lunedì 18 aprile 2011

Il campanile, coordinate di una comunità

E' stata recentemente completata l'opera di restauro del campanile di San Pietro. In occasione del convegno sui lavori, l'architetto Marcello Spigaroli tenne una relazione sul significato dei campanili. La riproponiamo per l'occasione - simbolo della Pasqua sono, tra l'altro, le campane a festa - ringraziando l'autore per avercela messa a disposizione.

La campana come strumento di richiamo per funzioni, particolari ricorrenze od eventi riguardanti la comunità viene introdotta in Europa dall'Impero romano d'Oriente poco prima dell'VIII-IX secolo d.C. Praticamente contemporanea è la concezione della particolare struttura a sviluppo verticale, associata all’edificio religioso, che chiamiamo torre campanaria o campanile.

Le sue radici storiche del campanile sono facilmente individuate. Dalla torre di difesa e di avvistamento, attraverso la torre scalare paleocristiana (che si prolungherà nelle torri scalari cistercensi), alla torre campanaria vera e propria: i primi esempi sono a base circolare con copertura conica; successivamente, prenderà il sopravvento in tutta Europa la torre a base quadrata con copertura piramidale.

Campanile e spazio urbano

La cultura cristiana medievale, erede della cultura classica, comprende perfettamente che il possesso dello spazio urbano è fondamentale per il governo della comunità cittadina e che tale possesso passa necessariamente attraverso edifici ad alta valenza funzionale e simbolica nei punti nevralgici dell’organismo-città (nei nodi della struttura urbana). Questi nodi sono le piazze, le porte e i punti d’intersezione dei percorsi principali all’interno e all’esterno delle mura. Gli spazi pubblici in genere.

La visibilità di presenze monumentali strategicamente collocate (parliamo essenzialmente di chiese, che appartengono a enti religiosi differenti, con le loro pertinenze: mercati, magazzini, xenodochi, dimore e servizi annessi) diviene un valore fondamentale ai fini della riconoscibilità dei luoghi stessi, tanto più in una città – quella medievale – nella quale la rete dei percorsi si fonda non più su assi rettilinei, come nella città antica, bensì su tracciati ad andamento naturale, curviforme; non più paralleli o ortogonali, ma irregolarmente radiali o concentrici.

La collocazione dei campanili lungo il fianco della chiesa (o sull’edificio stesso) è perciò in funzione della sua visibilità dai percorsi convergenti sulla chiesa stessa. Dunque il presidio del nodo di strade da parte del complesso ecclesiastico è sancito dal campanile, che occupa il punto d’intersezione dei traguardi visivi, incardinandolo mediante l’asse verticale di congiunzione cielo-terra. Per l’esattezza, cielo-terra-mondo sotterraneo. (Nel caso di copertura piramidale, inoltre, se la chiesa è orientata, le quattro facce della piramide coincidono con le direzioni cardinali: da qui anche la possibilità di stabilire la direzione dei venti … eccetera)

Insomma, a queste condizioni lo spazio davvero può farsi luogo e l’edificio sacro, strutturato sulle forme ideali e perfette della geometria, può divenire momento ordinatore del contesto insediativo che ad esso fa riferimento. L’architettura sacra genera la metamorfosi dello spazio, non soltanto per come è strutturata al proprio interno o per il disegno in sé delle sue forme esteriori, ma anche per il modo in cui queste si pongono nella dimensione urbana e territoriale, producendo ordine in essa. L’architettura dello spazio sacro è il logos che cosmizza lo spazio dell’insediamento umano.

E questa è la prima, formidabile implicazione simbolica del campanile – considerato alla scala urbana – che, nel momento in cui si dà come polo ordinatore di un comparto insediativo (tale è il borgo medievale), diviene axis mundi di questo microcosmo.

Al ruolo coordinata spaziale va peraltro associato anche quello del campanile che, attraverso il suono delle campane che associa le fasi del giorno e dell’anno alle funzioni liturgiche, diviene strumento misuratore dei tempi di territorio e città:

- i ritmi di quella che Braudel ha definito “storia dei tempi lunghi” (i tempi dell’universo agricolo extraurbano) del procedere ciclico e immutabile.

- i tempi della storia lineare urbana, con i suoi eventi ordinari e straordinari.

In definitiva, il campanile è di fatto lo strumento attraverso il quale il cristianesimo medievale (e quindi il potere ecclesiastico che lo rappresenta) governa materialmente – e strategicamente - le coordinate di spazio e tempo della comunità.

Architettura del campanile

Ragioniamo adesso della sua architettura. Partiamo dall’edificio-chiesa nel suo insieme. L’edificio sacro e le sue parti si fanno immagine di significati nei quali non è esagerato affermare che si concentra, ogni volta, una visio mundi, una concezione dell’universo, tradotta nelle forme dello spazio pensato e costruito.

La sua architettura si viene a comporre di tante architetture, organicamente connesse tra loro (facciata, transetti, volumi absidali tiburio, tamburo e cupola, campanile …) e ognuna di esse, a sua volta, si articola in una combinazione di elementi architettonicamente definiti: pensiamo alla facciata, che applica alla struttura basilicale la columnatio dei frontescena del teatro antico coniugata con l’idea di domus, dove ritroviamo la tripartizione classica basamento-elevazione-coronamento. Ogni parte con una sua precisa compiutezza architettonica; ma a questa, altre architetture minori possono aggiungersi: protiri, portali, il nartece …

Questo è il modo in cui la cultura medievale porta l’edificio religioso a divenire paradigma architettonico, silloge delle più significative forme costruite e punto di riferimento per tutto ciò che ha attinenza con lo spazio progettato. E ciò, sia sotto il profilo strettamente edilizio che sotto quello relativo alla scala urbana.

Se il controllo della forma urbis si ottiene presidiandone i nodi, la sua tenuta si garantisce attraverso la forza espressiva che l’edificio monumentale possiede.

E in tutto questo, il campanile? Si potrebbe pensare che la funzione del campanile sia subordinata a quella della facciata. In realtà non è così. Segno verticale per eccellenza, la torre campanaria non è solo una componente ausiliare della chiesa. Facciata e campanile si alternano e si integrano nel gioco sapiente volto al governo dello spazio urbano attraverso il presidio dei suoi nodi. Ma nella città del medioevo è soprattutto il campanile a svolgere il ruolo di traguardo prospettico.

E allora vediamo questa costruzione evolvere rispetto agli essenziali volumi originari, e acquisire, al pari della facciata, una precisa articolazione nella quale ritroviamo - in successione verticale – la torre basamentale, che porta la cella campanaria, sulla quale s’imposta l’elemento sommitale di vertice. Il coronamento.

Del quale c’interessa particolarmente ragionare perché….

tutto ciò che si va a porre sopra la cella campanaria va oltre l’esigenza funzionale di portare le campane e di sopraelevarle perché il suono si diffonda.

Appartiene semmai alla necessità di emergere visivamente; ma una serie di costanti dimostra che questa necessità non è disgiunta da un’altra: quella di protendersi verso l’alto – verso il cielo – utilizzando assieme piramide, cono e ottagono, in alternanza o in combinazione tra loro

Piramide

Cono - copricapo a punta

Con l’affermarsi del cristianesimo, la religione si separa dalla magia, alla quale vengono legate le scienze astronomico/astrologiche. Il copricapo a punta viene cosi ad assumere valori sia positivi che negativi:

-Positivi se legati alle funzioni rituali delle autorità religiose.

-Negativi se attribuito a persone e figure che si identificano con religioni non cristiane (l’ebreo dell’iconografia medievale), con l’eresia, con la magia.

Il campanile, come “axis mundi”, è di per sé congiunzione fra terra e cielo.

Ad esso è affidata la funzione di connettersi con l’insieme dei fenomeni celesti, sia visibili (fulmini, venti, moto degli astri), sia invisibili perché soprannaturali.

La copertura conica protesa verso l’alto è un vero è proprio “cappello a punta”, copricapo magico rituale che rimanda alla dimensione astronomico/astrologica.

Ottagono

Nell’ottica mistica, l’ottagono (ottenuto mediante la rotazione del quadrato) e le forme solide che ne derivano sono di per sé figure di mediazione tra cerchio e quadrato e pertanto di connessione tra cielo e terra. Nel punto in cui si collocano si stabilisce il passaggio dell’axis mundi e la congiunzione tra micro e macrocosmo.

Questa è la ragione per cui molto spesso, nelle architetture religiose, laddove è presente l’ottagono (tiburio, torre sull’asse centrale, lanterna sopra la cupola) può non esserlo il campanile. Per garantire la visibilità, s’interviene sul piano dimensionale e della scelta dei materiali quanto su quello formale e simbolico.

Nel suo libro La fine del mondo, il grande antropologo e meridionalista Ernesto de Martino racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore, perché indicasse loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria angoscia, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacifica.

“Che cos’è, in fondo, il “campanile di Marcellinara” di demartiniana memoria se non un “luogo comune”, baluardo contro le apocalissi del singolo così come contro quelle della comunità, sparito il quale dall’orizzonte la pena del “non esserci” prevale sulla presenza condannando all’angoscia irrelata? Che cos’è quel campanile se non, in ultima istanza, una rappresentazione, un’icona del gruppo, del luogo e dello stesso sé, “axis mundi” attorno al quale organizzare lo spazio e il tempo, gestire la propria e l’altrui esistenza, decidere chi è forestiero e chi non lo è?” (Letizia Bindi, Bandiere, antenne, campanili. Comunità immaginate nello specchio dei media, Melteni ed., Roma, 2005).