza-Bobbio.
Federico Frighi

martedì 3 giugno 2008

La sfida di padre Romano in Congo, dove la gente vive su una montagna d'oro ma muore di fame

Piacenza - Non si deve portare l’africano in Europa ma risolvere i problemi a casa sua». Lo diceva il vescovo San Daniele Comboni 140 anni fa. Il fondatore dei Comboniani non sembra essere stato ascoltato. Padre Romano Segalini, 65 anni, missionario piacentino, nella Repubblica democratica del Congo dal marzo del 1976, è oggi tornato in Italia per un breve periodo di vacanza. «Dietro ci sono tanti interessi - spiega - e non si vogliono risolvere i problemi. Il Congo da solo potrebbe sfamare due miliardi di persone. A parte la ricchezza del sottosuolo (oro) c’è la terra con un terreno fertilissimo». «Le ricchezze - continua - (lo abbiamo visto l’altra sera a Report, il 25 maggio scorso) partono verso l’Occidente o la Cina e la gente del posto rimane nella più nera miseria. Per i missionari è una ferita grandissima». La missione si trova a Dondi, un villaggio a 8 chilometri dalla città di Watsa, 50mila abitanti nel nord est del Congo. Bidonville i cui abitanti lavorano nelle miniere d’oro pagati, i più fortunati, 2 dollari al giorno. Per raggiungerla deve fare 200 chilometri in motocicletta (almeno 10 ore di viaggio), perché le strade sono solo un ricordo.A Dondi-Watsa padre Romano ha aperto il centro di formazione pastorale e sociale Paolo VI. «In vista delle elezioni del 2006 abbiamo lavorato con i gruppi giustizia e pace - racconta -. La gente qui ha voglia di un cambiamento». La formazione è anche scolastica con la creazione di un istituto di veterinaria già al terzo anno. Poi il piccolo ospedale Madre Teresa di Calcutta (30 posti letto). Senza medici: «Abbiamo una decina di infermieri, uno dei quali fa degli interventi chirurgici, cesari, laparatomie, ernie, cisti e via dicendo. Sarebbe bello che qualche medico piacentino venisse a fare il volontario da noi». Oltre all’Aids, a mietere vittime, a Dondi, è la malaria. Padre Romano ne è malato cronico da trent’anni. «Quando arriva la crisi - spiega - ci si mette a letto e aspetta che passi. È la malattia che fa più vittime tra bambini, adulti e missionari». Il futuro, per la missione di padre Romano, è una scuola materna per i figli delle donne che vanno a lavorare nei campi. Poi il progetto agricolo per formare i giovani che escono dall’istituto di veterinaria. Proprio in questi giorni, dalla sua base italiana nella parrocchia di Podenzano, sta facendo partire un container con trattore, aratro e coltivatore. L’Africa, insomma, è ancora in piena emergenza. «Siamo la zavorra del mondo. Sarebbe bello che la Chiesa piacentina pensasse un po’ di più all’Africa. Le missioni in Brasile oggi sono in grado di camminare da sole. Qui siamo molto indietro». Un’indiscrezione: lo stesso vescovo Gianni Ambrosio, incontrando nei giorni scorsi padre Romano, gli avrebbe confessato il suo interesse per il continente nero. Quest’anno il presule visiterà le missioni piacentine in Brasile. Per l’Africa l’anno giusto potrebbe essere il 2009
Federico Frighi

Da Libertà, 3 giugno 2008

lunedì 2 giugno 2008

Ambrosio: Scalabrini dono per la Chiesa di Piacenza-Bobbio

Piacenza- «Il beato Giovanni Battista Scalabrini è stato un dono per la chiesa piacentina, un punto di riferimento per tutti i migranti». Così il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, ha ricordato ieri il suo illustre predecessore che resse la cattedra di San Vittore a cavallo tra Ottocento e Novecento. Ieri, primo giugno, ricorreva la devozione che la Chiesa ha dedicato al vescovo dei migranti e la diocesi piacentino-bobbiese ha voluto celebrarla con una messa solenne in cattedrale. Nona domenica del tempo ordinario, il Vangelo del giorno riportava l’ultima parte del discorso della montagna: Gesù, beato, invita ad unirsi a lui. Il vescovo Ambrosio è partito proprio da qui per introdurre il ricordo di Giovanni Battista Scalabrini: «Alcuni gesti di bontà possono trasformarsi in idoli a gloria di chi li compie - osserva il presule -. È su questo, dice Gesù, che saremo giudicati nell’ultimo giorno». «Sono passati undici anni da quando il Papa ha proclamato beato Giovanni Battista Scalabrini - evidenzia Ambrosio -. Il vescovo dei migranti è stato proclamato beato perché ha seguito Gesù ed è diventato suo discepolo facendo la volontà di Dio». Il vescovo definisce Scalabrini un pastore, un educatore, un cristiano «che ha accolto la parola del Signore». Lo ricorda come autore dell’abile ed originale intreccio di fedi e culture diverse ma anche, nel mondo più ecclesiale, dell’altrettanto abile tela che raffigurava sia la cura ai missionari sia quella ai fedeli della sua diocesi che più volte aveva incontrato. Ambrosio ne mette poi in evidenza la «carica di carità, gli orizzonti di fede, lo sguardo di speranza».
F.Fri.

Il testo integrale su Libertà del 2 giugno 2008

In San Carlo quattro nuovi Scalabriniani

Piacenza- La piccola chiesa di San Carlo non è riuscita a contenere tutti. Molti, tra parenti, amici e confratelli, hanno dovuto rimanere fuori. Srinish Priyankara Rosan Wickramasinghe Arachchighe Appuhami (Sry Lanka), Sergio Ricciuto, Vincenzo Maria Tomaiuoli e Federico Costa, tutti e tre italiani (a fianco dell’altarre) hanno emesso la loro professione di fede e sono entrati nella famiglia degli Scalabriniani. La celebrazione è stata presieduta da padre Gabriele Parolin, superiore della Regione Afro-Europea G.B. Scalabrini, assieme al superiore della casa piacentina, padre Franco Visconti, dal maestro padre Francesco Mazzone e da padre Sergio Durigon. I quattro novizi consacrati hanno studiato due anni nel convento piacentino ma non si fermeranno in città. Tutti continueranno gli studi: chi a Bogotà, chi a San Paolo del Brasile, chi in città europee.