sabato 31 gennaio 2009

L'ex lefevriano don Cantoni, negare l'Olocausto è una stupidaggine

Piacenza - «L’uscita di Williamson è stata una sparata. Negare l’Olocausto una stupidaggine. Con quelle modalità allora ci sono anche quelli che dicono che le Torri Gemelle se le sono buttate giù gli americani». A pensarla così è teologo piacentino don Piero Cantoni, ex lefevriano, oggi incardinato nella diocesi di Pontremoli-Massa. Cinquantotto anni, è uscito dai Lefevriani nel 1981, è stato professore di due dei quattro vescovi ai quali il Papa ha revocato la scomunica: l’attuale superiore della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay, e monsignor Alfonso de Gallareta. Confessa di avere avuto già allora qualche contrasto con monsignor Richard Williamson e di essere uscito dalla Fraternità anche a causa sua. «È una persona intelligente - ricorda - ma è sempre stato molto drastico. Era anglicano ed è passato dall’anglicanesimo alla fraternità lefevriana. Gli manca quell’equilibrio che secondo me dovrebbe caratterizzare i cattolici: la capacità di fare delle sintesi e non insistere con una contrapposizione continua». «Personalmente il mio atteggiamento sull’Olocausto è di ferma condanna, senza se e senza ma. Mi sembra che non sia simpatico mettere in discussione una cosa del genere. Così come per gli altri genocidi (vedasi gli armeni) che è giusto condannare con ugual forza». Don Cantoni è stato ordinato il 24 dicembre del 1978 a Econe dall’arcivescovo Marcel Lefebvre. «Ero entrato nella Fraternità - racconta - perché una certa idea di interpretare il Vaticano II° non mi andava. Io il Vaticano II° l’ho sempre accettato ma come un concilio che ha aggiornato la fede. Aggiornare la fede non vuol dire cambiarla». «La mia permanenza a Econe mi ha insegnato ad essere più seriamente vicino al Signore. Però ci sono degli errori che mi hanno indotto a uscire: una mentalità che avrebbe portato ad una rottoura che infatti è avvenuta».
fri

Il testo integrale su Libertà del 31 gennaio 2009

Beni culturali, la Chiesa diventa un laboratorio

Piacenza - La Chiesa piacentina diventa un laboratorio di ricerca nel settore della bioedilizia e della sostenibilità del restauro dei beni immobili culturali. Lo fa presentando tre progetti su altrettanti immobili, aventi come denominatore comune il fatto di essere tutti e tre appartenenti al patrimonio ecclesiastico: una residenza in città (Palazzo Fogliani), una casa colonica vicino ad Agazzano (San Pietro in Tranquiano), un complesso parrocchiale (Pieve Dugliara). Uno studio realizzato in fase interlocutoria anche con l’aiuto della Sovrintendenza che ha incoraggiato la ricerca indicando delle strade guida. Se ne parlerà in modo approfondito venerdì 6 febbraio (dalle ore 9) in un convegno alla Volta del Vescovo. L’evento è stato presentato ieri mattina nella sala degli affreschi della Curia di Piacenza da don Giuseppe Lusignani, direttore dell’Ufficio per i beni culturali ed ecclesiastici della diocesi di Piacenza-Bobbio e dai vari attori del progetto. «L’obiettivo è di conservare, mantenere e rendere vivibili gli immobili sacri - osserva don Lusignani -. Come diocesi di Piacenza-Bobbio ci proponiamo di essere attori anche nel campo dell’approfondimento e della ricerca». Uno sguardo al futuro ma anche uno al presente. «È doveroso per i parroci custodire al meglio i beni immobili ecclesiastici - osserva don Lusignani -, questo può voler dire liberare risorse messe poi a disposizione dell’impegno pastorale. In che modo? Con un intervento di restauro appropriato e in una logica di possibile risparmio».
fri

Il testo integrale su Libertà del 31 gennaio 2009