mercoledì 6 agosto 2008

Sydney, in missione tra gli aborigeni metropolitani

Piacenza - Sono i missionari del terzo millennio. Famiglie cattoliche che hanno deciso di dedicare la vita ad annunciare il Vangelo in giro per il mondo, dove c’è più bisogno. Al numero 80 di Albion street, nella metropoli di Sydney, Australia, vivono i coniugi Pagani. Gian Pietro (ex geometra in una impresa di lavori stradali) e Caterina (ex infermiera), 41 anni, entrambi piacentini, con i loro dodici figli (8 nati a Piacenza, 4 in Australia): Mattia (18), Gionata (16), Micol (14), Martino (13), Francesco (11), Andrea (10), Filippo (9), Giuseppe (7), Chiara (5), Giovanni (3), Paolo (2), Pietro (sei mesi). Sono arrivati nel 2001 a Perth; a Sydney nel 2004. Il loro servizio lo svolgono nel Block, il quartiere aborigeno nel cuore della metropoli. Qui vivono gli ultimi discendenti dei nativi australiani, sterminati dagli inglesi solo poco più di due secoli fa ed oggi tollerati ma non integrati. Caterina e Gianpietro vengono qui, in questo quartiere di case fatiscenti, dove la gente spaccia e sniffa la benzina (non tutti), a incontrarli e ad annunciare il Vangelo. Vanno nei palazzoni della periferia, nel quartiere di Redfern tra i poveri e i disperati di Sydney, dove pochi australiani hanno il coraggio di bussare: solo la polizia e le suore di Madre Teresa di Calcutta. Tengono catechesi bibliche agli adulti (italiani e australiani), corsi di preparazione al matrimonio cattolico. «Visitiamo la gente casa dopo casa. Andiamo da tutti. Quando suoniamo non sappiamo chi c’è dietro la porta. A volte ci buttano fuori, anzi molto spesso. Qui la gente ha molta paura, il nostro la notte è un quartiere pericoloso». Il tutto a pochi metri dalla Sydney da cartolina. Missionari laici a tutti gli effetti. «Noi abbiamo scelto l’esperienza del cammino neocatecumenale fin dall’adolescenza - spiega Caterina -; il nostro carisma, alimentato dal Signore, è quello dell’evangelizzazione; la fede non è una cosa che ti devi tenere per te». Per sommi capi, funziona così: i vescovi di aree critiche chiedono aiuto a famiglie di missionari. Chi dà la disponibilità viene inviato dal Papa. Le prime famiglie sono partite più di 20 anni fa ai tempi di Giovanni Paolo II: da Piacenza, ad esempio, i Brandazza in Camerun e oggi in Francia (a Lione), i Pagani in Australia, altri in Norvegia, in Svezia, in Finlandia.«In missione si vive nella precarietà economica, di donazioni - evidenzia Gian Pietro -, lavoriamo ma non abbiamo uno stipendio». Gian Pietro segue il progetto per la costruzione di un seminario locale, ma fa anche lavori di falegnameria, di pulizia. Caterina la mamma e tutto ciò che serve in casa. «Facciamo così perché se avessimo un lavoro fisso non potremo essere missionari nella parrocchia» osservano. Precarietà anche nella lingua e per l’abitazione: «Siamo invitati a non istallarci in un posto, Fino ad oggi abbiamo cambiato 5 case; andiamo dove c’è bisogno, di parrocchia in parrocchia, di città in città».Il ruolo dei figli è importante. «Non sono al nostro seguito - precisano Gian Pietro e Caterina - ma missionari anche loro. Vanno a scuola e lavorano in missione. Mattia e Gionata, ad esempio, hanno costruito un piccolo santuario durante le vacanze estive in una missione aborigena del Nord. Gli altri fanno i baby sitter o ai propri fratelli o ad altri bambini di famiglie missionarie. Tutto ciò vuol dire partecipare alla missione. Sono bambini come tutti gli altri, a cui piace guardare la tv o giocare con la play station. Quando però c’è da aiutarsi, ci si aiuta». Nella recente Giornata mondiale della gioventù, chiusasi lo scorso 20 luglio con la messa di Benedetto XVI all’ippodromo di Randwick davanti a 450mila persone provenienti da ogni parte del mondo, i coniugi Pagani hanno avuto un ruolo importante. Sono stati il punto di riferimento a Sydney per molti pellegrini, in particolare per il gruppo piacentino delle comunità neocatecumenali.
Federico Frighi

Da Libertà, 5 agosto 2008