martedì 3 giugno 2008

La sfida di padre Romano in Congo, dove la gente vive su una montagna d'oro ma muore di fame

Piacenza - Non si deve portare l’africano in Europa ma risolvere i problemi a casa sua». Lo diceva il vescovo San Daniele Comboni 140 anni fa. Il fondatore dei Comboniani non sembra essere stato ascoltato. Padre Romano Segalini, 65 anni, missionario piacentino, nella Repubblica democratica del Congo dal marzo del 1976, è oggi tornato in Italia per un breve periodo di vacanza. «Dietro ci sono tanti interessi - spiega - e non si vogliono risolvere i problemi. Il Congo da solo potrebbe sfamare due miliardi di persone. A parte la ricchezza del sottosuolo (oro) c’è la terra con un terreno fertilissimo». «Le ricchezze - continua - (lo abbiamo visto l’altra sera a Report, il 25 maggio scorso) partono verso l’Occidente o la Cina e la gente del posto rimane nella più nera miseria. Per i missionari è una ferita grandissima». La missione si trova a Dondi, un villaggio a 8 chilometri dalla città di Watsa, 50mila abitanti nel nord est del Congo. Bidonville i cui abitanti lavorano nelle miniere d’oro pagati, i più fortunati, 2 dollari al giorno. Per raggiungerla deve fare 200 chilometri in motocicletta (almeno 10 ore di viaggio), perché le strade sono solo un ricordo.A Dondi-Watsa padre Romano ha aperto il centro di formazione pastorale e sociale Paolo VI. «In vista delle elezioni del 2006 abbiamo lavorato con i gruppi giustizia e pace - racconta -. La gente qui ha voglia di un cambiamento». La formazione è anche scolastica con la creazione di un istituto di veterinaria già al terzo anno. Poi il piccolo ospedale Madre Teresa di Calcutta (30 posti letto). Senza medici: «Abbiamo una decina di infermieri, uno dei quali fa degli interventi chirurgici, cesari, laparatomie, ernie, cisti e via dicendo. Sarebbe bello che qualche medico piacentino venisse a fare il volontario da noi». Oltre all’Aids, a mietere vittime, a Dondi, è la malaria. Padre Romano ne è malato cronico da trent’anni. «Quando arriva la crisi - spiega - ci si mette a letto e aspetta che passi. È la malattia che fa più vittime tra bambini, adulti e missionari». Il futuro, per la missione di padre Romano, è una scuola materna per i figli delle donne che vanno a lavorare nei campi. Poi il progetto agricolo per formare i giovani che escono dall’istituto di veterinaria. Proprio in questi giorni, dalla sua base italiana nella parrocchia di Podenzano, sta facendo partire un container con trattore, aratro e coltivatore. L’Africa, insomma, è ancora in piena emergenza. «Siamo la zavorra del mondo. Sarebbe bello che la Chiesa piacentina pensasse un po’ di più all’Africa. Le missioni in Brasile oggi sono in grado di camminare da sole. Qui siamo molto indietro». Un’indiscrezione: lo stesso vescovo Gianni Ambrosio, incontrando nei giorni scorsi padre Romano, gli avrebbe confessato il suo interesse per il continente nero. Quest’anno il presule visiterà le missioni piacentine in Brasile. Per l’Africa l’anno giusto potrebbe essere il 2009
Federico Frighi

Da Libertà, 3 giugno 2008

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